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Autore: _Kurai_    09/08/2015    1 recensioni
La luna piena, un sakura ormai quasi del tutto sfiorito, e i passi leggeri di sandali di paglia sul tappeto di petali rosa e bianchi. Un fruscìo, poi un lieve sciabordìo d'acqua in una tinozza.
Anche stavolta, la missione di Arakita Yasutomo era conclusa. Alzò lo sguardo alla luna, mentre il suo corpo seminudo accoglieva la brezza notturna e le macchie di sangue sul kimono immerso nell'acqua andavano sbiadendo.
Imprecò piano, quando un rumore improvviso gli fece estrarre la spada.
Era solo un gatto.
Ripose la katana nel fodero, non senza aver accarezzato distrattamente l'incisione di un lupo alla base della lama, per poi abbassarsi a coccolare la piccola creatura nera come la notte.
Genere: Angst, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Team HakoGaku, Team Hiroshima Kureminami, Team Kyoto Fushimi, Team Souhoku
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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E niente, non ho resistito e ho dovuto riaggiornare subito XD Questo significa che forse dovrete aspettare un po' se il prossimo capitolo uscirà lungo come questo, ma visto che tutta sta roba è nata in poche ore non mi preoccuperei troppo, alla fine. Spero che fino ad ora le premesse vi siano piaciute e che non ci sia qualche esperto del Sengoku pronto ad eliminarmi fisicamente nascosto dietro qualche angolo XD (visto che sono la prima a incaponirmi sulle imprecisioni storiche XD)
Ora vi lascio alla lettura, e se qualche bella persona mi vorrà lasciare una recensione può darsi che mi metterò a scrivere il terzo capitolo più in fretta (questi vili ricatti). Comunque, anche quando cliccate il bottoncino del "mi piace" di facebook siete bellissimi lo stesso, lasciatevi amare. (E anche stavolta, niente nota seria)

II CAPITOLO
Eyes


Si schierarono in assetto di difesa. In altre circostanze, il daimyo avrebbe detto che la migliore difesa è l'attacco, ma non poteva permettersi di perdere pedine importanti solo per aver voluto correre il rischio. Con parte delle truppe a nord a due giorni di cammino, per difendere il confine più problematico, e parte di stanza nel castello nella capitale, era necessario giocare bene le proprie carte: chi gli diceva che il nemico non si fosse rivelato intenzionalmente, per spingerli a lasciare il castello scoperto?
Ma poi, chi era il nemico?
Arakita, che al calcolo preferiva l'azione, stava scalpitando, ma non lo dava a vedere.

Salito a cavallo, andò a controllare gli uomini e le fortificazioni, per verificare che fosse tutto a posto.
Manami era in piedi su una sporgenza di roccia qualche decina di metri più su, perfettamente esposto a qualsiasi attacco a distanza, ma non gli importava. Il vento gli era favorevole, e l'arciere ascoltava il suo sussurro, giocherellando con la coda piumata di una freccia. Guardava lontano, in attesa di avvistare il nemico.
Il castello era protetto da tutti i lati e dagli uomini migliori, non restava che aspettare e approntare tutte le difese possibili.
L'unico che sembrava inquieto era Izumida, che era anche l'unico ad aver visto l'entità delle forze del nemico. Non capiva perché, ma la sua mano destra tremava leggermente, mentre stringeva il legno forte e pregiato della sua lancia.

