L’ombra
di un fantasma del passato
E
anche quella volta era stato fregato alla grande.
Erano più di due ore che se ne stava seduto al chiosco di
Teuchi ad ascoltare i
discorsi insensati dei suoi compagni che per la maggior parte erano
ubriachi.
Kiba e Shikamaru stavano facendo a
gara
a chi beveva di più, Naruto e Choji mangiavano
ininterrottamente da due ore e
poi Sakura e Ino erano talmente brille che non si accorgevano neppure
di
parlarsi sopra a vicenda. E lui era lì. Solo come il
cucù a giocherellare con
un bicchierino da Sakè. Hinata e Tenten, beate loro, se ne
erano andate poco
prima a casa della Hyuga per lasciare le buste degli acquisti. “ ma porca di
quella schifosissima miseria!
Possibile che debba sempre farmi intortare dai discorsi del botolo?"
Possibile che sia così deficiente?” pensava Shino
continuando a giocherellare
con il bicchierino.
“Ragazzi
sono le 11 e 30! E per voi è ora di tornare a casa a dormire
che domani dovete
lavorare” disse Teuchi cominciando a raccogliere le stoviglie
sporche per
lavarle. “ grazie al cielo questa tortura è
finita” pensò Shino. Un dissenso
generale si levò dai ragazzi che non avevano nessuna
intenzione di finire così
la serata.
“Andiamo Teuchi,
non fare il guastafeste! La notte è ancora lunga”
si lamentò Kiba sbattendo sul
bancone un bicchierino che aveva appena svuotato, raccogliendo
l’assenso quasi
generale.
“Vedete di sparire e non
farmi
arrabbiare prima che vada di là a prendere la
scopa” li ammonì il venditore di
ramen. Shino fu il primo a defilarsi. Cominciò a correre ma
non si diresse
verso casa bensì nella direzione opposta. Non aveva nessuna
voglia di tornare a
casa sua. Si diresse a nord. Man mano che s’inoltrava a
settentrione uno spesso
strato di nebbia avvolgeva il panorama, appiccicandosi addosso e
rendendo il
luogo spettrale. Corse per circa un’ora finché non
giunse a un grande bosco di
pini secolari. Shino si fermò un secondo, ansante, ad
ammirare quell’immensa
distesa di verde per poi gettarvisi dentro e cominciare a correre.
Conosceva
ogni singolo anfratto di quel bosco che si estendeva per migliaia di
chilometri. L’aveva scoperto undici anni prima quando, come
al solito, sua
madre lo aveva picchiato e offeso e lui
aveva desiderato scappare via da Konoha e nello scappare si era
imbattuto in
quella che sarebbe diventata la sua seconda casa. E poi quello era il
posto
dove la sua vita era cambiata da un giorno all’altro. Era il
luogo in cui
l’aveva incontrata per la prima volta, il luogo in cui
avevano giocato assieme,
il luogo in cui si era sentito un bambino normale.
Nel
mentre che pensava a ciò aveva allungato il passo
e contro ogni sua previsione era già arrivato alla meta
designata: la radura.
Era uno spiazzo ampio una sessantina di chilometri: l’unico
luogo di quella
foresta millenaria in cui i raggi dei due grandi astri riuscissero a
lambire
l’ispida erbetta di ottobre. La radura era occupata per i 2/5
da un lago dalle
acque nere e immote. “ è qui che ti ho visto la
prima volta” pensò Shino
guardando nostalgicamente le sponde
del
lago dove ricordava ci fosse seduta una bambina. Restò
immobile per un tempo
indefinito rivangando i momenti felici trascorsi con la sua amichetta.
Aveva
faticato molto per autoimporsi di smetterla di pensare a lei ma quella
volta
aveva deciso di togliere, dalla sua mente, ogni freno inibitorio. Era
vero che
era stanco di continuare a soffrire per il ricordo evanescente di un
fantasma
del suo passato ma era pur sempre vero che con lei aveva vissuto parte
dei
momenti più felici della sua vita.
Inspirò a fondo l’aria gelida del
primo mattino e i suoi polmoni sembrarono
trapassati da tante piccole schegge di ghiaccio. Il ragazzo si riscosse
dai
suoi pensieri, era ora di smettere di pensare e cominciare ad allenarsi
dato e
considerato che era da parecchi giorni che non praticavano
più attività fisica.
