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Autore: Manu_Green8    11/08/2015    3 recensioni
Il college era la nuova esperienza di lei, da vivere e da gustare. Il pugilato professionistico quella di lui. Un anno era passato in fretta e i due ragazzi si sentivano più uniti che mai. Ma cosa accadrà quando si insinuerà la lontananza? O quando incontreranno persone nuove e ne riemergeranno dal passato?
L'avventura di Melanie e Chad continua, anche se non tutto sarà facile. Ce la faranno anche sta volta? Questo è tutto da scoprire...
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Salve, cari lettori! Vi ricordate di me? Forse sì, o forse no. Sono già passati diversi mesi dall'ultima volta che ho scritto una storia e finalmente sono ricomparsa proprio con il sequel di "Un battito d'ali... un battito del cuore". Con questo non vi obbligo di certo a leggere la storia precedente, ma vi invito comunque a farlo, considerando i riferimenti all'interno di tutta la fanfiction.
Non mi dilungo oltre! Fatemi sapere cosa ne pensate! Buona lettura :D
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[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: MI SCUSO PER IL DISAGIO]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un battito d'ali.. un battito del cuore'
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Pov Chad
All’incirca dall'ultima ora la mia testa era comodamente infilata sotto al cuscino, oscurandomi la vista della stanza. Beh, non proprio oscurandomi, dato che la luce della mia camera era spenta. Ma il concetto era quello: mi sentivo come uno struzzo, che sotterra la testa sotto la sabbia. Mi domandai se quegli animali lo facessero per un motivo preciso e onestamente non ne avevo idea. Forse, proprio come me, anche loro avevano una ragione. 
Comunque fosse, quel pensiero non mi stava consolando affatto.
Dalle cuffiette le voci degli Ac/Dc mi riempivano la testa e io cercavo maledettamente di concentrarmi sulle parole della canzone, invano. La mia mente, facendosi beffe di me, continuava a riportarmi a quel pomeriggio, quando alla fine dell'allenamento Carl era intervenuto tra me e Ryan. Alzai leggermente la testa e la feci ricadere contro il letto, sbattendola, ma non mi feci nulla, al contrario del male che volessi farmi.
Erano secoli che non litigavo con il mio migliore amico e adesso non riuscivo a capire se fossi più arrabbiato e talmente ostinato da continuare a pensare di avere ragione, o se mi sentissi più idiota per averlo trattato in quel modo.
E forse sì, era stata proprio una mossa stupida quella di aver trasformato la mia indifferenza per la ragazza in un pretesto di litigio. Indifferenza, Chad, davvero? Ok, forse era più intolleranza o sospetto, ma lo avevo fatto diventare ugualmente un pretesto.
Tutto era cominciato dopo che eravamo tornati dalla corsa ciclica e ripetitiva intorno all'edifico, precisamente a metà dell'allenamento. Stavamo entrando di nuovo in palestra, quando Ryan aveva iniziato a parlarmi dell'uscita con Sarah - pardon, Juliet - e di come fossero stati bene, nonostante avessero passato soltanto del tempo nel parco a pochi isolati da lì. Io ascoltavo senza parlare, annuendo di tanto in tanto per far capire che stavo continuando ad ascoltarlo.
E poi, una volta usciti dagli spogliatoi, da cui avevamo recuperato i guantoni per combattere sul ring o sfogarci con qualche sacco, la sua fatidica frase: "Mi ha chiesto di te". Io mi volta a guardarlo, aspettando che continuasse a parlare. "Dice che il mondo del pugilato è interessante e che anche i miei amici lo sembrano. Tu, in particolare".
E a quel punto smisi di camminare e mi rivolsi a lui per la prima volta durante il suo monologo: "Cosa ti ha chiesto?".
Quella non era una buona cosa, affatto. Il nostro mondo non era interessante; era un mondo di pazzi che godevano nel vedere il proprio avversario a terra, sanguinante. Ok, forse poteva essere interessante, anche se non ero sicuro se in modo positivo o negativo (optavo più per la seconda), ma il reale problema era: lei mi riteneva interessante. Eh, no. Sarah non doveva proprio interessarsi a me.
"Qualcosa sulla tua vita" rispose Ryan, dopo essersi fermato anche lui e muovendo una mano in un gesto noncurante.
"Cosa le hai detto?" chiesi, mentre i miei occhi diventavano delle fessure.
"Che hai un fratello". Lo sapeva già. "Le moto". Sapeva anche quello. "E Melanie". Centro. Quello non lo sapeva affatto.
La rabbia mi assalì. "Perché? Perché le hai detto cose sul mio conto?" chiesi, serrando la mascella.
Ryan si accigliò e poi mi guardò confuso. "Perché non avrei dovuto farlo, scusa?" ribatté.
"Perché la mia vita non le riguarda".
Ryan mi guardava come se fossi impazzito. "Ma che diavolo ti prende?" mi chiese, mentre vedevo l'irritazione sorgere nel suo sguardo.
"Non avevi il diritto di raccontare i fatti miei a quella tipa" risposi, ormai cieco di rabbia.
Ryan fece un passo verso di me, gi occhi ridotti a due fessure. "Quella tipa, Chad, è la mia ragazza. Posso dirle quello che mi pare".
E sentirgli dire questa frase fu anche peggio delle altre. "Che cosa? La tua ragazza? Quindi è ufficiale? Grazie per avermi reso partecipe, amico".
"Reso partecipe? Ma qual è il tuo problema, Chad? Pensavo fosse sottinteso. E' da settimane che ti parlo di lei, Cristo! Non è colpa mia se sei un idiota che non sa fare 2+2". Non mi ero nemmeno reso conto che avevamo alzato la voce, tanto da attirare l'attezione.
Comunque, nonostante la parola "idiota" fosse un insulto banalissimo e alquanto poco offensivo, il mio cervello reagì nel peggiore dei modi: mi avventai su di lui.
Ok, siamo entrambi lottatori e in alcuni casi Ryan è anche più esperto di me, tanto che quella volta riuscì a bloccarmi e a respingermi con una spinta, ma facendo in modo che non ci facessimo male né io, né lui. "Toglimi le mani di dosso!" esclamò.
Fu proprio in quel momento che Carl ci raggiunse e separandoci, ci fece allontanare l'uno dall'altro. "Che diavolo avete intenzione di fare? Siete impazziti o solo deficienti?" ci chiese, guardando prima me, poi Ryan, i quali continuavamo a lanciarci sguardi di fuoco.
"Chiedilo a Chad. Lui mi è venuto addosso" disse Ryan, spostando lo sguardo su Carl.
Io risi ironicamente, in modo cattivo.
"Non mi frega un cazzo di chi è andato addosso a chi. Nella mia palestra non voglio nessun deficiente che si picchia, con il campionato alle porte, se non per allenamento o sul ring. Quindi fuori di qui. Per oggi avete finito. Andate a sbollire a casa. Fuori, adesso!" disse in modo minaccioso.
"Tsk" mi uscì soltanto, allontanandomi da quei due e tornando a prendere la mia roba per andare via, mentre dietro di me sentivo Ryan che diceva: "Che testa di cazzo".
Quindi, sì. Avevo litigato con Ryan, ero stato cacciato dalla palestra ed ero tornato a casa. Ero entrato in salotto, dove mi zia ed Evan stavano guardando la televisione e avevo detto semplicemente che non avrei cenato e che potevano chiamarmi solo in caso di necessità. Dopo il litigio, la mia fame era andata a farsi fottere.
Loro mi avevano guardato in modo strano, ma non avevano commentato e avevano semplicemente annuito. Era raro che facessi cose di quel tipo e forse, proprio per quel motivo, evitarono di chiedere quale fosse il problema.
E così ero finito come gli struzzi, con la testa sottto al cuscino e la musica che avrebbe dovuto isolarmi dal mondo. Avrebbe, appunto.
Appena finita la mia riflessione, il mio letto aveva iniziato a tremare, così come la mia gamba.
Il mio telefono, nella tasca dei pantaloncini, stava suonando.
Sbuffai, ma sapevo che si trattava di Melanie. Dovevo rispondere. Così riemersi dal piccolo mondo oscuro, per riadattarmi a un mondo più grande e appena meno buio, data la poca luce che filtrava dalla finestra.
"Pronto?" risposi.
"Ehi, Chad" disse Melanie. Io gemetti frustrato. Chad.
"Perché Chad?" chiesi, gettandomi di nuovo contro il cuscino.
"Cos...? Non è così che ti chiami?" mi chiese confusa.
Perché non amore? Perché non tesoro? Perché... mi stava bene anche piccolo, dannazione.
"Niente. Lascia perdere" risposi invece, affondando la faccia sulla superficie morbida.
"Che cosa c'è che non va, amore?".
Io gemetti di nuovo. "Niente" dissi, con la voce attutita.
"Stai bene? No, non stai bene. Cosa è successo?" continuò lei.
Io sospirai e mi rimisi a sedere. "Ho litigato con Ryan".
"Cosa? No, voi non litigate mai" disse, ridacchiando.
"E invece lo abbiamo fatto, con tanto di Carl che ci ha rimandati a casa" spiegai, alzandomi dal letto e iniziando a camminare per la stanza.
"Oh. Vi siete fatti male?" chiese, improvviamente preoccupata.
"No" sospirai.
"Risolvete. Chad, scusati" disse, poi con decisione.
"Cosa? Scusarmi? Non sai nemmeno perché abbiamo litigato!" esclamai, fermandomi al centro della stanza.
"Chad, tesoro. Il motivo non è poi così importante. Ascoltami: andarvi contro non è mai stato producente. Dovete fare ciò che vi viene meglio: spalleggiarvi. Quindi, qualunque sia il motivo, scusati. E magari potresti dirmi: tanto tra qualche giorno sbolliremo e tornerà tutto come prima. E può essere, sì. Ma non pensi che sia meglio anticipare le cose? Scusati e risolvi subito. Perché avete bisogno l'uno dell'altro. E lo sai benissimo".
Mi passai una mano tra i capelli. "Com'è andata la tua giornata?" fu l'unica cosa che mi uscì fuori.
"Chad! Dimmi che ti scuserai" protestò, tornando sull'argomento.
"Ok, va bene. Lo farò" dissi, sconfitto.
"Grazie. Uhm, la mia giornata? Bene. Ho finito il disegno" disse eccitata.
Tornai al mio letto. "E mi dirai cos'è?" chiesi, risedendomi per l'ennesima volta.
"No. Non ancora".
Sbuffai. "Non ti sopporto".
"Neanche io" ribatté.
"Non ti sopporti? Bene, non sono l'unico".
Lei rise. "Idiota" mi insultò. "E' stata una settimana lunga. Quel disegno mi ha esaurita" continuò subito dopo.
Settiamana lunga? A chi lo dici, babe. "Tu sei sempre esaurita" risposi invece.
"Ma quanto sei divertente?" chiese ironicamente.
"Tanto".
"Mmh".
Forse dovresti dirglielo. Forse se dicessi alla tua ragazza di Sarah ti sentiresti meglio. O forse lei impazzirebbe più di quanto stai facendo tu. Era pur sempre dall'altra parte dell'America.
Questi erano i pensieri che mi frullavano per la testa, in quegli attimi di silenzio.
Diglielo.
"Senti, Mel..." iniziai, ma allo stesso tempo lei diceva: "Dio, sono stanca".
"Oh. Ci sentiamo domani?" chiesi, mentre i miei piani si sgretolavano.
"Sì, è meglio. Buonanotte, Chad. Ti amo" mi disse.
"Ti amo anch'io". E poi la nostra conversazione si interruppe.
Beh, forse non era una buona idea parlarne con Melanie. O almeno, non per ora. Non volevo dargli altri pensieri, oltre quelli che aveva con il college.
Sospirai e mi distesi, sbattendo il pugno sul letto. Che diavolo dovevo fare?
E poi mi venne in mente la frase di Melanie: "Ciò che vi viene meglio: spalleggiarvi".
Diavolo. Aveva ragione. Allungai il braccio e presi il telefono dal comodino.
Erano passati giorni e non avevo detto ancora niente di Sarah al mio migliore amico. Forse non sarebbe stata la mia idea più brillante, ma dovevo fare qualcosa e in quel momento sembrava l'unica sensata. Quel pomeriggio era arrivato anche a definirla la sua ragazza. Forse gli avrei fatto del male, ma meglio adesso, quando erano ancora agli inizi, piuttosto che tra uno o due mesi, quando il loro raporto sarebbe potuto andare troppo oltre. Aprii la conversazione con Ryan sul mio telefono. Dovevo dirglielo.
 
