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Autore: Mary P_Stark    07/08/2015    2 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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6.
 
 
 
 
Stavo gustandomi un buon gelato in coppetta, le gambe allungate sotto il tavolino dinanzi a me, e la compagnia di Rachel al bancone.

In quel momento, la gelateria era vuota.

Lei approfittò di quel momento pausa per raggiungermi e, dopo essersi accomodata su una sedia, mi fissò curiosa prima di asserire: «Fay mi ha detto che ti ha incontrato un paio di settimane fa, al parco, assieme a due tuoi amici.»

Assentii, lasciando che il piacevole sapore del pistacchio scivolasse soffice sulle mie papille gustative.

«Ti ha anche detto il resto?» mormorai un attimo dopo, sospirando di pura delizia.

Rachel annuì con un sorrisino divertito. Non seppi dire se per via della mia reazione al suo gelato, o altro.

«Mi ha detto che saranno i suoi protettori, quando tu non sei nei paraggi. C'era davvero bisogno di scomodare così tante persone, e solo per accontentare i vizi di una ragazzina di quattordici anni?»

Ero già pronto ad affrontare quella discussione, ma lo sguardo incuriosito di Rachel tendeva a distrarmi.

Era indubbia la sua bellezza, così come il suo amore per la figlia, e io apprezzavo entrambe le cose con piacere inusitato.

Esattamente come, in quel momento, assaporavo e apprezzavo le sue dolci creazioni.

«Quando prendo un impegno, lo faccio sul serio. Inoltre, tua figlia ama molto quel posto, e sarebbe un peccato impedirle di andarci solo per colpa di qualche idiota.»

«Ma i tuoi amici avranno senz'altro di meglio da fare, piuttosto che stare dietro a una ragazzina» replicò lei, irrigidendosi appena.

Non mi parve se ne fosse accorta, perciò non glielo feci notare.

Mi limitai a sorriderle, scrollando le spalle con noncuranza, in attesa che lei tornasse a calmarsi.

Vedermi, quasi giornalmente, accompagnare a casa da scuola sua figlia e vigilare su di lei come un mastino, non era bastato a tranquillizzarla del tutto.

Non era una donna che accettava volentieri dei favori, e queste attenzioni non richieste parevano metterla in ansia.

Forse, si aspettava da parte mia qualche richiesta particolare.

Terminai il mio gelato e, dopo aver posato sul tavolino la coppetta ripulita, le domandai schietto: «Pensi che voglia essere pagato, per il mio interessamento?»

Come previsto, lei si irrigidì tutta, le gote le si tinsero di un bel color rosso acceso, mentre gli occhi color whisky sprizzarono scintille sospettose.

Era infervorata. E sempre più bella.

«Rachel, rallenta. Era solo una battuta, tra l'altro nata dalla tua evidente ritrosia ad accettare un semplice favore da parte di un amico.»

Levai le mani per chetarla e lei, nonostante tutto, si rilassò. E lasciò scaturire uno dei suoi rari sorrisi con la fossetta.

Adorabile, semplicemente adorabile.

«E' così evidente?» sospirò, lasciandosi andare a un leggero tremolio, come se i muscoli le si fossero sciolti di colpo, tesi fino allo spasimo fino a un attimo prima.

«Conoscendo il tuo passato, è anche comprensibile. Hai avuto a che fare con gente gretta e insensibile, e non faccio fatica a capire quanto tu, ora, ti fidi poco delle persone» assentii, parlando con leggerezza per non rendere troppo fosca la nostra discussione.

«Non capisco perché tu ci tenga tanto. Ammettilo, Kris, è strano. Ci conosciamo da quanto? Due settimane? Tre?» borbottò per diretta conseguenza lei, arricciando il nasino a punta.

La adoravo, quando  lo faceva, e questo contribuiva non di poco a distrarmi. Quant’era difficile stare in sua compagnia, senza perdere di vista le poche verità che potevo dirle in tutta sicurezza!

«So che la nostra conoscenza è davvero scarna, Rachel, ma credi a questo. Desidero solo il bene di tua figlia, …e il tuo, naturalmente» sospirai, allargando la mani dinanzi a lei, come a mostrarle che ero disarmato.

E innocuo.

Lei mi guardò come, settimane prima, aveva fatto Fay e, anche in quel caso, avvertii il tocco inesperto e inconsapevole della sua mente.

Non si rendeva conto di farlo, ma era potente, molto più della figlia. Non faceva specie che, in quegli anni, fosse sempre riuscita a cavarsela nonostante le avversità.

Con un dono simile, quanti pericoli aveva evitato?

«Ti credo. Non so bene perché, ma ti credo.»

Rise, quasi che l'idea stessa di fidarsi di un estraneo le sembrasse assurda, e io mi limitai a sorriderle.

