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Autore: Mary P_Stark    03/08/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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XXI. Love/Hate.
 
 
 
 
 
Il sole li raggiunse quando oltrepassarono Sacramento.

I pallidi raggi, schermati da alcune nubi stratiformi, imbiondirono le montagne a cui si stavano avvicinando ad andatura di crociera.

La muscle car, che la CIA aveva messo a disposizione di Dom, poteva contare su un motore di prim'ordine, sistema letivo-magnetico di ultima generazione... ed era zeppa di armi.

Non che prevedessero di usarle.

Finché non fossero scesi al cottage, sarebbero stati irrintracciabili da qualsiasi satellite, ma Eriksson non aveva voluto correre rischi.

Era inconcepibile che due tecnici rischiassero di persona la vita, quando degli agenti scelti avrebbero dovuto essere al loro posto.

Ugualmente, messo alle strette, Eriksson si era visto costretto ad accettare quel compromesso.

Bryce era stato l'unico ad aver ricevuto il consenso per seguirli da vicino, e proprio per non insospettire la loro preda.

Domenic si era detto certo che Nobu avrebbe agito in solitaria, e Yuki era stata d'accordo con lui.

Pur non volendo, Eriksson si era fidato delle loro deduzioni ma, per ogni evenienza, aveva predisposto una squadra di supporto, pronta a intervenire nel giro di cinque minuti.

Sarebbe stato Bryce a decidere se ricorrere a un simile intervento, o meno.

Ora, con il fare del mattino, Domenic si volse per un attimo a scrutare il profilo dormiente di Yuki e pregò di non aver commesso un errore madornale.

Era stato spinto dalla rabbia, lo sapeva, e dal desiderio di tenere al sicuro suo fratello e la sua famiglia.

Ma sapeva anche, e fin troppo bene, che i motivi principali erano due, e non avevano a che fare con Cam, papà o mamma.

Lui voleva vendicarsi, e voleva altresì che Yuki potesse ottenere rivalsa sul fratello.

E la vendetta non era mai il sentimento giusto, per muoversi in azioni spericolate come quelle.

Le palpebre pallide di Yuki si mossero e, quando il sole colpì le superfici argentee dei suoi occhi, lei borbottò: «Oh, dai... non mi hai svegliata! Dovevo darti il cambio!»

Domenic sorrise, scrollò le spalle e replicò: «Dormivi così bene... ed è stato un privilegio poterti lasciare riposare.»

«Cosa devo fare con te, Domenic-chan? Lascerai mai che ti aiuti veramente?» sospirò lei, lanciandogli un sorriso che sapeva di amore ed esasperazione.

«Conto su di te in ogni momento, Yuki-chan e credimi, se non avessi fiducia in te e non volessi il tuo aiuto, non ti avrei mai coinvolta in una missione così pericolosa.»

«Sapevi che entrambi ne avevamo bisogno. Per questo, ti sei spinto a chiedere a Eriksson il permesso per questa follia.»

Lo disse sorridendo, e Dom annuì.

«Siamo gli unici a poter stanare Nobu-san, e il rischio è calcolato. Ho studiato attentamente la sua scheda, i filmati su di lui – non pensavo che Tyler avesse fatto un lavoro così accurato, tra l'altro.»

Il solo dirlo, gli fece rivoltare lo stomaco.

Dovette comunque ammettere che quel traditore aveva svolto bene il suo ruolo e aveva trovato, negli anni, così tante prove a sostegno delle sue tesi, da farlo preoccupare.

Quanti e quali contatti aveva, Nobu? Con chi si era andato a invischiare?

Yuki assentì, dichiarando convinta: «Nobu-san non si è mai fatto aiutare da nessuno, neppure una volta, se non da Byron. E, proprio per onorare la sua morte, non avrà al suo fianco che la sua rabbia e il suo dolore.»

«Due sentimenti pericolosi, che possono far commettere follie a chiunque» asserì Domenic, adombrandosi in viso.

«Conto proprio su questo. Nobu-san non è mai stato emotivo, e questi sentimenti disturbanti potrebbero portarlo a commettere un errore fatale. E io sarò pronta al varco, ben decisa a sfruttarlo.»

Il tono di Yuki fu lapidario, e Domenic non se la sentì di smorzare la sua determinazione. La provava anche lui.

Nobu-san aveva fatto uccidere due suoi amici, perché Sebastian e Leon erano state molto più che due semplici guardie del corpo, per lui e Cam.

Aveva minacciato suo fratello e, nel tentativo di recuperare Asclepio, due agenti che lui conosceva bene erano morti per proteggerli.

No, l'avrebbe pagata cara. A ogni costo.

 
§§§

La brezza portava con sé il profumo dei pini resinosi, dell'umidore del lago montano e dei primi fiori primaverili che, coraggiosi, avevano spezzato la coltre nevosa.

Perduravano, qua e là, macchie biancastre di neve, ma ormai il bosco era verdeggiante e ricco di vita e, quando Domenic sistemò l'auto nel cortile, sorrise.

