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Autore: Elissa_    08/08/2015    4 recensioni
La 30 days OTP Challenge versione Johnlock. Aspettatevi tanto fluff e le occasionali AU.
Day 1 -Holding hands (high school AU, ovvero Quella Volta In Cui Sherlock E John Origliarono. Dentro Un Armadio.)
Day 2 -Cuddling somewhere (established relationship, o In Cui Sherlock Holmes E' Un Polipo (E A John Non Dispiace Per Nulla))
Day 3 -Watching a movie (parentlock, o Delle Epifanie Tardive Di Sherlock Holmes)
Day 4 -On a date (post-molto-post-s3, developing relationship, o Le Cose Che Non Cambiano)
Day 5 -Kissing (retirementlock o Di Quella Volta Che John Fece Gli Auguri A Sherlock A Mezzanotte)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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NOTE IMPORTANTI: Prima che leggiate, mi sembrava il caso di avvertire che c'è una breve apparizione di un uomo molto creepy che chiede favori non molto chiari a una ragazza; non ho inserito avvertimenti all'esterno, ma se li considerate necessari, fatemelo sapere ^-^
Per info più dettagliate sulla fic: è una high school AU, e pasticcia molto sia con L'Avventura di Charles Augustus Milverton, sia con la trasposizione BBC, His Last Vow. È tutto dei Mofftiss e di quel sant'uomo di ACD.
Enjoy!



John si chiedeva spesso cosa dicesse di lui il fatto che bastasse un minimo cenno di Sherlock per farlo muovere.
Non aveva molte risposte, eccetto il solito “cotto come una pera” che Greg borbottava tra sé ogni volta che entravano nel suo raggio visivo (e John ancora non aveva capito a chi si riferisse, precisamente); il più delle volte si limitava a correre al suo fianco, pronto a preparare scuse per professori e autorità varie, senza preoccuparsi di altro se non di proteggere entrambi, e magari evitare di farsi espellere.
Perciò, quando nell’intervallo vide che il suo pazzoide preferito -non che conoscesse molti pazzoidi, ma Sherlock lo sarebbe stato comunque- gli faceva cenno, si sbrigò a chiudere la conversazione con i compagni di rugby con un cenno e lo inseguì per i corridoi affollati, spintonando la fiumana di studenti per raggiungerlo.
Lo trovò che batteva con impazienza un piede; si guardava attorno circospetto, come se stesse cercando di evitare di essere spiato. Non che ci fosse qualcuno che potesse vederlo, a parte John: erano nell’ala della scuola dichiarata inagibile, dove nessuno andava mai, nemmeno per trovare un posto tranquillo: l’ultimo che l’aveva fatto era quasi finito all’ospedale.
“Quindi?” domandò, non appena gli fu abbastanza vicino. Sherlock diede un’ultima occhiata in giro e poi, senza dire una parola, lo tirò per il polso dentro il vecchio laboratorio di scienze, un relitto in cui rimanevano solo i tavoli da lavoro, un vecchio armadio in noce vuoto -dallo spiraglio tra le due ante, John poteva notare che persino le mensole erano state tolte- in fondo alla stanza, e tanta, tanta polvere.
“Quindi?” ripeté, con un sospiro. Fosse stata un’altra vita e non stesse parlando con Sherlock Holmes, John avrebbe pensato di essere davanti alla più esplicita richiesta di pomiciare nella storia delle scuole superiori: ma quello era Sherlock, e per lui “luogo appartato” raramente coincideva con “luogo dove dare libero sfogo agli ormoni”.
Oltretutto, se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi mesi, era che Sherlock preferiva posti che avessero almeno una sembianza di pulizia, perciò John troncò sul nascere l’idea di spingerlo contro uno di quei tavoli polverosi e---
“Hai il telefono con te?” disse l’oggetto dei suoi pensieri, ignorando totalmente la sua richiesta di spiegazioni.
“Certo, tu no?” rispose, suo malgrado, tirando fuori il cellulare.
“Me l’ha sequestrato la Campbell mentre mandavo un messaggio a Mycroft” replicò e, prima che avesse il tempo di commentare, aggiunse: “Può registrare?”