«Avrai ovviamente capito che sono interessato a te come donna, oltre che al benessere di tua figlia. E' inutile girarci intorno» ammisi a quel punto, ammiccando comicamente.

«Ne avevo avuto il dubbio» asserì, sorridendo maliziosa.

«Spero non ti dia noia l'idea che io gironzoli qui intorno per conoscerti meglio» aggiunsi a quel punto, gesticolando per indicare il suo locale.

Rise ancora, stavolta imbarazzata come un'adolescente, e seppi di aver fatto centro.

Il pensiero che qualcuno potesse trovarla interessante come donna le piaceva, anche se la metteva un po' in ansia.

«Sono davvero tanti anni che un uomo non mi si avvicina... perché è attratto da me. Di solito, quando sanno che ho una figlia, defilano alla svelta.»

«Come vedi, io adoro tua figlia, perciò il problema non si pone. Non ti libererai della mia presenza, facendo leva su di lei» ironizzai, lanciando un'occhiata alla distesa colorata di gelati presenti nel banco frigo. «Posso averne un altro?»

Rachel scoppiò a ridere di gusto, ma annuì.

«Non ho mai visto una persona mangiare tanto gelato come te. Ma dove lo metti, poi?»

«Brucio molto» ghignai, levandomi in piedi per osservare meglio i gusti in vetrina.

In quel mentre, giunsero un paio di ragazzi, accompagnati dalle rispettive fidanzatine e, nello strizzare un occhio a Rachel, dissi: «Una cialda con una marea di crema chantilly, grazie.»

«Ti farai venire il mal di pancia» brontolò lei, pur accontentandomi.

«Mi cureresti?» le ribattei, affrettandomi a prendere i soldi per pagarla.

Lei non mi rispose, ma un sorrisetto arcuò le sue labbra morbide.

La salutai dopo aver pagato e, di buon passo, mi diressi verso casa di Rohnyn. Desideravo metterlo al corrente del mio dialogo con nostra madre, prima di tornare a Mag Mell per riprendere le mie ricerche.

 
***

Rohnyn mi fissò scettico, le braccia conserte sul torace e l'aria di chi non ne vuol sapere di ascoltare la verità.

Sheridan, d'altra parte, non sembrava più propensa di lui a credere.

E come darle torto, visto che era stata proprio Muath, con l'inganno, a convincere Stheta a rapire nostro fratello?

Le mani le corsero subito al grembo arrotondato e Rohnyn, a sua volta, le coprì con una delle sue, più grande e scura.

«Se vuoi farmi arrabbiare, Krilash, dillo subito e facciamo a botte. Ma non te ne uscire con frasi del genere, sperando che io ci caschi come un allocco, perché non attacca.»

«Che motivo avrei per dirti una bugia, fratello? E poi, non mi va di far vedere a tua moglie quanto sei debole.»

Nel dirlo, strizzai l'occhio a Sheridan, che accennò un sorriso.

«Non mi sembra che Muath fosse molto propensa ad accettare Sheridan come mia sposa, quando le parlai di lei. Le sue parole esatte, se non erro, furono 'non accetterò mai del sangue impuro nella mia casata! Neppure tra mille anni!'. Fai un po' tu, fratellone. Non mi pare ci siano molti modi in cui interpretare una risposta del genere.»

«Sì, lo so, lo so. Nostra madre, quando si esprime, è simile al passaggio di un branco di squali martello in mezzo a un nugolo di sardine» brontolai, passandomi le mani tra i capelli per l’esasperazione.

Difendere nostra madre di fronte a Rohnyn era davvero l’ultima cosa che mi sarei sognato di fare, ma non volevo mentire a mio fratello.

Specialmente dopo tutto l’odio e il dolore provati nel corso dei secoli, e proprio a causa dei nostri genitori.

Una parziale, parzialmente minima riabilitazione della figura di mia madre, ai suoi occhi, avrebbe potuto servire innanzitutto a curare il suo cuore.

Diversamente, non mi sarei mai permesso di sollevare l’argomento con lui.

Sheridan ridacchiò, esalando: «E' un esempio che non ho mai sentito prima ma, visto da dove provenite... mi piace l'idea, comunque. Pare calzante.»

«Se lo sapesse Muath, esploderebbe. Lei si ritiene un delfino stupendo» ironizzò Rohnyn, sarcastico non meno della moglie.

«E dai, ragazzi... un po' di apertura mentale. Lo so che sembra essere la parte cattiva di Terminator, ma mi è parsa davvero interessata a sapere come stavate. Il fatto stesso che abbia nominato il tuo nome, fratello, depone a suo favore, no?»

«Perché la stai difendendo, Krilash?» mi domandò a quel punto, fissandomi in cerca di spiegazioni.

Sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale del divano e, passandomi una mano tra i corti capelli castano rossicci, mormorai: «Non è del tutto insensibile, Rohnyn. Stava soffrendo. Alla sua maniera, ma stava soffrendo. Sai che sono in grado di percepirlo bene, ora.»

Lui annuì, ancora rigido in viso, ma non replicò.

A quel punto guardai Sheridan, e aggiunsi: «Mi ha chiesto se eri già diventata madre e, quando ha saputo che eri incinta, ha detto che vostro figlio sarebbe stato forte e sano. Perché ha sangue forte e sano. E parlava di entrambi.»

Mia cognata assentì, lanciando un'occhiata alle mani giunte sul suo grembo.

«Ti crediamo, Krilash. E' solo difficile da accettare.»

«I nostri genitori sono difficili, lehien, perciò non mi dici niente di nuovo, affermando che sono difficili da capire.»

Lei sorrise nel sentirmi usare quel vezzeggiativo.

Ormai, aveva imparato abbastanza bene il fomoriano per sapere che l'avevo appena chiamata 'cucciolina'.

«Stheta ne è al corrente? Di questa… conversione di mamma, intendo» mormorò Rohnyn, torcendo le labbra in un mezzo sorriso di scherno.

Non facevo fatica a comprendere la sua incredulità, ma ero ancora convinto che, sapere di questo particolare, lo avrebbe aiutato a chiudere i conti col passato.

«No, sono venuto direttamente qui. Sto facendo la spola, avanti e indietro, per mantenere la parola data a Rachel e Fay, così non ho mai molto tempo per fermarmi a palazzo.»

A quel punto, Rohnyn sorrise ghignante, e disse: «Ti sei proprio incapricciato di Rachel, a quanto pare.»

«Di entrambe, lo ammetto. Fay è adorabile, un vero folletto dei boschi, tutto magia e mistero, mentre Rachel... wow, Rachel è una vera tigre. Vedessi come difende a spada tratta la sua cucciola! Si illumina tutta.»

Sorrisi nel dirlo.

Non avevo mai avuto a che fare con donne e prole al seguito, perciò non avevo mai pensato di poter trovare la cosa interessante.

Eppure, Rachel era ammaliante, quando si infervorava per difendere la figlia.

Veniva voglia di abbracciarla, di farle capire che il mondo non era contro di lei, e che ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto a difenderla.

Rohnyn annuì e Sheridan, sorridendomi divertita, disse: «Fay mi ha promesso un ritratto del mio bambino, quando sarà nato. Ho visto alcuni suoi lavori, e ne sono rimasta davvero colpita.»

«Quella ragazzina ha qualcosa di speciale, è indubbio…» assentì a sua volta mio fratello. «… e sua madre la adora. Non posso dire di conoscere Rachel così bene, però so che è una donna in gamba.»

«Per lo meno, sai che non sono uscito di senno, pensando a lei.»

Rohnyn ghignò, prima di chiedermi: «Sei riuscito a scoprire qualcosa, nella tua cerca, a proposito?»

Sbuffando, scossi il capo.

«No, per ora è stata infruttuosa. Ma Stheta mi ha consigliato di curiosare nel Tesoro Reale. Lì, si trovano tutti gli oggetti delle famiglie che, nei secoli, si sono estinte e, forse, potrei trovare la risposta che cerco. Per ora, ho scandagliato più di duemila simboli. Un autentico inferno.»

Rohnyn sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, e io sospirai.

Sì, mi davo da solo dello strambo. Non era da me lanciarmi in simili ricerche.

Ero più un tipo da azione diretta, non certo propenso alla strategia preventiva.

Forse, se lo fossi stato, non sarei caduto in quella trappola, tanti secoli addietro, e …

Sfiorando l’addome con una mano, dove la cicatrice mi ricordava in ogni momento la mia superficialità, scacciai quei pensieri e tornai all’oggetto del contendere.

Rohnyn mi lanciò un’occhiata significativa, e io gli sorrisi, annuendo distrattamente. Sapevo che, se  mai avessi voluto parlarne con lui, avrei potuto farlo.

Ma non era davvero il momento.

Mio fratello, allora, per stemperare la tensione che stavo accumulando, celiò: «Quella donna ti interessa davvero. Lo dimostra il fatto che non ti sei proposto a lei con il tuo dubbio fascino per portartela a letto.»

Gli mostrai il dito medio, a quel commento, ma lui non smise di parlare.

«Hai fatto amicizia con sua figlia e le hai offerto la tua protezione. E ora cerchi di scoprire chi è, e se ha legami con il nostro mondo. Il tutto senza mai averla baciata, giusto? Mi sorprendi, fratello. Davvero.”

Quello che aveva esposto non era altro che la semplice verità.