Aveva combattuto molte battaglie di quel calibro, aveva sconfitto da solo decine di nemici roteando e mirando affondi con la sua naginata, ma sentiva che c'era qualcosa di diverso. Un'aura diversa, come un vento fetido in avvicinamento, il cui odore era ancora mascherato da quello dei sakura. Non riusciva a liberarsi di quella sensazione da quando aveva visto il comandante di quell'esercito, che spiccava in mezzo alla torma di uomini assiepati nella valle. Le membra innaturalmente lunghe, e uno sguardo viscido e pungente che aveva percepito anche da lontano, sulla sua torretta di ricognizione. Per un istante gli era pure sembrato che quell'uomo lo stesse guardando. Aveva avuto un brivido, come se il suo corpo avesse percepito la minaccia prima di lui, ed era subito partito per recapitare al daimyo il funesto messaggio.
Shinkai gli si avvicinò mentre era sovrappensiero, facendolo sobbalzare impercettibilmente quando gli appoggiò la mano sullo spallaccio dell'armatura. Gli stava sorridendo. Rigirava tra le labbra quel suo solito filo d'erba, che era ormai diventato un po' il suo simbolo. Quando lo lasciava cadere a terra, allora era il momento in cui bisognava iniziare a preoccuparsi. Ma ora sembrava tranquillo, e sembrava anche aver compreso l'umore di Touichiro.
La terza squadra si era disposta sugli alberi lungo la strada verso il castello, pronta a bloccare l'avanzata con una pioggia di kunai e aghi avvelenati. Toudou sedeva sul ramo più alto di un ciliegio enorme, mentre controllava uno per uno tutti i suoi marchingegni letali. Lanciò uno strano sguardo malinconico verso il cielo, oltre la montagna e oltre le nuvole, come se attendesse un segno dei kami.
In realtà era qualcosa di molto più terreno: aspettava una lettera da diversi giorni, ma la risposta non arrivava. Ma non era il momento di pensarci, doveva mantenere la mente fredda e lucida e pensare al suo compito. L'adrenalina della battaglia l'avrebbe fatto tornare in sè, scorrendo come una pozione rinvigorente nelle sue vene. Soppesò tra le mani le sue armi una per una un'altra volta, e poi si rimise ad aspettare.

E l'esercito nemico non si fece attendere oltre.
Mirò subito ad un punto scoperto dietro il collo del loro comandante: che colpo da maestro sarebbe stato, tale da indebolire il loro punto di riferimento e disperderli tutti con il primo attacco. L'uomo, più somigliante a una specie di animale strisciante che ad un essere umano, sembrava confidare molto nelle sue abilità, e non indossava l'elmo. Toudou, con un sorrisetto, tirò cinque fili sottilissimi, e cinque lunghi aghi metallici sfrecciarono sicuri verso il bersaglio.
Senza movimenti superflui, una mano si sollevò in un istante, bloccando tutti e cinque gli aghi, che caddero a terra. Lo sguardo acquoso e vitreo di quella creatura inquietante si alzò verso le alte fronde del sakura, poi alzò le spalle.
"Insetti." mormorò.
Toudou era congelato sul posto. Non aveva mai sbagliato prima di quel momento. Si apprestò a dare un segnale ai suoi ninja per dare inizio all'attacco, ma proprio in quell'istante il comandante nemico si lanció in avanti da solo, con l'intenzione di annunciarsi. Sembrava non temere nulla. "Arrendetevi ora, insetti." urlò, con una voce perfettamente corrispondente alla sua apparenza "inginocchiatevi e arrendetevi all'esercito di Fushimi, prima di essere spazzati via insieme al vostro castello! Sono Midousuji Akira, comandante dell'esercito che conquisterà tutto il Giappone. Arrendetevi, insetti" ripetè, per poi leccarsi le labbra "siete troppo pochi per resisterci, e conosciamo già tutte le vostre mosse".
Il daimyo di Hakone uscì a cavallo fino al limitare delle fortificazioni, con il luogotenente al suo fianco.
"Non ci arrenderemo, difenderemo il castello e il feudo e vi rimanderemo da dove siete venuti! Noi siamo forti, e ve ne renderete conto!" Esclamò Fukutomi, e la sua voce profonda rieccheggiò nella vallata. Arakita si limitò a osservare il nemico da vicino, con un ghigno a metà tra un sorriso beffardo e una smorfia di disgusto. I due uomini a cavallo, concluse le dichiarazioni d'intenti, tornarono all'interno delle fortificazioni.
La battaglia poteva iniziare.

 

Pochi metri più indietro rispetto al comandante Midousuji cavalcava quello che sembrava il suo luogotenente, che indossava l'armatura completa, ma senza le protezioni per il viso. Il contrasto tra i due saltava subito all'occhio, e anche la loro differenza gerarchica, notando che il luogotenente Ishigaki Koutaro si manteneva precisamente due passi dietro il suo comandante. Lo guardava con un grande rispetto ma con una leggera sfumatura di inquietudine, come se qualcosa dentro di lui non fosse completamente in accordo con i metodi del suo signore.

