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Autore: MissBlackdeVilliers    12/08/2015    1 recensioni
Maddison Monroe, 17 anni, genitori tutto meno che amorevoli, una nonna fantastica e una strana e morbosa fobia per l'acqua....Come può un abbozzo di tale mediocrità essere colei che può tutto?
I 18 anni sono un traguardo importante: patente, maturità sociale e libertà... Ma se fossero anche il termine ultimo dell'inevitabile chiamata ai confini del mondo?
E se la tua scelta fosse l'ago di una mistica bilancia che per molto tempo , forse troppo, è rimasta stabile?
Ma la vera domanda è: per amore, si può mettere a repentaglio un equilibrio cosmico?
Beh, ora forse la fantasia mi ha giocato un brutto scherzo, perché nell'irrimediabile realtà ciò è del tutto assurdo....
.... O forse no...
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Appena ripresi facoltà di me stessa e mi ricordai di avere un po' di orgoglio, mi ricomposi.
 Lui era ancora lì, disteso su un fianco, mentre snocciolava parolacce davvero molto fantasiose, accostando alla parola "culo" almeno una decina di diversi aggettivi e facendo assonanze per cui anche Leopardi sarebbe sbiancato.
 "Ehm... Scusa, hai bisogno d'aiuto?" Pronunciai quelle banali parole, mossa da una volontà propria e con un tono di voce di almeno 10 decibel più alto del solito. In quel momento stavo odiando anche la mia voce.
 Il ragazzo, che sembrava essersi appena accorto di me, mi rivolse uno sguardo che avrebbe fatto svenire chiunque, anche se non sembrava dar peso all'effetto che provocava. Ma come biasimarlo, era mezzo infognato nel fango, probabilmente con una spalla slogata e tutti i suoi bellissimi, morbidissimi, nerissimi, fantastici, setosi... Ehm ok la smetto... capelli fradici.
 Mi squadrò per 15 secondi buoni con fare accusatorio (ma poi chi ero io per giudicare, dopo che la mia bocca si era aperta e così era rimasta per non so quanto).
 Poi lui disse :
 "E ad aiutarmi saresti te? Senza offesa ma non sono neppure sicuro che tua sia abbastanza forte da reggerti in piedi"
 Con quel poco di amore proprio che mi rimaneva risposi, cercando di farmi più alta di quello che non fossi:
 " Però qua l'unico che appoggia il sedere a terra sei te, mi pare. Non sei... Ehm ,diciamo così, nella "posizione" adatta per i giudicare!" Risposi colpita nell’ orgoglio da quella sentenza che non sembrava detta con fare amichevole, ma piuttosto per stuzzicarmi.
E con fare del tutto teatrale, mi voltai sui tacchi, mi scostai i capelli dagli occhi, mi ricomposi, e inizia a camminare… si, iniziai… perché con fare altrettanto teatrale scivolai su una maledetta pietra. Il dolore partì dall’osso sacro e si diramò velocemente per la colonna vertebrale, fino a salirmi alla nuca.
A distrarmi da questo dolore lancinante furono le risate non molto sommesse del tipo che, in questo momento, si trovava nella mia medesima situazione a pochi metri di distanza.
Non ci potevo credere: 1 a 0 per lo sfrontatello. Ero letteralmente furiosa, ma non con lui, con me stessa. La solita impacciata che non riusciva a farne una giusta.  Avrei davvero voluto ridere e prenderla con filosofia, ma non ci riuscii. Stanca per la pioggia e stremata dall’ennesima litigata con quella donna, mia generatrice, denominata anche “mamma”, avuta prima di uscire,  ridere, sembrava un lontano miraggio.
Una figura molto alta comparì davanti ai miei occhi. Quando alzai lo sguardo, trattenendo a stento lacrime di rabbia, mi scordai immediatamente di tutti i miei insulsi dolorini e dei patetici litigi…
 Mia mamma eh… mamma, mamma ,mamma… quale mamma?
Il suo sguardo indugiava sulle mie guance in fiamme ,la sua mano tesa in segno di aiuto, il suo viso perfetto: zigomi alti, mascella squadrata, occhi magnetici, non un brufolo che fosse uno ( ma almeno ce li aveva i pori?!), mi fecero dimenticare di respirare per un po’.
Poi quella figura idillica, rovinando subito l’atmosfera, iniziò a parlare:
 ” Se fossi un gentiluomo non riderei, ma visto che non lo sono…”
“ Ma non mi dire” commentai, meravigliandomi di avere ancora l’uso della parola.
Ed eccola lì, una fragorosa risata mi riempì le orecchie. Alzai gli occhi al cielo e mi morsi il labbro, due abitudini che mie madre odiava: la prima significava che ero scocciata, la seconda che ero in imbarazzo. Inutile sottolineare che mia mamma era solita vederle entrambe.
Decisi di mettere da parte l’orgoglio e di prendere la sua mano. Beh non che la prospettiva di toccarlo fosse un castigo infernale, ecco….
Quando fummo entrambi in piedi (finalmente), mi accorsi di quanto fosse più alto di me. Il suo corpo statuario mi sovrastava completamente (non che superare il mio metro e 60 fosse un’impresa olimpionica). Doveva fare palestra, immaginai, perché sotto la leggera maglietta nera si potevano scorgere i muscoli definiti.
Ci trovammo fermi, uno di fronte all’altro, la sua mano ancora nella mia e sembrava che nessuno dei due avesse intenzione di mollare la presa. Così decisi di toglierci da questo silenzio imbarazzante e andarmene.
Guardai distrattamente l’orologio e, senza neanche aver letto l’ora, esclamai:
“ Si è fatto tardi, devo andare ora…”
Non potevo credere di starmi privando volontariamente di quel contatto.
“ Ehm si certo, giusto…” Disse lui, come uscito dalla mia stessa trance mitica, forse a malincuore?
Mi voltai con un sorriso sulle labbra, compiaciuta da questa sua inaspettata tristezza nel vedermi andare via.
Ero ormai a dieci metri di distanza, nei quali avevo rischiato di cadere almeno 5 volte, quando una voce saccente alle mie spalle esclamò:
“ Ti dona questo color marrone sul fondoschiena, tesoro!”
Ok, era riuscito a rovinare nuovamente tutto e lo aveva fatto per ben 2 volte.
Decisi che non valeva più il mio tempo e me ne andai stizzita, ma per quanto il mio orgoglio morisse lentamente soffrendo, non riuscii a non compiacermi del fatto che mi avesse chiamata tesoro. Che rabbia!