In qualsiasi altro caso, non avrei badato ai particolari, mi sarei lanciato in una corte spietata per ottenere quello che desideravo.

Una volta ottenutolo, mi sarei defilato con gran classe, senza lasciar scontenta la mia amante di turno.

Ma con Rachel, non volevo farlo.

Mi interessava davvero conoscerla, sapere ogni cosa di lei, così come volevo prendermi cura di sua figlia, saperla protetta e al sicuro.

Pensare che fossi io a volerlo, era di per sé un paradosso.

Mi alzai, stirandomi i pantaloni con le mani e, con un mezzo sorriso, dichiarai: «Direi che il tuo fratellone è maturato un po'. Che dici?»

«Penso di sì.»

Sorrise, levandosi a sua volta per stringermi la mano e, quando uscii dal loro appartamento, decisi di recarmi in centro per un'ultima passeggiata, prima di rientrare a Mag Mell.

L'aria era salubre, curiosamente priva di umidità, e le strade profumavano di cibo, birra e persone allegre.

Mi infilai in quel cacofonico via vai, camminando lentamente, le mani in tasca e l'aria tranquilla.

Sorrisi a un paio di donne che, gaudenti, mi passarono accanto con i loro corpi sinuosi e i loro profumi dolciastri, ma non ritenni saggio seguirle.

Avrebbero sicuramente riscaldato la mia serata, ma non era questo che volevo.

No, c'era ben altro, nella mia mente.

Fu per questo che, senza neppure accorgermene, mi ritrovai dinanzi alla vetrina chiusa della gelateria di Rachel.

Tutto era spento, pur se potevo intravedere la sagoma dei tavolini all'interno.

Levai il capo, chiedendomi se stessero cenando, o se avessero già iniziato a prepararsi per la notte.

Fu il trambusto improvviso che avvertii nel vicolo vicino, a insospettirmi.

Era lì che Rachel aveva l'entrata di casa, oltre che la porta su retro del negozio, dove sistemava gli ingredienti per i suoi gelati.

Accigliandomi, mi scostai lentamente verso l'angolo del palazzo e, attento, sbirciai oltre il limitare del muro.

Quel che vidi mi fece scattare d'istinto, ponendomi nella condizione di sfoderare il mio lato guerriero senza stare tanto a pensarci.

Senza annunciarmi, scaricai un destro sull'uomo che teneva Fay su una spalla, apparentemente addormentata.

Questo, neppure si accorse dell'arrivo del montante e, non più trattenendo la ragazzina, crollò a terra privo di sensi.

Fui lesto a prendere Fay al volo e, torvo in viso, osservai un altro uomo – che aveva tenuto aperta la porta scassinata – domandando gelido: «Vuoi che conceda anche a te lo stesso trattamento?»

Saggiamente, il tizio scosse il capo e, nel trascinare via il compagno, si allontanò verso il fondo del vicolo.

«Dite a colui che vi manda che queste due donne non sono più sole!» esclamai, rabbioso come poche altre volte ero stato.

Ciò detto, penetrai all'interno dell'abitato e, posta una mano sulla maniglia, ne cambiai la struttura molecolare, così che nessun altro potesse divellere il blocco chiave.

In fretta, risalii le scale che conducevano al piano superiore e lì, frastornato quanto sconvolto, vidi Rachel stesa a terra, una tumefazione al volto e il labbro spaccato e sanguinante.

Lesto, deposi Fay su un divano in stoffa fiorata, dopodiché sollevai lentamente Rachel da terra.

Lei si lagnò, confermandomi che era viva, e io tirai un sospiro di sollievo che mi fece dolere ogni parte del corpo.

Quanto ero stato teso, all’idea che lei fosse stata morta?

Preferii non pensarci.

«Ma cosa...» gracchiò debolmente lei, sgranando gli occhi un attimo dopo.

Avvertendo la pressione delle mie mani sul corpo, si agitò subito e cercò di scacciarmi.

“Rachel! Rachel! Sono Kris! Calmati! Va tutto bene!” le urlai, cercando di frenare il suo convulso tentativo di allontanarmi da sé.

Finalmente mi mise a fuoco, smettendo di scalciare e tirare schiaffi e, sgomenta, esalò: «Fay... loro hanno...»

Le sorrisi comprensivo e, nello scostare lo sguardo dal suo viso, mormorai: «E' lì sul divano, sana e salva.»

Rachel allora seguì il mio sguardo, sgranò gli occhi e tremò tra le mie braccia.

Lente e calde, le lacrime sgorgarono dai suoi occhi e, senza poterle fermare, lasciò che dilavassero il suo viso pallido.

«Rachel... cos'è successo?»

Ma lei non mi ascoltò.

Si allontanò dalla mia stretta leggera e, gatton gattoni, si avvicinò alla figlia, mormorando più e più volte il suo nome.

