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Autore: wannabe24    07/08/2015    1 recensioni
Alìe, appartenente alle creature invisibili, vive in un mondo senza sentimenti, costruito dai suoi genitori che gli donano una base su cui vivere. Lei, però, sa che c'è qualcosa di diverso e che la distingue dai suoi simili. Ma tutto accade per un ragione...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Triangolo
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Nomi e fatti sono puramente casuali.

-2° capitolo




 
Quando sbattei le palpebre per guardare meglio, la figura era già scomparsa dal mio campo visivo. C’erano solo porte di legno bianche chiuse e sembrava tutto immobile. Mi soffermai a pensare a tutte le vie di fuga che avrebbe potuto avere: se fosse entrato in una stanza avrei dovuto sentire il rumore della porta che si apriva. Probabilmente era stato solo frutto della mia fantasia.
Andrea uscì fuori dalla porta del bagno dietro di me con addosso dei jeans e una felpa, vestito diversamente da come l’ho visto precedentemente.Non mi spiegai il perché.

-Vieni- entrò e si sedette sulla sedia girevole di fronte alla scrivania. Accese la ps4 e mi porse un joystick.

-No, grazie. Aspetto Ari. Gioca tu, ti guardo.

-Sei sicura? Non credo tornerà prima di dieci minuti.

-Ma non doveva venire a momenti? Dov’è andata?- Andrea era girato e guardava lo schermo del televisore. Era preso a scegliere i componenti della sua squadra di calcio.

-Non ne ho idea. Ha detto che usciva e che tornava subito. –Presi il cellulare e notai che l’ultimo accesso di Whatsapp era stato meno di dieci minuti fa, così iniziai a scriverle chiedendole dove si fosse cacciata. Nel frattempo, Andrea mi dava le spalle e imprecava contro i giocatori. Le sue mani scorrevano veloci sui tasti, a tal punto che i miei occhi non riuscivano più a seguirle. Il colore scuro della sua felpa contrastava con quello dei suoi occhi, mettendoli in risalto. Per fortuna, tra noi non ci sono mai stati momenti imbarazzanti quindi non avevo problemi a stare da sola con lui senza argomenti di cui parlare.
Quando suonò il telefono, Andrea, sbuffando, mise in pausa la partita di calcio e andò a rispondere. Per non rimanere da sola, lo seguì. Il suo viso improvvisamente diventò pallido, come se fosse preoccupato. Io mi avvicinai un po’ più a lui per sentire e per capire che cosa stesse succedendo. Dandomi una gomitata mi allontanò da lui sussurrandomi un “aspetta”. Incrociai le braccia e mi allontanai da lui, tornando in camera sua.
Andrea aveva una camera da far invidia, lo stesso valeva per Arianne. La sua camera era maestosa, come il resto della casa. Aveva due finestre che davano su altrettanti eleganti balconcini. Dall’esterno si potevano vedere soltanto le tende bianche di cotone, scelte sicuramente dal buon gusto della mamma. Sulla sinistra, intorno al letto, c'era una libreria bianca composta da tanti scaffali quadrati ricolmi di libri di ogni genere. Andrea andava matto per i libri,
ma non l’avrebbe mai dichiarato.

Mi sedetti sulla poltroncina girevole dove prima era seduto Andrea e iniziai a girare pur di non starmene con le mani in mano. E poi mi è sempre piaciuta la sensazione dei capogiri: per cinque secondi, il mondo che ormai era sempre fermo, iniziava a muoversi. Mi divertiva vedere la luce, poi l’oscurità dall’altro capo della stanza, poi di nuovo la luce proveniente dalla finestra e poi nuovamente l’oscurità. Mentre completavo il quinto giro su me stessa Andrea si era appoggiato con il braccio allo stipite della porta, in piedi con le gambe incrociate.

-Alì, hai finito?- mi fermai davanti a lui mettendomi composta, arrossita del leggero imbarazzo.

-Si. Che è successo?

-Nulla. Devo uscire per una decina di minuti. Resti qui? Tra poco viene Ari.-  Ed io devo restare da sola qui?- pensai.

-Dove vai?

-Al supermercato.- Andrea si morse il labbro superiore e poi si bagnò le labbra inferiori. Stava mentendo.

-Va bene. Finisco la tua partita.- Mi girai e presi in mano il joystick. Sentì i passi di Andrea che si allontanavano e il rumore dei gradini che scricchiolavano. Posai il joystick della play sulla sedia e mi affrettai a raggiungere Andrea che aveva già chiuso la porta d’ingresso. Mi specchiai al vetro del mobile d’ingresso e vidi che il mio corpo iniziava ad andare ad intermittenza. Mi stavo disgregando. Meglio così, posso seguirlo senza farmi vedere.

