Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
Segui la storia  |       
Autore: Osage_No_Onna    07/08/2015    2 recensioni
[YuGiOh!ZEXAL X Slash:// X Puella Magi Madoka Magica]
Ave popolo di EFP!
Questa è la mia terza storia cross-over e la mia terza what if!
Ma, passando alla trama...
Una misteriosa ragazza viene catapultata ad Heartland City da un Universo Parallelo e perde buona parte dei suoi ricordi. Essa ha con sé una pietra verde dai misteriosi poteri e un ciondolo con un cristallo che, secondo le leggende, corrisponderebbe al "Cristallo della Purezza", una pietra magica di cui si sa poco e nulla... Ad ogni modo, questo accade circa cinque mesi prima dell' inizio di ZEXAL e, durante una notte buia e piovosa, questa ragazza (in punto di morte) viene raccolta da una misteriosa figura mascherata che le offre la salvezza, ma a prezzo molto alto...
Insieme alla ragazza, viene catapultato ad Heartland anche il suo ragazzo, che la vede sparire misteriosamente sparire nel nulla. Tutto ciò causa un cambiamento repentino del suo carattere e una vera e propria "caccia all' uomo" alla quale partecipano anche due Pueri Magi e (ovviamente) anche Kyubey sarà nella partita...
Cosa mai potrà succedere?
Leggete e scopritelo!
Dedicata a Feelings e a Ryoku. Grazie ragazzi!
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '*For my love I'll survive*'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Chapter 08
I’m not a lassie anymore
 

“Ahia, che botta!”
“Ma perché non c’è la luce accesa qui?”
“Un calo di corrente, direi.”
“Ma il salvavita che fine ha fatto, è morto?”
“Che qualcuno metta ORA mano al quadro della corrente elettrica!”
“Lo farei io, ragazzi, se magari vi alzaste…”
“Se riuscissi a vedere dove metto i piedi, magari…”