Non vedeva il cottage sul lago da quasi un anno, e non poté nascondere quanto gli fosse mancato.

Per quanto gli piacesse abitare coi genitori, a Malibù, quel luogo così isolato e tranquillo era più nelle sue corde.

Lì aveva passato tanti splendidi momenti, in compagnia del fratello, di Sophie e di Yuki.

Con un sorriso, accompagnò all'interno dell'abitato a due piani la sua compagna e, non senza una certa soddisfazione, disse: «La nostra oasi di pace.»

Yuki si guardò intorno, ammirando la struttura lignea della costruzione, i colori caldi di arredamento e suppellettili, la bella stufa sospesa nel mezzo del salone e, sospirando, mormorò: «E' bellissimo come sempre. Un luogo pacifico e molto piacevole.»

«Ti accompagno di sopra.»

Sospingendola leggermente verso le scale, Domenic ristette dietro di lei mentre percorrevano la scalinata lignea.

Adorava il modo in cui aveva tinto i suoi capelli.

Il nero della sua chioma, color ala di corvo, si sposava alla perfezione con quella morbida onda purpurea, che ne tingeva le punte diritte.

Nel carezzargliene una ciocca, asserì: «Ti stanno veramente bene, Yuki-chan

«Grazie» sussurrò lei, raggiungendo il ballatoio del piano superiore.

Si volse a mezzo, gli sorrise da sopra una spalla e Domenic, lasciate andare le loro sacche da viaggio, mandò al diavolo tutto e la sospinse contro il muro in legno.

Il bacio con cui la aggredì sorprese anche lui, ma il desiderio di assaporare quelle labbra passò sopra a tutto.

Sopra alle buone maniere, alla pazienza, al pericolo.

C'era solo Yuki, lì con lui. Il resto non contava.

La giovane restituì il bacio con eccitata sorpresa e, afferrato il maglioncino di cotone del ragazzo, lo strattonò per sollevarlo e sfiorare, così, la pelle calda e i muscoli tonici dell'addome.

Domenic ansò al suo semplice tocco, e la ragazza sorrise fiera sulla bocca di lui.

Proseguì perciò nelle carezze, lasciando che lui le divorasse la bocca, il viso, il collo.

Non le importava di attendere i fiori di ciliegio, o l'atmosfera romantica promessa da Domenic.

Lo voleva. Con tutta se stessa, pienamente, e non avrebbe aspettato un attimo di più.

«Yuki-chan... aspetta... aspetta...» ansò a fatica Domenic, restio ad allontanarsi da lei, ma ben deciso a non prenderla nel bel mezzo del corridoio.

Lei mugugnò una protesta e, per diretta conseguenza, il giovane rise.

Per sedarne le smanie, la sollevò a sorpresa tra le braccia e lei, fissandolo malissimo, ringhiò indispettita: «Non puoi raffreddare in questo modo le mie...»

Non terminò mai la frase.

A grandi passi, Domenic aveva raggiunto una porta, che poi aveva aperto con un colpo leggero della spalla.

Dinanzi agli occhi meravigliati di Yuki, si aprì lo scenario da sogno tanto sperato - pur se in segreto - dalla ragazza.

Il pavimento era quello tipico delle case giapponesi del secolo precedente, con passamaneria in seta di un tenue color verde foglia.

Un bel paravento in carta di riso riportava dei magnifici dipinti surimono, raffiguranti bei sakura in fiore su una scogliera a perpendicolo sul mare.

Il letto, basso e ampio, era in legno di ciliegio e, sopra i cuscini, erano stati stesi due rami fioriti e profumati della stessa pianta.

Depostala a terra, Domenic emise un leggero fischio e, un attimo dopo, una debole melodia si diffuse nell'aria, portando con sé il cinguettio degli uccelli di bosco.

Yuki avanzò di un passo, si guardò intorno ammirata, studiando i particolari della stanza con occhi lucidi.

Un paio di candele profumate, pur se spente, diffondevano nell'aria un penetrante profumo di gelsomino.

Sulla testiera del letto, liscia e profonda, erano stati sistemati un paio di maneki neko1 in ceramica colorata, e una singola rosa rossa riposava in un bel vaso di cristallo boemo.

Incredula, Yuki si volse a guardare Domenic che, sorridente, mormorò: «Spero di non aver sbagliato. Sono impazzito, nel fare la lista al mio drone domestico, ma pensavo che avresti...»

La giovane non lo lasciò terminare.

Gli gettò le braccia al collo, e lo ringraziò con un generoso bacio sulla bocca.

Domenic rise della sua reazione, ma la foga con cui Yuki continuò a baciarlo lo fece incespicare, mandandolo lungo riverso sul letto morbido e profumato.

Lei allora rise al suo pari e, nel rimanere sopra di lui, naso contro naso, mormorò: «Non avresti potuto regalarmi momento più bello.»

«So che non è proprio ciò che ti avevo promesso, però...»

La giovane scosse il capo, tornò seria e, nel deporre un bacio leggero sul mento di lui, sussurrò roca: «E' più di quanto speravo.»