Quando uscì di casa Lombardo, Andrea era già alla punta del viale. Corsi per raggiungerlo; per fortuna, essendo molto leggeri, quelli come me sanno correre più velocemente delle persone mortali. Camminavo di fianco a lui e nonostante la mia velocità, stentavo a mantenere il suo passo. La strada era bagnata e l’aspetto generale dava un senso di tristezza: gli alberi mancavano e i pochi presenti erano spogli. Le case di questa città erano condomini tutti uguali nella forma ma diversi in colore che poteva variare dal giallo limone al rosa cipria. In ogni casa singola, invece, non potevano mancare i giardini che nonostante la costante bassa temperatura erano folti e sempreverdi. A Verbania poteva esserci di tutto, ma non la siccità. Non era facile smarrirsi perché in questo paese erano tutte vie che si intersecavano con quella principale.
Passammo davanti a svariati negozi, tra cui anche il supermercato più vicino, e allora mi domandai dove fossimo diretti. Eravamo arrivati ai confini della città, tanto che riuscivo a vedere il Lago Maggiore pieno di turisti mentre si scattavano fotografie. Durante il mio inseguimento incontrai poche persone; un po’di più ce n’erano nella zona commerciale della città.

Ci fermammo davanti ad una saracinesca rossa arrugginita e un po’malandata,semi-aperta, sotto una casa d'intonaco grezzo inabitata. Andrea si guardò intorno circospetto quando prese il telefono per chiamare qualcuno.

-Sono qui. Dove sei? Avevi detto che eri già arrivato.- Aveva il telefono troppo vicino all’orecchio per riuscire a sentire cosa dicevano. Volevo avvicinarmi ma così avrei rischiato di essere toccata e di ritornare umana.

-Sono da solo. Ho fatto come mi hai detto.–Dopo queste parole Andrea chiuse la telefonata e si appoggiò al muro sporco della casa. Nell’aria c’era puzza di bruciato. Ma era una cosa normale dato che ci trovavamo vicino alle campagne. Continuai a fare avanti e indietro davanti ad Andrea divertita dal fatto che non mi potesse vedere. Soltanto dopo un quarto d’ora abbondante, una figura alta e robusta si profiló davanti a noi. Si avvicinò lentamente, con le mani nelle tasche dei jeans. La persona che si era presentata era calva e portava dei tatuaggi che si intravedevano da sotto la sciarpa che aveva al collo. Indossava anche lui una felpa. Andrea, messo alsuo confronto, sembrava uno scricciolo.
Chi è questo? L’ho mai visto prima? Da dove viene? Cos'ha a che fare con Andrea? –tutti questi pensieri si scontravano nella mia testa nel momento in cui il tipo strano, con degli anelli incollati alle labbra, fece cenno ad Andrea diseguirlo nel garage e gli alzò la saracinesca. Riuscii a passare anche io senza urtare nessuno. Appena entrata, la prima cosa che notai erano dei ragazzi vestiti nella stessa maniera in cui era vestito il punk con i piercing. Erano in piedi intorno ad un tavolo circolare. Solo tre dei sei alzarono lo sguardo e scrutarono Andrea.

-Nick, chi è questo?- il più giovane dei sei si allontanò dal tavolo e andò vicino ad Andrea che rimase immobile. Che aveva paura si notava dal tremore delle sue ciglia. Per paura di essere urtata mi spostai infondo alla stanza, camminando di spalle al muro.

-E’il fratello di Arianne, deficiente.- Nick, il tipo punk, sferrò uno schiaffo al ragazzino che rotolò per terra.

-Ho…Ho portato i soldi. La rivoglio.- nella stanza fece eco una risata scalmanata.Solo uno di quegli strani ceffi,  e tolto Andrea, non rise. Restò con la testa china sul tavolo. Era difficile capire chi fosse con il cappuccio della felpa che gli copriva i capelli e gran parte del viso. Mi avvicinai lentamente a lui, che sembrava il più serio. Notai che aveva gli occhi chiari, sul verde. Il viso era quello di un ragazzo sui venti anni. A differenza degli altri non sembrava avere tatuaggi o piercing. Aveva solo una profonda cicatrice a forma di v sul collo, che sfociava verso l’orecchio sinistro. I suoi occhi erano spalancati e guardavano il centro del tavolo di legno chiaro. Io ero di fronte a lui, dall’altro capo del tavolo circolare, quasi inginocchiata per non essere urtata.

-Fa vedere.- un altro di quelli che era rimasto fermo vicino al tavolo e che dava le spalle al fratello della mia amica si avvicinò a lui.

-Calma…- rispose l’altro che voltandosi verso Andrea gli andò vicino. Al tavolo, adesso, c’eravamo solo io e il tale senza tatuaggi. Andrea estrasse dalla tasca una mazzetta disoldi; non potevano essere più di cento euro.

-E’tutto quello che ho- sibilò. Un’altra risata riecheggiò nel garage. Io e il tale eravamo ancora fermi sul tavolo. Aveva ancora gli occhi spalancati e non aveva battuto ciglio neanche una volta.

-Dovete ridarmela. Ho fatto tutto quello che volevate.- mormoró ancora con voce strozzata e tremante. Tutti quanti, dopo queste parole, si voltarono di scatto verso il punk che era difronte a me. Ci fu un silenzio che durò un minuto. Aveva ancora gli occhi fermi e spalancati, ma la smorfia del suo viso era cambiata.

-Beh, non proprio tutto.- In un primo momento non capì nulla dato che i miei occhisi stavano stancando della luce scarsa e artificiale della stanza, ma sapevo che il tizio che aveva appena parlato era la persona che mi era difronte. Aveva sollevato lo sguardo dal tavolo e adesso guardava me, dritto negli occhi.











 
  
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