Pov Ryan
Stupido coglione. Avevo un amico davvero idiota e io continuavo ancora ad assecondarlo, ad ascoltarlo, a supportarlo.
Quella sera a tavola dovevo essere stato davvero silenzioso, tanto che mia madre e mia sorella mi avevano chiesto più volte quale problema mi affliggesse.
Come potevo rispondere? Perché Chad mi ha aggredito per un motivo apparentemente idiota, tanto quanto lui? No.
Quindi avevo scrollato le spalle e avevo risposto che non avevo proprio niente. Non che le avessi convinte, ma almeno ero riuscito a farle smettere di chiedere.
E quando stavo salendo le scale per andare in camera mia, Blake mi aveva fermato.
"Ti sei lasciato con la ragazza, per caso?" mi chiese.
Io sollevai un sopracciglio e mi voltai. "No. E poi... tu che ne sai della mia ragazza?" chiesi.
"Hai sempre quello sguardo da ebete, quando ne trovi una. Però hai ragione, tu non diventi silenzioso o triste quando ti lascia una donna. Quindi... hai perso un incontro?" mi chiese.
"Cosa? No! Blake, fatti gli affari tuoi" dissi, roteando gli occhi e tornando a camminare verso la mia camera.
"Ultima possibilità: c'entra Chad, vero?" continuò, imperterrita.
Io sbuffai e la lasciai perdere, ma sentii i suoi passi dietro di me.
"Ho fatto centro, vero?" chiese, seguendomi su per le scale.
"Blake, piantala".
"Avete litigato?".
Entrai in camera mia e mi sedetti sul letto, ma Blake si sedette accanto a me.
"Non hai compiti da fare?" le chiesi e lei scosse la testa.
E poi il mio telefono vibrò. Lo tirai fuori dalla tasca e lessi il messaggio.

<< Mi dispiace >>.

Spalancai gli occhi e ricontrollai che il messaggio fosse proprio di Chad.
"Che carino. Si è scusato" disse mia sorella, che si era sporta verso di me per leggere.
Alzai lo sguardo su di lei. "Esci dalla mia stanza" dissi.
"Ehi, ma...".
"Blake. Esci di qui" le intimai.
Lei sbuffò e si alzò, mentre il mio telefono tornava  vibrare, più volte.
"Chiudi la porta" ordinai e lei lo fece, mentre borbottava cose a cui non stavo prestando attenzione.

<< Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace >>. 

<< Non ignorarmi. Ryan! Ho detto mi dispiace. Ti preeeego >>.

<< Ryan, maledizione! Rispondi. Mi dispiace >>.

Scossi la testa e sbuffai. Non gliel'avrei fatta passare così facilmente.

<< Ryan! Devo dirti una cosa. Quindi perdonami. Scusa, mi dispiace >>.

E no, Chad, non attacca.

<< Giuro che se non mi rispondi vengo da te. Adesso >>.

Non attacca neanche adesso.
E poi un'altra vibrazione. Sbuffai e lessi, ma mi bloccai di colpo.

<< Ti voglio bene >>.