Domenic allora si rialzò a sedere, tenendola a cavalcioni su di lui e, lentamente, sfilò la maglia scura che Yuki indossava, lasciandola col solo reggiseno di pizzo.

Sospirò, alla vista di quella pelle di pesca e, deponendo un bacio sull'incavo della gola, disse sommessamente: «Volevo darti un momento di pace, in tutto questo caos.»

«Mi basta starti accanto. Ho sempre e solo voluto questo, fin da quando mi sono unita al tuo gruppo. Desideravo che tu mi vedessi

Lui le sorrise, sfilandosi dalla testa il maglioncino, e replicò: «Ti ho sempre vista, e lo sai. Non mentivo, l'altro giorno, con Ekaterina.»

Yuki rise piano e, con dite leggermente malferme, tolse la camicia a Domenic con gesti attenti, misurati.

Il giovane rimase immobile sotto il suo tocco.

L’unico elemento traditore alla sua ansia fu il respiro affrettato, che Yuki apprezzò.

Ammirava il sangue freddo di Domenic, ma voleva vederlo crollare, con lei.

Lo sospinse delicatamente verso il letto, e lui la lasciò fare.

Allora, Yuki si chinò per baciare la sua pelle calda, soffiò sulla leggera peluria del suo torace – facendolo ridacchiare – e, con tono ricco di promesse, sussurrò: «Non permetterò che tu dimentichi questo momento. Mai.»

«E io lo prometto a te» replicò lui, afferrandola gentilmente alle braccia per avvicinarla a sé.

La baciò, lentamente e con meticolosità, divorandola un pezzo alla volta e Yuki, fremente d'impazienza, scalciò via le scarpe per potersi liberare dei jeans.

Non contenta, mise mano a quelli di Domenic ma lui, con un risolino, capovolse la situazione e la stese sul letto, bellissima e accaldata nel suo completo di pizzo.

«Stupenda.»

Fu un semplice mormorio, ma Yuki tremò tutta, di fronte alla forza insita in quella semplice parola.

I suoi occhi, color dell'oceano più profondo, la stavano divorando e, in quel momento, Yuki seppre che neppure lei avrebbe dimenticato.

Domenic tornò a baciarla e, al tempo stesso, si liberò di scarpe e pantaloni, aiutato dalle mani frenetiche della ragazza.

Si stese su di lei un attimo dopo essersi liberato di tutto quanto e Yuki, con un sospiro tremulo, lo accarezzò con mani e gambe, sentendolo fremere in risposta.

Dom la liberò del reggiseno, carezzandola con mani lievi e bocca rovente, mentre il corpo della ragazza andava in fiamme, divorata da sensazioni mai provate.

Domenic poteva anche essere un ragazzo controllato e apparentemente freddo, all'esterno, ma Yuki scoprì quanto questo fosse solo un mascheramento.

Una mera impressione.

La incendiò, mordendola leggermente sulla pelle calda, scendendo pian piano in lunghe scie di baci dolenti e, nel frattempo, non smise mai di accarezzarla, di parlarle con tono adorante.

Quando infine la penetrò, Yuki piegò all'indietro il capo, affondando nelle coltri al profumo di rosa.

Sussurrò il suo nome come un'invocazione e Domenic approfondì la loro unione, intensificando il contatto.

Lei si ancorò alle sue spalle, graffiandolo, e ansò: «Ti prego...»

Fu allora che Dom si esibì in un mascolino sorriso di esultanza e, con movimenti lenti e morbidi, la accompagnò lentamente verso l'apice, dandole baci sulle guance, tra i capelli, sulla bocca socchiusa.

Il tutto senza mai smettere di guardarla adorante, pieno d'amore per lei.

Perché aveva pensato che lui non l'avesse mai realmente guardata?

Quegli occhi l'avevano sempre sfiorata con reverenza, con affetto incondizionato e meraviglia.

Solo, lei aveva sempre dato per scontato che Domenic avesse sempre guardato tutti a quel modo.

Perché lui era così.

Amava. Incondizionatamente, con forza, e si batteva per coloro che aveva nel cuore.

Solo ora, però, capiva che, per lei, questo amore era stato spinto al limite, oltre un confine che Yuki pensava non potesse esistere.

Raggiunse l'acme urlando il suo nome, sapendo finalmente quanto Domenic l'amasse, quanto l'avesse amata fin da quel lontano giorno di sette anni prima.

Quanto l’avrebbe amata fino alla fine dei suoi giorni.

 
§§§

«Non voglio neppure sapere perché hai spento il cellulare e hai blindato la casa, Dom, ma almeno ricordati che ci sono, nelle vicinanze» brontolò Bryce, sistemato scomodamente nel suo nascondiglio di fortuna. «Vederti gironzolare per casa mezzo nudo, non è uno spettacolo piacevole. Sappilo.»

«E tu non guardare» replicò bonario Domenic, seduto sul divano del salone, lo sguardo puntato verso il bosco, dove sapeva trovarsi Bryce, in tenuta mimetica e armato fino ai denti.