Ishigaki in realtà era il figlio primogenito del precedente daimyo del feudo di Fushimi, ma un complesso insieme di circostanze aveva fatto sì che il suo diritto di nascita venisse scavalcato, e lui non si era ribellato. Tuttavia manteneva la testa alta e lo sguardo aperto e deciso, che spaziava da un lato all'altro del teatro della battaglia imminente.

Arakita non aveva mai compreso la necessità di tutto quel cerimoniale di dichiarazioni e dimostrazioni reciproche prima di combattere. Non si poteva iniziare subito? La sua Ookami era assetata di sangue fresco, e l'aura di minaccia era quasi tangibile.

 

Poi, il caos.
Una singola freccia fischiò nel cielo, andando a conficcarsi nel terreno un paio di metri davanti al cavallo di Fukutomi, che indietreggiò spaventato di qualche passo ma fu subito calmato dal daimyo. Era stato un piccolo arciere di Fushimi con gli occhietti acquosi e piccoli da tanuki, forse desideroso di farsi notare, forse solo impaziente e inesperto. Ma ottenne ciò che voleva. In un istante fu un inferno di frecce, spade, lance e pugnali in ogni direzione. Era iniziata.
Per sadica ironia della sorte, l'arciere che aveva dato inizio a tutto fu anche il primo a cadere. Una freccia con una coda di piume candide, la firma di Manami Sangaku, gli si piantò decisa in mezzo agli occhi, con una precisione spaventosa. Non ebbe il tempo nemmeno di accorgersi di essere morto.
Toudou e la sua squadra mandavano a segno tutti i loro colpi, ma notarono in fretta che qualcosa non andava. Gli uomini colpiti venivano feriti, ma il veleno non sembrava fare effetto. Eppure si trattava di una tossina estremamente letale, di cui bastavano due gocce per uccidere un uomo adulto in trenta secondi, dopo un'immediata paralisi degli arti.

Cosa stava succedendo?

 

Nella mischia, la prima, la seconda, la quarta e la quinta squadra combattevano in rapidi corpo a corpo. Nonostante l'inferiorità numerica le truppe dell'elìte sgombravano in fretta il campo dagli avversari, che però continuavano a riapparire da ogni parte. Il comandante Midousuji era smontato da cavallo e si apriva la strada con pochi potenti e calcolati fendenti, scivolando tra i soldati di Hakone, come se fosse invisibile.

Aveva quasi raggiunto il daimyo, che assisteva ai combattimenti da una piccola altura, attendendo il momento migliore per intervenire, quando Shinkai gli si parò davanti, in guardia, fermamente intenzionato a non fargli compiere un altro passo. Si era tolto l'elmo anche lui, per dimostrare di non essere da meno al suo avversario.

Rigirava ancora il suo filo d'erba tra le labbra, ma non sorrideva affatto. Leccò distrattamente una gocciolina di sangue altrui che gli era schizzata sul labbro, e con un movimento minimo parò il fendente di Midousuji, che indietreggiò impercettibilmente solo per caricarne un altro, che risultò essere una finta e che Hayato schivò solo all'ultimo istante, rimediando un piccolo taglio obliquo sul viso.
Il filo d'erba cadde nel terreno e il samurai lo calpestò, con un bagliore cremisi in fondo agli occhi.
Raddoppiò e poi triplicò la velocità e la precisione dei suoi attacchi, che tuttavia continuavano a non andare a segno. Midousuji non aveva ancora indossato l'elmo e la sua armatura era solo parziale, ma la sua guardia era così impenetrabile da renderla superflua. Shinkai menò un affondo, parò un fendente con il fodero della katana e poi avanzò di nuovo, individuando un'apertura, sicuro di non fallire.

Esistevano solo lui e il nemico, e avrebbe tagliato qualunque cosa si fosse frapposta tra lui e l'obiettivo.