Shino si tolse gli
occhiali e li ripose
nella tasca dell’impermeabile, prese un altro profondo
respiro e poi cominciò
ad allenarsi. Scattò in avanti tirando un calcio
all’altezza del volto di un
ipotetico avversario poi si abbassò e mettendosi
perpendicolarmente al terreno
e facendo perno con la mano destra su di esso, tirò un altro
calcio al suo
ipotetico avversario nella zona delle caviglie per poi poggiare anche
l’altra
mano sul terreno e fare una capovolta all’indietro per poi
scattare
immediatamente in avanti e parare un colpo dall’alto.
Continuò così per diverso
tempo finché la stanchezza ebbe la meglio su di lui che
cadde a terra ansante.
Si scoprì a fissare quell’immenso specchio
d’acqua che da ormai migliaia di
anni rifletteva l’effige della regina della notte assieme
alle sue figlie.
L’aveva sognata tante volte seduta sulle sponde: indossava un
lungo abito nero
aderente che le arrivava fin sotto i piedi, i lunghi capelli neri erano
sciolti
e le ricadevano a boccoli sulle spalle arrivando sino al terreno per
poi
sparpagliarsi su di esso, gli occhi dal taglio obliquo e freddo e dal
color
glaciale che lo fissavano e il suo bellissimo sorriso a incoraggiarlo a
sedersi
accanto a lei. Erano passati sette lunghi anni dall’ultima
volta che l’aveva
vista ma nonostante questo ricordava ogni singolo dettaglio di quella
mocciosetta: aveva quattro anni meno di lui ed era poco più
bassa di lui, aveva
lunghissimi capelli neri che legati in una coda alta le arrivavano
sotto il
sedere, la pelle era talmente pallida da fare impressione, gli occhi
erano
grandi e dal taglio obliquo e freddo di uno spettacolare blu
oltreoceano
tendente al viola, aveva un carattere molto particolare, era sempre
calma e non
si arrabbiava mai per nulla e quando lo faceva non si metteva a urlare
o robe
del genere, si limitava semplicemente a fissarti in un modo che era
capace di
farti sentirti il peggior verme esistente sulla faccia del pianeta e
,infine
c’era l’abbigliamento. Il modo di vestire era
davvero buffo, per non dire
osceno: indossava un vestitino grigio di pile che le arrivava oltre le
caviglie, un paio di stivali rosso fuoco di plastica, sul capo portava
un velo
a mo’ di cappuccio che le copriva gran parte del volto e
infine indossava
sempre dei guanti di velluto blu che le arrivavano fin sotto
l’ascella. E cosa
più strana di tutte era l’unica a non provar
ribrezzo nei suoi confronti; a lei
non importava che Shino al suo interno racchiudesse una colonia di
insetti
anzi, diceva sempre che era proprio quel dettaglio a renderlo speciale.
Un’altra
cosa strana era che a lei non importava di sporcarsi le scarpine o di
dover
rotolarsi nel fango, al
contrario di
tutte le altre bambine, non le importava molto di apparire bella e
presentabile
le importava solo di divertirsi assieme a lui, l’unica cosa
su cui non
transigeva era che la si toccasse e a proposito era stata molto chiara
con
Shino, lo aveva avvertito che se l’avesse toccata sarebbe
andato incontro a una
morte orribile e non era una minaccia. La bambina gli aveva fatto anche
vedere
il motivo per cui non avrebbe mai e poi mai dovuto toccarla e una volta
di più
Shino era riuscito ad affascinarla perché, a differenza di
tutti gli altri che
conoscevano le sue “ doti”, lui non era scappato
via urlandole che era solo un
mostro, al contrario le aveva fatto un sorrisone a trentadue denti (a
quel
tempo un po’ meno) e le aveva proposto di giocare a
nascondino così che non
avrebbe corso il rischio di sfiorarla. La loro amicizia era durata fino
a
quando lei non si era più fatta vedere, così da
un giorno all’altro. Shino come
ogni sera era uscito furtivamente dalla finestra, dopo che suo padre
era andato
in camera sua per rimboccargli le coperte e augurargli la buona notte.
Aveva
corso come un pazzo per un’ora intera, non stava
più nella pelle dalla voglia
di rivederla; l’aveva aspettata fino all’alba ma
lei non si era fatta vedere.
