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Autore: Petricor75    06/08/2015    1 recensioni
La mia cella era larga circa un metro e venti centimetri e profonda più o meno tre, il letto era un blocco di acciaio che sporgeva dal muro di ottanta centimetri, a occhio, con sopra un materasso di gommapiuma spesso meno di un palmo della mia mano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Gennaio 2003

- Non è normale - Mi dico, pensando alla donna della trenta, mentre, dal mio piccolo balcone, osservo il mare, scaldandomi con una tazza di tè bollente. - È passato troppo tempo e quella ancora non accenna a integrarsi - Continuo nel mio monologo interiore, ripensando alla telefonata che, durante il mio turno, ho fatto alla collega del braccio A.

"No, no, credimi, lei è così, glaciale, non glie ne frega niente, quella mangia, dorme e piange. Patetica!" Mi ha informata la guardia.
"Allora tanto glaciale non può essere, no? Ci hai mai parlato?" Ho chiesto.
"Non è mica mia sorella, chissenefrega? Affari suoi!" Ha risposto cinica.

- Ci parlerò io! - Penso, bevendo l'ultimo sorso della bevanda, prima di rientrare.
Sfilo la cintura dai pantaloni, pentendomene all'istante, tolgo l'uniforme e m'infilo sotto il getto rigenerante della doccia.

I giorni passavano sempre uguali, tranne qualche piccolo tafferuglio nel braccio, rifiutavo la mia ora d'aria, divoravo i pochi libri letti e riletti della biblioteca, piangevo fino ad addormentarmi, le solite cose, insomma. Le guardie mi lasciavano in pace, tutti tranne una, quella fissa del turno di notte, sempre la stessa, pensai che non avesse famiglia, forse aveva bisogno di soldi, magari se li giocava, chissà.
Mi lasciò in pace solo i primi tempi, probabilmente credendo che il mio fosse l'isolamento temporaneo che colpisce quasi tutti i nuovi e i trasferiti, credendo che prima o poi avremmo scambiato qualche sillaba. La percepivo, mentre ascoltava il mio silenzio, ascoltava le mie lacrime notturne, vegliava il mio sonno quando alla fine, stremata, cedevo. Una sera smise di ascoltare, la udii alzarsi dalla sedia e camminare verso la mia cella. Mi irrigidii immediatamente. - Che cazzo vuole questa? - Mi domandai.

“Hai sete?” Chiese con voce dura.
“No, grazie, sto bene così.” Risposi schiarendomi la gola, congestionata dal pianto.
“Non mi pare!” Osservò cinicamente, dopo qualche attimo di silenzio.

Ma non si mosse subito, rimase lì, in piedi, per un tempo che mi parve un'eternità, a contemplarmi, infine allungò una mano attraverso le sbarre e la posò sulla mia spalla, stringendo dolcemente la presa. Istintivamente mi ritrassi.

“Devi reagire!” Sentenziò in tono più morbido, quasi a volersi scusare per essere stata acida poco prima, poi tornò lentamente alla sua scrivania.

- Forse sono stata troppo dura. - Penso, mentre torno a sedere con il bicchiere d'acqua che non ha voluto. La contemplo ancora un po', indecisa, se dirle che deve dormire per il verso giusto. - Non ce la faccio, non stanotte... Vedrò che succede nei prossimi giorni. -

Provai invano a dormire, quella notte, ma continuavo a girarmi e rigirarmi, e percepivo il suo sguardo su di me ogni volta che mi muovevo, udendo nella mia mente quelle due parole, come se fossero una persecuzione. - devi reagire, devi reagire, devi reagire... - Mavvaffanculo vai! Cazzo ne sai te! -

Dopo qualche giorno, credetti di essere riuscita a prendermi gioco di lei, sforzandomi di farlo in silenzio, lasciando che i miei pianti si depositassero sul cuscino, piuttosto di asciugarmi gli occhi con le mani, stando ferma, immobile, fingendo di dormire, ma dopo qualche giorno lei si avvicinò ancora. Percepivo la sua figura torreggiare su di me, dal fruscìo prodotto dai suoi vestiti, intuii che stava incrociando le braccia. - brutto segno, chiusura, disapprovazione... siamo sul piede di guerra! -