Le carezzò i capelli scompigliati, si assicurò che non fosse ferita e, quando si rese conto di averla ancora al suo fianco, esplose in un pianto dirotto e sofferente.

Fu allora che mi avvicinai a lei e, gentilmente, la sollevai da terra per stringerla in un abbraccio.

Mi lasciò fare, stringendosi  a me fin quasi a farmi male.

«Non ho potuto trattenerli. Mi hanno colta di sorpresa, e io... io...»

«Ssst, basta. Non potevi fare nulla. Rachel, Fay è qui. Non l'hanno portata via.»

La cullai come meglio mi riuscì di fare, in modo goffo, non avvezzo a simili esternazioni d’affetto, ma cercai di farlo il più sentitamente possibile.

Le chiesi dove fosse il bagno e, dopo averla condotta lì, la feci sedere sul bordo della vasca.

In fretta, bagnai una salvietta profumata di lavanda e la poggiai con delicatezza sul labbro spaccato.

Lei inspirò con forza, ma non si scostò.

Curiosai nel mobile da bagno, trovando acqua ossigenata e antidolorifico.

Con meticolosa attenzione, e fin troppa abitudine nel farlo, le curai il labbro e applicai la crema sul livido in prossimità dello zigomo.

Rachel rimase ferma per tutto il tempo, gli occhi enormi e spauriti, e io desiderai  con tutto me stesso di aver ucciso quegli uomini.

Come avevano potuto farle questo? Far loro questo?

«Li mandava la famiglia di tuo marito?» le domandai dopo un tempo indefinito.

Eravamo tornati in salotto, dopo quell'improvvisato primo soccorso.

Ora mi trovavo ai piedi del divano, lo sguardo a terra e gli avambracci posati sulle ginocchia ripiegate.

Fremevo di rabbia a stento trattenuta. Avrei voluto spaccare volentieri la faccia a qualcuno, se solo avessi potuto.

Non era la stessa cosa, non ero in battaglia, eppure…

Quell’attacco proditorio, quell’agire nell’ombra, con mille sotterfugi…

Come potevo non ripensare a ciò che era successo a me?

«Mi vengono in mente solo loro. Non hanno rubato nulla. Sono entrati dabbasso, mi hanno presa alle spalle e hanno dato del narcotico a lei» mi spiegò a mezza voce, tamponandosi lo zigomo con del ghiaccio.

Era scarmigliata, con i capelli in disordine e gli abiti stazzonati, eppure era ugualmente bellissima. E ferita.

Quasi esplosi in un'imprecazione rabbiosa, ma mi trattenni per non spaventarla.

Non aveva davvero bisogno di vedermi al mio peggio, soprattutto in quel momento.

«Rimarrò qui, stanotte. Tu vai a riposare. Veglierò su di voi.»

Lo dissi con calma, come un dato di fatto, e a ogni modo non sarei riuscito a chiudere occhio, a quel punto.

Tanto valeva che usassi al meglio la mia veglia, visto che i miei pensieri continuavano a tornare a Fay, e alla mia battaglia contro i Tuatha.

Pareva un mulinello senza fine, in cui il viso della ragazzina si inframmezzava a quello dei miei uomini, in un cerchio infinito e doloroso.

Rachel mi guardò turbata, non sapendo bene cosa dirmi.

Alla fine, però, mormorò: «La porta sarà rotta e...»

«Non preoccuparti della porta. Per stanotte, reggerà.»

Mi levai in piedi e, con delicatezza estrema, presi tra le braccia Fay, che sorrise nel sonno, poggiando il capo contro la mia spalla.

Sorrisi spontaneamente, stringendola un po' più a me, riscaldato dalla sua fiducia incondizionata.

Per diretta conseguenza, la sua mano si aggrappò alla mia camicia.

Sua madre mi guardò confusa, dicendomi: «Sembra che si fidi di te anche nel sonno.»

«Sa che non le farei mai del male» mormorai sommessamente, scrutando con un sorriso affettuoso quel visetto acqua e sapone.

«Evidentemente, sì» assentì, indirizzandomi verso le loro stanze. «L'hai salvata... ci hai salvate

«Avrei preferito arrivare prima. Evitarti questo dolore. Questa paura.»

Lo dissi con sincerità, e lei non lo trovò stucchevole o prevedibile.

Mi sorrise e basta, indicandomi di stendere Fay sul suo letto matrimoniale.

Non feci caso alla camera, a nulla in realtà.

Pensai solo a deporla con delicatezza, sistemandole le lenzuola sul corpo addormentato.

Rachel a quel punto oltrepassò il letto, mi prese la mano con cui avevo colpito uno dei rapitori e mi domandò: «Sei sicuro di volerlo fare?»