Sentii la saliva andarmi di traverso. In due anni e mezzo, quella sarà stata tipo la seconda volta che Chad mi diceva quelle parole. Senza contare le volte in cui me le aveva dette da ubriaco, ma quelle contavano poco.
E fu proprio quello che mi fece rispondere.

<< Sei uno stronzo >>.

La risposta arrivò dopo pochi secondi. << Lo so, lo so. Mi dispiace >>.

<< Devi farti perdonare >>.

<< Se ti dico di Sarah, basta per farmi perdonare? >>.

Di nuovo quella SarahChi diavolo era? Ovviamente volevo sapere cosa diavolo Chad mi stesse nascondendo.

<< Credo di si >>.

<< Credi? >>.

<< Va bene. Sì >>.

<< Grazie! Domani ti racconterò tutto. Devi saperlo e io ho bisogno di te. E ti prego, non ti arrabbiare con me, dopo. Mi dispiace davvero per oggi, Ry >>.

Leggendo il messaggio mi chiesi perché dovessi arrabbiarmi ancora con lui, ma lo avrei scoperto soltanto il giorno dopo. Meglio mettere le mani avanti in ogni caso.

<< Non posso assicurare niente. E smetti di dire mi dispiace o riceverai quelle che oggi non ti ho dato >>.

<< Va bene. Va bene. Notte >>.

<< Notte. Anche io >>.

Passarono all'incirca tre minuti prima che mi rispondesse.

<< Anche tu cosa? >>.

<< Ti voglio bene >>.

E poi nessuna risposta. Tipico di Chad e del suo modo idiota di esternare i suoi sentimenti. O meglio, la sua incapacità di farlo.
Scossi la testa e poggiai il telefono sul  comodino, prima di decidere che era ora di andare a dormire.
Il giorno dopo, quindi - e direi finalmente - avrei avuto le risposte che volevo. E speravo che Chad sarebbe stato il più chiaro possibile o quella volta lo avrei picchiato veramente.
 
Pov Melanie
Era così umido. Umido tutto intorno a me. Non riuscivo a capire dove mi trovassi. Non riuscivo neanche ad aprire gli occhi. Era tutto così buio. Sentivo solo qualcosa di bagnato tra le mani , le mie braccia, il mio petto.
“Melanie” una voce continuava a chiamarmi e concentrandomi su quel suono riuscii ad aprire gli occhi. Le pareti intorno a me erano bianche e tutto era troppo luminoso, da ferire i miei occhi.
E poi una figura davanti a me, che mi dava le spalle.
Lo osservai e lo riconobbi subito: Chad. Si voltò verso di me, lentamente. Non disse nulla. Guardò soltanto il mio corpo, il mio petto. E scosse la testa. 
Abbassai lo sguardo su di me ed era meglio che non lo facessi. La sostanza umida era rossa: sangue. Il mio sangue. E la cicatrice sul mio petto era aperta. Urlai.

Aprii gli occhi di colpo, guardandomi intorno e la prima cosa che vidi, mentre cercavo di regolarizzare il respiro, fu Cher, in piedi davanti al mio letto.
E per la prima volta vidi il suo viso preoccupato, senza alcuna traccia di disgusto o fastidio.
“Stai bene?” mi chiese.
Io deglutii e annuii. “Scusa se ti ho svegliata” dissi.
Lei scrollò le spalle. “Sarà stato davvero un brutto sogno. E spera che con il tuo urlo non abbia svegliato tutto il corridoio”.
Io sospirai. “Spero di no. Nel caso mi scuserò”.
Lei annuì. “Adesso possiamo tornare a dormire?” mi chiese, facendo tornare sul suo viso un’espressione infastidita. Forse si era appena resa conto che erano le tre del mattino.
Dopotutto mi ritrovai a pensare che magari questo mio incubo e la sua apparente preoccupazione avrebbe potuto migliorare i nostri rapporti. O forse sarebbe stata solo più arrabbiata con me, proprio perché l’avevo svegliata.
Sospirai e dopo averle annuito, poggiai di nuovo la testa sul cuscino, cercando di non pensare all’incubo che avevo appena fatto. Ero quasi sicura che la causa fosse il disegno che avevo consegnato quella mattina, dopo averlo completato definitivamente.
L’unica cosa che mi lasciava perplessa era Chad, che nel mio sogno sembrava quasi… deluso.
Ci pensai un attimo, ma non riuscii a trovare una risposta al perché potesse esserlo, prima che tornassi nel mondo di Morfeo.

La mattina seguente la mia sveglia era suonata davvero presto, nonostante fosse sabato e io e la mia compagna di camera avremmo potuto dormire di più. Ma il mio telefono si era alleato contro di me e Cher aveva reagito in modo alquanto prevedibile.
Mi aveva urlato contro di spegnere quella fottuta sveglia. La ciliegina sulla torta, insomma, che mi fece convincere del fatto che anche dopo la notte prima, il nostro rapporto non era cambiato di una virgola e Cher sarebbe tornata, come faceva tutte le volte, ad evitarmi o a rifilarmi quelle rispostacce tanto carine, che riuscivano ad illuminare la giornata.
 
Pov Dave
Quando entrai in palestra, quel pomeriggio, era davvero strano sentire il silenzio assoluto. Era completamente l'opposto del giorno prima, quando gli spalti erano gremiti di gente e lo sbattere dei palloni contrastava le voci degli spettatori.
Adesso invece, sembrava un paradiso. Beh, il mio concetto di paradiso: un campo da basket silenzioso e pacifico. Non che il caos, l'adrenalina e i fischi degli arbitri non mi piacessero. Anzi, erano vita, ma ciò che avevo davanti in quel momento, sembrava un mondo irreale e perfetto. Inoltre, era raro riucire a vedere il campo in quello stato.
Evidentemente, e di questo avevo preso nota accuratamente, accadeva solanto il giorno seguente le partite di campionato, quando tutti i giocatori avevano il loro giorno libero e non si azzardavano a venire in palestra.
Ed era proprio per quello che io, invece, ero lì.
Mi ero seduto sulla panchina in cui ieri eravamo disposti tutti e sette i cambi della nostra squadra e guardando il campo vuoto tornai con la mente al giorno prima.
Dopo essere entrato in campo avevo sentito in gola il groppo dell'ansia, ma non appena la palla mi era arrivata tra le mani, lì era iniziata la vera partita.
Il mio corpo, seguito poi dal mio cervello, si era adeguato subito alla situazione e in quel momento sorrisi, chiedendomi quasi come riuscissi a farlo. Entrare in partita mentalmente e fisicamente era davvero importante e non sempre facile e fortunatamente io ero riuscito tutte le volte - o quasi - a farlo nel modo migliore. Forse era anche quella mia caratteristica che mi aveva portato a vincere la borsa di studio.
Ricordai i miei primi punti della serata, dietro la linea dei tre punti. Di come il pubblico avesse esultato e di come i miei compagni fossero entusiasti.
E poi anche la seconda tripla e il mio gesto usuale, con la mano in alto, con l'indice e il pollice uniti a formare il cerchio e le altre dita libere a formare il numero tre.
Ok, diventavo sempre un tantino esibizionista in campo. E poi quando facevo quel gesto, Rachel sapeva benissimo che stavo dedicando quei punti a lei. E anche quella volta, questo aveva portato a del buon divertimento nel nostro appartamento, una volta tornati dal pub con il resto dei ragazzi e di amici.
In quell'occasione avevo finalmente presentato i ragazzi a Rachel.  Anche Lilian si era decisa a partecipare e a venire con noi. Evidentemente l'inizio del campionato e la nostra prima vittoria erano un buon motivo per festeggiare anche per lei.
Comunque, durante la partita ero riuscito ad adattarmi molto bene con il resto dei ragazzi e quella era una delle cose che contavano di più. Questa squadra mi piaceva sempre di più e l'allenatrice era grandiosa proprio come pensavo.
Ti sosteneva sempre, ma era anche pronta ad insultarti senza il minimo scrupolo.
E quando ero uscito dal campo il suo cinque e le parole "Buon lavoro, Carter" mi avevano fatto sentire dannatamente bene.
In quel momento ero talmente assorto nei miei  pensieri che non mi accorsi dei passi che si stavano avvicinando dietro di me. Solo quando una mano si poggiò sulla mia spalla, sobbalzai e mi voltai di scatto: Johan.
"Ciao" la salutai, tornando a rilassarmi.
Le mi sorrise. "Cosa fai qui, Dave?" mi chiese, venendosi a sedere accanto a me.
"Rifletto".
"Su cosa?" continuò.
"Sono indeciso se fare qualche tiro o se restare qui a pensare" ammisi.
Lei sorrise divertita e scosse la testa. "Se vuoi posso aiutarti".
Io annuii e lei disse: "Va a casa e rilassati, Dave. Se vi ho dato un giorno di riposo, sarà meglio sfruttarlo, non credi?".
Io scrollai le spalle. "Non riesco a stare lontano dal campo neanche un giorno. E penso che tutto questo" e indicai il campo vuoto "sia davvero rilassante".
Lei rise e si alzò. "Oh, beh. Su questo non posso darti torto. Quindi rlassati e pensa tutto il tempo che vuoi, ma non toccare il pallone. Non vorrei che Aragon si arrabbiasse. Anche lui ama questa pace" affermò.
"Aragon?" chiesi, confuso.
"Sì, il fantasma della palestra. E' un tipo amichevole, ma è meglio non farlo arrabbiare" mi rispose, agitando una mano.
Scoppiai a ridere, mentre lei si allontanava. Se voleva spaventarmi, non ci era riuscita affatto. E avrei continuato a restare lì ancora per un po'. O al massimo avrei fatto compagnia a questo Aragon. E nel peggiore dei casi, a farci amicizia.