Midousuji abbassò lo sguardo per un istante, sollevando leggermente un sopracciglio. Una lama apparve dal nulla un istante prima che Hayato mettesse a segno il colpo, dal basso alle sue spalle, infliggendogli un taglio piuttosto profondo poco sopra il gomito, nel momento di massima tensione. Con uno scatto, Shinkai sfoderò anche lo wakizashi ignorando il dolore e trafisse la gola di quello che avrebbe già dovuto essere un cadavere, che aveva usato le sue ultime forze per quel colpo così vile e inatteso.
Non aveva ancora inflitto nessuna ferita a Midousuji, e la cosa lo faceva infuriare fuori misura. Lanciò il suo grido di battaglia più potente, per poi mettersi in posizione per la prima fase della tecnica che l'aveva reso famoso. Nessuno che l'avesse vista era mai sopravvissuto. Il punto forte di quella tecnica era la velocità, che in quello stato mentale e fisico particolare rendeva i suoi movimenti difficili da individuare da qualsiasi occhio umano. Chiuse fuori il dolore che iniziava a pervadere il suo braccio sinistro, e strinse più forte la spada. Il primo fendente andò parzialmente a segno, aprendo un taglio superficiale sotto l'occhio destro dell'avversario, che non ne fu stupito né spaventato. Sembrava si fosse fatto colpire di proposito.
Gli bastarono tre colpi ad adattarsi alla velocità di Hayato, e scartò il quarto, che doveva essere quello più veloce e il decisivo.

Shinkai esitò un istante di troppo prima di parare l'attacco successivo, e per un momento infinitesimale lasciò un'apertura nella sua guardia. Era quel genere di errore che poteva fare la differenza tra la vita e la morte, ed entrambi lo sapevano bene.
Anche Touichiro, poco lontano, vide quel momento come al rallentatore, mentre sfilava la punta della naginata dal petto di un nemico appena ucciso. Coprì la distanza di venti metri in un lampo, lanciandosi in avanti con la lancia in posizione d'attacco, diretta alla gola scoperta di Midousuji. Tutta quell'ostentazione di sicurezza era un insulto, e l'aver messo in difficoltà Hayato era un'offesa ancora peggiore, una provocazione che poteva essere punita solo con la morte.
Il movimento di Midousuji, impegnato in attacco e difesa su due lati, fu impressionante. Piegò il collo di lato in modo innaturale, cosicchè un colpo che avrebbe dovuto trafiggergli la giugulare gli disegnò solo una sottilissima linea scarlatta sulla pelle estremamente pallida, parò con lo wakizashi un disperato affondo di Shinkai e nello stesso istante approfittò dello sbilanciamento di Izumida in avanti per piantargli la sua lama nel punto di giuntura delle piastre della sua armatura, poco sotto la spalla. Il comandante della quinta squadra scivolò in ginocchio, con la spada ancora incastrata tra le due placche metalliche. Shinkai gli si parò davanti, lasciando Midousuji armato solo di wakizashi. Fu in quel momento che giunse una provvidenziale pioggia di frecce dall'alto, che permisero ad Hayato di allontanarsi verso il castello sorreggendo Izumida, per cercare di portarlo al riparo e fermare il sangue che usciva a fiotti dalla sua ferita, dalla quale lo stesso Touichiro aveva estratto la lama.

Sussurrando un grazie alla squadra di Manami per il salvataggio, Izumida perse conoscenza.
Resosi conto della situazione, Arakita aveva preso in fretta il posto di Shinkai. Toudou era sceso dal suo albero e si era rassegnato al combattimento corpo a corpo, sebbene non fosse la sua specialità. Avrebbe solo dovuto resistere fino a sera, quando avrebbe potuto attingere alla sua scorta di veleni al completo, per poterne rafforzare l'effetto. Odiava sporcarsi le mani.
Riconosceva il lavoro di qualcuno abile quasi quanto lui: qualcuno che doveva aver scoperto la sua miscela segreta e aveva fabbricato una sorta di antidoto per immunizzare i soldati dalle tossine. Ma com'era stato possibile?
Shinkai sfilò la parte superiore dell'armatura di Izumida per scoprire un taglio profondo dai contorni netti, che però non sembrava aver colpito organi interni. Il respiro, seppur stentato, era regolare, e la priorità era fasciare stretta la ferita per fermare il sangue che aveva ormai impregnato il kimono che il samurai portava sotto l'armatura. Strappò un pezzo di stoffa e lo premette forte sulla ferita, fino a farsi sbiancare le nocche, e fasciò stretta la medicazione improvvisata. Si fasciò anche il braccio sinistro, per evitare che la perdita di sangue gli facesse perdere la sensibilità delle dita, e si caricò in spalla il corpo privo di sensi di Touichiro, per portarlo al sicuro all'interno delle fortificazioni.