“Niente panico, amici!” intervenne Muhammad sforzandosi di non scoppiare a ridere. Puntò una grossa torcia elettrica ricoperta da una guaina blu verso il pavimento ed eccoli lì: Isaia, Matilde e Paula erano stati tutti catapultati nella stanza di Tomoya a velocità supersonica, proprio come previsto, e nessuno di loro aveva subito effetti collaterali.
L’ unica cosa che non avevano potuto prevedere era stato l’ atterraggio, per cui i tre amici e l’ uomo che era con loro si erano tutti ritrovati proni su un parquet di legno, gli uni sopra gli altri e soprattutto tutti sopra al Cobra.
Per cui ciò che si trovava per terra, agli occhi di un qualsiasi ignaro spettatore, sembrava una strana piramide umana alquanto contorta e formata da individui eterogenei, ritrovatisi lì tutti assieme senza un minimo criterio logico.
“Sono piombati giù dal soffitto?” si intromise Moon, sempre appesa per un piede allo strano scacciapensieri ligneo. “Chissà che ridere!” esclamò, senza nemmeno prendersi il disturbo di sopprimere la ridarella.
Shizenyuuki, che stava dirigendosi a riportare la corrente elettrica, si voltò di scatto e gelò l’ Astrale con una megaocchiataccia, di quelle che nei fumetti presuppongono la presenza di due o tre fulmini: di solito, quando gli accadeva qualcosa d’ inusuale, era al primo a contattare i suoi amici (e ricordava ancora lo spavento che aveva provato quando, un anno prima, aveva scoperto che la sua pietra verde era capace di trasportarlo fisicamente ovunque dovunque volesse tramite la rete Internet … ovviamente la prima cosa che aveva fatto era stata mandare un’ email proprio ad Isaia, guarda un po’), ma rivelare l’ esistenza di una strana creatura dalla pelle rosata con rune lilla ai suoi amici era l’ ultima cosa che, in quel preciso istante, gli passasse per l’ anticamera del cervelletto.
Ricordava perfettamente gli amari rimbrotti che Chen gli aveva fatto quando le aveva rivelato di essere diventato un Number Hunter: l’ amica non era certo una che perdeva facilmente le staffe, ma in quell’ occasione sembrava che sulla sua testa si fossero addensati tanti nuvoloni gravidi di pioggia, di quelli che a casa sua annunciavano il periodo più difficile della stagione delle piogge. Le sue urla erano state talmente forti che, sebbene si trovassero su una terrazza al milionesimo piano di un Hotel in cui loro poveri pezzenti non avrebbero nemmeno potuto pensare di mettere piede, per di più alle cinque del mattino, le avevano percepite persino i pipistrelli nelle cantine, sottoforma di ultrasuoni.
Figurarsi le reazioni nel venire a sapere di un’ entità extraterrestre.
“Moon, guai a te se ti fai scoprire!” le sussurrò infatti in tono eccessivamente rabbioso.
La diretta interessata non capì il motivo di quella reazione, ma gli disse, in tono lamentoso: “Potresti per favore liberarmi? Mi si è incastrato il piede in questo tuo scacciapensieri e non riesco a liberarmi! Certo che voi umani avete proprio uno strano modo di arredare i soffitti!”
“Ma allora sei sorda? Ti ho detto di stare zitta!” imprecò Tomoya tra i denti.
Non lo farò finché non mi verrai a liberare!” controbattè lei scuotendo fieramente il capo, provocando l’ondeggiare dei lunghi capelli violacei.
Mi vuoi far quantomeno riportare la corrente? Quanto sei ostinata!”
“Aspetta, amico, vengo ad aiutarti!” La voce di Muhammad interruppe quella conversazione bisbigliata. “Ma con chi stai parlando, con Moon?” chiese poi, il volto dipinto con una buffa espressione interrogativa.
Il sudafricano puntò la torcia verso l’ amico tibetano, che sembrava aver appena ricevuto una secchiata d’ acqua fredda in faccia, e poi illuminò tutto il resto della stanza per cercare il misterioso interlocutore, ma non vide affatto la bellissima fanciulla dagli occhi argentei con cui aveva discusso fino a dieci minuti prima, per cui si insospettì.
Raggiunse con due rapidi scatti Tomoya, che a quanto sembrava non aveva mai visto un quadro delle corrente elettrica nei suoi onorati tredici anni di vita, lo scacciò con un “Lascia fare a me, se continui a stare lì a litigare con l’ aria non caveremo un ragno dal buco” ed armeggiò sapientemente con gli interruttori.
Nel giro di un minuto la stanza fu illuminata a giorno. Non che ce ne fosse tanto bisogno, perché il tempo volgeva al bello ed il cielo, fuori dall’ unica finestra, si presentava terso: le lampade erano accese soltanto perché, fino a qualche minuto prima, i quattro ragazzi avevano avuto bisogno della luce diretta per poter lavorare con il “quadrante multidimensionale”, come l’ aveva ribattezzato Stephan.
Quest’ ultimo attirò subito l’ attenzione dei nuovi arrivati che, dopo che si furono rialzati e spazzolati per bene gli abiti, si piazzarono davanti ad esso e lo squadrarono per bene, con un’ espressione interessata stampata sul viso.
In particolare, l’ afroamericano Isaia ne studiava ogni minimo particolare, dimostrando una certa attrazione per gli ingranaggi interni e le poche ma essenziali componenti elettroniche riflesse dal vetro, contemplandole con una certa aria riverenziale ed un volto a metà tra il catatonico e l’ esaltato. Se ci fosse stato lui, pensarono Tomoya e Muhammad con una punta di dispiacere, avrebbero ultimato il lavoro in meno della metà del tempo che aveva effettivamente richiesto.
Le ultime due settimane erano state un laboriosissimo inferno ed era stato davvero difficile trovare un orario adatto a riunire tutti: il tibetano, ovviamente, aveva a che fare con scuola e conseguenti compiti, che solo da qualche giorno avevano cominciato a diminuire, così come per Muhammad e Stephan.
Questi ultimi, pur essendo diventati assi dell’ arte del bigiare, avevano comunque una certa voglia di apprendere (ed una media da tenere alta) e non era raro che frequentassero corsi serali per recuperare le lezioni che avevano perso. Il loro incarico da Pueri Magi, inoltre, giocava a loro sfavore, e se fosse dipeso da Kyuubey i due poveri ragazzi avrebbero dovuto fare ronde su ronde e svolgere in un paio d’ ore il ruolo al quale qualsiasi Puella avrebbe potuto adempiere in una settimana. Ad ogni modo, il perfido animaletto li richiamava al loro dovere negli orari più assurdi, spesso e volentieri proprio mentre si trovavano a casa dell’amico, per cui Tomoya e Chen venivano abbandonati al loro destino, anche per ore, mentre loro sudavano settemila camicie per uccidere più streghe in una sola “battuta di caccia”.
L’ unica che non aveva questo tipo di problemi era Chen: nella sua stanzetta aveva tutto quello che potesse desiderare (tranne il Wi-Fi, che scroccava da altre reti o dagli Internet Café) ed aveva preso questo viaggio interdimensionale come una vacanza, per cui studiava da autodidatta negli orari che maggiormente le aggradavano.
Per il resto, tranne i passaggi d’ informazioni che non le rubavano più di qualche minuto, si godeva la vita alla grande e in compagnia del suo fidatissimo Cin frequentava musei e palestre, seguiva qualche sporadica lezione di Tai Chi all’ aperto senza peraltro averne bisogno, andava al cinema ed in gelateria e praticamente tutti i giorni assisteva ai duelli improvvisati nelle piazze, in modo da impratichirsi un po’.
Ogni tanto si buttava anche lei nella mischia e, com’ era naturale che fosse, ne usciva talvolta vincitrice e talvolta vinta: il suo deck era buono, ma non eccezionale.
Si era già perfettamente mimetizzata tra la variegatissima fauna di adolescenti di Heartland City e, da quando aveva trafugato a Sadako Santoro una classica divisa da studentessa, di quelle costituite dalla classicissima maglia bianca alla marinaretta e gonna blu a pieghe, finiva addirittura per passare inosservata.
“A proposito di divise”, pensò la ragazza cinese squadrando prima la gruccia che recava la sua tenuta e poi i nuovi arrivati, che prendevano lentamente posto su alcune poltroncine gonfiabili sbucate fuori da chissà dove, “se con me hanno avuto questo successo, Matilde sarà un vero e proprio camaleonte.”
E non aveva tutti i torti: un tratto distintivo della ragazza fiorentina era proprio il suo abbigliamento, che a parte qualche trascurabile dettaglio sembrava essere uscito dritto dritto da un qualsiasi anime. Indossava infatti, com’ era suo solito, una camicetta rosa confetto coperta da una maglietta blu a maniche lunghe, sul cui petto era cucita una “emme” rossa attorniata da uno scudo; una minigonna a pieghe larghe, calzettoni bianchi e un paio di ballerine di vernice con la chiusura a cinturino.
Aggiungendo il bel faccino ovale, la pelle chiara, gli occhioni verdi e il suo tipico riserbo calzava a pennello nel ruolo di studentessa modello giapponese… dei cartoni animati. I tratti erano chiaramente troppo occidentali, ma da quando era lì le era capitato di vedere tagli a scodella blu, ciuffi dalla dubbia gravità verde limone e occhi eterocromi, per cui, in fondo, poteva benissimo passare inosservata.
A meno che non fosse troppo normale.
S’ impose di smettere di fantasticare ed abbracciò con lo sguardo tutta la stanza, felice di riavere accanto tutta la sua combriccola, che in quel momento era più o meno compostamente seduta su quelle poltroncine arancioni (inaspettato dono di Muhammad).
Isaia non sembrava troppo rassicurato.
Cos’è questa, acqua?” chiese infatti, saggiando la consistenza del suo posto a sedere con un dito. “Speriamo che non scoppi!”
“Sono sicurissime, amico, non ti crucciare per niente anche tu, come il qui presente Tomoya.” Lo zittì Muhammad annoiato, scoccando sguardo indolente prima all’ afroamericano e poi al Number Hunter, che gli rispose con un’occhiataccia al fulmicotone. “Cosa vorresti dire?” si sentì rispondere infatti, in tono irato.
