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Autore: Akilendra    06/08/2015    1 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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21. Colpevole di amare

When you’ve got nothing,
You've got nothing to lose
(Passengers~Holes) 




Lena era andata da Irina e molto probabilmente lei, essendo l'odiosa strega che era, aveva accettato di costruirle quel dannato portale, Ben ne era sicuro. Questo l'aveva portata in Bulgaria ed ora lei era...lei stava...lei...
Dov'era in quel momento? Che stava facendo? Stava davvero cercando Ignis? Aveva trovato qualche indizio che poteva esserle d'aiuto? Aveva trovato qualcuno che potesse esserle d'aiuto? O era sola? Come poteva sconfiggere i suoi demoni da sola? Chissà se stava pensando a lui, chissà se anche lei si stava chiedendo dove fosse e cosa facesse. Ben sperò con tutto il cuore che non ci stesse pensando, perché sapeva per esperienza quant'era doloroso e sperava, contrariamente alla sua natura egoista, di aver smesso una volta per tutte di farla soffrire. Sperava che non stesse pensando a lui, ma lui pensava a lei e aveva intenzione di raggiungerla.
Sì, perché andava benissimo pensare che doveva lasciarla in pace, lei stessa gli aveva chiesto di non farsi più vedere, due volte. Andava benissimo tutto questo, ma rimaneva nella sua testa, rimanevano parole, solo parole. I fatti erano che lei era in Bulgaria, probabilmente sola, a cercare uno dei più pericolosi demoni superiori che per anni aveva perseguitato la sua famiglia e che, guarda un po', sembrava avere una perversa ossessione nei suoi confronti. Perciò no che non l'avrebbe lasciata stare, no che non si sarebbe più fatto vedere. L'avrebbe raggiunta eccome, l'avrebbe dissuasa dalle sue fantasie suicide e l'avrebbe convinta a tornare all'Istituto di San Francisco, la sua città, la sua casa. E se per caso si fosse mostrata, come dire, un po' reticente all'idea di sospendere le sue indagini alla Sherlock Holmes, l'avrebbe presa di prepotenza e costretta a tornare indietro, a costo di caricarsela in spalla e riportarla a piedi a San Francisco.
Ecco, avrebbe fatto proprio così, non le avrebbe dato possibilità di scelta perché non c'era scelta, non l'avrebbe lasciata per le praterie bulgare in cerca di un demone che non aspettava altro che ucciderla. Poi, una volta portata a casa, lontana dal pericolo e quindi al sicuro, si sarebbe fatto da parte, l'avrebbe lasciata libera di mandarlo al diavolo e di dirgli che lo odiava e che non voleva mai più vederlo e...l'avrebbe accettato, sarebbe andato a vivere dall'altra parte dell'emisfero se era questo quello che Lena voleva. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma prima doveva andare in Bulgaria e salvarla da se stessa.
Ecco perché ora era davanti ai gradini dell'Istituto, era tornato a casa per spiegare la questione ai suoi genitori. Sapeva che avrebbero capito, sperava che avrebbero capito, perché, nonostante quello che c'era stato tra lui e Lena gli avesse procurato dispiacere e disagio, nonostante come ogni Nephilim consideravano vergognosa quella vicenda, erano i suoi genitori. Ed anche se nessuno dei due aveva mai avuto un Parabatai e non poteva neanche lontanamente immaginare cosa significava per lui in quel momento saperla in pericolo e così lontana, non potevano capirlo, sperava che almeno potessero capire cosa significava sapere in pericolo e lontana la persona che si amava. E se davvero si amavano e se davvero amavano lui, avrebbero capito, messo da parte l'orgoglio, in secondo piano il buon nome della famiglia e l'avrebbero lasciato andare.

Nicholas era una persona ragionevole, pacata, affrontava la vita con filosofia, amava sua moglie, amava suo figlio. Eleanor era una donna di carattere, decisa, camminava a testa alta e veniva rispettata da tutti, amava suo marito, amava suo figlio. Perciò certo che avrebbero capito. Se solo avessero potuto... Ma non avrebbero potuto. Ben se ne rese conto quando entrò in casa e guardò in faccia i suoi genitori, le espressioni affrante di chi aveva le mani legate.
- Ben! Ben, ti prego, cerca di non fare stupidaggini, dagli ciò che vuole e andrà tutto bene. Andrà tutto bene, tesoro - Sua madre gli sorrideva mentre accarezzava il suo viso e sussurrava parole di cui non riusciva a capire il senso. Delle lacrime erano incastonate agli angoli dei suoi occhi, Ben non ricordava di averla mai vista piangere.
Suo padre si avvicinò a lui e lo cinse in un abbraccio forzato.
- Non abbiamo potuto evitarlo quando si è presentato alla nostra porta. Ma andrà tutto bene, figliolo, non possono farti del male, non glielo lasceremo fare - bisbigliò al suo orecchio. Ben capì di cosa stavano parlando quando, entrato nella sala da pranzo, vide seduto al grande tavolo l'Inquisitore Marknight e comprese anche in quel preciso istante che, nonostante si fossero ostinati a ripeterglielo, nulla sarebbe andato bene.
L'Inquisitore ne stava comodamente seduto a capo tavola, rilassato come fosse a casa sua, era il più strano dei predatori: aspettava che fosse la preda a venire da lui. Quando Ben fece un passo avanti, all'interno della stanza, gli occhi dell'uomo gli si puntarono addosso soddisfatti, come se per tutta la vita non avesse fatto altro che aspettare quel momento.
- Oh, finalmente sei arrivato, caro Benjamin, muoio dalla voglia di fare quattro chiacchiere con te - Peccato che tu sia ancora vivo... - Sono sicuro che non ti dispiacerà venire come me ad Idris. Abbiamo giusto organizzato una riunione straordinaria in tuo onore - L'espressione di Ben si fece tirata, avrebbe tanto voluto stendere con un pugno quel vecchio stronzo e raggiungere Lena in Bulgaria, solo che poi l'avrebbe portato da lei ed era l'ultima cosa che aveva intenzione di fare.
- Suppongo di non potermi rifiutare - Sul viso dell'uomo si disegnò un tetro sorriso.
- Supponi bene, ragazzo -.

