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Autore: Mrs Carstairs    10/08/2015    1 recensioni
-tratto dalla storia-
A svegliare Tris fu la luce del sole che entrava dalle finestre. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le veneziane. Si accorse poco dopo di non essere a letto ma… in poltrona. Aveva dormito tutta la notte in quella scomoda posizione, appollaiata su quella poltrona infossata, perché? D’istinto, lo sguardo corse al letto, trovandosi a rimirare le coperte sfatte, il lenzuolo attorcigliato e uno dei due cuscini a piedi del letto. Andrea sussurrò. E decise finalmente di alzarsi per sgranchirsi quelle povere gambe piegate da chissà quante ore. Come si avvicinò al materasso dalla parte dello scendiletto, vide qualcosa, incastrato tra le pieghe del piumone. Allungò una mano e lo prese tra due dita. Un biglietto. “Grazie.” A.
in un certo senso la storia è presa dalla realtà. quello che ho sentito ho descritto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ashes continuava un galoppo pericolosamente veloce, senza fermarsi mai in quella distesa verde d’erba alta e fresca. I capelli le battevano sulle spalle al ritmo del galoppo e i muscoli delle gambe le bruciavano, mentre stringeva i polpacci. Una mano teneva le redini, seguendo il movimento del collo del cavallo che s’allungava per correre più veloce, l’altra era libera, sospesa in aria, il gomito leggermente piegato perché non toccasse la sella. Adorava sentire l’aria che le sferzava il viso, senza l’odore pesante di città, ma con solo la fresca aria dei prati gallesi che si infilava tra i suoi capelli, e le impregnava i vestiti. Arrivata al limitare del bosco, per la trecentesima volta, non si fermò. Fece breccia tra i rami, con Ashes che pestava le frasche e la terra più umida, infilandosi nel sentiero del bosco con attenzione. Al passo prese la via principale, per poi svoltare in un passaggio stretto, una delle tante parallele che portavano al centro del bosco, alle Swallow Falls. Gli alberi portavano ombra e coprivano il sole, mandando riflessi verdi di foglie e lasciando entrare stretti raggi di luce nei punti in cui le foglie erano più rade. Tris viaggiava con la testa reclinata all’indietro, guardando il tetto di foglie sopra di loro, godendosi i tratti in cui il sole le scaldava il viso. Ashes sapeva dove andare, lei si fidava della sua memoria. Avevano fatto quella strada così tante volte che avrebbero potuto farla entrambi ad occhi chiusi. Dopo un buon quarto d’ora il suono delle cascate risuonava abbastanza vicino a loro da segnalare il loro arrivo, ma Tris tirò le redini appena cominciò a scorgere l’acqua che sgorgava dalla roccia più grande e scendeva di violenza sulle altre pietre, scalfendone i blocchi col tempo. Erano passati mesi e mesi dall’ultima volta che era stata alle cascate di Swallow, ma le rocce e l’acqua non avevano smesso di scontrarsi, di incrociarsi e separarsi, di creare immagini da favola al centro di quel piccolo bosco. Anche senza di lei l’acqua continuava a scorrere. Anche senza di lei le rocce prendevano forme diverse e diventavano lisce, i sassi su cui Tris avrebbe ancora una volta messo i piedi, i sassi su cui Ashes scivolava di tanto in tanto, preferendo bagnarsi le gambe piuttosto di non aver presa sul terreno. E come sempre, questo spettacolo era per loro due soli, per gli inseparabili pensatori del bosco.
D’improvviso Tris pensò che non voleva più restare lì. Invece che darle conforto, le cascate le davano un senso di vuoto nel petto che non capiva. Una vertigine, il senso della mancanza della terra sotto i piedi. E così volse il cavallo con le spalle alle cascate, tornando sul sentiero che aveva lasciato. Diede gambe e Ashes ricominciò a galoppare, veloce, come sempre, ritrovandosi presto sulla strada più larga che conduceva al suo prato. Ed eccoli, che correvano veloci, fino al punto in cui gli alberi non coprivano più la strada, nel punto in cui il cielo ricominciava a vedersi e ora, in quella corsa pazza, saltavano dal terreno rialzato del bosco, atterrando nell’erbe alta e verde di quel prato così gallese, così fresco. E fu come ritornare a respirare, come se non si fosse accorta di avere i polmoni pieni di anidride carbonica, il peso che le schiacciava il petto così forte. E galoppava ancora, dirigendosi verso le scuderie, senza pensare a cosa faceva, la mente completamente vuota, un foglio bianco. E continuò, finchè l’emozione non prese il colore di due occhi dorati, il tocco di due mani forti e il suono roco di una voce. E qui, proprio in quel momento, inchiodò. Tris tirò le redini così forte che Ashes fu costretto quasi a sedersi, per frenare così bruscamente. Il rumore degli zoccoli sulla ghiaia si sentì forte e chiaro nel raggio di parecchi metri e la polvere alzata sembrava nebbia, da quant’era.  E fu in quella nebbia che Albert scorse la figlia al passo sul suo cavallo, con la testa bassa e i capelli spettinati, le mani molli, una abbandonata sulla coscia, l’altra a tenere a stento le redini.
 