«E' il mio compito guardare, razza di disgraziato. E, anche se mi piacerebbe chiederti come va, capisco dal tuo sorrisone che le cose procedono bene.»

Domenic allargò ancora di più il suo sorriso, salutò con la mano a nessuno in particolare e disse: «Ho tolto la schermatura al cottage tre ore fa. Quando pensi che riceveremo visite?»

«Se è già in California, cosa di cui non dubito più di tanto, visti i contatti che ha, potrebbe essere qui già stanotte, o nella prima mattinata di domani.»

Brontolò un'imprecazione, poi aggiunse: «Mi sta sulle scatole aver dovuto usare la documentazione raccolta da Tyler ma... cavoli! Così, almeno, abbiamo una mezza idea di come potrebbe penetrare illegalmente negli States.»

«Pensi che userà la linea dei trafficanti messicani?»

«Uno dei tunnel della droga che finiscono in Texas? Quasi sicuramente. Da lì alla California, sarà una bazzecola. E, se intercetterà il segnale, potrà anche evitarsi il traffico dell'ora di punta sulla Motorway 1.»

La sua ironia graffiante fece ghignare Domenic, che comprese subito l'ansia dell'amico.

Quella missione era rischiosa sotto molti punti di vista, ma tutti loro si erano trovati d'accordo nell'allontanare Nobu da Los Angeles.

La villa era un bersaglio troppo facile e poco difendibile.

Il cottage, immerso com'era nei boschi, in un luogo isolato e piuttosto lontano dalle vie di comunicazione principali, permetteva un maggiore controllo del perimetro.

Controllando il monitor del suo PC, che si trovava sulle sue cosce, Dom spostò con un dito alcune icone e andò ad aprire quella del comando dei satelliti geostazionari.

Ne scelse uno in particolare e, dopo aver digitato i codici di accesso, mormorò: «Traffico regolare e, stando alla spettrometria digitale, su nessuna auto sono presenti armi o oggetti atti a offendere.»

«Riesci anche a vedere la marca del dentifricio di chi sta guidanto?» ironizzò Bryce.

Domenic storse il naso, fece scomparire la schermata passando una mano davanti allo schermo e, modulando il tono della voce, oscurò i vetri della casa.

«E dai, piantala, Dom! Lo sai che devo controllarti a vista

Il giovane si alzò, sorrise a Yuki – che si trovava sull'ultimo gradino delle scale – e ripeté la parola, togliendo la schermatura.

Avviandosi verso di lei, Domenic disse lapidario: «Guai a te se guardi al primo piano...»

«Vai al diavolo, Domenic!» borbottò Bryce, chiudendo la comunicazione.

Ridendo sommessamente, Dom si infilò il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni che indossava – non aveva rimesso la camicia – e, nel raggiungere Yuki, la baciò sul collo.

«Tutto bene?»

«Voglio una doccia coi soffioni uguale identica a quella che c'è di sopra. Quasi quasi, ci rimanevo dentro» ironizzò lei, sfiorandolo alla nuca con una mano per trattenerlo accanto a sé.

Dom la abbracciò, cullandola contro di sé e baciandole i capelli.

Quello che aveva condiviso con Yuki era stato importante, unico e, per il tempo passato assieme, aveva effettivamente dimenticato ciò che li attendeva al varco.

Ma ora non poteva più permettersi di perdere il controllo su se stesso.

«Sei preoccupato per Bryce?»

Lui rise sommessamente, annuendo contro la sua spalla.

«Non leggermi così bene, ti prego, mi fai quasi paura.»

Yuki allora lo carezzò sui capelli morbidi e leggermente ondulati, trovandoli magnifici.

Ci aveva giocato a lungo, nelle ultime ore, e sapeva che non avrebbe mai smesso di farlo.

Se fossero riusciti a vincere, ovviamente.

Domenic avvertì immediatamente il suo leggero irrigidirsi e, nello scostarsi da lei, le carezzò il viso con il dorso della mano e mormorò: «Mostrami le tue armi, Yuki-chan. Penso sia arrivato il momento di fare sul serio.»

Annuendo, lei lo prese per mano, riconducendolo al piano superiore e, dopo essere entrati nella stanza di Domenic, raccolse la sua sacca da terra e la gettò sul letto.

In silenzio, Dom attese che la ragazza estraesse le sue armi e, una dopo l’altra, queste finirono sul morbido materasso.

Yuki non disse nulla, non sapendo bene come Domenic avrebbe reagito di fronte a quell’arsenale bellicco.

Ma, come sempre, lui seppe stupirla.

Si avvicinò, prese in mano un sai per soppesarlo sulla mano, lucente acciaio su cui era stato inciso il suo nome e, nel rigirarlo con attenzione, le sorrise.

«Carino. Hai dato il mio nome al tuo sai

Lei si limitò a scrollare le spalle.