Cominciamo bene!” esclamò Paula ironica, le gambe incrociate e i piedi scalzi. “Avremmo ben altro da fare che stare a guardarvi mentre litigate, quindi datevi una calmata e iniziamo la riunione!” disse poi decisa ma in tono abbastanza seccato da ottenere rispetto, rivolta ai due litiganti. “Qualcuno ha delle patatine? E le bibite?” Stephan represse a stento una smorfia: aveva anche lui una fame da lupi, ma patatine probabilmente non ne avrebbe viste più per un pezzo: il tibetano in fatto di cibo era decisamente monotematico e nel mini-frigo smaltato che possedeva non c’ erano che tsampa, una sorta di “dado” composto da sale, orzo e spezie varie, una schifezza che lui giudicava immangiabile e imbevibile ma di cui gli sherpa e i pastori nomadi andavano matti; e i t’ü, dolcetti ugualmente composti da farina d’ orzo che non erano esattamente la cosa più gustosa che avesse assaggiato in tutta la sua vita.
Il biondo Puer Magi non era esattamente una forchetta raffinata, anzi, gli si poteva mettere davanti qualsiasi cosa (tranne il tè preparato da sua sorella Victoria) e lui spazzolava via tutto, ma se nemmeno a lui era piaciuta quella roba difficilmente gli altri l’ avrebbero gradita. Chen gli aveva confidato che qualche volta andava a rifarsi lo stomaco in un ristorante distante mezz’ ora di monorotaia dal suo appartamento, ingozzandosi di involtini primavera e pollo alla thailandese.
“Questa è una questione di cui ci occuperemo più tardi.” Intervenne John Snake tirando fuori una ventiquattrore di costosissima pelle bovina, dai bordi della quale sporgevano spigoli di fogli dattilografati e biglietti scarabocchiati su carta ingiallita dal tempo.
Il viso di Tomoya in quel momento lasciava trapelare tutta la sua eccitazione, perché conosceva il contenuto di quella valigetta: era stato lui a chiedere all’ uomo di fare precise ricerche per portargliele lì con la promessa che lo avrebbe ripagato. Ma a quel piccolo dettaglio avrebbe pensato poi, perché quello era il momento di esaminare i risultati di quel duro lavoro e discuterne tutti assieme. Proprio come aveva sperato.
“Niente ragazzate da ora in poi, amici miei.” ammonì severamente tutto l’uditorio, che aveva accerchiato il basso tavolino vicino alle poltroncine per vedere meglio tutti quei dati.
“Non per il gusto di contraddirti, ma noi siamo ragazzi… Non possiamo essere perfetti.” Lo interruppe Isaia contrito, passandosi una mano sulla testa calva.
“Nessuno può esserlo, del resto.” Rincarò la dose Matilde.
“Sì sì, abbiamo capito.” prese la parola Paula, annoiata. “Quel che intendeva dire Tomoya è che dobbiamo impegnarci al massimo, senza permetterci di distrarci troppo o fare cretinate, mica che dobbiamo perderci il sonno!”
“Potremmo saltare i giochi di parole beceri e le inutili spiegazioni per arrivare dritti al punto?”
chiese spazientito Muhammad, che aveva seguito il precedente scambio di battute battendo freneticamente il piede sinistro sul pavimento. Chen si alzò per spegnere la luce e aprire le finestre, in modo da far entrare un po’ d’ aria pulita e sfruttare la luce naturale del sole.
Il Cobra annuì ed aprì la ventiquattrore con un sonoro clack, rivelandone il contenuto: una miriade di fogli tutti accuratamente spillati e rilegati contenenti migliaia di dati e, almeno ad un primo colpo d’ occhio, quelle che avevano tutta l’aria di essere carte d’ identità accompagnate da piccole ma nitide fototessere. Nessuna delle persone raffigurate, però, aveva un’aria raccomandabile.
Cosa sono?” chiese curiosamente Stephan avvicinandosi al tavolinetto. “Sembrano dati ricavati da un censimento.”
“Non proprio, ma ci sei andato molto vicino.”
Fu la risposta. “Ricordate le ricerche che i miei assistenti hanno fatto sul Duel Monsters e sulla figura di Number Hunters?”
“Come no…” grugnì Chen, braccia e gambe incrociate, guardando Tomoya di sbieco.
“Ebbene, questa è la raccolta di dati anagrafici di tutti i Cacciatori di Numeri di questa città. Espressamente richiesta dal nostro tibetano.”
Nella stanza calò il silenzio più assoluto.
Isaia trattenne il respiro per un po’ il respiro. “E a cosa dovrebbero servirci, di preciso?” domandò, con una traccia di scetticismo della voce.
“A ritrovarla, idiota. Cos’ altro se no?!”
Inutile dire di chi fosse l’ irritatissima risposta.
“Non mi dire, c’ ero arrivato da solo.” Si difese sarcasticamente l’ afroamericano, sistemandosi sul naso i pesantissimi occhiali “a fondo di bottiglia” dalle lenti verdi. “Quel che intendevo dire è che dubito che lei sia tra quegli individui: è troppo ragionevole e rispettosa per andare in giro a derubare le persone.”
You’ ve got a point here.” Intervenne Paula, che amava usare espressioni idiomatiche di altre lingue per dialogare con gli amici. “È una soluzione troppo drastica per una come lei, che è più una tipa da vita stabile e senza troppi problemi. Magari qualcuno, facente parte di una famiglia normale, le ha offerto ospitalità ed Hermanita potrebbe aver deciso di stabilirsi presso di lui, lei o chiunque esso sia.”
La cugina fiorentina approvò la sua idea con un silenzioso cenno del capo, sorridendo nel momento in cui la ragazza scomparsa fu chiamata con l’affettuoso soprannome “sorellina”.
Stephan, Muhammad e Tomoya scossero la testa contemporaneamente.
“Abbiamo i nostri motivi per credere che non sia affatto andata così.” Prese gravemente la parola il sudafricano. Era molto serio e concentrato ed aveva un’espressione meditativa che si vedeva molto di rado sul suo viso, sempre così gioioso e vitale.
“Dal nostro arrivo, io e Stephan abbiamo passato molto tempo a vagabondare per le strade di Heartland City, con qualsiasi tempo e a qualsiasi orario, per cui almeno di vista conosciamo gran parte delle famiglie benestanti della città, ma in nessuna di essa sembrava esserci una ragazza somigliante alla nostra Yumiko.”
“Avete guardato bene i capelli?”
intervenne Chen.
Muhammad sussultò.
“A giudicare dalla prima foto che ci ha mandato Tomoya, le ciocche che le cadono davanti alle orecchie ora sono tinte di verde. Magari non avete tenuto conto di questo particolare e la nostra nippoitaliana vi è sfuggita proprio da sotto al naso…” spiegò la ragazza, accompagnata da alcuni cenni del capo del suo fidatissimo cincillà.
“Non potevamo non tener conto di un particolare tanto rilevante” le rispose Stephan, che nel gruppo era colui conosceva meglio la ragazza dispersa –ben cinque anni! - “eppure posso garantirti che non l’abbiamo vista, ciocche tinte o meno.”
Un sospiro riempì la stanza: la situazione si faceva complicata. Il ragazzo biondo dalla doppia identità era estremamente affidabile e tutte le volte in cui gli davano un compito da svolgere lo svolgeva sempre con rapidità ed efficienza, con risultati raramente deludenti seppur non sempre fossero quelli aspettati. Anche Muhammad, con tutta la sua buona volontà, cercava di essere affidabile come il compagno, ma una volta si sentiva stanco, l’altra non abbastanza attento, un’altra ancora trascurava dettagli importanti… così passava in secondo piano ed erano veramente poche le persone che si affidavano a lui. In compenso però sapeva bene come tenere alto il morale degli amici ed era il primo a riprenderli se mollavano o a farli riappacificare in caso di litigio: era il miglior “collante” che potesse mai esistere, nonché molto aperto verso le altre culture e molto altruista.
“Magari era a scuola, quando voi setacciavate la città…” disse a mezza voce Matilde, che apriva bocca per la prima volta dopo secoli.
“Alle sette di sera o alle cinque di pomeriggio? Ne dubito.” Le rispose Stephan.
“Il sistema scolastico giapponese è molto diverso da quello occidentale e le giornate sono molto più lunghe, inoltre molti studenti prendono spesso lezioni serali. Avete provato ad osservare le scuole?”
La scuola.”
Puntualizzò il tibetano. “L’ unico edificio degno di questo nome è la Heartland Academy, alla quale del resto mi sono iscritto anch’ io. Non penso di esagerare dicendo che ospita l’ottanta per cento dei ragazzi della città.”
“E non l’ hai cercata lì?”
“Ho vagliato tutte le prime delle prime e sono stato sfidato a quei dannatissimi duelli da alcuni alunni di seconda ma no, non l’ho vista. Escludo l’ipotesi della scuola privata, i prezzi sono alti già in Italia, figuriamoci qua.”
“Magari è finita nella zona degradata della città.”
insinuò Isaia socchiudendo i grandi occhi marroni. “E a scuola non ci va proprio.”
“Ma che schifo!”
esclamò Paula disgustata, saltando sulla poltroncina.
“Ipotesi respinta.” Intervenne Chen.
“E perché mai? Penso che, ora come ora, ogni pista sia valida.” Chiese John Snake. Non era proprio il tipo da congetture, preferiva avere piani già pronti e seguirli alla lettera.
“Un’ amica ci ha assicurato che non è finita in quelle zone.”
“Più precisamente?”
“Una buona amica.”
“Quindi sarebbe nelle zone alte?”
li interruppe Matilde. “Ma… se è davvero così, a che cosa ci servono tutti questi dati? Ai ricconi piace andare a caccia di Numeri?”
“Tutto il mondo è paese!”
sghignazzò Muhammad. “C’è chi va a stanare i cinghiali e chi le anime delle persone.”
“Messa così fa paura, però.”
“Ricconi ad Heartland City non ce ne sono, veramente. Solo il sindaco.”
Puntualizzò Tomoya. “Chen, stammi a sentire: mi sono arruolato tra i Cacciatori di Numeri a servizio di quel pallone gonfiato del Signor Heartland incoraggiato da John, passandogli anche qualche informazione sui miei colleghi, come ad esempio Kaito Tenjo.”
“… Aquilone?”
chiese Isaia esterrefatto.
“ Non Kite, testone, Kaito. Ad ogni modo contavo anche di ricevere qualche indizio, sempre secondo i dettami dell’amica. E, a quanto sembra, sembra esserci una connessione tra tutti i nostri simili…”
“Stando alle mie ricerche, gli uomini a servizio di Mr. Heartland sono a contatto con altre dimensioni e stanno cercando si distruggere una di essa. Ma non è il solo…”
“Grandioso. Notizie proprio rassicuranti.”
Sbuffò Paula. “Probabilmente, prima o poi, ci ritroveremo a fronteggiare questi megalomani nella nostra dimensione.”
Comunque, ho trovato dei legami con altre famiglie e guardate un po’ cosa ho trovato…”