Quel teatrino era andato avanti per circa un anno e mezzo dopo di che
Shino si
costrinse a credere a ciò che aveva fiutato già
da tempo: lei non sarebbe
tornata mai più. E questo per lui avrebbe significato una
sola cosa: il ritorno
alla sua solitudine. Nonostante questo però, il ragazzo
aveva continuato ad
andare nella foresta, con la remota speranza che lei un giorno o
l’altro avesse
fatto ritorno.
Shino
si alzò da terra e s’incammino verso il
laghetto, restò a fissarlo per qualche secondo e poi decise
di farsi un bel
bagnetto. Si tolse
i vestiti e li poggiò
accuratamente per terra. L’acqua era gelida e Shino dovette
farsi coraggio
prima di immergersi completamente. Nuotò agilmente fino al
fondale. Cominciò ,
come al solito, a esplorare i fondali rocciosi che conosceva a
menadito, si
infilava nelle caverne esplorando ogni singolo anfratto, scandagliava
il fondo
roccioso alla ricerca di qualche forma di vita e così via.
All’improvviso
qualcosa attirò la sua attenzione, un oggetto luccicante sul
fondo roccioso.
Shino nuotò fino a quel luccichio intermittente e
riuscì, anche se con
un’immane fatica, a mettere a fuoco l’oggetto:
“È
la sua collana!” pensò Shino con un tuffo al
cuore! Qualche anno prima erano
impazziti per cercare quel dannato aggeggio che per la sua piccola
amica era
importante per qualche ragione che in quel momento non gli sovveniva e dopo giorni interi di
ricerca si erano
arresi. Quella catenella era sommersa da ettolitri di acqua da minimo
dieci
anni eppure non era stata intaccata da alcun tipo di alga, risplendeva
come la
prima volta che l’aveva vista. Improvvisamente Shino
notò qualcosa alle sue
spalle. Un riverbero aranciato colorava la parete rocciosa alle sue
spalle: era
l’alba; decise che era giunto il momento di smetterla di
giocare a fare la
sirenetta e tornare in superficie. Si arrotolò la collana
attorno al polso e
riemerse. L’aria in superficie era ancora molto pungente e un
venticello gelido
si era alzato, scuotendo pigramente le fronde degli alberi. Si diresse
nel
punto in cui aveva lasciato i suoi vestiti quando
all’improvviso sentì un
rumore di legna spezzata. Si voltò di scatto e si mise in
posizione difensiva
cominciando a scrutare attentamente l’immensa distesa verde
che gli si parava
davanti. Tutto era immoto e silenzioso, troppo immoto e silenzioso per
una
foresta, nessun verso di animale, nessuno scalpiccio niente di niente,
solo il
rumore ritmico e rilassante del vento.
“Non essere ridicolo
Shino chi vuoi che ci sia a quest’ora infame del mattino in
questo luogo
isolato dal mondo? Il rumore sarà stato solo un
miraggio” nonostante questi
pensieri affollassero la sua mente, sentiva due occhi puntati addosso
che lo
studiavano attentamente; si rivestì lentamente per poi
lasciarsi cadere sul
terreno esausto. Portò entrambe le mani sotto la nuca e
sollevò la gamba destra
puntellando il piede sul terreno, all’incirca
all’altezza del ginocchio della
gamba sinistra. Le palpebre erano pesanti e tutto il suo corpo anelava
al
sonno,, ma prima di farsi abbracciare da Morfeo diede
un’ultima occhiata
intorno a se e poco prima di chiudere gli occhi gli parve di scorgere
due iridi
fredde e assassine che lo fissavano insistentemente. Un
nome che non pronunciava più da ormai sette
lunghi anni gli si stampò a caratteri di fuoco nella mente:
“Tenebra”
Ciao
a tutti! Scusate l’enorme ritardo ma in questo
periodo sono molto occupata e quindi non ho molto tempo per la
scrittura Grazie
mille alle poche persone che leggono e un grazie particolare alla mia
Kimmy perché
recensisce. Allora dopo questo capitolo ce ne sarà un altro
e poi entreremo nel
cuore(per così dire) della storia. Ringrazio ancora una
volta coloro che hanno
letto. C risentiamo al prossimo capitolo. P.s. qualche commentino in
più non mi
dispiacerebbe ^^ non preoccupatevi anche se è una cosa
negativa è sempre ben
accetta!
Ka93:povero
Kiba un corno! Ma secondo te i maschietti
a cosa servono?? Xd grazie 1000 per la recensione. Un bacione
grandissimo.