Ben non era mai andato ad Idris prima di allora e ne avrebbe volentieri continuato a fare a meno. La sua prima volta in quella terra magica se l'era immaginata leggermente diversa. Tanto per cominciare nella sua immaginazione c'erano sconfinati prati verdi, laghi dall'acqua cristallina sulla cui superficie si poteva guardare il proprio riflesso come attraverso uno specchio, viottoli pittoreschi, torri di adamas, statue che raffiguravano angeli... Di certo la sua vivida fantasia non aveva contemplato che il portale contro il quale l'aveva spinto l'Inquisitore l'avrebbe condotto in quella fortezza di pietra scura dove sembrava che nulla avrebbe potuto raggiungerli, nemmeno la luce del sole; né tantomeno che sarebbe stato chiuso in quella cella dalle pareti ammuffite.
- Allora? Non vuoi proprio dirmi dov'è, eh? - l'Inquisitore Marknight l'aveva lasciato solo per un po', incatenato al muro a fare i conti con se stesso e ad immaginarsi cosa l'avrebbe aspettato. Da quando era tornato aveva fatto un'unica domanda che, anche se ripetuta all'infinito, era rimasta senza risposta. Voleva sapere dov'era Lena. Non se l'accusa per cui era stato trascinato ad Idris fosse fondata, non se veramente tra loro ci fosse stato un rapporto illecito, non se l'amava e lei lo ricambiava, non se avevano sporcato il sacro legame dei parabatai. Voleva solo sapere dov'era Lena.
- Ti ho capito, sai? Stai cercando di proteggerla - Ma che intuizione geniale. Nella penombra della cella Ben non riusciva a vederlo, ma non serviva la vista per percepire il tono disgustato nella sua voce, né per indovinare la smorfia che deturpava il suo viso.
- Ma non servirà a niente. Quando la voce si spargerà per il Mondo Invisibile, e ti assicuro che succederà molto presto, saranno gli altri cacciatori a portarla qui, allora sarà innegabile che si stava nascondendo e chi si nasconde è colpevole a prescindere - Immagini di Lena gli affollarono la mente. Lena che indossava l'uniforme da cacciatrice. Lena che rideva ad una sua battuta. Lena che tracciava rune sul suo braccio. Lena che arrossiva come una bambina. Lena che lasciava che il vento le scompigliasse i capelli... Lena trascinata in una cella buia e incatenata ad una parete.
Se tu mi dicessi dov'è, manderei i miei uomini a prenderla, la porterebbero qui e tutti insieme ci faremmo una bella chiacchierata. Non costringermi ad emettere un mandato di cattura nei suoi confronti e a convocare un processo davanti all'intero Conclave. Sarebbe peggio, molto peggio per voi - Lena che dormiva a bocca aperta. Lena che aveva il mare negli occhi. Lena che lo baciava. Lena che correva sotto la pioggia... Lena processata come una criminale. Lena torturata dai Fratelli Silenti. Lena privata delle sue rune. Lena spogliata del suo cognome. Lena che non era più una cacciatrice.
Lena... che non era più Lena.
L'uomo fece un passo in avanti superando l'ombra di una nicchia che solo un secondo fa lo nascondeva alla vista. Era alto, il fisico sottile e slanciato come un giunco; flessuoso si muoveva senza apparente sforzo nonostante avesse un'età considerevole. Quando puntò quegli occhi scuri nei suoi, Ben ci vide dentro il fuoco. Le pupille sembravano sfrigolare come carboni ardenti pronti ad incenerire qualsiasi cosa guardassero, le iridi brune erano corone di fiamme che si alzavano e si abbassavano come mosse da un vento che in quella cella non tirava; si allungavano a cercare di lambire la pelle del ragazzo per ridurla in cenere.
- Perché non parli? - urlò. La sua faccia ad un centimetro da quella di Ben, il fiato dell'uomo sul suo viso. In un attimo aveva le labbra vicine al suo orecchio, quando parlò la voce era talmente bassa da stridere per il contrasto con l'urlo di un attimo prima.
- Vuoi proteggerla a tutti i costi, eh? Non sei neanche un po' incazzato con lei? Dov'è? Voglio dire, perché non è qui? Scommetto che non ti ha pensato nemmeno una volta mentre scappava via - La sua voce era liquida, metallo liquido che scivolava lungo il collo e gli bruciava la pelle, lambiva le spalle, scendeva ancora più giù verso il petto, arrivava al cuore, bruciava anche quello.
- Perché non è qui? Perché non e qui ad affrontare questo con te? Ti ha lasciato solo, ragazzo. Non le importa niente di te, non le è mai importato - Bruciava, quella voce bruciava e Ben non resisteva più.
Se ti buttano nel fuoco, è più forte di te, ti dimeni, non rimani fermo. 
- E tu che diavolo ne sai, eh? Che ne sai che non le importa niente di me? Cosa vuoi saperne tu o tutti quegli altri che come te? Cosa vuoi saperne di noi? Cosa vuoi saperne dell'amore? - Era scoppiato. Le parole gli uscivano dalla bocca come l'acqua di un fiume in piena che sfugge dal suo letto e distrugge qualsiasi argine provi a fermarla. Le sputava urlando quelle parole che si era tenuto dentro, quelle parole che si era morso la lingua pur di non dire. Ora fluivano sole, senza che potesse controllarle sgorgavano fuori, senza che potesse fermarle rivelavano ciò che, seppure sembrava chiaro dato che era rinchiuso in quella cella, non voleva dire.
L'Inquisitore lo fissava soddisfatto, uno strano barlume, che più che ad una luce somigliava ad un'ombra, gli illuminava gli occhi.
L'aveva buttato nel fuoco e sapeva che non sarebbe rimasta fermo. 

