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Autore: CassandraBlackZone    06/08/2015    3 recensioni
AGGIORNAMENTO: 13° capitolo
[Jeff the Killer]
È impossibile. È una sua complice. L’ha tenuta in vita per uccidere più persone: è un’esca umana. Ci farà ammazzare tutti.
No, è inutile. Ogni giorno cerco di farmi coraggio e provare a raccontare la mia versione, così da smentire ogni sorta di voce, ma non ci riesco. Io vorrei davvero… raccontare cosa successe realmente quella notte di un anno fa. La notte in cui i miei genitori vennero uccisi.
Il mio nome è Elizabeth Grell. Sedici anni. E sono sopravissuta al tentato omicidio di Jeff the killer.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeff the Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come ogni omicidio che si rispetti, l’agghiacciante massacro di Jordan avrebbe dovuto essere sulla bocca di tutti attraverso telegiornali e quotidiani, ma l’unica cosa di cui si parlò quella stessa mattina era la sparizioni di bidoni della spazzatura e della staccionata di un vicolo. Nessun corpo brutalmente mutilato venne menzionato.
«Assurdo» disse a denti stretti Ben, «com’è possibile che abbia ripulito ogni cosa?! Dannazione.»
«La vera domanda è… come ha fatto la gente a non vedere il corpo?»
«Per me c’è sotto qualcosa.»
«Diciamo qualcuno. Io credo che ci sia un complice» affermai con una certa sicurezza.
«E chi, scusa?»
Alzai le spalle. «Bella domanda.»
«Allora… stasera andremo al ballo, eh? Che cosa ti metterai, Lizzie?»
«Se Jeff vuole Liu, mi vestirò come tale.»
Ben si girò verso di me con un sopracciglio alzato. «Quindi?»
«Maglietta con una camicia sopra sbottonata, un paio di jeans e scarpe da ginnastica. Oh, da giovane nonna Jo usava degli speciali corpetti per il petto. Potrei usarne uno.»
«Dei… corpetti?»
«Già. A quel tempo preferiva non attirare l’attenzione.»
«Oh, capisco. Sì, buona idea!» disse Ben forzando un sorriso, palesemente deluso. Anche solo guardandolo potei immaginare cosa stesse pensando, ma preferii non inferire, onde evitare che le mie ipotesi potessero poi risultare del tutto infondate, ma purtroppo per lui, quella agognata serata da sogno per qualunque adolescente era destinata a rimanere tale. Questa volta, non potevamo distrarci. Questa volta, dovevamo finirla.
«Ehi, Ben.»
«Sì?»
«Col cavolo che avrei indossato una gonna.»
«Sì, ci avrei giurato. Parlando d’altro. Come la mettiamo con Matt e David?»
«Già fatto» dissi allungando a Ben il mio cellulare «Ho scritto ad entrambi di andare al Chantal’s Vanilla per le nove di sera.»
«Perfetto. Così mentre loro sono lì, noi saremo a scuola, ma… ora mi sfugge qualcosa.»
«Dimmi.»
«Come… avviseremo l’intera scuola?»
Grazie al tempismo di Ben, mi ritrovai nella scomoda posizione di prendere una decisione difficile. Come avremmo potuto avvisare studenti e professori dell’arrivo di Jeff? Bella domanda, senza contare che l’intera scuola mi odiava incondizionatamente. Non ci avrebbero ascoltato.
«Questo… non lo so, ma ci verrà in mente qualcosa, vedrai. L’importante e non scatenare il panico. Avvisarli sì, ma con discrezione.»
«Lizzie» disse Ben mi prendendomi per mano. «Sei… sicura di voler andare fino in fondo?»
«Più che sicura, Ben. Io… sono davvero stanca» ovviamente, mi bastò pensare al ballo per poi iniziare a tremare senza staccarmi dalla mano di Ben. Ormai non potevo più nasconderlo: avevo palesemente paura, non avevo più il tempo di fingermi impavida e spavalda. Come avrei potuto? Mancavano poco più di dodici ore e poi avrei dovuto affrontare nuovamente Jeff the Killer.
«Non sarai da sola, Lizzie»
«Lo so.»
Ben mi accarezzò il palmo della mano intento a tranquillizzarmi, nonostante fosse rigido quanto me. «È il momento di affrontare quel demonio.»
 
