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Autore: Elisium    08/08/2015    1 recensioni
Renesmee Miller vive una vita piuttosto semplice, questo finchè un pomeriggio non trova un diario di più di 15 anni fa. A chi appartiene? Una storia d'amore dissolta nel tempo che merita di trovare una soluzione. Riuscirà Nes a trovare tutti i pezzi del puzzle? E cosa accadrà quando passato e presente si scontreranno?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Renesmee Cullen | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Aveva le dita congelate e il ticchettio assordante della pioggia non sembrava voler diminuire.
Aveva corso per tutto il quartiere finche non si era paralizzata come uno stoccafisso davanti alla familiare
insegna al neon il cui la lettera C era sempre perennemente spenta.

Questo faceva sembrare il nome dei Black,  Blak una specie di verso disgustato, da piccola non perdeva mai l’occasione di prendere in giro il suo amico.

Ora quella barzelletta la intimidiva.

Stava giusto contemplando l’idea di restare li a bagnarsi come un idiota quando il suo torturatore personale
apparve sulla soglia.

Si sentiva come intontita, lo fissava senza sentire nient’altro, perfino la pioggia sembrava cessata; in
sottofondo c’era il nulla più totale, ma si accorse subito che non era una cosa da persone sane di mente vedere
la bocca di qualcuno muoversi senza però percepire alcun suono.

Si riscosse solo quando si ritrovò all’asciutto, seduta su quella che doveva essere una motocicletta.

«Ma si può sapere che hai nel cervello, Miller? Stavi per prenderti una polmonite! Ti sembra normale farti una
passeggiatina sotto sei litri d’acqua piovana? No ma dimmi tu!» continuava a sproloquiare da solo andando avanti e indietro per l’officina.

«Che ti importa?» aveva bofonchiato stringendosi nell’impermeabile viscido e freddo.

Lui non aveva risposto ma le si era avvicinato e aveva preso a sbottonarle il cappotto, cosa che la incendiò, ma
non cedette comunque al desiderio di alzare lo sguardo.

Quando lo ebbe sbottonato tutto passo lentamente le mani sulle sue spalle in una dolce e calda carezza.

Le sue guance avevano assunto lo stesso colore dell’estintore appeso lì vicino. Inghiottirono entrambi a vuoto
nello stesso momento mentre sembravano appartenere alla stessa bolla di calore.

Una mano percorse, sempre delicatamente il suo braccio fino a sfiorarle il polso e sfilargli l’impermeabile, ripetè il procedimento anche con l’altro sempre nell’assoluto silenzio.

Lei non sapeva che dire, era sempre stata un tipo vivace che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno in nessun tipo di situazione, ma quando si toccava quell ’’altro’’ tipo di situazione, diventava di una timidezza a
dir poco penosa.

Mentre vagliava i modi più rapidi e indolori per sparire da lì, si sentì avvolgere da un ammasso di stoffa  caldo e profumato.

«Nes… mi… mi guardi…. per favore?»

Alzò lo sguardo molto lentamente, come se avesse avuto davanti una specie di mostro o assassino, conscia che
quelli sarebbero potuti essere i suoi ultimi secondi di vita.

Ma quando lo alzò del tutto non trovò nessun pugnale teso stile Psyco ne bocche assassine dai denti affilati come in Alien… trovò solo gli occhi più belli che avesse mai visto, e per una volta decise di perdercisi dentro.

Quando però uscì dal labirinto si accorse di quanto patetica fosse.

«Sono stata una stronza, ti ho escluso. E forse non dovevo farlo e… e accontentati perché questo è quanto di più vicino a un mi dispiace avrai dalla sottoscritta!» disse con mento sempre alzato, anche se era seduta su una moto era comunque più bassa di lui, ma questo non la intimidiva.

Lui fece un piccolo sorriso che la scaldò da dentro.


«Mi va bene…. e si… sei stata una stronza, e anche una cretina»

«Ehi ehi non farmene pentire!»

«Anzi no un’idiota…»

«Blak!» lui rise al posto di prendersela come faceva sempre.

«Solo un’idiota come te mi chiederebbe che me ne importa… è ovvio che mi preoccupo per te… senza di me
saresti capace di ucciderti anche con un cuscino, imbranata»

«Sai, hai davvero uno strano modo di chiedere scusa, ma ti perdono tranquillo.» aveva masticato offesa sotto
la sua risata.
L’avrebbe preferibilmente strozzato con quel cuscino!

Si era fatto sempre più vicino, si accorse che il suo naso lo stava sfiorando troppo tardi

«Ma hai almeno sentito quello che ti ho detto?»

«Tu dici un sacco di cose Black…» aveva sussurrato senza fiato, ma non aveva potuto continuare perché le sue
labbra l’avevano fermata, anche se non si poteva dire del tutto dispiaciuta dell’interruzione, quel gesto la
sconvolse bloccandola.

Segnale che fu recepito nel modo sbagliato.