L’ uomo prese dal fondo della ventiquattrore un fascicoletto rilegato con la massima cura e ne fece scorrere le pagine davanti agli occhi dei giovani amici, in modo che potessero leggere tutto quel che v’ era scritto. E quel che videro era effettivamente impressionante: numeri incredibili, resoconti d’ azioni che avevano potuto leggere soltanto nei più fantasiosi e orribili romanzi gialli, frammenti di vite lacere e ormai meccanizzate.
La somiglianza con una situazione a loro ben nota e devastante per la dispersa era decisamente impressionante. Corrispondeva persino la divisa, anche se le fototessere non consentivano di vederla per bene.
I partecipanti a quell’ allegro convivio si guardarono tutti a vicenda, con una scintilla birichina che brillava nei loro occhi: era una sorta di segnale convenuto che dava l’inizio alla ricerca ufficiale in città. Era tutto pronto, compresi i sette frammenti di cuore che davano accesso al WDC.
Ovviamente era già stato stabilito che i ragazzi avrebbero rischiato in prima linea, duellando e cercando di ottenere più frammenti di cuore possibile, mentre John Snake sarebbe rimasto nelle retrovie per raccogliere ulteriori dati e coordinare le operazioni, decidendo le eventuali modifiche da apportare.
L’ atmosfera divenne adrenalinica e sembrava che l’euforia, i timori e le speranze avessero impregnato tutta la stanza.
“Ragazzi?” chiese il Cobra come a chiudere la questione.
L’ attenzione generale fu rivolta a lui.
“Niente ragazzate!”
La riuscitissima imitazione della perentoria affermazione che Tomoya aveva usato all’inizio della riunione fece scoppiare a ridere tutto l’ uditorio, soprattutto a causa del tono petulante e della vocina sottile, e così tutte quelle emozioni si stemperarono per un attimo lasciando il posto all’ allegria.
Moon non aveva fiatato, ma fece eco a quelle risate con un sorriso soddisfatto sul volto: i prossimi giorni promettevano di essere davvero interessanti… e proficui.
***
 