Ma anche se ti dimeni, non riesci a liberarti delle fiamme, anzi, ti sembra quasi di bruciare più lentamente e lo percepisci quel calore straziante che ti divora ogni singolo centimetro di corpo. Lo senti, ma non sai fare altro che dimenarti.

La risata dell'Inquisitore riempì tutta la cella. Era un suono gracchiante ed opprimente, il suono della brace che sfrigola prima di bruciare tutto ciò che trova sul suo cammino.
- Allora è vero - E sembrava che sul suo viso fosse stato aperto uno squarcio con un coltello. Quello era il suo sorriso, senza gioia né divertimento, il sorriso di un morto o di un assassino.
- È vero - ripeté in un sussurro e si allontanò lentamente da Ben come a voler osservare qualcosa che da vicino non sarebbe riuscito a scorgere.
- Voi due...- un bisbiglio. In un attimo l'uomo coprì la distanza che li divideva e si avventò di nuovo su Ben. La sua mano scattò subito verso di lui e si serrò sul suo viso in una morsa di ferro.
- E dimmi, com'è? Com'è scoparsi la propria parabatai? Eccitante, eh? È bella la tua Lena, con quegli occhi blu... - Avrebbe voluto spaccare tutto, mettergli le mani addosso, strappargli la pelle a suon di pugni, un colpo per ogni parola che aveva detto su di lei. Ma non poteva, il nodo che teneva le mani legate dietro la schiena era stretto come una morsa e sicuramente protetto da qualche incantesimo perché più si dimenava più quello si stringeva. Ma i denti non si potevano legare e, dato che gli rimanevano solo quelli, li affondò nella mano con cui l'Inquisitore gli teneva fermo il viso. L'uomo urlò per il dolore del morso e per la sorpresa, si divincolò dalla presa dei suoi denti e si allontanò istintivamente di qualche passo. Quando fu a distanza di sicurezza si ispezionò un attimo la mano, poi sollevò lo sguardo, lo puntò in quello di Ben e gli sorrise con quel suo sorriso che ti faceva accapponare la pelle. Gli si avvicinò di nuovo e ricominciò a parlare come se nulla fosse successo ed anche se non lo toccava più con le mani, ci pensavano le sue parole a stringerglisi attorno come le spire di un serpente a cui non serviva il veleno per avvelenare.
- Ma non è solo per quello, vero? È il sapore del proibito, no? Non dirmi che non ti piaceva sapere che non si poteva, che non potevi guardarla, non potevi toccarla, non potevi pensare a lei in quel modo. Non dirmi che non te l'ha fatta volere ancora di più - Non voleva ascoltarlo, non voleva sentire un'altra parola, ma era legato, rinchiuso in una cella della Guardia ad Idris e non c'era niente che potesse fare, assolutamente niente. In quel momento, forse per la prima volta, si rese davvero conto di quanto fosse in trappola e si sentì impotente, si sentì inutile, privato della libertà di respirare. Schiacciato da questa consapevolezza si sentiva soffocare.
- È il peccato. Perché sei un cacciatore, sei metà angelo, ma sei anche metà umano e gli umani peccano, gli umani amano il peccato. Non è così, Benjamin? Sei più umano di quanto pensi, un mondano, sei debole, ragazzo, cedi al peccato come hai ceduto a lei. Ma cosa se ne fa il Conclave di un cacciatore mondano? Come puoi resistere ai demoni se non sai nemmeno resistere alla tentazione, se cedi al peccato? - Parole viscide come melma, gli si strusciavano addosso cercando di insinuarsi fra le crepe delle sue convinzioni.
- È lei il tuo peccato, liberatene! Liberati del tuo peccato e tornerai ad essere un buon cacciatore. Liberati di lei e sarai di nuovo te stesso - È lei il tuo peccato. Il tuo peccato. È lei. Lei. Lei. Lei.
- Liberatene, Benjamin! Dimmi dov'è, liberatene! - É lei. È Lena.
Lena.
- Il mio unico peccato è non averla amata prima - L'uomo gli si allontanò di scatto, lui che sembrava fuoco ora pareva essersi appena bruciato.
- Bene. Hai fatto la tua scelta, peccato che non sia quella giusta, non per te, almeno. Che questi giorni ti servano per meditare su quanto hai fatto - Ritornò ancora una volta sui suoi passi e chinandosi su Ben pronunciò parole che sembravano una maledizione.
- Spero che tu pensa a lei sempre. Ogni ora, ogni minuto, ogni istante spero che tu ti ricorda perché sei qui e perché sei solo qui -.