Assentii, desiderando soltanto farla pagare a chi le aveva fatto del male.

Le carezzai il viso con il dorso della mano, leggero come una piuma, e mi scostai da lei.

Nell’uscire, le sorrisi a mezzo e mormorai: «Chiudi la porta a chiave. Ti sentirai più tranquilla.»

Annuì, e io uscii per tornarmene in salotto.

Un attimo dopo, sentii la chiave girare nella toppa.

«Molto bene. E ora, provate solo ad avvicinarvi, e giuro che non sarò altrettanto gentile» ringhiai a bassa voce per poi sistemarmi, al buio, nei pressi della finestra che dava sul vicolo.

Noi fomoriani non abbiamo problemi con le veglie prolungate.

Il nostro addestramento ci impone di imparare a resistere a qualsiasi tipo di inconveniente, mancanza di sonno compresa.

Resistere un'intera notte senza dormire, sarebbe stata una bazzecola, per me.

A maggior ragione perché, nella stanza accanto, si trovavano due donne a cui tenevo molto.

Inoltre, i miei incubi tenevano ben lontano il sonno, così come i flash di immagini riguardanti il viso addormentato di Fay.

Se le avessero fatto del male… dubitai fortemente che ne avrei lasciato anche solo uno in vita.

Le mani conserte dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate, ristetti in quella posizione per diverse ore, senza mai scostarmi.

Gli occhi sondarono attenti tutto il circondario, vagliando qualsiasi tipo di rumore, di ombra, di movimento sospetto.

Le orecchie ritte e i sensi in allerta, non lasciai correre nessun rumore, nessun fruscio, vagliando tutto come se mi fossi trovato sul campo di battaglia.

Nessuno si sarebbe avvicinato a loro. Non quella notte, almeno.

L'alba venne senza particolari disagi e, quando la chiave venne nuovamente girata nella toppa, io continuai a rimanere di guardia.

Rachel uscì dalla stanza - la scorsi nel riflesso della finestra - e sorrisi appena nel vederla con i capelli arruffati e l'aria sonnolenta.

Mi volsi solo in quel momento, e le lanciai un'occhiata rassicurante.

Lei guardò me, il divano intonso e, lentamente, sgranò gli occhi, rendendosi conto della verità.

«Ma cosa... sei stato alzato tutta la notte?!»

Nella sua voce, lo sconcerto era totale.

«Sono un soldato. Ci sono abituato» replicai, volgendomi completamente per poi poggiare le mani sul davanzale della finestra. «Non ci sono stati movimenti anomali, comunque.»

Rachel si passò le mani sul viso, ancora frastornata.

Non poté comunque dire nulla perché Faélán, uscendo quasi di corsa dalla stanza, si gettò verso di me per abbracciarmi.

«Ciao, Kris! Che bello vederti! Allora è vero che sei rimasto!»

Risi sommessamente, sommerso dal suo profumo di ibisco e agrumi e dal suo calore di fanciulla.

La strinsi in un rapido abbraccio, prima di carezzarle il capo di riccioli scomposti.

Vagamente timoroso, le domandai: «La mamma ti ha spiegato cos'è successo?»

Adombrandosi in viso, Fay annuì, volendosi a mezzo per scrutare Rachel.

Il livido sul viso era ancora evidente ma, per lo meno, non era gonfio. Il labbro, invece, era tumefatto, e immaginai dovesse farle piuttosto male.

Ancora fremetti, e Fay se ne rese conto subito.

Mi afferrò le braccia con le mani, dicendomi ansiosa: «Non devi arrabbiarti. Sono andati via, no?»

Tentai di tenere a freno i miei istinti omicidi, limitandomi a sorriderle. Non volevo turbarla ulteriormente.

«Certo, sono andati via. Ma hanno fatto male a tua madre, e cercato di rapire te. Non è una cosa onorevole, e questo genere di comportamenti mi mandano in bestia.»

Fay tornò ad abbracciarmi, e la mia ansia scemò.

Era questo che stava provando Rohnyn, in attesa che suo figlio nascesse? Questo calore, questo desiderio di protezione?

«Grazie per averci difese. Tu ti sei fatto male?» si informò, levando il visino tutto lentiggini per scrutarmi seriosa.

«Li ho colti di sorpresa. Penso non si aspettassero la cavalleria» ironizzai, strizzandole l'occhio.

«Preparo la colazione» intervenne a quel punto Rachel, avviandosi verso il cucinotto con passo strascicato.

Il suo tono mi mise subito in allarme e, scusandomi con Fay, raggiunsi immediatamente sua madre per chiarire un paio di punti.

Lei mi guardò tutta sorridente, annuendo, e mi promise di non entrare in cucina.