Pov Rachel
"Dammi un bacio".
Spinsi Dave contro il letto, senza baciarlo, mentre mi rimettevo in piedi.
Lui protestò: "Dammi un bacio" ripeté con voce piagnucolosa.
"Dave! Sono in ritardo. Lo so che è sabato e che il weekend è sacro per noi, ma non posso non partecipare a questa esercitazione" dissi.
"Dannato professore con le sue esercitazioni del sabato mattina. Potrebbe almeno portarvi in un tribunale reale" borbottò il mio ragazzo, affondando il viso sul cuscino.
"Lo so, amore. Ma devo".
"Mi dai un bacio? E non dirmi di no. Se non avessi protestato e lo avessi già fatto, non saresti in ritardo".
Scossi la testa. Come se non me ne avesse chiesto un altro subito dopo il primo bacio che gli avevo dato.
Mi abbassai comunque una seconda volta e lo accontentai.
Lui, che aveva ancora gli occhi chiusi, sorrise beato e io odiai il fatto che non potessi stare con lui quella mattina.
Iniziai a camminare verso la porta, mentre dicevo: "Ci vediamo per pranzo. Ti amo".
"Anche io" lo sentii borbottare dal letto. E ci avrei scommesso: nello stesso istante in cui aveva finito di parlare era tornato nel mondo dei sogni.
 
Mi affrettai lungo il viale dell'istituto, che rispetto al solito era deserto, a parte qualche ragazzo qua e là che studiava sul prato o chiacchierava con gli amici.
Speravo vivamente di non perdermi. Quel college era sempre stato un infernale labirinto per me. Inoltre il professor Ant non tollerava i ritardi. Ma era sabato mattina, diamine.
Arrivai davanti l’aula, imprecando. La porta era chiusa e senza bussare entrai, cercando di essere il più delicata possibile.
Vuoi il fatto che il rumore rimbombasse e arrivasse fino all’inizio dell’aula, vuoi la mia sfiga innata, il professor Ant smise di parlare e si voltò verso la porta. La sistemazione dei banchi in aula, inoltre, non aiutava di certo, lasciandomi scoperta. L’aula era organizzata in modo che somigliasse ad un vero tribunale, con la cattedra del professore che in posizione rialzata, doveva essere la postazione del giudice.
Due banchi per gli avvocati e delle sedie, rispettivamente in angoli diversi, per la giuria (vuote) e gli spettatori (colme di studenti).
“Benvenuta tra noi, signorina Miles” disse il professore, fulminandomi con lo sguardo.
“Mi scusi” borbottai, mentre sentivo le mie guance andare a fuoco.
“Sì, ovviamente. Voi studenti non conoscete la parola puntualità. Prenda posto, così possiamo tornare alla lezione” disse e io camminai verso i posti liberi vicini a Zoe e Lucy, che mi guardavano rispettivamente divertite e compassionevoli.
E poi mi bloccai di colpo, quando Ant disse: “Anzi no, signorina Miles, venga qui da me. Chi ultimo arriva, male alloggia, no? Abbiamo appena trovato l’imputata per il nostro processo” e sorrise maleficamente.
Io guardai ancora un attimo le mie amiche, poi sospirai e raggiunsi il professore.
Mi indicò una sedia rialzata vicino a dove, teoricamente, doveva esserci il trono del giudice.
“D’accordo” disse, mentre io mi sedevo e mi guardavo intorno a disagio. Mi sentivo decisamente osservata.
“Durante questa esercitazione, dato che è la prima, io farò rispettivamente il giudice e gli avvocati. Alla fine la giuria sarete voi, mentre la nostra imputata qui... Beh, lei signorina, spero che sappia recitare, perché improvviserà” terminò Ant, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Che cosa? I miei occhi si spalancarono per la sorpresa.
“Cominciamo. Ah, dimenticavo. Voi studenti potete intervenire in qualsiasi momento”.
E poi tirò fuori dei fogli e il processo iniziò.
Ascoltavo il professor Ant interessata, nonostante stesse parlando della mia colpa.
“La nostra imputata è accusata di tradimento” annunciò dopo i convenevoli.
Tradimento? Ma che colpa era? Mi immaginai a tradire Dave e non sapevo se essere inorridita o divertita.
“Mi scusi” dissi, per la seconda volta quella mattina, interrompendo il finto giudice.
“Sì?” chiese lui, guardandomi da dietro gli occhiali.
“Tradimento? Questa non è un’accusa. Insomma, tradire una persona è una propria scelta. Non è un crimine da scongiurare in tribunale. Possiamo parlare di divorzio, divisione di beni, o quello che le pare, ma se sono accusata di tradimento, allora non sono nemmeno un’imputata” dissi.
Lui mi guardò un attimo e sorrise. “Molto bene, signorina Miles. Mi fa piacere che l’abbia notato. Andiamo alla vera accusa, allora” e con un sorrisino terminò: “omicidio”.
Io roteai gli occhi. Bene, ero passata da traditrice ad assassina. Sospirai. L’unica cosa da fare era rassegnarmi.
 