Dom allora le diede un bacio sul naso, risistemò il sai nella sua custodia di pelle e, afferrata la mano della ragazza, ne baciò con delicatezza il palmo.

«Avrei dovuto essere con te, invece di costringerti a imparare le arti delle ombre.»

«Non era il tempo, Domenic-chan, per nessuno dei due. E non mi spiace aver imparato a difendermi da sola.»

Ugualmente, Yuki apprezzò il suo pensiero.

Lui levò lo sguardo a scrutare i suoi occhi chiari, occhi che riflettevano paure, speranze, sogni e incubi.

La strinse in abbraccio soffocante, quasi volesse fonderla nel proprio corpo, e disse con veemenza: «In un modo o nell’altro, porremo la parola fine sui conti che abbiamo col passato. Tyler, Nobu-san, tutto quanto.»

Annuendo, Yuki affondò il viso nel suo torace, aspirò quel profumo che le era rimasto dentro come un memento dolce e persistente, e dichiarò veemente: «Se vogliamo cominciare qualcosa assieme, dobbiamo cancellare ogni scheletro dall’armadio.»

«E così faremo» le promise lui, scostandosi dalla ragazza per sorriderle.

Lei gli rispose con uno altrettanto caloroso prima di guardare le armi, sfiorare uno dei kunai e domandargli: «Qual è la tua specialità?»

 
§§§

Conosceva a menadito le leggi della fisica riguardanti la dinamica dei corpi, la velocità e l'inerzia.

Ma, un conto era pensare in termini teorici, un altro era l'idea di lanciare un kunai contro una persona con l'intento di ferire. O uccidere.

Perché, a conti fatti, di questo si trattava.

Quando Eriksson aveva accettato la sua idea, aveva anche avallato la possibilità che lui – e, a questo punto, anche Yuki – potesse commettere un omicidio.

In quanto tecnici esterni all'Intelligence, non avrebbero mai potuto avere il bene placido per un'azione del genere, almeno in teoria.

Stanare Nobu, però, sarebbe stato compito loro e trovandosi, almeno all'apparenza, senza difese, avrebbero avuto bisogno di difendersi.

E, eventualmente, uccidere senza rischiare riflessi penali.

Perché, per quanto sia lui che Yuki si fidassero di Bryce, quella missione aveva margini di rischio davvero alti.

Ma Domenic non avrebbe mai più accettato che un pericolo così alto si avvicinasse alla sua famiglia.

Aveva rischiato già una volta di perdere il fratello. Non l'avrebbe accettato una seconda.

Né avrebbe permesso che Yuki vivesse con l’incubo di Nobu per tutta la vita. Le doveva la possibilità di avere la sua vendetta e, per quanto temesse per lei, doveva darle massima fiducia.

 
§§§

Emily Roth, agente CIA armata fino ai denti e con un lieve segno di colluttazione sul viso, riportò Hannah in casa sotto la minaccia di una pistola.

Un tic nervoso le fece vibrare la guancia quando, nell'inserire nuovamente nella fondina la sua pistola taser, ringhiò all'agente Perkins: «Tienila a bada, per l'amor di Dio! Abbiamo dovuto intervenire in tre per placcarla, e non farle male è stato un dramma.»

L'agente anziano guardò colpevole la sua collega, prima di rivolgere uno sguardo di biasimo alla padrona di casa.

Hannah, per tutta risposta, intrecciò le braccia e si accomodò sul divano con fare sfrontato, mentre suo marito entrava in salotto con l'aria confusa.

«Cos'è stato, quel baccano là...» Nickolas si bloccò, scorse gli abiti e i capelli scarmigliati della moglie, la ferita sul viso dell'agente e, aggiunse: «... Hannah? Che hai fatto?»

«Sua moglie ha cercato di uscire di casa senza permesso, Mr Van Berger, e le agenti sono dovute intervenire per bloccarla» gli spiegò succintamente Perkins, torvo in viso. «Hannah, lei mi sta molto simpatica, ma gli ordini sono tassativi. Lei e la sua famiglia dovete rimanere qui!»

Levando stizzita il mento, la donna replicò: «Non potete pretendere che io accetti passivamente di rimanere qui, quando so che uno dei miei figli è in pericolo!»

«Mamma, per favore...» intervenne a quel punto Cameron, facendo la sua comparsa nel salone.

L'aria smunta era ben evidente sul suo volto pallido, così come la sua ansia.

Ugualmente, disse: «L'agente Perkins ha ragione. Se Dom ha voluto così, avrà avuto le sue buone ragioni. Si è fatto in quattro per tirarmi fuori dal Giappone, e non vanificherò i suoi sforzi mettendo a rischio la sua missione. Tu dovresti fare la stessa cosa.»

Nick gli batté una mano sulla spalla, sapendo bene quanto gli costassero quelle parole.

Era sempre stato Cameron l'uomo d'azione, e Domenic quello più calmo e posato.

Veder ribaltarsi le posizioni, aveva reso nervosi tutti e, a distanza di così tante ore dalla sparizione di Yuki e Dom, l'ansia non era scemata neppure un po'.