***
 
No. Nemmeno se avessi mosso l’inferno.
La determinazione nella frase di Bekka, il modo in cui l’aveva pronunciata, di fronte a lui, guardandolo negli occhi, aveva stupito Andrea. Il ragazzo rimaneva lì, a fissarla, praticamente in mezzo al marciapiedi, consapevole dei passanti che cercavano di evitarli, evidentemente scocciati.  Ma poi sorrise, prendendo il pacchetto  di sigarette dalla tasca, tenendone una tra i denti e accendendola in un fluido movimento della mano.
“vuoi?” chiese alla ragazza che lo guardava ancora, con la stessa decisione di poco prima.
“perché no..” esalò dopo un respiro profondo, accettando l’ennesima Marlboro da quel cretino. Riusciva sempre a farti sentire una stupida. A cambiare le carte in tavola da un momento all’altro. A far finta che parole non fossero mai state pronunciate, che fatti non fossero mai accaduti. Chiudeva tutto in un punto del suo cervello e faceva sì che niente scappasse da quella gabbia di sinapsi. La mano di Andrea scivolò veloce sotto il mento di Bekka, accedendole la sigaretta, mentre lei aspirava.  La ragazza alzò lo sguardo negli occhi del ragazzo, trovandoli in quell’espressione che dicevano facesse impazzire le ragazze… una via di mezzo tra lo stretto e il sorridente, un nascondiglio di malizia e scherno. Uno sguardo che l’aveva sempre fatta arrabbiare. Dio. Possibile che non sia capace di restare serio, per una volta?
E Bekka si voltò, camminando dritta, non più di spalle, affiancando Andrea. Il ragazzo rimase a fissarla un attimo, per poi stare al suo passo, continuando a fumare la sua sigaretta.
“e adesso cos’hai?” chiese con la sua solita voce scocciata. La ragazza voltò la testa verso di lui, levò qualunque tipo di espressione dal suo sguardo, mantenendo solo una sottospecie di divertimento.
“che vuoi che abbia?” chiese in risposta, continuando a camminare. E Andrea sapeva benissimo che era colpa sua se aveva cambiato espressione, se aveva cambiato modo di rivolgersi a lui, di camminare e di stare composta. Le spalle erano più rigide, la mano che non reggeva la sigaretta stava nascosta nella tasca dei jeans.
Ci riusciva sempre. Ci riusciva sempre a farle rimpiangere di aver pensato a lui. Bekka voleva solo restare con lui, come facevano prima che andasse a Londra e aveva ritagliato del tempo che stava dedicando a lui, solo a lui. E Andrea si sentì la persona più stupida del mondo. Stava respingendo la persona che probabilmente lo capiva di più al mondo… quella con cui era cresciuto. Ma, a pensarci bene, lo aveva già fatto. Una volta a Londra aveva voluto dimenticare ogni singola cosa che lo legasse a Cardiff, ogni persona, ogni riferimento… ma non aveva potuto farlo realmente. Bekka era nelle e-mail che aveva promesso di non scrivergli, nell’anello a forma di teschio che avevano comprato entrambi in un negozio del centro e nelle classi di storia, la sua materia preferita. Non ci riusciva. Fingeva di dimenticare cose, persone, oggetti.. ma non ci riusciva. Nonostante mostrasse un cuore di pietra, una maschera di sarcasmo a proteggerlo dalla verità di sentimenti e paure.
E in mezzo a questa cortina di pensieri, sentì Bekka afferrargli una spalla, per fermarlo.
“ma dove diavolo vai?” chiese la ragazza con stupore. Andrea si guardò attorno, capendo immediatamente l’errore. Aveva mancato casa sua. Immerso in quella nebbia di riflessioni non  si era accorto di esser finito praticamente nel giardino della signora Maple. 
   
 
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