In fondo, gli aveva salvato la vita.
 

Hayato si rigettò nella mischia, tornando a sostenere i suoi uomini e assumendo anche il comando della quinta squadra.
Arakita dava filo da torcere a Midousuji – che intanto aveva recuperato da terra la katana di un cadavere - in una situazione di stallo di difficile risoluzione. Non poteva permettere che si avvicinasse a Fukutomi, né poteva lasciare che il suo signore intervenisse rischiando di essere ferito.

Sarebbe bastato lui, e quell'individuo doveva pur avere un punto debole.

Gli occhi di Yasutomo fiammeggiavano, riflettendo i guizzi metallici dei fendenti della sua Ookami.

Il comandante nemico, con quella sua sciocca ostinazione a combattere personalmente e continuamente, sembrava iniziare a stancarsi, e lo stile di combattimento aggressivo di Arakita faceva il resto: il luogotenente di Hakone iniziava a intravedere una soluzione a quello scontro.

Poi, una visione alle spalle di Midousuji, accompagnata da una sensazione sgradevole, lo congelò sul posto, facendogli scartare un attacco solo per miracolo e all'ultimo istante.
 

Occhi taglienti, azzurri. Occhi di kitsune, che si confondevano nel caos della battaglia. Aveva già visto quegli occhi, più volte, ma non ricordava in quali circostanze. Il bagliore azzurro sparì tra gli alberi.

Incrociarono le lame per l'ennesima volta, senza che nessuno dei due riuscisse a spuntarla. Poi, gli occhi della kitsune riapparvero di nuovo nello stesso punto, e tutta la valle piombò nella nebbia.
 

L'espressione di Manami cambiò repentinamente con l'alzarsi della nebbia. Non avrebbe potuto più mirare con precisione nella mischia, e la sua funzione di supporto perdeva così gran parte della sua efficacia. Decise che avrebbe condotto i suoi uomini giù, tra i combattenti, abbandonando il proposito di usare arco e frecce. In fondo, anche loro erano samurai.

 

"Eppure, il vento avrebbe già dovuto disperdere questa nebbia" disse tra sé, mentre teneva testa a due samurai di Fushimi che si ostinavano ad attaccarlo sui due lati con mosse prevedibili e ingenue. La coltre era pesante e immobile, e aveva decisamente qualcosa di strano.

Si sottrasse all'ultimo istante, e i due si uccisero a vicenda.

Gran brutta cosa, la stupidità umana.

Avanzando lentamente tra i combattenti impegnati in scontri corpo a corpo qua e là, si accorse di una cosa. Si chinò, proprio nell'istante in cui una mano sconosciuta vibrava un attacco rivolto alla sua testa. Senza battere ciglio, raccolse una delle sue frecce da terra e la conficcò nell'occhio destro del suo aggressore, che cadde in ginocchio urlando, con la testa tra le mani. Tornò a chinarsi, nello stesso momento in cui Shinkai, che si trovava dal lato opposto, giungeva alla sua stessa conclusione.

 

In mezzo ai cadaveri di entrambi gli schieramenti che giacevano sul terreno, c'erano alcuni corpicini di piccoli animali, che non avevano segni di ferite.
"Nebbia velenosa" sussurrò Toudou, per poi farsi strada verso il daimyo per avvertirlo del pericolo e chiedergli di ordinare la ritirata. Ma qual'era il senso? Perché rilasciare un veleno che avrebbe danneggiato anche i propri soldati? La concentrazione della tossina sembrava molto bassa, appena sufficiente a provocare un vago formicolìo agli arti e qualche lieve difficoltà respiratoria, ma Jinpachi aveva imparato a non sottovalutare nulla, tanto più se l'artefice di quella nebbia aveva scoperto la composizione complicatissima del veleno in cui lui intingeva le sue armi.