Jacob si staccò subito rosso d’umiliazione, e si diresse verso il tavolo degli attrezzi a cercare qualcosa di apparentemente invisibile.

«J-jake»

«Dimentica tutto ok? Ho sbagliato»

«Jacob» sussurrò mentre si dirigeva verso la sua schiena

«Cazzo, ho combinato un casino, adesso non mi parlerai mai più io…»

Stavolta però fu lei a interromperlo, e si premurò di continuare a farlo ancora per molto tempo, fino a quando entrambi non ebbero più fiato.

Poi, mentre se ne stava beatamente appollaiata su di lui scoppiò improvvisamente a ridere.

«Sai, Black.. questa non te la perdonerò così facilmente… il mio primo bacio sotto la pioggia con lui che le da la
sua felpa per coprirsi…. Dio potrebbe anche venirmi il diabete lo sai?»

Animato nuovamente dal sollievo si lasciò scappare una risatina anche lui e sussurrando un

«Va al diavolo Nes»

Ripresero ad interrompersi.



Innumerevoli interruzioni dopo adocchiò l’orologio con sguardo speranzoso, gli afferrò la mano, cosa che lo fece arrossire spudoratamente, e si diresse fuori sotto la pioggia ormai quasi placata.

«Vieni, devo controllare una  cosa»

«Che diavolo hai combinato Nes?»

«Facciamo che ti racconto strada facendo»

                                   

                                        ………………………………………………………………………………………………..


Isabella fissò sconcertata l’uomo che le sedeva esageratamente vicino, il realizzare chi potesse essere e il
cercare la maniglia dello sportello furono un tutt’uno.

Spinse la portiera con mani febbrili ma era sigillata.

«Che razza di pagliacciata è questa? E chi diavolo è lei?» si ostinò a dire

Edward era rimasto zitto per tutto il tempo mentre lei cercava di “evadere”. Attento ad ogni suo gesto mentre
il suo cervello lavorava alacremente confrontando ricordo e realtà.

Quella ragazza non era di certo la sua Bells, era più matura e aveva una scintilla di determinazione che le
bruciava nelle iridi, ma c’era un non so che in tutta la sua figura che emanava un’idea viva di fragilità e
semplicità, le stesse che lo avevano fatto innamorare.

Non sapeva che dire, tutta la sua abile parlantina da avvocato del diavolo era evaporata davanti a lei. Non
sapeva neanche se era il caso di darle del ‘lei’ e fingere di non averla mai conosciuta.

Si schiarì la voce una decina di volte.

«I-io… sono Edward»

Davvero geniale, la miglior frase di presentazione di sempre, complimenti davvero, idiota!

«Ehm… volevo …volevo dire…. Edward Cullen, è…è passato molto tempo vero?»

Dio santo, posso prendere a testate il finestrino fino a svenire, per favore?

Lei non disse nulla, continuava a studiarlo in ogni piccolezza e appena riscontrava un cambiamento nuovo le sue iridi venivano leggermente scosse per poi ricominciare il loro lavoro, mentre lui si sentiva bruciare.

«Non… non hai niente da dirmi?»

«Niente di vagamente educato, mi dispiace» disse seria

«Hai… hai ragione. Dovrei dirti tante di quelle cose, cose che nemmeno vorrai ascoltare probabilmente. Ma io devo farlo»

Prese un enorme respiro e iniziò a raccontare tutto quello che gli era successo senza fermarsi un attimo,
spaventato dall’idea di poter perdere il filo.

Lei lo ascoltava apparentemente impassibile, mentre cercava di resistere all’impulso di mettersi a piangere e
urlare istericamente come una appena scappata dal manicomio.

Si sentiva tanto in una specie di incubo, era stra sicura che domani si sarebbe svegliata con il mal di schiena per la notte passata sulla sedia della sua scomoda cattedra, immersa tra i fogli e i compiti in classe.

Alla fine del suo racconto, tutto ciò che seguì fu altro silenzio.

«Ti prego, dì qualcosa, qualsiasi cosa» aveva farfugliato in preda al panico

«E perché sei qui adesso?»

«Sai, se un mese fa mi avessero detto che ti avrei rivisto sarei scoppiato a ridere, e per quanto avrei voluto
farlo non avrei mai trovato il coraggio di venire fin qui… ero troppo spaventato… da te, dall’immagine di te con
qualcun altro… felice.. m-magari con dei figli. Ma poi… poi è arrivata quella mocciosetta, Reneesme..»

«C-cosa c’entra lei in tutto questo?»

«Non capisco… non ti ha…. Lei, lei ha trovato il tuo diario»

Divenne pallida per un istante infinito per poi assumere tutti i colori possibili e immaginabili, ma non  accennava comunque ad emettere una parola.

«Ha fatto questa specie di caccia all’uomo, e me la sono ritrovata davanti… e mi ha dato questo» disse stringendo il carillon

«Quel giorno non sei venuta all’appuntamento, ma…. Io volevo restituirtelo, ti appartiene… è tuo… così come lo
sono io»

Lo prese in mano tramante mentre gli occhi le si facevano lucidi, le scappò qualche lacrima riascoltando la canzone, poi le sue dita sfiorarono l’incisione di metallo ed ebbe quasi un sussulto.

