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Autore: _Corin    03/08/2015    1 recensioni
Certo, Rose era vagamente attratta ossessivo compulsivamente da Scorpius Malfoy. E permalosa come una gatta a cui avessero pestato la coda, interessata al suo aspetto probabilmente meno di quanto non lo fosse la sua già considerevolmente trascurata madre, paranoica ogni oltre limite, logorroica con chiunque avesse un paio di orecchie e nessuna voglia di ascoltare le sue turbe, incapace di comprendere l’autorità che un professore avrebbe dovuto avere, rossa, lentigginosa e arruffata.
In una parola, almeno secondo il punto di vista oggettivo e sensato di James, interessante.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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La Rovina
 
 
 
 
 
«Cos’è questo?»
«Veritaserum. Il siero della verità.»
«E questo?»
«Pozione Aguzzaingegno.»
«Oh. Interessante. E quello con la bottiglia di vetro verde?»
Albus guardò il fratello maggiore come fosse stato un essere particolarmente abbietto, come una Lumaca Carnivora. «Quello è l’antidoto Polivalente, l’antidoto ai veleni comuni. Per Merlino, James, lo insegnano al secondo anno questo! Tu studi mai?»
«Ti ho chiesto un favore, Severus, non una ramanzina. Sarei andato da mamma, se avessi voluto che qualcuno mi parlasse dei miei risultati scolastici, o dalla McGrannitt. Tu sei piuttosto diverso da entrambe, per tua sfortuna» ridacchiò James.
Albus non trovava che suo fratello fosse particolarmente divertente. Lo trovava piuttosto stupido, a dire il vero. Gli altri non erano della sua stessa opinione, però, e sua madre non gli aveva permesso di farci esperimenti neanche quando aveva argomentato – con notevole proprietà di linguaggio per i suoi sei anni – che almeno avrebbe dato un senso alla sua esistenza.
«Primo, non chiamarmi Severus» iniziò il minore rabbioso. James pensò fugacemente che assomigliava molto ad uno di quei rabbiosi e minuscoli cagnetti babbani. «Secondo, tu non hai chiesto un bel niente, approfittatore. Tu ti sei introdotto nel mio dormitorio in modo del tutto illegale, e mi hai chiuso dentro. Se sapessi l’incantesimo per spedirti fuori a calci l’avrei già utilizzato. Sei un mafioso, fratello» concluse Albus con stizza.
James sorrise con modestia, come se gli avesse fatto il più bel complimento a cui avrebbe mai potuto pensare.  «Oh, smettila di cercare di lusingarmi, andiamo avanti. Dovrò pur trovare un lato positivo dell’avere te come consanguineo, no? Ora, cos’è quella roba assurda che brilla?» riprese indicando una boccetta accuratamente sigillata, seminascosta in un angolo.
«Quella roba assurda che brilla, come dici tu, è un mio privato tentativo di ricreare la Felix Felicis, alias Fortuna Liquida» rispose Albus con una punta di orgoglio.
James annuì. «Assurdo. Bene, prendo questa.»
Albus si parò davanti ad il suo delicatissimo e preziosissimo armadietto di mogano finemente lavorato, che conteneva alcuni dei veleni più mortali e pericolosi che fossero mai stati inventati, esperimenti non testati e pozioni dal grado di difficoltà che superava di gran lunga quello che si richiedeva ai M.A.G.O.. L’avrebbe difeso con la propria vita, se fosse stato necessario.
«Non puoi, ameno che tu non voglia ritrovarti davanti ad una commissione» gli abbaiò contro. «E’ contro la legge utilizzare Fortuna Liquida non preparata da Pozionisti Esperti con un certificato, che abbiano superato determinate prove imposte dal ministero e siano stati approvati e ritenuti del tutto capaci di-»
«Non mi sembra di aver mai rispettato la legge.» lo interruppe James con logica inoppugnabile.
Il ragazzo studiò con un certo interesse il sangue affluire lungo il collo di Albus fino ad infuocargli le orecchie, unico segno che fosse in parte Weasley.
Sembrava che stesse per avere una crisi isterica, o qualcosa del genere. «Non stiamo parlando di una punizione della McGrannitt! E’ roba seria, questa. Non se ne parla che tu mi metta nei guai, rovinando per sempre la carriera di Pozionista e Alchimista dell’Ordine di Paracelso che sto cercando di guadagnarmi già da-»
 Venne nuovamente interrotto dalla risata fragorosa di James. «Dai, questo te lo sei inventato!» disse quello fra le risate mentre il fratello lo guardava come avesse voluto azzannarlo alla giugulare.