In circostanze normali, Five avrebbe definito lo stanzino accanto alla stanza da letto di Tron “inutilizzato”, ma mentre sfacchinava per creare collegamenti elettrici ed eliminare una polvere talmente ostinata che sembrava essersi stratificata e ragnatele filate talmente tanto tempo prima che si erano seccate come se si fossero trovate in un deserto, si rese conto che l’espressione adatta per definire quel luogo era “sgabuzzino fin troppo malandato”.
Gran parte del mobilio, tra l’ altro di gran valore, era stato completamente roso dai tarli, mentre ciò che s’ era salvato non aveva potuto in alcun modo resistere all’ assalto dei ragni e degli acari della polvere, la vernice bluastra del muro si stava scrostando e sul soffitto faceva bella mostra di sé una crepa fin troppo pericolosa che minacciava di far crollare lo stucco. Il pavimento, tanto per cambiare, era a dir poco sudicio.
La situazione era a dir poco disperata ed il ventenne, almeno in un primo tempo, avrebbe volentieri chiesto aiuto, ma Four se l’era battuta alla svelta e Three era troppo occupato a pulire la cucina, per cui aveva dovuto rimboccarsi le maniche.
Tron, ovviamente, non aveva mosso nemmeno un dito per aiutarlo e ne aveva approfittato per mettere ordine nel suo Deck e in quello di Sixth, scomparsa nella sua cameretta.
Mentre, accucciato per terra, litigava con due cavi difettosi che non volevano proprio saperne di fare contatto ed accendere un macchinario molto simile a quello che lui e Kaito avevano usato durante i loro allenamenti, il terzogenito fece capolino dagli stipiti della porta.
“Five?” chiese timidamente il quindicenne. “Sono passato per vedere se avevi ancora bisogno d’ aiuto…”
“No, non più.”
Gli rispose il fratello maggiore, guardando astiosamente i due cavi che stringeva. “O meglio, non adesso. Penso di non aver mai visto una stanza più sporca di questa, ma per rimetterla in sesto ci vorrebbe un miracolo.”
“O molto olio di gomito.”
Puntualizzò Three ridacchiando. Ma il tono si fece subito molto più serio, mentre chiedeva, alquanto ansioso: “Sei riuscito a convincere Tron?”
“Niente affatto. Sai benissimo quanto può essere ostinato, soprattutto quando si tratta di sconfiggere il Dottor Faker e i suoi alleati. E una ped… voglio dire, un aiuto in più gli farà sempre comodo. Mi sa che oggi VI non avrà scampo.”