E Ben ci pensò, ci pensò davvero. Ogni secondo, ogni colpo, ogni frustata che squarciava la pelle, ogni pugno che ammaccava il viso, ogni livido ed ogni calcio nello stomaco, ogni goccia di sangue, ogni ferita del corpo, ogni ferita del cuore.
Ci pensava mentre lo riempivano di botte, mentre lanciavano su di lui incantesimi di tortura, mentre gli rivolgevano sempre quella stessa maledetta domanda a cui non rispondeva mai.
Dov'è'? Silenzio. Un colpo. Poi un altro, un altro e un altro ancora. Tanti colpi finché, pensando di averlo convinto a parlare, riproponevano la solita domanda e, quando il solito silenzio era l'unica risposta che ricevevano, cominciavano di nuovo. Lo picchiavano aspettando il momento che avrebbe ceduto. Lo picchiavano e non sapevano che quel momento che aspettavano non sarebbe arrivato mai.

Ed il tempo in quella cella era sabbia su una spiaggia troppo grande. Ben cercava di afferrarlo e quello gli scivolava fra le dita, tornava a terra, sabbia su sabbia, e non riusciva più a distinguerlo. 
Non c'era giorno e non c'era notte, non c'era ora e non c'era dopo, non c'era un prima, non c'erano i giorni e non c'era neanche lui. Era lontano, galoppava all'indietro tra gli scorci di una vita che non voleva abbandonare. Nuotava tra i ricordi e prima di annegare, nella consapevolezza che non sarebbero mai tornati, si lasciava trasportare da loro nella speranza. Sperava che gli spuntassero un paio d'ali, allora avrebbe potuto spiccare il volo e raggiungerli, volare via da quella cella e rincorrerli, levargli il nome di passato e pregarli di tornare presente, di essere per sempre futuro, statici in una dimensione lontana in cui non c'era prigionia e non c'era dolore.
Ma mentre la mente era in cielo ed imparava a volare, il corpo era sottoterra, rinchiuso fra sbarre e muri che non lasciavano entrare la luce del sole, sotterrato in una prigione da cui non si poteva scappare, da cui non voleva scappare. Perché finché erano tutti lì, indaffarati a torturarlo e ad estorcergli informazioni che non avrebbe dato, non potevano cercare Lena. Ogni secondo lì dentro era un secondo regalato a lei, ogni pugno, ogni frustata, ogni calcio ed ogni insulto erano dolore che le risparmiava.
Ed il suo viso talvolta veniva a consolarlo da qualche colpo più duro degli altri, l'acqua in quel secchio in cui gli tuffavano a forza la testa gli ricordava quel mare che una volta avevano visto nella sua stanza ed i suoi occhi, blu come nient'altro, rischiaravano il buio fatto d'incoscienza dove sprofondava quando il suo corpo spossato cedeva.
Lena era ovunque, Lena era ogni cosa.
Era ogni uomo che usciva dall'ombra per torturarlo. Era il pugno che affondava nella carne. Era la frusta sospesa in aria pronta a calare. Era il suo sangue che imbrattava le pareti. Era le catene che lo costringevano a rimanere immobile, che segavano la pelle. Era lo svenimento che veniva a sottrarlo dal dolore. Era le lacrime che gli uscivano da sole dagli occhi. Era i suoi denti stretti per non gridare, stretti a mordere le labbra fino a farle sanguinare. Era il dolore. Ed era il tempo che sembrava non passare mai. Lena era lui e lui era Lena. E più la sentiva, più l'allontanava perché non potesse a sua volta sentirlo, perché fosse al sicuro, lontana corpo e mente ed ignara di ciò che gli stava accadendo.