Era stato scioccante scoprire, al loro risveglio, che sia Yuki che Domenic erano scomparsi dalle rispettive stanze.

Come lo era stato scoprire di non poter mettere piede fuori dalla proprietà, dietro tassativo ordine del supervisore di Domenic, l'agente Eriksson.

Il giorno era passato lento e snervante e, data la totale mancanza di informazioni, il nervosismo di tutti loro era cresciuto di pari passo con il passare delle ore.

Al reclinare del sole all'orizzonte, tutto era peggiorato.

Nell'osservare l'orologio digitale al muro, Nick si chiese dove fossero ora i due giovani. Erano le dieci passate.

Nickolas raggiunse Hannah assieme al figlio e, accomodatosi accanto a lei, che ora tremava per la reazione nervosa, asserì: «Ci siamo fidati fino a ora, honey. Proviamo a farlo ancora per un po'.»

«Ma lui non è un agente! Non è addestrato a fare le cose che... che fanno loro!» sbottò la donna, passandosi le mano tra i capelli in un gesto di esasperazione.

Cameron le afferrò una mano, la tenne stretta nelle sue e, serio in viso, replicò: «Mamma, Dom è perfettamente in grado di gestire lo stress e la situazione in cui si è infilato. Credimi, lassù in Alaska si è comportato alla grande e, quando ci siamo battuti contro il tizio che ci aveva spedito contro Nobu-san, non si è fatto prendere dal panico. Sa il fatto suo.»

«Cam...»

Il giovane la baciò su una guancia, le sorrise e aggiunse: «So cosa può fare, perché si è allenato con me per un sacco di tempo. E so perché ha preferito andarsene. Non lo biasimo per aver pensato a noi, prima che a se stesso. L'avrei fatto anch'io.»

«Avremmo potuto aiutarlo. Siamo la sua famiglia...»

«Sarebbe stato in pensiero per noi per tutto il tempo. Così, ci sa al sicuro e protetti. Inoltre, sa bene che il vero obiettivo di Nobu-san è Yuki-necchan, perciò...»

«Eriksson non avrebbe mai approvato una simile missione, se non avesse avuto la certezza che i suoi uomini possono farcela» si intromise Perkins, sicuro di sé. «E, anche se Domenic è un consulente, sa come difendersi. Niente è stato lasciato al caso, Mrs Van Berger. Niente.»

 
§§§

Di tutto quello che avrebbe potuto succedere, nessuno si sarebbe aspettato una mossa simile.

Concentrato sui movimenti nei pressi – e all'interno – del cottage, Bryce identificò troppo tardi l'ombra che uscì da una villetta in fondo alla via.

Quando il suo visore notturno inquadrò l'immagine dinanzi a lui, a mezzo miglio di distanza, imprecò e disse: «Dom, mi senti?! E' arrivato!»

«Molto bene. E' da solo? Riesci a intercettarlo?»

«C'è un problema, Domenic.»

«Cosa?» chiese subito, ombroso.

«Ha un ostaggio. Ha con sé una bambina» ringhiò furioso Bryce, lasciandosi cadere su un letto di aghi di pino e terra.

Era del tutto impazzito? E la famiglia da cui era stata prelevata? Era viva o...

«Sezione due, emergenza di livello sei. Inviate una squadra di tre uomini a controllare il civico in fondo alla strada. Possibile strage familiare. Il sospetto ha con sé una bambina e, se non vedo male, le ha messo addosso una cintura di esplosivo.»

Bryce imprecò una seconda volta e, la donna che ricevette il messaggio, lo imitò.

«Okay, Kendall, inviamo subito gli uomini che hai chiesto. Hai bisogno di rinforzi, lì?»

«No, aspettate. Non vorrei che, al minimo cenno di pericolo, facesse scattare il detonatore. Non so davvero cosa abbia in mente, a questo punto.»

Passandosi le mani tra i capelli, proseguì dicendo: «Dom, ora sta aprendo il cancelletto d'ingresso. Dieci metri da voi, lato sud.»

Grazie ai sensori presenti all'esterno della casa, Bryce iniziò a percepire nel suo auricolare il piagnucolio agitato della bambina.

Il suo primo desiderio fu di correre là, afferrare la bambina e piantare una pallottola in fronte a Nobu.

Ma sapeva bene che era un rischio che non poteva correre.

Con tutta probabilità, Nobu immaginava che Domenic e Yuki non fossero lì da soli.

La bambina serviva a questo. A tenere buona la cavalleria.

Pur se un tiratore scelto – o lui stesso – avesse centrato Nobu, il rischio che il detonatore venisse azionato era troppo alto.

Nobu non voleva spettatori. Voleva portare a termine la sua vendetta senza intralci di alcun genere, ed era passato alle vie di fatto nel modo più meschino.

La porta del cottage si aprì e Yuki fece la sua comparsa. Aveva le mani aperte e rivolte in avanti, a dimostrazione che era disarmata.

Nobu continuò ad avanzare in silenzio e la sorella, dopo essersi scostata dalla porta, lo fece entrare.