Michael non rispose. Ma mentre volgeva, come suo solito, gli occhi verso il pavimento sentì il cuore accelerare i suoi battiti e il sangue salirgli alla testa. Strinse entrambi i pugni e digrignò i denti, mentre un’ondata di rabbia lo assaliva.
“Perché?” si chiedeva. “Perché siamo obbligati a portare avanti quest’ inutile farsa?”
Il suo animo dolce e gentile non riusciva ancora a capire.
Per quale motivo avevano dovuto mettere in atto tutta quella messinscena? Quale reale utilità avevano gli abiti, gli stemmi, i Numeri? Al ricordo del suo rituale la sua schiena veniva ancora scossa dai tremiti e un dolore acuto gli perforava le tempie e quando duellava il D-Tatto gli pizzicava la pelle intorno all’ occhio, quasi fosse un altro continuo monito della sua missione.
Perché accanirsi tanto? Sconfiggere definitivamente il loro giurato nemico avrebbe riportato tutto alla normalità? Non scherziamo! Che fine aveva fatto l’uomo ragionevole e indulgente che era stato Byron Arclight? Ma soprattutto, perché coinvolgere un’innocente ragazzina con la quale non avevano alcun legame e che, probabilmente, se non fosse stato per quell’ orribile lavaggio del cervello, non avrebbe neanche nemmeno sfiorato l’ idea di combattere per una causa a lei totalmente estranea e del tutto priva di senso?
“Ce n’ è bisogno?! Povera Yumiko, non se lo merita.”
“Three…?” chiese il primogenito preoccupato, vedendo il fratello assorto.
“Scusami, Five. Stavo solo pensando alla situazione assurda in cui ci troviamo. Nostro padre torna da una dimensione parallela trasformato in un mostro assetato di vendetta, tessendo le sue trame con malefica intelligenza. Non ci è permesso opporci… Abbiamo scelto la via più contorta e difficile per raggiungere un obiettivo importante, quando in realtà basterebbe così poco… e per questo ci approfittiamo di una ragazza con la quale non abbiamo alcun legame… costringendola a fare quel che probabilmente non farebbe mai e… strappandola a quel che è suo.”
La voce monocorde con cui il terzogenito pronunciò quelle parole
“Three, ma che stai dicendo?”
Five, che durante il monologo del fratellino s’ era alzato, si ritrasse senza pensarci: non era mai capitato che Three, sempre così docile ed obbediente, si fosse lamentato così apertamente. Al contrario, di solito li esortava con molta veemenza a riappacificarsi e portare avanti i loro compiti con solerzia e lui stesso si dimostrava molto diligente ed efficiente nel farlo. Ma non si era mai espresso al riguardo.
Il primogenito si rimproverò mentalmente per la sua stoltezza: naturale che non l’avesse mai fatto, perché l’insubordinazione non era ammessa in quella loro piccola società e il ragazzo non aveva affatto intenzione di essere buttato fuori dalla propria famiglia che, seppure disastrata, era comunque la cosa più preziosa che aveva.
E non poteva certo biasimarlo, perché anche lui, grossomodo, si sentiva così.
Abbassò a sua volta lo sguardo, incontrando i grandi occhi smeraldini del fratello.
Per loro fortuna Tron era nella sua stanza, perché queste parole erano davvero molto pericolose ed entrambi lo sapevano benissimo, ma era stato così bello, almeno per una volta, liberarsi di quella bugia che stava loro addosso come la gramigna.
“… Io provo a parlarle.” Disse alla fine il terzogenito, la voce monocorde. “Tu cerca in ogni modo di dissuadere nostro padre. Sarebbe davvero una follia se la facesse allenare davvero così tanto.”
Pronunciate queste parole, girò i tacchi e uscì dallo stanzino.
Attraversò in fretta il corridoio che dirigeva alla stanza dell’ ultimogenita, preparandosi mentalmente un bel discorsino per consolare la sorella, che immaginava distesa sul letto in lacrime. Quando però aprì la pesante porta di legno con il disegno a pastello dei tre fiori, stranamente lasciata solo accostata, la trovò con la schiena poggiata contro il cuscino ad ascoltare musica, il visino contratto in un’espressione seria ed impassibile.
Non si era ancora rivestita del tutto ed aveva addosso soltanto il suo solito vestito bianco e dei calzini in materiale sintetico, mentre le scarpe giacevano sotto al letto e la giacchetta verde, fresca di bucato e stiratura, era appesa ad un appendiabiti di fianco all’ armadio.
Sulla scrivania, abbandonato al suo destino insieme ad alcuni schizzi malriusciti raffiguranti una divinità romana, giaceva la raccolta di poesie di Catullo.
Essa faceva parte di una collezione ben fornita sul mondo greco-romano, alla quale spesso e volentieri anche Three aggiungeva qualche reperto o svariate informazioni, specie sul teatro e sulla vita quotidiana. Era una delle tante cose che rinsaldavano quotidianamente l’affetto tra i due “piccoli” di casa e il primogenito, che si univa a loro quando non aveva proprio niente da fare, mentre Thomas se ne teneva fuori.
Avrebbe potuto essere un buon pretesto per attaccare bottone, ma al momento né Three né Sixth avevano gran voglia di conversare. La ragazza sembrava quasi non essersi accorta della presenza del fratello maggiore.
“Sixth…? Posso parlarti?” Michael prese la parola per primo, alquanto incerto sul da farsi. Probabilmente strappare gli auricolari dalle orecchie della sorella sarebbe stato più efficace, ma non amava ricorrere a tali metodi: gli sembrava scortese, oltre che brutto.
La castana annuì e spense il suo I-Pod blu, uno dei suoi tesori più recenti. “Dimmi pure.”
“Senti, per quella questione dell’ allenamento forzato…”
cominciò il maggiore, alquanto impacciato e timoroso. “Sappiamo che non ti va giù.”
L’ interlocutrice s’ irrigidì e il timore di provocare qualche litigio si fece sentire chiaramente nella voce del fratello.
“A me e a Five sembra ingiusto, quindi cercheremo di venire a patti con Tron in modo da…”
No.”
Quell’ interruzione secca e repentina lo lasciò senza fiato.
Non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che VI riattaccò a parlare: “Non ce n’è alcun bisogno, papà ha ragione. Me lo sono meritata, perché ho sprecato troppo tempo a fare scemenze e ne ho impiegato troppo poco ad allenarmi nei duelli. Non mi vanno giù, ma credo che dovrò farmene una ragione: vincere il Carnevale Mondiale di Duelli è essenziale per la riuscita del nostro piano e se questo è l’ultimo giorno utile per potenziare la tattica, allora lo sfrutterò al meglio.”
“Ma tu avevi il tuo lavoro da idol! Non devi- ”