Passi trascinati sul pavimento di pietra, uno schiocco metallico, rumore di ferro che stride su ferro. La porta della cella si aprì cigolando, Ben non aveva la forza di alzare le palpebre per vedere chi fosse appena entrato. All'Inquisitore Marknight però non interessava che non ne avesse la forza. Lo tirò su dal pavimento gelato come fosse una piuma, gli anelli delle catene tintinnarono quando lo sbattè contro il muro di pietra della cella.
- Allora? Hai meditato in questi giorni? Hai pensato a ciò che ti ho detto? - ringhiò strattonando i brandelli sudici di camicia che erano rimasti addosso al ragazzo.
- Hai pensato a lei? A perché non è qui? - Silenzio.
- Dov'è lei ora? - La mano dell'uomo si scontrò col suo viso: un pugno che gli tolse il respiro e che gli fece spalancare gli occhi.
- L'ha sentito questo? Eh? Lei l'ha sentito? - Lena.
- Il tuo dolore è solo tuo, Benjamin - Lena.
Lena. Lena dove sei? Ho così bisogno di te. Dove sei, Lena?
- Se n'è andata. Lei non è qui, ragazzo -.

Basta. Non ce la faccio più. Basta. Uccidetemi. Basta.
Forse lo urlava, forse implorava la morte già da tempo, non se lo ricordava. Sapeva solo che ogni attimo il dolore presente sembrava infinitamente di più di quello passato, ogni attimo desiderava un colpo finale che mettesse fine a tutto, ogni attimo non arrivava.
Dove sei, Lena?
Quando aveva riaperto gli occhi? Quando li aveva chiusi? Quando tempo aveva passato lì dentro? Ore? Minuti? Giorni? Anni? Non lo sapeva. Non lo sapeva. Non lo sapeva. Sembravano secoli.
- Alzati - Che richiesta assurda. Non sentiva più il corpo, oppure forse lo sentiva troppo per poterlo muovere.
- Alzati, ho detto! - urlò e mille aghi arroventati si conficcarono nella testa di Ben. Solo a pensare di alzare un piede sentiva salire al nausea.
- Alzati! - Fare forza sulle gambe significava prenderle a bastonate, le ossa scricchiolavano, sembravano rompersi ad ogni centimetro di corpo che tirava su. Forse erano già tutte rotte. Si sentiva come se lo fossero: un burattino a cui hanno tagliato i fili, un palloncino che non ha aria per riempirsi.
- Sei pronto per il processo? - Processo? Quello che aveva passato in quella cella non era forse già la sua condanna?
- Suvvia, cos'è quella faccia lunga? Si è riunito tutto il Conclave per te, dovresti esserne onorato, Benjamin - Onorato? Sputò per terra, ecco quant'era onorato. L'Inquisitore afferrò il suo viso in una mano, lo forzò ad alzarsi per guardarlo negli occhi, sulle labbra un sorriso macabro. Avvicinò la sua bocca all'orecchio del ragazzo.
- Sai che ti dico? Scommetto che in questo momento, mentre tu sei rinchiuso in questa cella, lei non ti sta pensando affatto. Scommetto che il principe Blackshade la sta tenendo piuttosto occupata - La sua risata amara gli esplose nelle orecchie.
- Sì, perché la verità è che ho sempre saputo che Alena si trovava in Bulgaria. Quando sono venuto a prenderti all'Istituto lo sapevo già, quando te l'ho chiesto in questa cella ancora ed ancora lo sapevo già, mentre i miei uomini ti torturavano cercando di strapparti anche solo una parola, lo sapevo già. Lo sapevo, Benjamin, l'ho sempre saputo. Con quale ammirevole devozione hai cercato di proteggerla, impressionante, sul serio... Bene, io ti dico che è stato tutto completamente inutile. Tutto. Tutto quello che hai passato... Inutile! - Forse stava piangendo, o implorando ad occhi chiusi che non fosse vero, poco importava.
Tutto inutile.
- Se solo mi avessi detto dov'era, se solo l'avessi tradita, mi sarei convinto che il tuo era solo un amore carnale. Ma tu non solo non hai detto una parola, eri pronto a morire per lei, sei pronto a morire per lei - C'era disgusto sul suo volto e avrebbe potuto coglierlo anche Ben se solo non fosse stato impegnato ad assistere alla demolizione di se stesso.
- La tua parte mondana la ama come farebbe un umano, la tua parte angelica la ama come farebbe un angelo. Persino il sangue di Raziel che ti scorre nelle vene la ama e questo è imperdonabile. Più che imperdonabile, è inconcepibile, disgustoso, vergognoso, perverso e sbagliato. Terribilmente sbagliato. Ora non ti resta che accettarlo, accettare che in te ci sia qualcosa di profondamente sbagliato. Ammettilo e forse potremo evitare il peggio - Ammetterlo è il peggio.
L'uomo lo prese per i capelli e lo lanciò a terra come si fa con uno straccio.
- Tra poco arriveranno i miei uomini a prenderti. Se ti resta ancora un po' di dignità, fatti trovare in piedi -.