“Hey, senti... lo so, che fai solo finta di dormire...” Mi sussurrò in tono neutrale. “...per quanto tempo pensi di continuare così? Non ti sei torturata abbastanza? Pensi che vorrebbe vederti in questo stato pietoso? Hai fatto una scelta, la scelta più coraggiosa che un essere umano nella tua stessa situazione potesse prendere, ed hai avuto le palle di pagarne le conseguenze, non è abbastanza? O ti sei pentita? Per cosa ti punisci, esattamente? Ne hai almeno una vaga idea? A questo proprio non ci arrivo!”

Mentre parlava le lacrime scesero più intense che mai, sapevo che aveva ragione, che dovevo smetterla, l'avevo sempre saputo, ma fino a quel momento mi ero sentita completamente sola, avevo creduto che nessuno fosse capace di capire il mio gesto.
Cominciai a singhiozzare, raggomitolandomi in posizione fetale, percependo finalmente la vicinanza morale di qualcuno, un altro fruscìo mi arrivò alle orecchie, si stava accucciando vicino a me, al di là delle sbarre, mi strinse una spalla, e allora cercai alla cieca quella mano amica che, prontamente, strinse la mia. Rimase lì con me finché mi calmai, credo fosse ancora lì quando mi addormentai.

Deglutisco a fatica, mentre le stringo la mano e cerco di cacciare indietro le lacrime. - Credo di aver trovato uno spiraglio, non capisco di cosa ha bisogno, ma almeno, sono qui. - Le resto accanto, finché sento il suo respiro farsi regolare e profondo, le lascio la mano, le tiro la coperta fin sotto il mento. - Dormi bene, piccola... PICCOLA?? E questa da dove salta fuori??? - Mi chiedo, travolta dalla mia stessa domanda... - PICCOLA?? -

Il mattino seguente mi svegliai prima del solito, rimasi per qualche istante sdraiata, fissando la luce dalla piccola fessura della mia cella, a contemplare quanto accaduto la sera precedente, con quella che mi sembrava una nuova tranquillità dentro di me.
Aveva ragione, ho fatto una scelta e ci ho messo la faccia, come ho sempre fatto. Tutto questo dolore, da cui mi sono fatta logorare, per tutto questo tempo, non ha senso, se non quello di autodistruggermi.. Aveva ragione. Adesso basta! Mi misi silenziosamente a sedere e guardai il corridoio strofinandomi la faccia. Lei era lì, in piedi, vicino alla sua scrivania, intenta a radunare le sue cose, prima di andarsene, ed io mi resi conto che era la prima volta che la osservavo veramente.
Poco più alta di me, la divisa blu indossata in maniera impeccabile, i capelli biondi, raccolti in una lunga treccia. Doveva avere più o meno la mia età, la sua pelle era liscia e ancora abbronzata, nonostante fosse pieno inverno, e gli occhi, illuminati dai neon del braccio e dalla poca luce mattutina, che filtrava dalle grate delle celle, sembravano di un grigio tendente al verde.
Si accorse di me, mi guardò per un lungo attimo, mettendosi la sua borsa a tracolla e fece un mezzo sorriso.

“Fa la brava oggi!” Esclamò in tono scherzoso, strizzandomi un occhio. “Ci vediamo stanotte”
“Buona giornata” Risposi ricambiando inaspettatamente il sorriso. - Da quanto tempo non sorridevo spontaneamente? -

Un cretino mi sorpassa, suonando il clacson e agitando il braccio. In un'altra occasione, l'avrei mandato allegramente affanculo senza pensarci su, ma stamattina ho il morale alle stelle e non permetterò a nessuno di rovinarmi questa giornata! - È stata una bella soddisfazione vederla sorridere per la prima volta... Davvero una bella sensazione! -
E con quella sensazione, tornata a casa, dopo aver fatto una doccia veloce e mangiato un boccone, mi addormento.
   
 
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