“Che?”
“Il telefono, può registrare?” lo incalzò Sherlock; il suo sguardo dardeggiava freneticamente tra John e la porta socchiusa.
“Penso di sì, ma-”
Prima che potesse terminare la frase, Sherlock gli aveva strappato il telefono di mano, noncurante delle sue proteste, e si era messo a frugare tra le sue app, borbottando tra sé.
“Sherlock?”
“C’è, perfetto”sospirò quello, sollevando lo sguardo.
“Sherlock!” sbuffò, impaziente, quando non ricevette spiegazioni.
Finalmente, Sherlock posò lo sguardo su di lui. “Non gridare, ci sentiranno” lo redarguì.
Ah, bene.
“Se non mi spieghi cosa sta succedendo e chi dovrebbe sentirci, giuro su Dio che me ne vado, e il telefono viene con me.”
Qualcosa balenò nello sguardo di Sherlock, e John non avrebbe saputo dire se fosse ferito o preoccupato all’idea che gli portasse via il prezioso strumento di registrazione. Lo vide aprire e chiudere la bocca qualche secondo, per poi riferire tutto d’un fiato una spiegazione di cui John riuscì a cogliere solo “Magnussen-studenti-ricatti-è qui ora, John corri!” prima di essere trascinato dentro l’armadio in tutta fretta, le ante socchiuse dietro di loro, uno spiraglio sottilissimo che permetteva a malapena a Sherlock di vedere all’interno della stanza.
John fece per aprir bocca e chiedere spiegazioni, quando li sentì anche lui: passi. Sempre più vicini.
La porta si aprì e John trattenne il respiro, mentre i passi rimbombavano per la stanza. Due persone, pensò.
“Dunque,” esordì uno dei due.
Magnussen: il professore di Storia più odiato -e temuto- dell’intera scuola. John non aveva mai assistito ad una sua lezione, ma le voci di corridoio lo descrivevano come terrificante, in grado di piegare al suo volere studenti e professori allo stesso modo. Sembrava improbabile, ma ogni volta che lo vedeva aggirarsi per la scuola, un sorriso mellifluo appiccicato in faccia, tutti i suoi istinti gli gridavano di correre via, e di quello si fidava ancor più che delle voci.
Realizzò solo in quel momento quanto sarebbe stato facile essere scoperti, e si irrigidì, sforzandosi di non iperventilare mentre Magnussen iniziava a parlare di un compito di storia e di un complesso sistema per copiare.
“Quindi, Miss Morstan, come pensa dovremmo risolvere questa faccenda?” disse il professore, e John non poté impedirsi di rabbrividire nel realizzare chi fosse lì, oltre a loro.
Sentì improvvisamente qualcosa di caldo sopra il suo pugno chiuso, e riconobbe nella luce fioca la mano di Sherlock. Lasciò che il pugno si aprisse, lentamente, e quella mano si insinuasse nella sua, i polpastrelli che tracciavano orme sul suo palmo, per poi intrecciare le dita alle sue. La stretta era rassicurante, e si sentì automaticamente più leggero. Era così strana, quella consapevolezza che se fossero rimasti insieme, nulla li avrebbe scalfiti: come se dal mero contatto tra epidermide le certezze di Sherlock migrassero verso John.
Le sue riflessioni vennero interrotte da una voce femminile: “Mi dica lei, professore.”
Era Mary. Lei e John non si erano parlati spesso, ma abbastanza perché riconoscessero uno nell’altra una sete di pericolo che li rendeva spiriti affini. Il suo tono sembrava nervoso, spaventato.
“Dovrei parlare col preside, lo sai? Tu e quel Jim, che bambini cattivi…” disse l’uomo, con un tono zuccherino che diede i brividi persino a John. Dal modo in cui Sherlock strinse la sua mano, capì che non era l’unico a subirne gli effetti. “Però, forse, potrei evitare, se ci mettessimo d’accordo in qualche modo…” proseguì. Se le parole erano vaghe, il suo tono non lasciava spazio a dubbi, e John sentì un’ondata di nausea scuoterlo.