Dopo la faccenda della cenere, Lena era diventata introvabile, aveva costruito un'imponente palizzata di risentimento dietro la quale giocava a nascondersi. E così, da qualche parte dentro di sé, aveva trovato la forza necessaria per ritirare fuori Alena, la sua palizzata personale, il caleidoscopio attraverso il quale amava guardare il mondo per sentirsi un po' meno persa. Perché Alena non si perdeva mai, aveva una bussola al posto del cuore il cui ago indicava sempre la direzione giusta da prendere, la decisione giusta da prendere. Alena per esempio non si era lasciata scoraggiare dal fatto che non avessero ancora portato luce sulla questione di Ignis e sul suo nascondiglio, non era intimorita per non aver trovato uno straccio di indizio, non l'aveva disorientata non avere neanche la più pidocchiosa delle pista da seguire. Si era rimboccata le maniche e aveva cercato un altro punto da cui partire, perché semplicemente era fatta così. Non contemplava la sconfitta, non contemplava l'arrendersi.

Libera di girovagare a suo piacimento per la residenza dei Blackshade, ficcava il naso ogni giorno in un posto diverso senza mai essere soddisfatta. Cercava una stanza in particolare, credeva che le ricerche non potessero dirsi ancora finite e dato che Lena sembrava essere sprofondata in una specie di letargo non aveva neanche quella parte di se stessa ad intralciarla. Fortunatamente le stanze in quel castello non erano infinite, come aveva temuto all'inizio, e dopo vari giorni finalmente la trovò.
Per un istante quel cuore-bussola che aveva nel petto si fermò e fu come tuffarsi nel mare dei ricordi. Era rimasta incantata dalla stanza piena di libri all'Istituto di San Francisco, in realtà non lei, Lena, ma faceva lo stesso...ma questo perché non aveva ancora visto la biblioteca dei Blackshade. Frugò nei ricordi di infanzia per cercare di capire se c'era stata almeno una volta quando giocava con Dimitry in quella casa, ma il padre del ragazzo aveva proibito al figlio di entrarci e Dimitry non era Alena: ubbidiva sempre al padre. Perciò no, era la prima volta che la vedeva.
La investì un'eccitante sensazione di proibito, il pericolo di essere scoperta la faceva vibrare e l'accendeva. Mentre una parte di lei non avrebbe mai pensato che qualcosa di proibito potesse farla sentire in quel modo, una parte che aveva un nome che iniziava con L e finiva con ena, Alena in quella sensazione ci sguazzava dentro e, nonostante quella specie di sciopero che aveva intrapreso l'altra parte di sé, la voglia di stuzzicarla era troppa.
Ma come? E Ben? Non era forse qualcosa di proibito? Vuoi dirmi che non ti eccitava? Non te lo faceva desiderare ancora di più? Questa sensazione, non far finta di esserle indifferente. Ti piace, come piace a me. Siamo la stessa persona. Due facce opposte della stessa medaglia.
Si avvicinò agli scaffali, sfiorò con la punta delle dita le copertine perfettamente lucidate, indugiò a lungo con i polpastrelli sul dorso di un libro che era certa fosse il genere di Lena, così, per farle un dispetto.
Avanti, vieni fuori, lo so che muori dalla voglia di sfogliarlo.
Niente. Si mese l'anima in pace dicendosi che infondo meno Lena si faceva vedere, più c'era spazio per lei e cominciò la seconda ricerca della giornata. Era conscia del fatto che appariva un po' ambizioso cercare una pagina in mezzo ad una stanza piena di libri, ma doveva trovarla. Quella pagina strappata era diventata un'altra delle innumerevoli fissazioni che aveva acquisito ultimamente. Ma erano le sue fissazioni? Non lo sapeva. Il confine era costantemente sfumato e sempre più sottile.
È solo una pagina, protestava, nonostante si stesse sforzando di trovarla, solo per indispettire Lena ed anche se si rifiutava di venir fuori, poiché erano due parti di un'unica persona, riusciva ad immaginare chiara e nitida la sua voce nella testa. È molto di più invece, avrebbe detto, è il ponte che permetterà al presente di collegarsi al passato e di pensare al futuro.
Le sembrò di rivedere suo padre. Il fumo lo circonda e le fiamme minacciano di inghiottirlo, le grida di scappare, la spinge verso il portale. Con un braccio stringe a sé la moglie e con l'altro tiene stretto un libro. Quel libro.
Avrebbe dovuto sentirli, quei passi rumorosi di chi non ha mai avuto la necessità di nascondersi. Lena li avrebbe sentiti e li avrebbe riconosciuti.
Quando la porta della biblioteca che aveva accostato cigolò, era troppo tardi per nascondersi. Dimitry si infilò nella fessura tra i due battenti ed entrò nella stanza. I suoi occhi si poggiarono prima su di lei, come facevano ogni volta che era presente e solo dopo sulla baraonda di libri sparpagliati ovunque.
La invase un piccolo, ma devastante, moto di panico.
Beccata.