James decise che non voleva morire avvelenato da un Serpeverde che non arrivava nemmeno al metro e settanta.
Alzò le mani come a metter pace. «Va bene, va bene, hai ragione: chi la sente poi mamma. Cos’è quella?» riprese.
Albus a stento distolse lo sguardo dal suo viso. James lo vide cogliere, con la coda dell’occhio, un cenno da uno dei quadri che riempivano le pareti del dormitorio, quello di un soldato in armatura antica, con l’emblema di Serpeverde sullo scudo massiccio e l’aria di uno che avrebbe potuto rompergli le ossa solo guardandolo. Sul viso di Albus si aprì un sogghigno ferino. A James suo fratello sembrava particolarmente pericoloso, decisamente Serpeverde, quando sorrideva in quel modo.
«Un esperimento» rispose evasivo.
«Sembra interessante. Continua.»
Albus non poteva resistere ad illustrare a qualcuno – persino a James! – una delle sue invenzioni. «Hai presente l’Amortentia?» domandò entusiasta.
James – prevedibilmente - non l’aveva presente. «Uhm…»
Albus scosse la testa come fosse stato stupido da parte sua persino chiederlo. James non se la prese.  «No, somaro, certo che non ce l’hai presente, cosa mi aspetto? L’Amortentia, comunemente detta, nel modo volgare che potresti aver sentito da una qualsiasi di quelle oche che stanno dietro a Rebecca Sterling, Filtro d’amore di San Valentino, è comunemente conosciuta, naturalmente non da te, come il filtro d’amore più potente al mondo. Il ministero della magia ne regola la produzione e la distribuzione, perché nella mani sbagliate può essere estremamente pericoloso.»
James annuì come se l’idea non gli fosse sembrata particolarmente ridicola, come effettivamente era. «Immagino…»
«Stavo spiegando. Allora, i vapori di questa pozione hanno la qualità di variare a seconda della persona che li respira, acquisendo gli odori di ciò che li attrae di più. Io ho preso questa peculiarità e ho cercato di variarla, creando una pozione che cambi di sapore a seconda di chi la beve, come l’Amortentia fa con gli odori, prendendo il gusto dei piatti preferiti.»
«Senza dubbio molto utile quando andiamo a cena da zia Hermione. Ma non è quello che mi serve. Quella cos’è?»
Il sorriso di Albus sembrava premere per allargarsi sempre di più. James valutò l’idea di fargli sapere che aveva un’aria da maniaco. «Quello è il Solvente Magico di Nonna Acetonella per Ogni Tipo di Spocizia, James.» cantilenò sornione come un gatto che gioca con un topolino prima di mangiarselo.
Il bussare deciso alla porta distrasse il Grifondoro, mentre suo fratello sembrava concludere che sarebbe stato un topo particolarmente gustoso. «Questo, invece, è Roderick Cox, il tuo amatissimo insegnante di pozioni, nonché mio Capo Casa, che ho informato del tuo stazionare in camera tenendomi in trappola contro la mia volontà. E’ venuto per coglierti finalmente in flagrante e metterti in punizione per tutti i gessetti incantati dei quali non si è mai trovato il colpevole. Puoi scegliere fra la finestra – dalla quale puoi giungere direttamente nella bocca della Piovra Gigante -, e Cox.» James sembrò seriamente considerare le diverse opzioni.
Il suo sguardo passò in fretta dalla finestra che gettava una luce verdastra a tutta la stanza, piena di pesci che nuotavano pigri, alla porta, dietro la quale l’insegnante bussava sempre più frenetico.
«Mi presti la tua scopa, Al?»
Albus gli rivolse un sorriso che si sarebbe potuto definire solo come sadico. «Nemmeno per sogno, Jamie.»
James non sembrava particolarmente arrabbiato, o tradito. Gli rivolse uno sguardo che sarebbe potuto considerarsi di qualcosa di simile al rispetto. «Mafioso.»
Albus si strinse nelle spalle. «Caratteristica di famiglia.»
Proprio allora, la porta scoppiò, alle loro spalle, in una nuvola di polvere fitta. James era sicuro che Cox avrebbe dovuto conoscere il controincantesimo di quello che era un comune sortilegio che aveva trovato in un comune libro della biblioteca – reparto proibito, ma comunque la biblioteca scolastica - mentre Connor cercava di obbligarlo a fare una ricerca di Erbologia.