“Non è una scusa valida. Devo proprio ricordarti che è stata tutta una copertura per rubare le Carte Numero? Il Sessanta, ieri, è stato un buon affare, una carta così non si trova certo tutti i giorni e devo imparare a conoscerla se voglio battere i miei avversari. Ma il mio deck è in condizioni pietose. Avrei dovuto chiedere a Four o a Five di darmi qualche lezioncina, in tutto questo lasso di tempo. Non puoi negarlo: sono la meno brava della famiglia e tutte le volte in cui Tron mi guarda mi sento addosso i suoi occhi pesano più di un macigno. Sono una tale delusione per lui!”
“No!” Strillò la vocina della coscienza di Three.
Di che delusione e delusione vai blaterando? Non lo sei affatto! Siamo noi che non siamo degni, soprattutto Tron, che crede di poterti comandare a bacchetta e pensa di poterti sfruttare a piacimento come sta facendo con noi! Mai un ringraziamento, per lui è solo dovere, uno stupidissimo dovere che non ci condurrà da nessuna parte! Nemmeno il Vello D’ Oro lo renderebbe felice, noi siamo degli Argonauti senza speranza! Tu, in special modo, non dovresti nemmeno essere qui tra noi! Sei un angelo di luce in questo modo di tenebre! Se solo potessi ricordare…”
Ma non le disse niente di tutto questo. Si limitò solo a sospirare e a carezzare tristemente la testina bruna della sorella, passando le dita nei suoi capelli folti e setosi.
“Non sei affatto una delusione.” Disse poi, deciso. “Almeno, non per noi. Tu sei un tesoro, ecco cosa sei.”
“Lo dici soltanto per blandirmi!” esclamò lei ridendo. Ma, nel vedere le braccia aperte del quindicenne, si gettò in quello che aveva tutta l’aria di essere un abbraccio fraterno.
E lo era, effettivamente. Per un po’ i due ragazzi rimasero l’uno nella braccia dell’ altra, cercando un po’ di conforto da accumulare, quasi fosse una sorta di bevanda prodigiosa che li aiutava ad affrontare al meglio le loro sfide.
Sixth non si era mai accorta, fino ad allora, di quanto fosse caldo ed accogliente il petto del fratello quindicenne; mentre Three osservò meglio il corpo della sorella, così stretto sul petto e così largo sui fianchi, e lo reputò delizioso. Le curve sul suo corpo si stavano accentuando, a vantaggio delle anche, ma il seno continuava ad essere delicato ma piccolo.
Intrecciarono anche le loro mani sinistre, le dita che si chiudevano gradualmente.
La mano della minore, alquanto fredda, fu riscaldata dal tocco caldo e delicato del maggiore.
“Io trovo che sia comunque ingiusto nei tuoi confronti. La sfacchinata, voglio dire.”
riattaccò il terzogenito dopo un po’, ancora ben stretto alla ragazzina.
“Certo che sei proprio ostinato.” Sospirò la sorellina.
Perché è la verità. E, credimi, se anche Chris lo pensa e Thomas si è dimostrato scettico, vuol dire che papà sta davvero esagerando.”
“O forse siamo noi, quelli esagerati. Sembriamo dei bambinetti che non vogliono crescere, diciamocelo. Il tempo in cui potevamo scegliere il nostro gioco preferito è finito, bisogna crescere e uniformarsi a quel che ci chiedono i nostri superiori. Non siamo più dei ragazzini, dovremmo proprio farcelo entrare in queste nostre testacce ostinate.”
“Ci stanno obbligando a crescere troppo in fretta, ricordatelo.”