Il Conclave riunito era uno spettacolo maestoso che intimoriva e ti faceva sentire, chiunque fossi, nient'altro che un minuscolo moscerino in balia del vento. Quando gli tolsero la benda dagli occhi Ben vide le balconate, ogni posto riempito da un membro; al centro, come la scena di un palcoscenico, c'era una zona circolare libera che non aspettava nient'altro che essere riempita da lui: unico attore costretto a recitare in uno spettacolo il cui finale era fin troppo scontato.
Si ritrovò inginocchiato in quello spazio circolare con gli occhi di tutti puntati addosso senza sapere se lo avessero costretto o se fosse crollato a terra da solo. Non era importante: il risultato non cambiava.
L'Inquisitore Marknight si avvicinò con passi lenti e gli porse dalla parte dell'elsa la Spada che gli avrebbe impedito di mentire. Ben l'afferrò con un po' di fatica, aveva i polsi legati tra loro come se avesse potuto alzarsi da un momento all'altro, brandire quell'arma contro di loro e sconfiggere con pochi colpi tutte le persone in sala. Come se ne avesse avuto la forza. Come se non l'avessero torturato per giorni e giorni.
- Benjamin Fairway, il Conclave ti sottopone alla prova della Spada affinché nient'altro che la verità venga da te pronunciata. A nome di tutto il Conclave qui riunito, dichiaro iniziato il processo -.


- Cosa stavi cercando? - chiese Dimitry scrutandola in volto. Avrebbe voluto dirglielo, ma qualcosa dentro di sé la dissuase velocemente e le suggerì che, anche se non poteva nascondere che stava cercando qualcosa, poteva nascondere cosa stava cercando.
Pensa, Alena. Cosa stavi cercando? Inventati qualcosa, cosa si può cercare in una biblioteca? 
- Un libro - Ma che originalità.
Quale libro? - fece un passo avanti, la cacciatrice represse l'istinto che le nasceva dentro di farne uno indietro - Potrei aiutarti - Quale libro? Quale libro? Quale libro? Pensa, Alena, pensa! 
- Il libro delle fiabe che ci leggeva sempre tua madre quando eravamo piccoli - Le vennero in aiuto tutti i pomeriggi passati ad ascoltare la voce di Dara. Erano passati molti anni, eppure li sentiva tremendamente vicini.
- Quella in cui c'era la storia della principessa Macienka. Era la mia preferita - Com'era prevedibile, Dimitry sorrise a quei ricordi. I suoi piedi si mossero da soli, la sorpassarono, si fermarono davanti ad uno scaffale e ne estrassero un libricino dalla copertina blu e dal titolo sbiadito. Con una naturalezza che la ragazza non ricordava gli appartenesse si sedette sul parquet, batté il palmo sul legno lucido e, quando Alena lo raggiunse e gli si mise vicino, aprì il libro e cominciò a sfogliarlo accarezzandone le pagine.
Rilessero insieme molte di quelle storie che avevano sentito e risentito fino allo stremo da bambini. Ad Alena sembrava non fosse cambiato niente.
- Vedi, la principessa non voleva sposarsi, perché lei...lei era... - Dimitry si bloccò cercando la parola giusta, aprì e chiuse il palmo della mano come a volerla afferrare, ma gli sfuggiva. Era la prima volta che Alena lo vedeva in difficoltà nell'esprimersi
- говори вашия език - Parla la tua lingua, lo invitò in bulgaro. Lui la guardò.
- и вашият, Алена - E la tua, Alena, aggiunse Dimitry. Era chiarissimo il messaggio celato in quello sguardo ed in quelle parole.
La tua lingua. La tua terra. La tua casa. La tua infanzia. La tua favola preferita. Il tuo migliore amico.
и моят - E la mia.

Forse fu quella strana aria che aleggiava fra loro, o forse fu l'aver rivangato quel passato che per Alena era presente. Forse fu lei, che non solo accettò quello sguardo, ma lo ricambiò. Forse fu tutto insieme. Qualunque cosa fosse la fece sentire bene, come se il suo posto nel mondo fosse sempre stato là, non incastrata tra il suo corpo ed un'altra parte della sua personalità con cui doveva dividerlo, non relegata in un angoletto del subconscio pronta per essere interpellata. Semplicemente là, in quella libreria, seduta a terra a gambe incrociate a leggere favole, insieme a Dimitry. Ed era lei. Solo lei. Era Alena.
La tua vita, Alena. E la mia.
Ecco perché, quando le dita di Dimitry si avvicinarono sfiorando il libro aperto davanti a loro, lei non si scostò, ma lasciò che si intrecciassero alle sue.