Forse era semplicemente scena, si disse. Certo, Cox faceva molta scena con i lunghi capelli rossicci, le sopracciglia aggrottate e il pizzetto arrotolato – James era sicuro che usasse un bigodino, oltre a farsi la tinta - pieni di polvere. Nemmeno l’asciugamano stretto in modo alquanto precario intorno ai suoi fianchi esili e il corpo bagnato rovinavano la teatralità del momento. Faceva anche molta paura, considerò il ragazzo osservando l’espressione che era a metà fra il sadismo e la gioia maligna per averlo trovato sul viso dell’insegnante. E la pazzia, sicuro, quando si parlava di Cox la pazzia era sottintesa.
Cox scoppiò in una risata fragorosa che fece sobbalzare i compagni di dormitorio di Albus, fra cui spiccava la chioma bionda di Scorpius, che erano alle sue spalle.  «Potter! Altro Potter, esca da questa stanza, io e Potter dobbiamo parlare» urlò con voce da squilibrato.
Albus non vi badò, si limitò a passare sopra la porta che era stata abbattuta e a rivolgergli un sorriso angelico. «Certo, professore» gli si rivolse remissivo.
«Ti odio» sussurrò James mentre gli passava vicino per lasciarlo solo con quello che probabilmente, a voler essere esagerati e melodrammatici come James era senza dubbio, era il suo nemico mortale.





Albus si buttò scompostamente sul letto. La porta del suo dormitorio non era ancora stata aggiustata – colpa di James, come al solito – ed era stata momentaneamente sostituita con un una tenda da doccia con l’immagine di una donna dal seno prosperoso e un vitino da vespa che continuava a ridacchiare, sbattere la ciglia con aria civettuola e ad origliare i loro discorsi. Albus si era chiesto fugacemente se con tutti i maghi che c’erano lì intorno nemmeno uno avrebbe saputo riparare una semplice porta, ma aveva accantonato il pensiero in favore di quello ben più confortevole riguardo alle torture che Cox doveva stare operando su James.
Si riscosse solo quando Crispin Coleman e Jericho Nott uscirono per andare agli allenamenti di quidditch, permettendogli di continuare il discorso precedentemente interrotto.
«Solo, si può sapere come hai fatto ad uscire con mia cugina?» sbottò Albus iniziando ad esaminare una ad una le bottigliette ricolme di liquidi variopinti e probabilmente pericolosi della sua collezione, in un rituale che si ripeteva ogni giorno a quella stessa ora.
Scorpius si strinse nelle spalle. «Io… non lo so» rispose, rimettendosi al lavoro sul tema di Trasfigurazione che gli si parava davanti, fitto di informazioni.
Albus inarcò un sopracciglio. «Non lo sai?»
«Già, non lo so, Severus. Ora vuoi smetterla di farmi l’interrogatorio?» replicò Scorpius evasivo, tenendo lo sguardo insistentemente fisso sulla pergamena su cui aveva appena fatto un buco.
Il compagno si rabbuiò. «Non chiamarmi Severus» ringhiò.
Lo sapevano tutti, dannazione!, che odiava essere chiamato Severus. Non era solo portarsi addosso il nome di un morto – motivo che Albus trovava sufficiente già di per sé -, ma che quel morto fosse stato Serpeverde, grande pozionista ed ancor più grande bastardo – e non importavano tutte quelle storie di suo padre sul sacrificio ed il coraggio, Albus era stato nei ricordi di Harry e aveva ascoltato le storie miriadi di volte, da fonti diverse. C’aveva pensato a lungo, ed era giunto alla conclusione che Severus Piton era un martire, certo, ma un martire stronzo, e nessuno l’aveva rimpianto davvero per il suo essere Severus Piton.
E a lui piaceva essere Serpeverde – l’aveva capito già mentre il cappello parlante gli borbottava in testa, che quello era il suo posto – e in pozioni era bravo – bravissimo – perché le adorava. Ma non voleva essere Severus. Solo Al, aveva detto il primo giorno sull’Espresso per Hogwarts e tutti i giorni che erano venuti dopo.
Il silenzio si dilungò per appena qualche minuto, interrotto solo dalle avances della pin-up della tenda.
Scorpius riprese, esitante, dopo aver sistemato e finalmente ripiegato la pergamena . «Al?»
«Ora ti ricordi il mio nome?» sbottò l’altro, mettendo un’insolita forza nel ripulire dalla polvere il Distillato della Morte Vivente.
«Al, cos’è questa storia che proteggete i membri della vostra famiglia?» pigolò il biondo.
«Uhm?» Albus gli rivolse appena un’occhiata perplessa.
«Pensi che tuo fratello mi farà male?»