Il finto processo non durò molto. E io me l’ero cavata abbastanza bene. A parte quelle volte in cui avevo tenuto testa al professore con qualche rispostaccia o gli interventi degli studenti. Nel primo caso comunque, il professore mi liquidava, dicendo che per la difesa doveva esserci un avvocato, che ovviamente non ero io, e che comunque quell'atteggiamento mi avrebbe solo portato alla condanna. Oppure semplicemente sorrideva divertito. Non capivo se fosse compiaciuto o infastidito o che altro, ma tutto quello mi stava facendo innervosire.
Alla fine comunque la giuria, ovvero gli studenti, prese la sua decisione e il giudice terminò con un “Assolta”.
E così la lezione era finita. “Buon weekend a tutti. Ci vediamo lunedì e spero che tutti quanti vi compriate un orologio” disse il professor Ant, mentre noi raccoglievamo la nostra roba. Grazie per la frecciatina, Ant, pensai ironicamente.
Zoe e Lucy mi raggiunsero, mentre andavamo verso l’uscita.
“Come fai a metterti sempre nei guai, Miles?” mi chiese Zoe scuotendo la testa.
“E’ una mia specialità, Mitchel. Se vuoi posso insegnartela. Ed evidentemente devo comprare un orologio” risposi, scrollando le spalle.
Loro scoppiarono a ridere e io mi unii a loro.
“Beh, almeno te la sei cavata bene da imputata” continuò Lucy, dopo esserci fermate poco lontano dall’aula.
“Sì, tutti i film che ho visto l’anno scorso sono stati utili. Anche Dave non ne poteva più di vedere tribunali, detective e C.S.I” dissi.
Loro ridacchiarono, poi si zittirono di botto, quando qualcuno passò dietro di me. “Signorine” disse, la voce del professor Ant, facendomi voltare verso di lui. Tutte gli augurammo una buona domenica e prima che proseguisse vidi perfettamente il sorriso che mi riservò e lo sguardo che mi lanciò.
“Secondo me hai fatto colpo” disse Lucy, una volta che si fu allontanato. Evidentemente non ero l’unica ad essermene accorta.
“Si è divertito a giocare al poliziotto e all’imputata più di quanto crediamo” continuò Zoe, facendo ridere la sua amica.
Io guardavo ancora il punto in cui si era diretto il professor Ant e ignorai il commento della bionda.
“O forse stava soltanto pensando ad un modo sadico e piacevole per lui di vendicarsi, dato che è già la seconda volta che arrivo tardi ad una sua lezione e che magari ha sentito il mio commento due secondi fa” dissi, invece, voltandomi di nuovo verso di loro.
Le due si scambiarono un’occhiata e poi scrollarono le spalle contemporaneamente. A volta mi facevano proprio paura. “Potrebbe essere, sì” concluse Lucy, facendomi scuotere la testa.
“Va bene. Adesso devo andare. Ho un ragazzo ancora nel letto che mi aspetta. Ci vediamo lunedì” dissi, guardando l’orario sul mio cellulare.
Loro annuirono e mi salutarono. 
“Beata lei” disse Zoe, con aria sognante, mentre io andavo via. “Io ho solo un vecchio cane bavoso” terminò.
“Meglio di niente” sentii dire a Lucy, prima che le due scoppiassero a ridere e io mi fossi allontanata abbastanza da non poterle più sentire.
 
Pov Chad
Il giorno dopo ero decisamente agitato. Dato che il campionato si stava avvicinando sempre di più, Joe mi aveva dato il sabato libero dal lavoro all’officina. E quindi avevo deciso di andare in palestra più presto del solito. Sapevo che Ryan non si sarebbe svegliato prima delle undici e in quel modo non lo avrei incrociato prima del nostro incontro pomeridiano. Avevamo deciso che gli avrei spiegato tutto a casa mia ed ero alquanto nervoso. Continuavo a pensare che non fosse una buona idea: Ryan avrebbe potuto reagire nel peggiore dei modi, ritenermi un bugiardo e mandarmi al diavolo, ma se i miei sospetti erano fondati e qualcosa non andava in tutta quella storia, il mio amico avrebbe sofferto anche di più.
In una situazione diversa, in cui avrei potuto di non litigare con il mio migliore amico il giorno prima di lanciargli addosso una notizia del genere, sarei stato leggermente più tranquillo. Ryan era sempre stato comprensivo nei miei confronti. Ma se quella volta non fosse andata così?
Sospirai, cercando di concentrarmi sul mio allenamento. Forse era meglio ripensare alla ramanzina che Carl mi aveva rifilato quando avevo messo piede in palestra e a come avevo dovuto scusarmi e assicurargli che non sarebbe riaccaduto niente del genere, piuttosto che pensare e formulare supposizioni sulle sorti del pomeriggio.
 