Cercò lo sguardo di Sherlock, per comunicargli che dovevano assolutamente fare qualcosa, ma quello si limitò ad agitare il cellulare con una mano e ad accarezzare il dorso della sua col pollice dell’altra. Ed ecco svelato il mistero del registratore, pensò.
“Intende dire con una punizione?” domandò Mary, con voce tremante.
“Potresti dire così, forse.”
“Vuole- vuole dei soldi?”
La risata di Magnussen rimbombò per la stanza. Con sua sorpresa, fu Sherlock a sobbalzare. Gli strinse la mano un po’ più forte, e istintivamente le portò entrambe verso il suo petto. “Ragazzina, pensi davvero che mi servano soldi? No, pensavo più a dei favori personali…”
“Di che genere?”
“Qualsiasi” sentenziò, imprimendo in quella parola sola tutta la sua capacità di controllo.
“Anche di assistenza legale?” chiese la ragazza. Improvvisamente il suo tono non era più spaventato, ma calmo e divertito. Era il tono di una vincitrice. Prima che Magnussen potesse rispondere, lei proseguì: “No, perché ho appena inviato questa registrazione a tre persone diverse, e nel caso lei decidesse di proseguire con le sue insensate accuse” Mary calcò le ultime parole “io farò sapere al mondo come lei ha provato ad estorcere ‘favori’ ad una sua studentessa, e sono sicura di non essere l’unica. Sa che il padre di Jim è piuttosto famoso? Potrebbe rovinarle la vita in un secondo” terminò, e John poteva avvertire il suo sorriso.
“Ora penso che andremo entrambi uno per la sua strada, e domani mattina ci vedremo in classe senza che nessuno parli di questa storiella del copiare. D’altronde, io rischio un anno, ma lei… lei rischia la galera, lo sa?” detto questo, John avvertì dei passi. “Arrivederci, professore.”
Magnussen rimase lì qualche altro minuto, in assoluto silenzio, poi anche i suoi passi echeggiarono per la stanza, e infine la porta chiusa.
Solo in quel momento si permise di sospirare. “Se n’è andato?” chiese, la voce quasi impercettibile.
Sherlock fece un cenno di assenso, aprendo con attenzione l’anta dell’armadio con solo una mano.
Oh, giusto. L’altra era intrappolata in quella di John e posata sul suo petto. Abbassò il capo per baciare le loro dita intrecciate, e si guadagnò uno sguardo che, nel linguaggio di Sherlock, voleva dire ‘Sono-al-di-sopra-di-queste-cose-inutili’. John se la sarebbe bevuta, se non fosse stato per il rossore delle sue guance e il modo automatico con cui aveva incassato la testa tra le spalle.
“L’esito della faccenda è stato piuttosto… inaspettato” disse Sherlock non appena uscirono alla luce del sole.
“Decisamente, sì” confermò lui, lasciandosi andare ad una risata.
“Che c’è?”
“È solo che volevi fare il cavaliere senza macchia che difende i più deboli dai ricattatori, e invece guarda com’è andata” rise ancora.
L’aspirante cavaliere sbuffò, ma lo seguì a ruota.
“Avresti dovuto vedere la faccia di Magnussen appena Mary ha iniziato a minacciarlo, era impagabile” disse, mentre li trascinava entrambi fuori dall’aula.
“Aspetta.” John si fermò di scatto a pochi passi dalla porta, e tirò a sé Sherlock tramite le loro mani, ancora strette. “Dato che ci siamo, usiamo bene quei pochi minuti di intervallo che ci restano.”




NOTE UN PO' MENO IMPORTANTI: Primo, se vi state chiedendo la ragione di questo capslock, è che sto postando dal telefono e il codice html mi detesta dal profondo. Secondo, questa fic non esisterebbe senza la Frà aka pabitel qui su efp, che mi ha convinta a fare la Challange e mi ha betata/calcinculata/sopportata mentre ero insopportabile. (E senza Pietro aka Bembo aka il mio migliore amico che mi ha sopportata mentre bestemmiavo contro l'html mentre cenavamo assieme. Friendship goals, folks.) Terzo, grazie mille per aver letto, e se volete lasciare un commento vi sarò grata ^-^
  
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