Per un attimo, ella volse lo sguardo verso la foresta, poi entrò a sua volta.

A Bryce non restò altro che stare a guardare.

All'interno, Domenic guardò con gelida cortesia il loro ospite e, nel notare la bambina in lacrime, dichiarò: «Non ti sembra che un'innocente imbottita di esplosivo sia un biglietto da visita troppo esagerato, per presentarti qui?»

Nobu sogghignò, replicando con tono roco: «Per la mia vendetta, tutto è lecito.»

Yuki tornò in fretta al fianco di Domenic e, speranzosa, disse: «Ora sei qui, hai ottenuto quello che volevi. Averci insieme, nello stesso posto. Lascia andare la bambina, fratello.»

Nobu si accigliò e, nervoso, le ringhiò contro tutto il suo disappunto.

«Non chiamarmi fratello con quel tono ampolloso, maledetta! Hai rovinato tutto, tutto! Se non fosse stato per te, Byron non sarebbe morto!»

Le sue mani si mossero nervose e Yuki, temendo potesse far esplodere la carica, esalò: «Nobu-san, ti prego!»

Lui la fissò sadico, sogghignò e infine disse: «Oh, non ti preoccupare. Non morirai. Non subito, per lo meno. Prima, mi guarderai mentre uccido il tuo amante. Occhio per occhio, sorellina. Occhio per occhio

Imperturbabile, Domenic si intromise tra i due.

«Mi sembra del tutto superfluo che loro rimangano, Nobu-san. E' con me che devi avercela, non con Yuki-chan o quella bambina. Sono io che ho ucciso Byron, perciò è con me che hai un conto in sospeso. E, se vogliamo proprio spaccare il capello in quattro, devi avercela con me anche per tutto il resto. Yuki-chan lavora per me da anni, ormai, ed è la CIA la società presso cui entrambi prestiamo servizio.»

Domenic sorrise nonostante lo stupore sul viso di Yuki, e la rabbia su quello di Nobu. «Il localizzatore che hai usato per trovarci, grazie ai buoni uffici dell'agente Tyler – è stato arrestato, tra l'altro – è un gentile dono dell'Intelligence, contro cui tu ti sei messo. Avresti dovuto prestare maggiore attenzione a chi ti forniva le dritte.»

«Yuki-chan... un agente CIA? Chi vuoi prendere in giro?» lo sbeffeggiò Nobu, pur stando sul chi vive.

«Non ho mai detto che è un agente. Lavora come consulente tecnico, tutto qui. E, fra i suoi compiti, c'è sempre stato quello di seguire piste spionistiche. E' così che è arrivata a voi, … solo perché io le ho detto di farlo.»

«Domenic-chan, tu...»

Dom azzittì Yuki con un'occhiata, preferendo proseguire con il suo piano.

Voleva che Nobu se la prendesse con una persona sola, non con tutt'e tre loro.

Yuki e la bambina sarebbero uscite dal cottage sane e salve.

«Non ti credo!» ringhiò allora Nobu, fissando astioso sia il giovane che la sorella.

«Credi a questo. E' stata questa mano a sparare al tuo Byron. Nessun'altra mano se non questa» sottolineò Domenic, levando la mano destra come se, ancora, reggesse la pistola che aveva posto fine alla vita dell'amante di Nobu.

Gli occhi scuri dell'uomo si ridussero a due fessure, fessure che sprizzarono odio e fiamme vendicative.

Yuki, terrorizzata da quello che stava facendo Domenic – far ricadere la colpa solo su di sé – tentò di convincerlo con lo sguardo a cedere, ma il giovane non le badò.

Si mise di proposito dinanzi a Yuki e proseguì dicendo: «Non hai bisogno di loro, ma di me

Ora, gli occhi di Nobu erano solo per lui.

«Yuki-chan, togli la cintura alla bambina e vai fuori di qui. Io e Nobu-san dobbiamo parlare da soli, da uomo a uomo» ordinò a quel punto Dom, gli occhi negli occhi con il suo avversario.

Il giapponese non disse nulla, anzi, sogghignò, e a Yuki non restò che fare come dettole.

Si affrettò a liberare la bambina in lacrime, prendendola poi in braccio prima che Nobu ci ripensasse.

Fatto ciò, lanciò un'occhiata al profilo di Domenic e, pur desiderando rimanere con lui, si avviò verso la porta quasi correndo.

Ne uscì di corsa, saltando i tre gradini per fare prima e, non appena fu all'esterno, toccò il suo auricolare per metterlo in funzione ed esclamò: «Nobu-san è dentro con Domenic-chan. Ha una cintura esplosiva. Presumibilmente, esplosivo al plastico ad alto potenziale! Dovrebbero essere all’incirca tre chili.»

«Ricevuto, Yuki-chan. Allontanati e raggiungi il rendez-vous come stabilito. Troverai l'agente Torrence ad attenderti. Io mi avvicino al cottege» dichiarò Bryce, scostandosi dalla sua postazione di vedetta.