- Ti dichiari dunque colpevole? - Il sangue gli ribolliva nelle vene implorando il corpo di resistere, la bocca di parlare e le parole di uscire decise.
- Colpevole di amare? - Voci soffuse si diffusero nella sala, parole d'incredulità serpeggiavano fra i presenti alla reazione sfrontata di quel giovane cacciatore incosciente.
- Rispondi! - tuonò l'Inquisitore sovrastando ogni altro suono e riportando l'ordine. I muri sembrarono vibrare per la sua voce infuocata d'ira, ma quel calore bruciante non toccò minimamente Ben che richiamò in appello quel poco di forza che gli rimaneva, alzò la testa verso l'uomo, strinse i palmi intorno all'elsa della spada, come a rimarcare che ciò che stava per dire era la pura e semplice verità, e parlò. Senza paura, consapevole che forse era la sua ultima occasione, forse non avrebbe mai più rivisto i suoi occhi blu o baciato le sue labbra screpolate, non avrebbe più accarezzato la sua pelle pulita con la paura di sporcarla, non avrebbe più respirato il suo profumo di lavanda e farina. Immaginò un futuro non molto distante in cui avrebbe chiuso gli occhi e non l'avrebbe sentita, scavando in fondo a se stesso non l'avrebbe trovata lì sepolta nel profondo. Parlò.
Perché quando non hai niente, non hai niente da perdere.
- Sono colpevole di aver amato oltre ogni misura, terrena e celeste. Sono colpevole di aver ignorato la ragione e di aver seguito il cuore, di aver infranto ridicole leggi imposte da chi l'amore non sapeva nemmeno cosa fosse. Sono colpevole di essere me stesso e di non vergognarmene, di essere pronto a morire per difendere la mia parabatai. Sì, sono colpevole, signori. Se reputate che tutto questo sia sbagliato e degno di essere punito, condannatemi. Uccidetemi pure se lo ritenete necessario, ma lasciatemi dirvi che sarà inutile. Mi avete tenuto prigioniero per un tempo che mi è sembrato infinito, mi avete torturato senza pietà, avete sfiancato il mio corpo, avete demolito il mio spirito, ma... non è servito a nulla. Strappatemi il cuore dal petto e continuerà a battere per e con Alena Silverkey. Seppellitemi nelle profondità della terra, bruciate la mia carne. Il mio corpo può morire, la mia anima no e non si pentirà mai di ciò che è stato. - Mi dica Inquisitore, come ci si sente a sapere che è stato tutto inutile?
Sull'assemblea si stese un silenzio irreale e le parole di Ben rimbalzarono addosso a tutti i presenti, risuonarono contro le pareti, riempirono gli spazi tra un corpo e l'altro. Ferme, sicure, sfrontate: non c'era più alcun timore, né alcun freno, non c'era più niente.
Tutto inutile, era stato tutto inutile. Lena. Tutto inutile.
- Bene - Il tono crudo dell'uomo contrastava con ciò che aveva appena detto e faceva presagire a Ben che nulla sarebbe andato bene.
- Benjamin Fairway, poiché tu stesso hai confessato le tue colpe, il Conclave qui riunito ti condanna. Penso che d'ora in poi non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore - E tutto si fece soffuso, attutito e ovattato come in un sogno. Confessato. Colpe. Condanna. Non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore. Un incubo.

L'ultimo ricordo furono le mani dell'Inquisitore che gli premevano il ferro arroventato contro, la pelle bruciata del petto che urlava di dolore, la runa che prima pulsava convulsamente e poi ad un tratto smetteva di farlo, il cuore sotto di essa che faceva lo stesso. Poi più niente. Solo un rumore nella sua testa che, pur essendo lieve, riecheggiò impazzito dentro Ben. Un suono sottile, ma tremendo: come di un filo che veniva tagliato.


Dove sei, Lena?




Dimitry fissò prima le loro dita intrecciate, poi i suoi occhi blu e pensò che stavolta la sua Alena non sarebbe scivolata via, stavolta era tornata a casa, da lui, per restare. Non poteva immaginare che da lì a pochi attimi la sua mano, che stringeva quella calda e sottile di lei, avrebbe stretto nient'altro che l'aria.
Successe all'improvviso. Guardò le loro dita intrecciate e di colpo le parve la cosa più sbagliata del mondo, qualcosa che Lena non avrebbe mai fatto. Un'ombra arrivò repentina e spazzò via l'espressione da bambina che solo pochi istanti prima aveva dipinta sul viso. La sostituì con una più adulta, quasi rovinata dal tempo. L'espressione di chi è davanti ad un burrone e si sta per lanciare nel vuoto, di chi sa che quello potrebbe essere l'ultimo istante della sua vita: l'espressione di chi si sta per spezzare.
Quando Dimitry la guardò di nuovo negli occhi quasi non la riconobbe.
- Alena... - Alena non rispose. Alena non c'era più. 
La mano sfuggì dalla stretta del ragazzo, così come la sua mente sfuggì alle azioni del corpo. Lena si alzò di scatto, le gambe che potevano essere in procinto di rompersi o di sollevarsi da terra. Corse per la stanza come un topo corre in una gabbia, si schiacciò ansimando senza fiato contro una parete di libri, si aggrappò ad alcuni volumi, ne face cadere altri, le braccia mulinavano nell'aria tracciando percorsi senza senso. Quale senso? Niente sembrava avere più senso.
Aveva pensieri stampati addosso ed il panico negli occhi.
Crollò a terra di botto, come se qualcuno avesse staccato la spina che la teneva animata, le mani artigliarono i vestiti come se volessero strapparseli di dosso. Si fermarono sul petto, all'altezza del cuore, dove strinsero la pelle dell'uniforme convulsamente, gli occhi strizzati come a cercare di arginare un dolore troppo grande. Le urla che scivolavano fuori dalla sua bocca non erano abbastanza per coprire quelle che sentiva nella testa.
Una voce spiccava tra le altre mille, sovrastava le urla senza sforzo, veniva da dentro.
Non era la sua, eppure era la sua.

Dove sei, Lena? 
  
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