Musica a tutta volume. Centinaia di limousine parcheggiate. Luci abbastanza abbaglianti e spettacolari da impedire che qualcuno potesse annoiarsi durante quella serata memorabile. Sì. Memorabile perché da lì a poco la palestra esterna del liceo sarebbe stata teatro di un possibile massacro.
«Ora sono le nove. Matt e David saranno già al bar» dissi dopo aver dato un’occhiata all’orologio.«Accidenti. Anche in un momento come questo riesco a sentirmi in colpa. Ci uccideranno se ci scoprono.»
«Non se qualcun altro ci uccide prima» cercò di essere sarcastico Ben, senza riuscirci, ma in fondo… era una battuta azzeccata e divertente.«Quindi? Che si fa, Lizzie?»
«Una cosa è certa. Dobbiamo per forza entrare e capire dove potrebbe farsi vedere e impedire che uccida.»
«Su questo non avevo dubbi.»
Fatto un bel respiro profondo, corremmo entrambi verso l’ingresso, evitando ogni conoscente di Ben intento a salutarlo. Non appena spalancammo il portone antipanico, al posto dei classici campi da basket e da pallavolo e le tribune, c’erano studenti e insegnati vestiti con abiti sgargianti che ballavano a tempo di musica, palloncini disseminati per il pavimento, striscioni dorati che recitavano Bevimi o Mangiami, tavoli addobbati con tovaglie rosse e bianche, decorate a loro volta con carte da gioco, orologi, teiere, conigli e molti altri elementi che  ci fecero capire subito il tema scelto: Alice nel Paese delle Meraviglie.
«Oh no… ditemi che è uno scherzo…» disse Ben con un certo ribrezzo.
«Oh, guarda. C’è una statua di ghiaccia dello Stregatto. Che la regina del ballo possa pure tagliarmi la testa, ma io me la porto a casa.»
«Per favore, Lizzie. Dobbiamo essere concentrati.»
«Ho voluto sprecare il mio momento di sarcasmo.»
Ovviamente, man mano che avanzavamo la mia presenza attirò non poco l’attenzione. Prima uno, poi due, finché,a reazione a catena, tutti non si voltarono verso di me, lanciandomi degli sguardi truci, ma pur sempre spaventati.
«E ti pareva. Eccoli che ricominciano» disse Ben a denti stretti. «E noi dovremo avvisarli del suo arrivo?»
«Hai già sprecato il tuo momento, Ben. Non è affatto divertente.»
Cercando di ignorare più gente possibile, ci facemmo strada tra la folla fino a raggiungere il tavolo centrale, dov’era esposta la statua di ghiaccio. Da lì, potevamo bene o male vedere l’intera palestra e quindi ipotizzare da dove sarebbe potuto entrare Jeff.
«Escludiamo l’ingresso. Uno che ha pensato di mandarti un messaggio attraverso l’intera città non è così stupido» iniziò Ben.
«No, infatti. Che ne dici dell’ingresso della scuola? Potrebbe benissimo far irruzione cogliendo tutti di sorpresa.»
«Prendimi per idiota, ma credo che sarebbe banale da parte sua.»
«Allarme antincendio?» proposi entusiasta.
«Tutti se ne accorcerebbero e Jeff potrebbe decidere di ucciderli appena usciranno da qui.»
Troppo stupido. Troppo banale. Troppo prevedibile. Più scorrevo gli occhi su quel caos, più il mio cervello non riusciva a pensare.  Travestirsi da studente? Da DJ? No. Non era nello stile di Jeff, ma se le normali entrate non potevano essere delle valide opzioni, l’unica folle soluzione non poteva essere che…
«Il tetto… di vetro» dissi appena alzai lo sguardo.
«Eh? Cosa?» mi chiese Ben intimorito.
Alzai incerta il braccio verso la semicupola di vetro che sormontava l’intera palestra, mentre i miei occhi erano concentrati a fissare la figura lattea a quattro zampe su di essa, che mi fissava bramosa di catturarmi.
«Oh Cristo…» sussurrò impaurito Ben, accortosi della presenza di Jeff. «È... arrivato.»
«C’è… un grosso masso. Vicino a lui» dissi più atterrita che mai.
«Oi. Non avrà intenzione di… » chiese Ben con la voce tremante.
«Temo… di sì.»
Così come mi adocchiò, Jeff sorrise malizioso portandosi sulla testa il masso, pronto a crearsi un varco. Al primo colpo, il vetro non diede segni di cedimento, ma nei successivi cinque, sia io che Ben andammo nel panico, appena vedemmo formarsi delle crepe.
«Ma che cavolo… Dove la trova tutta quella forza?! Dovrebbe essere impossibile!» disse preoccupato Ben.
«Ti stupisci ora delle pessime condizioni di questa scuola? Ma non è il momento! Dobbiamo avvisarli tutti. Ora!»
Senza pensarci due volte, mi decisi a salire sul tavolo del punch e iniziai ad agitare le braccia. «FERMATE LA MUSICA! VI PREGO! DOVETE ASCOLTARMI TUTTI!» ora che volevo essere notata, nessuno sembrò prendermi sul serio e continuò a ballare o semplicemente ad ignorarmi, ma io non demordevo e urlai sempre più forte, a costo di sgolarmi. «VI PREGO! È DAVVERO IMPORTANTE! SIETE TUTTI IN PERICOLO!»
 « Oh per l’amor di… FERMATE QUESTA MALEDETTA MUSICA!» con tutto il fiato che aveva, Ben riuscì finalmente a fermare tutti e a farli girare verso di noi, ammutoliti. «Dovete assolutamente evacuare la palestra! È un’emergenza!»
«E perché dovremmo farlo?» chiese spazientito un ragazzo vicino al tavolo.
«Perché… sarebbe la fine  per tutti noi» disse diretto Ben.
«E chi dice che non stai mentendo? Andiamo, è la serata del ballo!»
«Credi che me ne starei qui se non fossi serio, eh?! VUOI FORSE MORIRE?!» urlò Ben furioso.
Lo scioccante avvertimento, scaturì sgomento tra tutti gli studenti che cominciarono a bisbigliare fra di loro increduli e confusi.
«Sentite… non è il momento di spiegazioni. Per favore, uscite tutti quanti da qu-… »
 Il fastidioso brusio della folla venne spezzato improvvisamente da pesanti colpi provenienti dall’alto, colpi che gradualmente si fecero più veloci e più forti.
«Oddio, quello cos’è?!» urlò una ragazza indicando la fonte.
«Sembra… Jeff. È Jeff the Killer!» la seguì l’amica.
Panico collettivo. Proprio ciò che volevamo evitare. In meno di un secondo, la palestra si riempì di urla assordanti e tutti presero a correre verso l’uscita per salvarsi.
«E pensare che avevo detto con discrezione» ammonii Ben.
«Accontentati. Almeno ora lo sanno.»
«Oddio! Sta per rompere il vetro!» sbraitò impaurito un insegnante.
Ben e io, che eravamo rimasti sul tavolo, alzammo lo sguardo e…
 