Albus alzò gli occhi al cielo, risistemando al suo posto il Sangue di salamandra. «Certo che no, Scorpius. James non sarebbe capace di far male ad una mosca» rivolse un’occhiata più attenta alla pozione successiva, mentre con orrore crescente faceva l’inventario fra sé e sé. «Più per stupidità che per bontà d’animo, a dire il vero. Solo…»
«Solo? Merlino, Severus, non mettermi ansia!» Malfoy saltò giù dal letto, iniziando a camminare su e giù per la stanza.
Albus adocchiò ancora un volta il vuoto fra il Decotto Dilatante e il Distillato Soporifero, e quello seminascosto nell’angolo, e quello dietro l’Infuso di artemisia. Nella sua mente, i nomi delle pozioni mancanti balenarono, e si ripromise che James avrebbe presto fatto indigestione di Fegato di pipistrello.
Scorpius Malfoy era il suo migliore amico, James Potter il suo insopportabile fratello; aiutare il secondo e sancire la probabile disfatta del primo andava contro tutti i suoi valori.
Eppure, Scorpius continuava a chiamarlo Severus e – ragione non ignorabile – con le pozioni mancanti James avrebbe potuto fare abbastanza guai da finire in punizione fra le grinfie di Cox per tutto il resto dell’anno.
Alla fine decise d’impulso, ignorando al possibilità che qualcuno gli attribuisse la colpa di qualsiasi azione illegale James volesse compiere con le sue preziosissime pozioni. «Niente, Scorpius. Vai tranquillo.»
E, in quel momento, nessuno avrebbe avuto il minimo dubbio sul fatto che quello fosse il Serpeverde più vendicativo sulla faccia della terra.





Al tavolo di Grifondoro, quella mattina, il caos era particolarmente caotico.
Quello era il primo sabato di Hogsmeade, quell’anno. Le ragazze sembravano essere tutte molto più in tiro che al solito, quando si aggiravano con le occhiaie pronte a fulminare chi avesse avuto la malaugurata idea di rivolger loro la parola: i pochi sfortunati che non sarebbero potuti andare se ne stavano seduti immusoniti; i ragazzi… be’, loro si comportavano da ragazzi, come al solito, e si limitavano a divorare il porridge particolarmente gustoso di quel giorno.
Anche James non faceva eccezione.
Mentre mangiava i fiocchi d’avena con un risucchio, Rose si sedette con ben poca grazia di fronte a lui. «James, io e te dobbiamo parlare.»
Quello convenne con un grugnito che sarebbe potuto essere di assenso come di diniego. «Oggi io uscirò con Scorpius Hyperion Malfoy» iniziò assaporando il nome del Serpeverde sulla lingua come fosse stato un cioccolatino particolarmente gustoso.
«Sono cinque anni che aspetto questo momento. Cinque anni, non so se comprendi. A cinque anni tuo padre… no, in effetti a cinque anni non aveva ucciso ancora niente di particolarmente pericoloso, che io sappia. Forse uno di quegli orribili ragni di cui ci racconta sempre, che a papà fanno venire l’orticaria… comunque: cinque anni in cui mi preparo per questo momento. Tu capisci, vero James?» il grugnito d’ordinanza fu la sua sola risposta.
«Certo che non capisce, cugina» disse Albus sedendosi sulla panca accanto a lei con un movimento fluido. Albus faceva tutto con grazia, aveva notato Rose nel corso del tempo. La ragazza temeva che fosse roba da Serpeverde, perché anche Scorpius era leggiadro come… come… era leggiadro, comunque.
«Cosa ti aspettavi da mio- Buon Merlino, Rose, che hai fatto alla faccia?!» esclamò Albus alzando la voce di un paio di ottave. Metà della tavolata si girò a guardarli. Qualcuno emise anche un risolino a bassa voce, anche se Rose non avrebbe saputo dirne il motivo. Albus invece sì, a quanto pareva. «Salazar, Rose, sei caduta dalla parte sbagliata della scopa?» il Serpeverde la studiava come se si fosse trattato di uno Schiopodo Sparacoda in costume da paperella.
«Cos’ho che non va?» domandò Rose guardandosi nel riflesso distorto di un cucchiaio.
Nei posti accanto a James si misero una ragazza dai capelli neri raccolti in una coda alta e un ragazzo che sembrava capace di camminare con la faccia completamente nascosta da un libro.
«Rose si è truccata, oggi, Albus» cinguettò la ragazza allegra, arraffando l’ultimo dolcetto al cocco sotto gli occhi sonnacchiosi dell’altro. «Più o meno» si corresse.
«Rose…» iniziò Albus, titubante.
«Cosa?» chiese quella.
«Hai fatto a botte con qualcuno?» si informò James con un ultimo risucchio, notando solo allora i pensanti cerchi neri attorno agli occhi della cugina, la voce trasudante d’orgoglio.