Mentre avanzava a tentoni nello spesso strato di nebbia per raggiungere l'estremità opposta del campo di battaglia e avvertire il daimyo, qualcosa di duro e pesante lo colpì alla nuca, e in un attimo fu tutto nero.


In realtà, gli uomini di Fushimi non sembravano risentire troppo della nebbia velenosa, mentre i movimenti dei soldati di Hakone sembravano essere rallentati, come se i loro corpi fossero diventati improvvisamente di piombo. La katana sembrava pesare il doppio e le mani di Arakita formicolavano, mentre con difficoltà sempre maggiore parava i colpi di Midousuji, che invece sembrava sempre più veloce. Scartò a destra, ma non abbastanza in fretta per evitare anche un calcio allo stomaco, di cui percepì il contraccolpo nonostante l'armatura, e che per poco non lo mandò in ginocchio. Fu allora che si rese conto che quella non poteva essere semplice stanchezza, nonostante fosse ormai pomeriggio inoltrato. Aveva fame d'aria, e ogni nuovo respiro sembrava peggiorare la situazione.

Era quella nebbia.

Quella kitsune.

Approfittando del suo istante di smarrimento, Midousuji lo superò con un balzo. Non c'era più nessuno a fermare la sua avanzata verso Fukutomi.

"Questa sera il feudo di Fushimi avrà già un nuovo castello!" urlò, in preda all'estasi del miraggio della vittoria. Arakita si rialzò, raccogliendo tutte le sue forze, e iniziò a correre nella medesima direzione. Il daimyo era smontato da cavallo e aspettava, in guardia. Quello di cui non si accorse fu l'arciere che apparve improvvisamente dalla nebbia, la freccia già incoccata nell'arco, teso al massimo. Il daimyo non sarebbe riuscito a parare entrambi gli attacchi nello stesso istante.

Arakita invece lo notò, un secondo prima che la freccia nera scoccasse.

Era di nuovo quella maledetta kitsune.

Fukutomi parò l'attacco diretto di Midousuji, ma si accorse della freccia in volo nella sua direzione un secondo troppo tardi per cercare di evitarla. Scartare per evitare la freccia avrebbe comunque significato esporsi troppo agli attacchi dell'avversario che aveva davanti. Era un bivio, e nessuna delle due soluzioni era quella giusta. Fu in quel momento che al suo fianco apparve Arakita, che sembrava allo stremo delle forze.

Yasutomo incrociò il suo sguardo e gli sorrise per un istante, poi allargò le braccia e lasciò che la freccia penetrasse nella sua armatura, poco più su dello stomaco.

Era stanco, troppo stanco.
Cadde a terra, mentre lentamente la nebbia iniziava a dissolversi.

Anche la kitsune si dissolse, e una freccia di Manami partita troppo tardi l'attraversò come il riflesso illusorio di uno specchio.


Ma... il sole... era sempre stato così rosso?


L'ultima cosa che sentì fu il grido di battaglia di Fukutomi, che approfittò dello slancio in avanti di Midousuji per scattare a sua volta, prendendolo di sorpresa e colpendolo al viso, sfregiandolo con un taglio esteso dal sopracciglio sinistro allo zigomo destro. Il daimyo di Fushimi fu accecato dal sangue per un istante, sufficiente a Fukutomi per puntargli la punta della spada direttamente alla gola. Fu allora che apparve il luogotenente Ishigaki, che per proteggere il suo comandante minacciò apertamente con la sua lama il daimyo di Hakone, generando una nuova situazione di stallo.
Il sole stava ormai tramontando, ed entrambi i daimyo ordinarono malvolentieri la ritirata, per sbloccare la situazione, curare i feriti e fare il conto dei morti. I combattimenti sarebbero ripresi la mattina seguente.

 

Nessuno aveva mai visto quello sguardo negli occhi di Fukutomi Juichi.

Non appena i sopravvissuti di Fushimi (circa la metà del numero iniziale) ebbero girato le spalle, diretti verso il loro accampamento, si inginocchiò accanto al luogotenente.
Arakita Yasutomo respirava ancora.

   
 
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