Quando suonarono alla porta, ero sul divano e stavo tenendo compagnia ad Evan che guardava i cartoni animati, mentre mia zia stava facendo il bucato.
“Tu resta qui, mentre parlo con Ryan. Intervenite soltanto se sentite rumori di lotta o se le urla dovessero diventare eccessive, capito?” dissi a mio fratello alzandomi da lì.
Evan annuì, ma chiese: “Perché Ryan è arrabbiato?”.
Io sollevai le spalle. “In teoria non lo è ancora. O almeno credo” dissi, senza rispondere realmente a mio fratello, che si accontentò comunque e tornò di nuovo a guardare i Fantagenitori.
Presi un respiro profondo e aprii la porta. “Ciao” dissi a Ryan, che stava davanti la porta con le mani dentro le tasche della giacca.
“Ehi” disse, mentre lo lasciavo entrare in casa.
“Tutto bene?” gli chiesi.
“Sì… per adesso” mi rispose. Io mi grattai la testa, sentendomi colpevole. “E tu?” mi chiese a sua volta.
Annuii. “Vieni, andiamo di sopra”.
Ryan annuì e mi seguì al piano di sopra. Entrammo in camera mia e chiusi la porta. “Siediti” dissi, indicando il mio letto.
Io rimasi in piedi al centro della stanza. Non sarei comunque riuscito a stare seduto.
“Prima che inizi a dirmi spiegazioni su tutte le tue coglionate dell’ultimo periodo, posso sentire quelle parole magiche che ieri mi avrai ripetuto un centinaio di volte?” iniziò lui, dopo essersi messo a sedere.
“Mi dispiace?” chiesi, pensando che fosse proprio uno stronzo. Ma avrei dovuto aspettarmelo.
Lui annuì con un mezzo sorriso. “Proprio quelle”.
Sospirai. “Ok. Mi dispiace per essermi comportato da idiota, Ryan” dissi sinceramente e lui annuì una seconda volta. “Cosa vuoi sapere?” gli chiesi, poi, non sapendo da dove cominciare.
“Chi diavolo è Sarah?”.
Ecco, adesso avevo un punto da cui iniziare. “Bene. D’accordo. Quando andavo al penultimo anno del liceo…” e così, camminando per la stanza e guardandolo di tanto in tanto mi ero ritrovato a raccontare la storia di quel periodo della mia vita: l’amicizia con Sarah e il tempo che passavamo insieme - nonostante nessuno dei due avesse mai saputo molto dell’altro dal punto di vista familiare –, l’intromissione di Cole (e a quel punto collegò subito che si trattasse del ragazzo che avevo picchiato nel video attraverso cui mi aveva conosciuto), il nostro primo e conseguente pestaggio e la fuga di Sarah senza alcuna spiegazione.
Ryan mi ascoltava interessato, ma quando arrivai alla fine, mi chiese: “Sì, ma cosa c’entra questa Sarah adesso?”.
Io sospirai e mi sedetti accanto a lui sul letto. “C’entra tutto. Con me e… con te” dissi e lui mi guardò ancora più confuso.
“Io non conosco questa Sarah. Cosa c’entro io?”.
Io sospirai e mi alzai di nuovo in piedi. “Come diavolo faccio a dirlo?” borbottai, passandomi una mano tra i capelli. “Sì, sì tu la conosci. Ry…” alzai lo sguardo, per incontrare i suoi occhi. “Sarah è… lei è tornata” o la va, o la spacca. “Sarah è Juliet”.
Vidi perfettamente la confusione sul suo viso che si trasformava in stupore, poi di nuovo in confusione e alla fine in divertimento nervoso. Tutto in pochi secondi.
“No. Non è possibile” disse ridendo istericamente e alzandosi in piedi. “Ti rendi conto di quello che stai dicendo, Chad? Come fa Juliet ad essere quella Sarah? Hanno nomi diversi, per l’amor di dio. E tu… tu starai sicuramente scambiando persona” disse, alzando la voce.
“Ryan, io non sto scambiando persona. Ho anche parlato con lei. Io… Cristo. Ry, Juliet è il suo secondo nome”.
Lui smise di ridere. “Tu stai dicendo solo cazzate. Quando avresti parlato con lei? E perché non mi ha detto niente? Cristo, Chad! Se ti conoscesse, allora perché mi ha chiesto di te?” protestò sempre con la voce decisamente più arrabbiata.
Sospirai. Stava reagendo proprio nel modo in cui temevo. “Io non lo so. È quello che volevo cercare di scoprire. Ma…” lui mi interruppe.
“E tu lo sapresti dalla sfilata? Ecco perché sei andato via senza darmi una cazzo di spiegazione! E se fosse, perché non me lo hai detto prima?” disse, adesso davvero infuriato. “No, è una cazzata” continuò, ridendo in modo ironico. “Tu stai scambiando persona, Chad” terminò, andando verso la porta.
Fortunatamente io ero più vicino alla porta e mi misi davanti per non farlo passare. Pensa, Chad. Pensa. Come potevo fargli capire che non stavo mentendo? Pensa.
E poi guardandomi intorno ebbi la risposta, mentre Ryan diceva: “Togliti di mezzo, O’Connor”.
Sentii il mio respiro che si bloccava e rabbrividii. Ryan non mi chiamava mai per cognome, a parte quando faceva lo stupido telecronista o quelle poche volte in cui lo usava per scherzare. Per il resto, mai.
“A-aspetta. Aspetta, maledizione!”. Mi ritrovai a balbettare dopo che avevo riportato lo sguardo pieno di panico su Ryan. Io, Chad, mi ritrovavo a balbettare dopo secoli.
Ryan si fermò un attimo.
“Non andare” sussurrai. “Posso provartelo”.
Lo vidi riflettere sulla questione, poi sospirò. “E come?”.
Mi staccai dalla porta e andai verso la mia libreria. Iniziai a cercare tra gli annuari scolastici, cercando l’anno giusto.
Finalmente lo trovai. Lo misi sulla scrivania e iniziai a sfogliare velocemente le pagine.
Non ci misi molto, diverse pagine dopo la mia. Sarah Juliet Wilkinson. La fissai per un attimo. Perché non avevo notato prima il secondo nome?
Ero rimasto immobile, a fissare la foto di una Sarah sorridente e leggermente più giovane, tanto che non mi accorsi di Ryan dietro me, che osservava da sopra la mia spalla, facilitato dalla nostra differenza d’altezza.
“Non è possibile” sussurrò, facendomi sobbalzare. Mi spostai automaticamente.
“E’ lei, Ry” dissi, mentre lui prendeva l’annuario tra le mani.
Poi lo lasciò cadere di nuovo sulla scrivania e mi guardò, facendomi indietreggiare. “Che cosa vuole?” mi chiese.
“Non lo so” risposi, scuotendo la testa. “Mi dispiace, Ry. Mi dispiace”.
Lui abbassò lo sguardo e si allontanò da me. Iniziò a camminare per la stanza e ad un certo punto rise amaramente. “Credevo davvero che lei fosse diversa. Volevo impegnarmi, davvero. Ma è solo… peggio delle altre”.
Io mi sedetti sul letto, incapace di guardarlo.