«No! E come mi trucco io non è affar vostro! James, volevo solo avvisarti che, nell’eventualità in cui tu dovessi decidere di rovinare questo giorno - che sto aspettando da ben cinque anni, ribadisco - potrei per errore far cadere un po’ del Preparato per Pozioni Istantanee scaduto di mio padre nel tuo bicchiere di succo di zucca. Prega che io non ti veda nelle prossime dodici ore, cugino, o sei morto!» e con un gesto raccolse la sua tracolla, un paio di crostatine al miele e Albus, andandosene stizzita sotto gli occhi esterrefatti di quelli che avevano assistito alla scena.
Appena i due furono fuori dalla porta, James assunse un’espressione cogitabonda che stonava in modo vistoso con i suoi soliti ghigni da furfante.
Marceline, alla sua sinistra, si mise sull’attenti, con un sorriso che non prometteva niente di buono impresso sulle labbra. Le piacevano i piani di James: più erano pazzi e meglio ci si trovava in mezzo. Ci si buttava a capofitto senza un ripensamento o un’obiezione. Forse perché era davvero difficile che qualcuno riuscisse a beccarla, forse semplicemente perché era un’incosciente. Comunque, dall’espressione assorta di James e dall’insistenza con cui Connor fissava la stessa pagina da almeno quindici minuti, sperando evidentemente che l’amico se ne stesse zitto, fermo e si desse ad un’attività meno eccitante – l’uncinetto, magari -, quello sarebbe stato uno dei piani più folli e sconclusionati di James, di quelli che finivano con almeno qualche trasformazione animale o un paio di mutande in piena vista.
«Io ho un piano» iniziò James. Marceline si raccolse più vicino a lui, masticando il quarto dolcetto con l’aria più pericolosa che le riuscisse. Un paio di ragazzine che lo scorso “io ho un piano” di James erano state travolte da un Petardo Esilarante si allontanarono dal posto vicino a loro con aria terrorizzata. «Perché il mio piano vada a buon fine, mi servite voi.» strappò il libro dalle mani di Connor, che sbuffò sonoramente. Un gruppo di Tassorosso di passaggio accelerò.
«Racconta, Jamie. Sono proprio a corto di aneddoti divertenti da raccontare in giro» lo esortò Marceline.
«Marcie…. non dovresti essere al tavolo di Serpeverde, tu?» La ragazza squadrò il compagno con un sopracciglio inarcato e il sorriso che non accennava a scomparire.
«Al tavolo di Serpeverde nessuno sta progettando di… ehm… trafficare o far esplodere o annegare nel Lago Nero nulla. Qui è più divertente.»
Connor mormorò afflitto qualcosa sui loro divertimenti. «La McGrannitt ti sta guardando male. Potrebbe metterti una nota.»
«La McGrannitt non è più in grado di vedere qualcosa da questa distanza da secoli, ormai. E comunque, lo sai che mi adora» gongolò la Serpeverde.
Connor emise un ennesimo sbuffo sconsolato.
James mise un freno alle loro discussioni con un cenno della mano. «Allora, ci state?»
Un sì entusiasta coprì il no sconsolato di Connor. «Ottimo. Cox mi ha messo in punizione, e purtroppo non potrò andare ad Hogsmeade. Però ho fatto una promessa ad un ragazzo biondo - e le promesse fatte ad un ragazzo biondo vanno sempre mantenute! - e a mia cugina. Non posso abbandonarli adesso.»
Connor borbottò fra sé e sé qualcosa sulle promesse fatte ai suoi biondissimi capelli e sulle minacce con cui sua cugina aveva fatto intendere che il suo aiuto non fosse apprezzato, ma nessuno vi badò.
«Dovrete andare voi, al posto mio.»
Marcie annuì. Connor sbuffò. James sorrise. Mezza tavolata Grifondoro uscì in tutta fretta dalla sala, lasciando i piatti non del tutto vuoti.
«Ottimo, allora. Posso raccontarvi il mio piano.»
Dalle tasche dell’ampio mantello vennero tirati fuori ampie manciate di oggetti. Fra chiavi antiche, Galeoni, una vecchia spilla del C.R.E.P.A., un anello di plastica verde lime e un paio di pezzi degli scacchi magici che stavano litigando fra di loro, alcune bottigliette vennero appoggiate sul legno del tavolo, rotolando fra una tortina morsicata e producendo un suono argentino al contatto con il cucchiaino.
Dopo una veloce occhiata al contenuto di quelle bottigliette, Connor era giunto alla conclusione che quelle piccole ampolle colorate sarebbero state la sua rovina.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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