Crack…
 
Come in un film a rallentatore, vidi grossi pezzi di vetro cadere in picchiata insieme a Jeff, con la bocca aperta e la lingua a penzoloni, verso di noi. A due metri di distanza, Ben si gettò su di me ed entrambi ci allontanammo dal tavolo. I frammenti, si schiantarono rovinosamente sul pavimento riducendosi in tanti e minuscoli cristalli, meravigliosi a prima vista, ma letali sulla nostra pelle.
«Ben! Stai bene, Ben?!»
«Sì… sto bene… Ahia…» sofferente, Ben si tenne la spalla destra. Entrambi avevamo tagli sul volto e sulle braccia.
«Dannazione! Che diamine ha in mente!»
«AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI!» come se non avesse già causato abbastanza problemi, quello stesso ragazzo che aveva impedito di evacuare al più presto la palestra, era finito nelle grinfie dell’insano assassino dal sorriso scarlatto, impaziente di conficcargli il coltello nella gola come un maiale.
 «FERMO!» urlai d’istinto, dimenticandomi per un attimo con cui avevo a che fare, proprio come il giorno prima.
Inaspettatamente, Jeff lasciò andare il ragazzo, che subito scappò in lacrime e urlando, e subito volse i suoi occhi di ghiaccio verso di me, in cui era inevitabile richiamare l’atrocità di quella notte.
Ci guardammo a lungo. Non so per quanto tempo, ma di una cosa ero certa. Fu come se entrambi stessimo rievocando contemporaneamente il passato, finendo col condividere un unico ricordo: io che sento un rumore provenire dal piano di sotto, mentre lui uccide senza pietà. Io che mi inginocchio davanti ai miei genitori tagliati a pezzi, mentre lui si avvicina a passo felpato. Io che lo guardo rassegnata, mentre lui mi risparmia, piangendo sangue.
Rabbia, tristezza e rimorso si fecero strada nella mia mente ad ogni passo che facevo per raggiungere Jeff,  ma nulla più del sostegno dei miei genitori, di Ben, di Rose e di Jordan sulle mie spalle poteva darmi la forza e il coraggio di poter proseguire.
 
Devi vivere, Lizzie. Vivi per noi.
 