Michael concluse il discorso sciogliendo l’ abbraccio ed alzandosi dal letto con un piccolo sospiro. “Sei proprio sicura di non voler farci niente?”
“Sicurissima.”

Il tono con cui fu pronunciata questa parola, però, non era affatto deciso: era più che altro abbacchiato, non troppo convinto, come se Sixth avesse buttato lì quella parola soltanto per farla finita e starsene un po’ in pace prima di essere torturata.
Nonostante vivesse con loro da soli cinque mesi, i tre fratelli conoscevano la grande determinazione (per non chiamarla ostinazione) di Yumiko e sapevano anche che, una volta preso un impegno, avrebbe fatto del suo meglio per portarlo a termine senza intoppi: incredibile quanta energia potesse esserci in quel corpicino gracile.
Three provò, solo per un attimo, una punta d’ invidia.
Smorzati dalla distanza, cominciarono a giungere le voci di Tron e Five. Stavano discutendo animatamente e la voce del ventenne era alquanto concitata ed un po’ roca, mentre dalle rare battute del bambino si capiva che era alquanto annoiato e non stava del tutto seguendo la conversazione.
Normalmente i due fratelli minori, in particolare il quindicenne, si sarebbero precipitati a vedere cosa stesse succedendo, ma in quel preciso momento stabilirono entrambi che non avevano affatto voglia di farlo ed in segno di complicità portarono entrambi l’ indice davanti alla bocca, come se volessero dire all’ altro di tacere.
Si sporsero un pochino dalla porta e rimasero a guardare Chris che discuteva con il padre, i suoi gesti moltiplicati dalla lunga ombra che proiettava sul pavimento e sulle pareti scrostate.






Angolo dell' Autrice.
Wow. Come al solito, mai fidarsi di sé stessi e di me soprattutto, perchè anche se ho delle idee mozzafiato non vedono la luce presto come vorrei.
Questo capitolo è l' ultimo che caricherò prima delle vacanze. L' ho appena finito (come al solito penso che avrei potuto fare molto di meglio) e, se volete provare l' euforia del sentirvi uno straccio, vi consiglio assolutamente di provare le ore piccole di fronte ad un computer: dire che sono ricretinita è poco.
Non ho neanche la forza per fare un bell' Angolino, sigh.
Ad ogni modo, vi lascio qualche interessante info-intrattenimento.
Per quanto riguarda la prima parte, ho fatto disperatamente appello i miei (pochi, a dire il vero) ricordi su Slash:// (hanno cancellato le puntate su Rai.tv, maledetti) e ho cercato quanto più possibile di mantenere IC i personaggi, eccezion fatta per Tomoya e John/ Cobra, mandati OOC per i fini della storia, come ho già detto qualche capitolo fa. Stephan e Muhammad sono invece due OC (nel caso v' interessi) ed è stato parecchio divertente farli interagire per la seconda volta con i personaggi canonici. *li spupazza*
Per quanto riguarda la parte sugli Arclight... oddio, spero non mi uccidiate! In particolare con Michael, povero confettino. L' idea di mostrare un loro lato nascosto mi ha sempre sorriso parecchio, ma temo di essermi spinta davvero troppo oltre.
Nel caso sia così, mi troverete avvolta nella mia tunica monacale e con la testa rasata cosparsa di cenere.
Inoltre ci terrei a ringraziare(?) l' artista francese Zaz, che con la sua meravigliosa canzone "Gamine" mi ha ispirata moltissimo, e tutti voi che avete inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Infine, so che alcuni di voi seguono (anche se sarebbe più corretto dire "seguivano") anche la mia altra long, "Like a rose thrown into a violent breeze": ho cominciato di recente a scrivere un nuovo capitolo (dopo quasi un anno, miserere di me) e mi dispiace non essere risuscita a finirlo. Vi prego di perdonarmi. (Hoshiko vi saluta, btw (?)) 
Fatemi sapere cosa pensate di questa roba. Vi auguro buone vacanze!
See you!
-Osage_No_Onna 
PS: Riuscita a riconoscere la citazione da Shugo Chara presente nel capitolo?

 
   
 






 

 
 

 
 
 







 



 
 
  

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL / Vai alla pagina dell'autore: Osage_No_Onna