Doveva aver capito anche lei, dal tono della madre, che qualcosa non le era piaciuto per nulla, in quello che era successo.

E, di sicuro, non riguardava i due energumeni che avevo scacciato la sera precedente.

Dopo essermi sincerato di aver chiuso la porta alle mie spalle, domandai senza mezzi termini a Rachel quale fosse il problema.

«Perché sei arrabbiata?»

«Non sono...» iniziò col dire lei prima di bloccarsi, guardarmi astiosa e infine ammettere: «Oooh, sì che sono arrabbiata, invece. Tu arrivi qui, e ti ringrazio per averlo fatto, ma ti comporti come l'uomo perfetto nel momento perfetto, ed è chiaro che Fay ti venera. Per lei, sei come il cavaliere dall'armatura scintillante, e dio sa se ieri notte non lo sei stato davvero! Ma non posso pensare che tu, da un momento all'altro, possa abbandonarla perché ti sei stancato della situazione, o di me, e... e...»

La bloccai, poggiando le mani sulle sue spalle tremanti e, scuotendola appena, replicai: «Prendi fiato, Rachel, perché stai diventando verde.»

Attesi che si fosse calmata e, con un mezzo sorriso, aggiunsi: «Mi sembra di averti detto che sono interessato a conoscerti. Ma se anche il mio interesse per te non andasse in porto, o non ci trovassimo vicendevolmente compatibili, questo non vorrebbe dire che io abbandonerei Fay. Lei è mia amica.»

«Ha quattordici anni e tu... tu... diavolo, neanche so chi sei! So solo che sei fratello di Ronan, e basta!»

Ancora quell'atavica paura di fidarsi, di lasciarmi avvicinare.

Con calma, mi accomodai su una sedia e, senza particolare premura, le sistemai sul tavolo i miei documenti.

Sapevo che erano falsi, ma sarebbero serviti a darle fiducia.

«Ho trentatré anni, anche se non si direbbe, sono del Sagittario, attualmente sono in congedo temporaneo, ma sono stato impegnato su più fronti come soldato di fanteria.»

Una mezza verità, ma era effettivamente il mio ruolo, nell'esercito fomoriano.

Rachel si accomodò, più calma, e annuì.

«Come sai, Ronan O'Sea è mio fratello maggiore, e Sheridan mia cognata.»

La cosa, in sé, mi fece sorridere. Non avevamo potuto fare altrimenti, visto il  tempo che Rohnyn aveva passato sulla terraferma.

Il suo invecchiamento era parso palese, perciò avevamo invertito i ruoli e lui, magicamente, era diventato il mio fratellone, per la legge umana.

Proseguii, perciò, con la storia che ci eravamo costruiti ad arte.

«Risiedo da lui, al momento, ma sto pensando di prendermi qualcosa qui a Dublino, finché non verrò riassegnato. Mi piace il tuo gelato, come ben sai, amo il mare e sono un eccellente nuotatore. Me la so cavare con le barche, e non c'è specie marina che io non conosca.»

Le sorrisi appena, continuando il mio monologo.

«Detesto le mele cotte, il cavolo lesso e la barbabietola. Vado matto per i broccoli e per il cibo giapponese. Parlo correntemente italiano, francese, giapponese e russo. Non sono un gran lettore ma, se una cosa mi interessa, mi ci butto a capofitto.»

Nel dirlo, ammiccai al suo indirizzo, e lei ridacchiò. Si era calmata un po'.

«Vuoi sapere altro?»

«Scusami. Sono stata davvero cafona. Tu ci salvi, e questo è il mio ringraziamento» mormorò a quel punto Rachel, sospirando nel passarsi le mani tra i capelli in disordine.

«Sei stressata, spaventata per quello che è successo ieri notte e, giustamente, hai dei dubbi su una persona che conosci da poco. Penso sia del tutto normale. Per questo, voglio prestarmi a un gioco con te. Dieci domande ciascuno, va bene? Così ci conosceremo meglio» le proposi, ammiccando divertito. «E, visto che Fay mi ha detto che hai un istinto particolare a captare la verità, non avrai difficoltà a sapere se ti ho mentito o meno.»

Ci pensò su, sorridendo divertita dal mio appunto in merito alle sue abilità, ma alla fine annuì.

Faélán ci trovò ghignanti e allegri, quando si arrischiò a entrare in cucina.

Si accomodò al tavolo con un gran sorrisone in viso e, curiosa, domandò alla madre: «Perché ridete così?»

«Kris mi ha appena detto di essere terrorizzato dai granchi. Ma ti pare possibile?» esalò Rachel, guardandomi con occhi pieni di gratitudine.

La paura c'era ancora, sedimentata nel profondo, ma sapevo che, quel comportarmi da burlone, l'aveva chetata un poco.
Fay, come prevedibile, scoppiò a ridere e io stetti al gioco.