«Ti… ti ricordi? Quella sera ero così nervoso…. Non volevo farti pressione, ne allontanarti da me, e avevo
preparato tutto al minimo dettaglio, sai ora mi vergogno un po’ ad ammetterlo, ma quella sera non misi la tua canzone preferita in modo del tutto casuale ecco…. Da quando avevo scoperto che eravamo vicini di casa ti guardavo spesso, e canticchiavi sempre quella canzoncina.  Dio non sai cosa ho fatto per riuscire a trovarla: è praticamente sconosciuta! E mi sono detto… mi sono detto che era speciale, come te… e andava usata in un momento speciale…»

Fu interrotto da un violento singhiozzo

«Perchè non sei più tornato, se mi ami tanto come dici…dove sei stato in questi diciotto anni!?»

«L’ho fatto, sono tornato, a Natale…. E tu…tu eri con quel coglione!»

«Di che stai parlando?»

«Quell’idiota biondo! Ti abbracciava e ti baciava!»

«James e io eravamo e siamo solo amici…»

«Per lui non sei mai stata un’amica, pensi che fossi cieco quel giorno al luna park? Ti stava spogliando con gli
occhi!»

«Beh, lui è un amico per me! L’ho respinto quella sera! Ma se tu avessi avuto le palle di venirmi a sputare in
faccia tutto il tuo odio, come stai ingiustamente facendo adesso forse noi saremmo gia…» si fermò di colpo chiudendo le palpebre e sospirando.

Avrebbe voluto mettersi in ginocchio e ricoprirla di baci, smettere di litigare e dire “ok adesso però sposami e
vivi il resto della tua vita con me se riesci a sopportare la grandissima testa di cazzo che sono”



Perche tutti i litigi si dovevano per forza risolvere parlando, perché nessuno voleva mai dimenticare e andare avanti?

«Come puoi averlo respinto se lo hai invitato a passare il Natale dai tuoi! Come?!» sfortunatamente la sua bocca procedeva su un binario diverso rispetto al cervello

«Era solo, i suoi genitori partivano per Boston ed eravamo finiti alla stessa facoltà quindi uscivamo insieme
qualche volta, volevo solo essere gentile e gli ho fatto subito capire che non mi interessava quando si è fatto avanti! Ma tu questo non puoi saperlo perché te ne sei andato! Hai deciso per tutti e due hai preso la tua roba
e te la sei data a gambe come un fottuto coniglio!»

«Eri minorenne, dovevi finire il liceo! Cosa  avrei dovuto dirti? “Prendi la tua roba, si va a fare una gita in
Illinois, vivremo lì come una perfetta famiglia felice, e tu dovrai lavorare per pagare l’affitto di uno squallido
monolocale senza poter finire i tuoi studi”. Scusami se non volevo rovinarti la vita!»

«Potevi parlarmene, potevi rendermi partecipe dei tuoi problemi al posto di darmi addosso per ogni minima
cosa!»

« Hai ragione, scusa se non ho minimamente pensato a spiattellarti tutto il colossale casino che è la mia
famiglia, che grave mancanza!»

«Lo dici come se dicendolo a me avresti dovuto dirlo ad un estranea» disse delusa

«Io… sai che non mi piace parlare di loro»

«Avrei potuto aiutarti, sostenerti, e tu avresti potuto farmi capire perché eri sempre così maledettamente incazzato col mondo… in un rapporto dovrebbe esserci fiducia Edward, e tu in me non ne hai avuta»

Le lacrime le scendevano ormai copiose su tutto il viso mentre gli occhi arrossati facevano fatica a metterlo a
fuoco ma non perdevano comunque la loro espressività.

Davanti a quella visione si sentiva il più viscido dei vermi, gli sembrava di aver macchiato quanto di più puro al mondo con il proprio marciume, e il fatto di essere davvero la causa del suo dolore lo faceva sentire inutile e impotente.
 





Quello che vide non gli piacque per niente.

Oh ma perché gli adulti sono così incapaci?

Frugò nella tasca con la mano libera, sperando di aver scelto il momento giusto.




 



«Bella io…»

Lo scatto alle portiere lo interruppe definitivamente, e lei si aggrappò a quel suono come un naufrago nel bel mezzo di uno tsunami.

Riuscì ad afferrarle in fretta il braccio.

«Bella per favore» aveva balbettato con la voce spezzata

«Lasciami Edward, per favore, ho bisogno di stare da sola»

«Portalo con te, ti prego, ti supplico, è tuo, portalo con te» non lo aveva mai visto con gli occhi lucidi, nè tantomeno piangere e quella visione la sconvolse tanto da accettare.

Lo prese, lo nascose sotto il cappotto e si allontanò correndo sotto il cielo cupo di aprile…
   
 
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