Ed eccoci qua, faccia a faccia, a neanche venti centimetri di distanza non più come assassino e vittima, ma come assassino e sopravvissuta.
Un brivido mi percosse l’intero corpo, appena un abbagliante colpì in pieno volto Jeff, illuminando il suo volto biancastro e il suo raccapricciante sorriso intagliato, che metteva in risalto tutti e trentadue denti gialli e marci. Puzzava tremendamente di morte, di fumo e di alcol, tutto esaltato dalla felpa sporca di sangue e probabilmente di terra e di fango. Rispetto al nostro ultimo incontro ravvicinato, sembrava che il suo respiro fosse peggiorato da come rantolava.
«Sono arrivato» dissi cercando di apparire il più maschile possibile. «È me che cercavi, giusto? Fratello?»
«Li…u» disse Jeff affaticato.
«Sì, sono Liu.»
«LIU!» urlò intento ad afferrarmi, ma senza riuscirci, poiché Ben fece in tempo a tirarmi indietro prendendomi per la camicia.
«Non così in fretta, Jeff the Killer.»
«Ben! Cosa diamine stai facendo?!»
Visibilmente adirato, Jeff iniziò a ringhiare come una bestia feroce e prese al volo il suo fidato coltello, finché non si fermò di colpo, disorientato.
Ben non si fece intimorire e rimase davanti a me, per proteggermi.«Stai dietro di me. Io… non gli permetterò di toccarti.» disse a denti stretti.
«Ben…»
«Do… ttore.»
Sia io che Ben, abbassammo di poco la guardia, riflettendo su ciò che il killer aveva appena detto.
«Dottore? Che cosa intende?» chiesi a Ben confusa.
«Io… non lo so proprio.»
«Dottor… Scott» continuò Jeff, rimettendo nella tasca della felpa la pericolosa lama.
Incredibilmente, pur a distanza di otto anni, il serial killer ricordava il nome del dottore che lo aveva curato, ovvero il padre di Ben.
«Sì, esatto. Io sono il figlio. Sono Ben.»
«Be…n»
«Sì, proprio cos-…» non appena Ben cercò di avvicinarsi, Jeff assestò un pugno sullo stomaco di lui, facendolo svenire.
«No, Ben!»
«Il… dottor Scott… ha bisogno… di dormire» disse Jeff.
«No! Lui non lo devi uccidere non ce n'è bisogno! Prendi solo me!» convinta che mi avrebbe ascoltato, feci lo stesso identico errore di avanzare e venni fermata con un secondo pugno.
 
L’odore inaspettato di cioccolato, mi riportò alla mente quei sabato pomeriggio passati da piccola assieme a nonna Jo, per ammirarla mentre lei preparava le sue deliziose torte. Era bello vedere come ogni utensile da cucina nelle sue mani si trasformasse in una bacchetta magica. L’amore con cui cucinava, brillava ogni volta che un ingrediente veniva toccato da lei. Ai miei occhi, nonna Jo era una vera e propria maga dei dolci.
Ricordare quei bei momenti alleggerì per un po’ la mia mente, ma non appena sentii un dolore lancinante sotto l’addome, fui costretta ad aprire gli occhi e a tornare alla dura e crudele realtà.
«Ma… che cosa… è successo?»
«Ti sei finalmente svegliata» disse Ben sorridendomi e sollevato.
«Ben! Stai bene?!»
«Sì, tranquilla. Tu piuttosto?»
«Sì, tutto bene, ma… queste?» domandai esaminando le manette che legavano il mio polso destro e quello sinistro di Ben. Erano strette e fastidiose per entrambi.
«Non lo so. Quel Jeff è imprevedibile.»
« A proposito, dov’è?»
«Quando mi sono risvegliato lui non c’era più.»
Detto e fatto, dalla porta che collegava alla scuola vi entrò Jeff, con in mano quello che dalla nostra posizione sembrava essere… una torta.
«Parli del diavolo. Che diamine… perché ha una torta in mano?» chiese Ben.
«Ecco… da dove arrivava quell' odore.»
«Che cosa sono quelle? Candele?»
A metà strada, Jeff iniziò a canticchiare la classica canzoncina di Compleanno, rendendo la situazione più inquietante di quanto non lo fosse già.
Torta. Candele. Canzone di Compleanno. Per me e Ben bastò guardarci per capire a cosa stavamo assistendo, ma ricevemmo la conferma di tutto, non appena Jeff posò davanti a me quella splendida torta al cioccolato a tre strati guarnita di tredici candeline.
«Tanti auguri di… buon Compleanno. Liu.»
   
 
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