«Kendall, qui è tutto regolare. La famiglia è stata addormentata con del sonnifero. Ci sono residui di gas narcotizzante e una bomboletta aperta, proprio nei pressi di una finestra rotta» intervenne uno degli agenti, avvertendo il gruppo degli sviluppi.

«Ha avuto un minimo di pietà, allora...» sibilò Bryce, scendendo dall'erta il più silenziosamente possibile.

«Stiamo facendo sopraggiungere un'unità medica perché controllino il loro stato di salute. Dobbiamo spostarci lì?»

«Negativo. La situazione potrebbe precipitare da un momento all'altro, e meno gente c'è in giro, meglio è.»

«Restiamo in attesa di ordini» chiuse la comunicazione l'agente.

Bryce continuò la sua discesa, sperando che, all'interno, le cose non degenerassero di colpo.

 
§§§

La cintura esplosiva in grembo e il dito puntato sul detonatore, Nobu fissò Domenic mentre, apparentemente tranquillo, si versava da bere al piano bar.

«Sicuro di non volere nulla, Nobu-san?» gli domandò il giovane, sorseggiando un po' di vermouth con del ghiaccio.

Il giapponese lo fissò con aria derisoria. «Se pensi di spacciarti a grande eroe, non mi inganni. Pensi davvero che io creda a questa pantomima? Che non sappia quanto hai paura di morire?»

«Sarei sciocco a pensare il contrario. So che non sei stupido, Nobu-san. Ma trovo stupido che tu voglia gettare al vento la tua vita. Ai tuoi figli non pensi?» replicò Domenic, appoggiandosi contro una delle colonne che sostenevano il ballatoio del primo piano.

La sua posa, in apparenza, era del tutto rilassata.

«Ci penserà Midori-san, a loro. E' sempre stata una brava madre.»

Lo disse con sincerità, e Dom lo notò senza difficoltà alcuna.

C'era rispetto, nelle sue parole, pur se non l'amore che ci si sarebbe potuti aspettare tra coniugi.

Annuendo, Domenic terminò il suo drink e ammise: «Sì, Midori-san è sempre stata una donna gentile e premurosa.»

Un attimo dopo, si lasciò scivolare a terra, sedendosi sul parquet liscio.

Poggiato il bicchiere a terra, Dom si strinse le ginocchia al petto, con posa apparentemente timorosa e stanca, e aggiunse: «Perché, Nobu-san? Perché si è arrivati a questo?»

«Quando abbiamo scoperto cos'era Asclepio, la risposta è venuta da sé. Sai quanti danni avresti fatto, all'industria farmaceutica? Quanti soldi avremmo perso?»

«Asclepio serviva a far guarire le persone. Ma le medicine per curare queste persone, avreste dovuto comunque farle voi.»

«Non sarebbe stata la stessa cosa. La scomparsa delle malattie croniche avrebbe eliminato una fetta di mercato enorme, con perdite inimmaginabili.»

Domenic sospirò, scosse il capo e mormorò: «E alla vita umana non pensasti mai, quando congegnasti di rapire Cameron e rubargli il programma?»

Nobu non rispose alla sua domanda. Si limitò a dire: «Hai tolto una vita anche tu. E non mi sembri turbato.»

«La sua vita mi peserà sulle spalle per tutta la mia esistenza... ma lui ha cercato di uccidere Yuki-chan, e questo non potevo permetterlo» ammise con sincerità Domenic.

Non c'era stato tempo per metabolizzare ciò che aveva fatto in Alaska, poiché il ritmo degli eventi era stato fin troppo incalzante.

Sapeva benissimo che, se mai fosse sopravvissuto, i ricordi di quei momenti lo avrebbero tormentato per molto tempo a venire.

Ma non poteva pensarci ora.

«Quindi, a quanto pare, avevi ragione, prima. Do ut des. Tu per Byron» sorrise a quel punto Nobu, lasciandosi andare contro lo schienale del divano. «E che Dio assista entrambi, Domenic-chan

Chiuse gli occhi e, un attimo dopo, pigiò il pulsante del detonatore.

Domenic non perse tempo. Nel breve battito di ciglia che impiegò il circuito a connettersi, lui si spostò dietro la colonna e, il più accovacciato possibile, attese l'inevitabile.

La deflagrazione arrivò un decimo di secondo dopo.

L'aria compressa sollevò i mobili, mentre l'esplosivo compiva la sua opera distruttiva.

Ma a Domenic non restò il tempo di comprendere cosa stesse succedendo intorno a lui.

Tutto fu buio in un attimo e, grazie al cielo, lui perse i sensi.







Note: Eccomi di ritorno con il proseguo della storia. La resa dei conti è infine giunta, e Nobu ha giocato una carta che nessuno si aspettava. Questo ha portato alle conseguenze che ormai avete letto, e che lascerà degli strascichi a lungo termine su tutti i protagonisti della storia. Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e, chiedendovi di fidarvi di me ancora una volta, vi saluto! Alla prossima!

  
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