“Non so a che gioco stia giocando, ma non voglio realmente farne parte. Se le fosse interessato il nostro rapporto, mi avrebbe detto che ti conosceva già. Non mi avrebbe chiesto di te” terminò, sedendosi accanto a me. “Avresti dovuto dirmelo prima” continuò, rivolgendosi finalmente a me.
“Lo so. Mi dispiace” riuscii soltanto a dire, sollevando lo sguardo.
Lui fece un piccolo sorriso. “Sembri un disco rotto, amico”.
Io sospirai. “E’ la verità. Sapevo quanto ti piacesse”.
Lui scrollò le spalle. “Sai come la penso. Le donne vanno e vengono, furia. Non c’è mai da fidarsi. Riuscirò ad andare avanti” mi disse, ma nonostante tutto potevo vedere quanto gli facesse male. E il repentino cambio d'umore me lo stava confermando.
“Io sono qui, se vuoi” sussurrai, abbassando lo sguardo.
“Grazie, Chad”.
Io gemetti frustrato e mi gettai indietro sul letto. “E adesso che si fa?” chiesi, mettendomi le mani in faccia.
“Beh… scopriamo cosa vuole da noi e da te in particolare, no?” rispose, mettendomi una mano rassicurante sul ginocchio.
Io mi tolsi le mani dal viso. “Ti ho detto che la tua ragazza è una bugiarda, mi sono comportato di merda e tu vuoi ancora aiutarmi?”.
Lui scrollò il capo. “Primo: grazie tante per avermelo ricordato. Secondo: è sempre la stessa storia con te, amico. Sto iniziando a farci l’abitudine, sai? Quindi sì, ti aiuterò. E dato che non ho ancora intenzione di avvicinarmi ad un’altra ragazza, se ne avessimo bisogno, potrei anche continuare questa… cosa. ” mi rispose.
Io mi sollevai di colpo. “Dici sul serio? Lo faresti?” chiesi, con gli occhi spalancati. Nonostante avessi appena messo fine alla sua relazione seria e stesse male (potevo vederlo benissimo) era ancora pronto ad aiutarmi.
Lui annuì e sul mio viso nacque un sorriso. “Dio, Ryan. Ti voglio così bene” dissi, prima che riuscissi a fermarmi. Vidi i suoi occhi che si aprivano per lo stupore e il piccolo sorriso che aveva sulle labbra, prima di abbassare immediatamente lo sguardo e sentire il mio viso andare a fuoco.
Lo sentii ridere e poi dire: “Vieni qui, idiota”. E poi mi ritrovai stretto in un suo abbraccio.
Non potei fare a meno di ricambiarlo, ma riuscii a rovinare il nostro momento con la mia uscita: “Mi stai facendo diventare una checca” bofonchiai.
E la risata di Ryan riempì la stanza.
 
Pov Melanie
Sentivo l’ansia e l’agitazione percorrere il mio corpo e trasformarsi nel tremore alla gamba. Continuavo a muoverla su e giù in modo incontrollabile, mentre parlavo al telefono con Chad, che continuava a chiedermi del disegno.
Ed era l’unico che riusciva a farmi ridere e smettere di pensare per qualche attimo alla premiazione che sarebbe avvenuta di lì a un’ora. Il weekend era passato troppo velocemente. E pensavo che la mia piacevole uscita con Becka e Chris, che mi avevano mostrato alcune parti calienti – a detta del nostro amico – della città, avesse comportato l’accelerazione, sebbene immaginaria, del tempo. Probabilmente i professori che durante quel weekend avevano analizzato tutti i lavori del nostro progetto, non la pensavano come me. Loro saranno stati stremati. Peccato che a causa dell’ansia anche io mi sentissi nello stesso modo.
“Dai, dimmelo. Ti porto in quel ristorante che ami tanto, se me lo dici” stava cercando di convincermi, intanto, Chad al telefono.
“Cerchi di corrompermi, O’Connor?” lo derisi.
“Può darsi”.
Io ridacchiai. “Devi aspettare soltanto un paio d’ore e poi lo saprai anche tu. Sei un ragazzaccio impaziente” dissi in modo accattivante.
Lo sentii ghignare da dietro al telefono. “Sì, però ti piacciono tanto i ragazzacci, vero Carter?” mi stuzzicò.
“Oh, beh… in effetti sì. Come fai a sapere i miei gusti, O’Connor?” continuai a stare al gioco.
Lui ridacchiò. “Ho provato ad indovinare” mi rispose.
Io scossi la testa divertita. “Allora il fatto che stiamo insieme da quasi due anni non c’entra nulla?”.
“Direi di no”.
“Bene. Mi piacciono i ragazzi con l’intuito sviluppato”.
Lo sentii ridere. “Non so se il mio intuito sia sviluppato, amore. Ma sicuramente ho qualcos’altro di sviluppato”.
E a quel punto risi anche io. “Sei un maiale” gli dissi e lui ghignò di nuovo.
“Sono così solo perché mi manchi” continuò lui, facendomi sorridere istintivamente.
E ovviamente la mia specialità era quella di rovinare i momenti più belli. “No. Tu sei sempre così” lo derisi.
Lui sbuffò. “Grazie, piccola” e potevo immaginarlo mentre ruotava gli occhi.
Io ridacchiai. “Anche tu mi manchi, amore. Dobbiamo solo aspettare il giorno del Ringraziamento” cercai di rimediare.
Chad sospirò. “Sì, anche se non penso di farcela per un altro mese”.
“Non è nemmeno un mese, piccolo. E poi tra pochissimo inizierai con i combattimenti e potrai sfogarti in quel modo” dissi.
“Sì, ma è un tipo di sfogo diverso. E sai quanto mi mancheranno i tuoi modi per darmi la carica prima di essi?” chiese retoricamente.
Io roteai gli occhi. “Beh, diciamo che per ora il pacchetto completo è esaurito, amore. Cercherò di rifornirti presto” e mi sentivo quasi uno spacciatore, o peggio.
Chad rise. “Adesso ho capito perché mi sono innamorato di te. Il tuo modo di usare le parole è peggio del mio certe volte, lo sai?”.
“Ne sono consapevole” risposi, sorridendo divertita.
“Solo un indizio”. Chad aveva cambiato argomento improvvisamente, perché non capii di che stesse parlando.
“Eh?” chiesi confusa.
“Un indizio sul disegno. E poi sono sicuro che qualora non dovessi vincere, non me lo dirai più”.
“Per prima cosa: non è vero. Qualora non vincessi, il che non è difficile, il mio disegno mi verrebbe restituito e ti manderei una foto. Secondo: e va bene. Solo uno: c’è del sangue” dissi.
Lui rimase un attimo in silenzio e io mi chiesi se fosse ancora lì. “Sei proprio macabra. E scommetto che è anche notte” disse, poi.
Io alzai gli occhi al cielo, anche se lui non poteva vedermi. “Sì. Ma solo perché i colori erano il blu e il rosso. Per cui…” spiegai.
“Va bene. Ho capito” affermò.
Poi guardai l’orologio e quasi saltai. “Chad, devo andare” iniziai. “Fammi gli auguri”.
“Buona fortuna, amore” mi disse.
“Grazie. Ti amo” risposi.
“Anche io” lo sentii dire, prima di riattaccare.
Era ora di andare.
 