Misi un falso broncio, guardandole entrambe con espressione risentita, e borbottai: «Non si ride delle disgrazie altrui. Uno mi ha quasi mozzato un dito, tempo fa. Ho le mie ragioni per detestarli.»

Risero ancora più forte, e io mi rasserenai. Era bello vederle così tranquille.

Quanto sarebbe durato, però?

 
***

Strali di ghiaccio si abbatterono sulla parete di roccia contro cui stavo lottando, lei incolpevole vittima della mia ira.

Una dopo l’altra, le mie lance ghiacciate si scontrarono con ferocia contro la solida materia rocciosa, che stava già riportando i primi danni.

Non contento, cambiai tattica e, concentrandomi sulla struttura molecolare della parete, ne spezzai i legami uno alla volta.

Sempre più veloce, sempre più distruttivo.

I primi ciottoli iniziarono a cadere finché, di colpo, in un’esplosione assordante, tutto si sbriciolò dinanzi a me.

Ansante e per nulla pacificato, crollai ginocchia a terra, le mani tremanti sulle cosce e lo sguardo calato, contrito.

Quanto ancora avrei potuto andare avanti, lasciandomi divorare dai sensi di colpa, dall’odio per me stesso?

Quelle morti, quei corpi… quel sangue.

«Vostra Altezza… dovremmo rientrare. Si avvicina il coprifuoco» mormorò a poca distanza il mio accompagnatore.

Mi volsi a mezzo, scrutando il volto antico e saggio di uno dei soldati che erano stati con me, quel giorno, a Dún Aonghasa.

Quando il mio corpo, o il mio spirito, agognavano a lasciarsi andare, a sfogare ciò che tenevo dentro come un segreto inconfessabile, erano loro ad accompagnarmi.

Coloro che avevano visto, che sapevano.

Sorrisi a mezzo, rialzandomi a fatica e, nell’osservare le macerie dinanzi a me, mormorai: «Ridimmelo, Syrath. Il mio dono non è orrendo

«Il vostro dono ci ha salvati tutti, e nessuno potrebbe ritenervi responsabile di atrocità, per ciò che è avvenuto ai nostri nemici» mormorò con convinzione, lo sguardo fiero e sicuro di sé.

Duecentotredici uomini. Avevo ricondotto a casa, alle loro mogli, sorelle e madri, duecentotredici uomini.

Ma non bastava a rendermi fiero, a cancellare il modo in cui ero riuscito in quell’impresa.

Quel ricordo divorava ogni cosa, anche la gioia per averli salvati.

Syrath, allora, fece una cosa che ben pochi fomoriani avrebbero fatto e, sorridendo appena, mi diede una pacca sulla spalla.

«Ripensare a loro non li farà tornare in vita, né servirà a voi per vivere meglio. Lasciateli andare, Altezza. Eravamo in guerra, e il vostro dono ci ha salvati tutti

Guardai quella mano scabra, su cui spiccava il marchio a forma di uncino della famiglia di Syrath, i mac Lainn, e mormorai: «Tua moglie non mi ha odiato a morte, quando ti hanno riportato da lei senza un graffio?»

Syrath si permise un risolino divertito – lì, in quella solitudine volontaria, nessuno l’avrebbe visto e criticato – e replicò: «Deporrebbe corone d’oro a ogni vostro passo, Altezza, anche se a volte ci prendiamo per i capelli come due nemici in lotta.»

Sorrisi appena.

Tornando serio, il soldato aggiunse: «Siete un valente guerriero, Altezza, grazie a voi e al vostro dono, vostro padre il Re ha potuto detenere in gloria il suo regno per diversi millenni. Quel giorno, a Dún Aonghasa, avete agito per il meglio. Non dubitatene mai

Volli credergli con tutte le mie forze e, quando sfiorai la ferita sul mio addome, non vidi sangue o morte.

Scorsi le lacrime di Rachel, lacrime di gioia perché la figlia non le era stata portata via. E il sorriso di Fay, la mattina seguente, quando mi aveva ringraziato.

Forse, se non avessi fatto ciò che avevo fatto a Dún Aonghasa, non avrei mai potuto vederle, conoscerle, sapere che poteva esservi scampo dai miei incubi.

Dai miei rimorsi.







Note: Capitolo piuttosto lungo, questo, ma necessario per spiegare meglio il rapporto sempre più profondo tra i protagonisti, unito agli incubi di Krilash e ai suoi sensi di colpa che, grazie a Rachel e Fay, stanno pian piano scemando.
Parlerò anche più avanti della battaglia che tanto angustia Krilash, perciò non rimarrà argomento inevaso, tranquille. Verrà spiegata ogni cosa. Per ora, grazie per essere giunte fin qui assieme a me.
  
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