Mentre camminavo tra i viali, mi dovetti fermare di colpo, quando qualcuno mi chiamò.
Vidi Adrian che mi veniva incontro. Aveva i capelli che andavano in tutte le direzioni e un sorriso sulle labbra.
“Fretta?” mi chiese una volta che mi raggiunse.
“Sì” dissi, accennando un mezzo sorriso.
Lui tirò fuori dal pantalone un orologio da taschino, con uno strano stemma sul davanti, che non riuscii a comprendere né a mettere a fuoco e pensai che fosse davvero strano. Insomma, sembrava appena uscito dall’Ottocento. Magari c’era un portale magico temporale nelle vicinanze.
“In effetti se non ci affrettiamo, saremo in ritardo” disse, tirandomi fuori dai pensieri.
“Saremo?” chiesi, confusa.
Lui annuì e mi incitò a camminare, toccandomi il braccio.
“Sai, anche io faccio parte di questa competizione. Sono del corso successivo al tuo. Quindi sì, saremo. E a proposito, buona fortuna” disse, guardandomi e facendo un sorrisino.
“Grazie. Anche a te” risposi, mentre iniziavo ad intravedere la sala che avrebbe ospitato la premiazione.
L’aula magna, per la precisione. Era una della sale più grandi dato che, come mi avevano detto, per quelle occasioni parecchia gente, probabilmente per curiosità (sia dei quadri che dei vincitori), andava a dare un’occhiata.
“Vieni. Mettiamoci più avanti” mi propose Adrian, una volta entrati nella sala, già colma di gente.
Arrivammo nel punto che mi aveva indicato e mi resi conto che erano tutti ragazzi e ragazze del secondo anno o più. Per giunta, così come loro, dovevamo stare in piedi, dato che i posti a sedere erano tutti occupati.
“Chi ti porti dietro, Castle? La tua nuova ragazza?” chiese uno studente moro ad Adrian, ridendo.
“E’ un’amica, Martin” rispose Adrian con tutta la calma possibile. Nonostante lo stessero prendendo in giro, lui sembrava non essere scalfito minimamente.
“Paparino non vuole? Pensa che sia troppo poco… aristocratica, per te?” continuò un altro ragazzo, accanto al primo.
Dopo quel commento, pensai subito che la famiglia di Adrian fosse ricca, ma non feci in tempo a riflettere che Adrian rispose: “Posso scegliere la ragazza che voglio, Glenn. Proprio come te. Solo che io ho più gusto di te e non mi porto a letto la prima ragazza che passa e la tratto come una bambola” terminò con un sorriso glaciale.
“Oh. Ha imparato bene le buone maniere” continuò Glenn, ma una ragazza intervenne, dandogli un colpo sul petto.
“Piantala, Glenn” intimò per poi guardare Adrian con uno sguardo dispiaciuto.
“O forse no, dato che non ce la presenta nemmeno” continuò imperterrito Glenn, ignorando la ragazza.
“Non presento ad una ragazza uno come te, Glenn” disse Adrian, voltandosi verso di me e dando così le spalle a quel Glenn.
“Che vuoi dire?” disse quest’ultimo, arrabbiato.
E poi il primo ragazzo che aveva parlato, Martin mi sembra, intervenne: “Lascia perdere, Glenn. Non ti conviene, lo sai”.
Glenn sbuffò e poi sia allontanò senza aggiungere altro.
“Scusa. Sono solo alcuni idioti del mio corso. Non sono tutti così” mi spiegò Adrian, ma prima che potessi rispondere qualcuno si aggrappò praticamente al mio collo.
“Eccoti, finalmente” sentii la voce di Becka, seguita da Chris: “Scusala, Melanie. Non riesco mai a fermarla”.
Io mi voltai verso i due ragazzi, dopo che Becka si staccò da me. “Ehi, ragazzi” li salutai, sorridendo.
“Adesso capisco perché non tingi i tuoi capelli di un altro colore. Il tuo rosso è meglio di un lampione, in quanto a visibilità” disse Becka, eccitata.
Io sollevai gli occhi al cielo, poi improvvisamente, guardando Chris concentrato su qualcos’altro – qualcuno per l’esattezza – mi ricordai di Adrian.
Mi voltai di nuovo, facendo in modo che non dessi le spalle né al ragazzo, né ai miei amici.
“Scusa, Adrian. Loro sono…” iniziai, ma lui mi interruppe.
“Becka Talbot e Chris Lunt” finì, con un sorriso sulle labbra.
Io annuii, chiedendomi come facesse a saperlo.
“Castle” salutò Becka, mentre Chris faceva un cenno con il capo, con un sorriso accattivante.
“Scusate, ragazzi. Il dovere mi chiama” disse poi Adrian, guardando oltre la mia spalla.
Mi voltai verso quella direzione e vidi la nostra professoressa che gli faceva cenno di raggiungerlo.
E poi prima di andarsene, si abbassò verso di me. “Penso proprio che ci vedremo sul palco” mi sussurrò, per poi rimettersi dritto e sistemarmi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, con un sorriso sul viso.
Io ero raggelata. Mi superò e andò via, lasciandomi lì a riflettere su cosa volesse dire pochi secondi prima.
“Cosa ti ha detto?” mi chiese Becka, mentre sentivo Chris dire: “Oh mio dio. Da quando sa il mio nome?”.
Becka roteò gli occhi e si voltò per un attimo. “Chris, quel ragazzo sa qualsiasi cosa all’interno del campus. È peggio di A di Pretty Little Liars. Anche se non so ancora se possegga l’aspetto sadico e macabro” rispose.
“Penso di sì” borbottai e Becka tornò a prestarmi attenzione.
“Cosa ti ha detto?” mi chiese.
“Mi ha fatto gli auguri”. Io non volevo dire una cazzata, davvero, ma era uscita dalla mia bocca prima che potessi fermarla.
Lei annuì, mentre Chris mi scrutava. “Ti ha toccato i capelli?” mi chiese.
Becka lo fulminò con lo sguardo, ma prima che potessi rispondere, la professoressa che aveva organizzato il progetto era salita sul palco, attirando l’attenzione dei presenti.
“Buonasera a tutti. Grazie per essere qui” e dopo i convenevoli, presentò il premio: i quattro giorni a New York.
“Ebbene, prima di tutto vorremmo mostrare alcuni dei lavori che hanno colpito molto, ma che sfortunatamente non sono riusciti ad arrivare sul podio.
E mentre passavano i quadri, sentivo il mio respiro che accelerava a causa dell’ansia. Temevo di vedere il mio tra quelli, ma continuavano a scorrermi davanti agli occhi e nessuno era lontanamente simile al mio.
Pensai alle parole di Adrian e continuavo a ripetermi che non era possibile. E se anche fosse, come faceva lui a saperlo?
Le parole di Becka mi risuonarono nella testa: lui sa tutto del campus. Ma non poteva essere.
Sentii la mano di Becka che si stringeva a quella mia e mi voltai a guardarla per un attimo, il tempo giusto per vederla fare un sorriso rassicurante, che non riuscii proprio a ricambiare. Ma le fui comunque grata di quel gesto.
“E adesso partiamo dal terzo anno, del quale otterrà il premio soltanto uno studente. Ogni tema è diverso per ogni anno. E proprio per i ragazzi dell’ultimo era: la distruzione”.
E poi un quadro coperto da una tela venne portato sul palco da due ragazzi. Venne poggiato su un cavalletto e poi l’istruttrice aprì una busta. “Il vincitore è: Paul Munich!” affermò con un sorriso radioso.
Subito gli applausi si levarono nella sala, prima ancora che il telo venisse tolto. E poi il quadro venne scoperto e gli applausi divennero ancora più forti. Era un dipinto ad olio ed era la riproduzione perfetta delle torri gemelle, nel pieno dell’attacco.
Era fantastico e poteva essere scambiato per una fotografia se alla base del dipinto, ai piedi delle torri, non ci fossero stati dei cartelli con delle scritte. A destra scritte di odio, a sinistra quelle di pace.
Lasciava proprio senza parole. E così, Paul Munich, un ragazzo con riccioli neri come la pece e occhi blu, salì sul palco, sorrise e strinse la mano della professoressa che si congratulava con lui. Rimase lì, ad un angolo del palco, aspettando che i suoi compagni fortunati lo raggiungessero.
“Per il secondo anno, il tema era << il giallo e il verde >>”. Due colori, proprio come noi. E poi un altro quadro coperto e un’altra busta.
“Il vincitore è: Adrian Castle!” e ancora applausi. Questa volta però sentii anche dei fischi in mezzo a tutto quel delirio.
“Ancora una volta” sentii dire a Becka, che teneva ancora la mia mano.
“Cosa?” le chiesi, senza staccare gli occhi dal palco.
“In due anni ha vinto un sacco di concorsi di questo tipo. Molti dicono che sia solo per la sua fama, altri pensano che lo meriti per la sua bravura” mi spiegò.
“E tu?”.
“Sinceramente? Non lo so. È molto bravo, ma potrebbe contare anche la sua fama” mi rispose.
E poi potemmo ammirare il suo lavoro: era un leone con la criniera selvaggia e le fauci aperte in un ruggito.
C’erano tantissime sfumature di giallo e il disegno, fatto con gli acquarelli, non aveva alcuna imperfezione.
Ne rimasi subito ammirata. Quel quadro lasciava il fiato. E la cosa che riusciva a farti incantare e a mantenere lo sguardo su di esso, secondo me, era l’unica traccia di verde in tutto il dipinto: gli occhi del leone.
Erano di un verde così luminoso da mettere i brividi.
Personalmente, pensai che Adrian fosse veramente un artista incredibile.
Lo osservai mentre saliva sul palco e ripercorreva le azioni di Munich.
E nel momento in cui si sistemò accanto al ragazzo più grande, il nostro sguardo si incrociò. Adrian mi sorrise e mi fece l’occhiolino, prima di tornare alla donna che parlava sul palco. E io rabbrividii.
Per Adrian? Forse, ma in quel momento ne dubitavo parecchio. Adesso toccava a noi. Era il turno del nostro anno e soltanto due di noi sarebbero potuti andare a New York.
Sentii l’ansia che rimbalzava da una parte all’altra del mio corpo, mentre la professoressa apriva la busta, dopo aver annunciato il nostro tema. Istintivamente strinsi più forte la mano di Becka, ma fortunatamente lei non protestò.
“Uno dei due vincitori è:…” quella piccola pausa, che prima avevo notato a malapena, adesso mi stava uccidendo.
<< Ci vediamo sul palco >>.
“Melanie Carter”.
Gli applausi. Il rumore degli applausi non mi era mai sembrato così piacevole. Io che avevo sempre odiato gli applausi.
Sentii Becka che mi abbracciava, sciogliendomi dal torpore e complimentandosi, mentre il velo cadeva per terra e il mio disegno veniva mostrato a tutti, esattamente come lo ricordavo.
Mi persi un attimo ad osservarlo. E mi venne in mente il momento esatto in cui avevo disegnato ogni minimo particolare.
Il mio disegno rappresentava un ambiente notturno e proprio per quel motivo tutto aveva un colore scuro e bluastro. Il paesaggio era un lago in mezzo alla natura.
In primo piano, invece, la figura portante di tutto il disegno: una donna. Anzi, una ninfa precisamente, dalla pelle diafana e celeste, che si trovava a riva, dando le spalle allo spettatore, quasi come se stesse per entrare nel lago. A coprirla solo un drappo intorno alla vita, mentre la parte superiore del corpo era scoperta.
E poi il rosso. I capelli della ninfa erano di quel colore e decisamente lunghi, erano adagiati lateralmente e in avanti, sulla sua spalla, in modo da mostrare il punto cruciale del disegno: la sua schiena.
Al centro di essa, infatti, c’era una ferita aperta. Lunga e stretta, come quella creata da un coltello. Da essa il sangue usciva e scorreva fino alla sua vita, sporcando anche il drappo che la copriva.
Per finire a richiamare la sua ferita, la luna rossa che brillava in cielo. Quel particolare dava al disegno un senso di irrealtà e tingeva di quella sfumatura l’ambiente cupo e buio della notte.
E poi senza che me ne accorgessi mi ritrovai anche io sul palco, a stringere la mano alla mia professoressa. “Congratulazioni, signorina Carter”. Era tutto così irreale, che non ero ancora riuscita a metabolizzare tutto quello che stava avvenendo. Sentivo solo lo schiocco degli applausi che riempivano la sala, mentre camminavo verso Adrian.
<< Ci vediamo sul palco >>. << Sa tutto del campus >>. Ok, adesso la curiosità si era insinuata dentro di me. Volevo capire assolutamente come avesse fatto a sapere chi erano i vincitori in anticipo.
Era la sua fama, come aveva detto Becka o aveva fatto qualcosa di illecito?
Lo stavo anche guardando, senza che potessi farne a meno, dopo essermi fermata accanto a lui.
Adrian si voltò e ricambiò il mio sguardo. E sfoggiò uno dei suoi sorrisi più belli, prima di voltarsi di nuovo verso il pubblico.
“Sarà un’esperienza interessante quella di New York” lo sentii dire.
Ma io non riuscii a rispondere in alcun modo.



Angolo dell'autrice: Salve!! Sono tornata con il nuovo capitolo. Diciamo che sono estenuata dalla revisione che gli ho appena fatto. Quindi mi perdonate se non faccio alcun commento? Li lascio fare a voi ;) Io non ne ho la forza x)
A presto! xx
-Manu
  
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