******************
Sprofondai pesantemente sul divano di velluto giallo della sala di casa mia.
Ero davvero esausta. Badare a due bambini non era affatto una cosa semplice.  Anzi a QUEI due bambini.
Gordon, il più piccolo di circa 5 anni, era letteralmente una peste, non tanto così per dire... Il gioco che lo appassionava maggiorente era catapultarsi dal divano, al tavolo, alla credenza, e con un triplo carpiato scaraventarsi su di me. Non era mai stanco, io ci provavo e riprovavo a farlo addormentare anche solo per 5 minuti, ma la  mission impossible si rivelava fallimentare già al primo tentativo, quando con aria angelica sfilava la fodera del cuscino, ci si infialava dentro e giocava da solo alla corsa con i sacchi. In un certo senso mi ricordava il mio fratellino Cody. Entrambi avevano dei bellissimi capelli biondi, ma gli occhi di mio fratello non erano imitabili: sembravano chiarissimi blocchetti di ghiaccio che si scioglievano lentamente al sole.
La bimba più grande, Trecy di 8 anni, era un geniaccio del male: lo stesso pomeriggio in cui suo fratello cercò di spiccare il volo dal secondo piano, decise di provare su di lui un fantastico e letale miscuglio di alcool, amuchina e acido muriatico, con il presuntuoso obiettivo di fargli crescere un paio di corna.

Devo ammettere che non me la cavavo per nulla male, tenendoli a bada, e tutta questa attività fisica, che consisteva in poche parole nell’evitare che  si ammazzassero, era un ottimo sostituto della palestra.

Finite queste considerazioni mi ricordai di lui. Non ci avevo pensato per tutto il pomeriggio. Anzi, quando lessi ai due piccoli un vecchio libro che parlava di maghi e magie trovato in soffitta, una rappresentazione al fondo della storia del famigerato signore del male, me lo ricordava, per quei tratti duri e quella carnagione lunare.
Ma di conseguenza mi sovvenne in mente anche la mia spettacolare caduta, il suo sguardo che sprizzava superiorità da tutti i pori e la sua battuta finale che tanto mi aveva fatta infuriare :"Ti dona questo color marrone sul fondoschiena, tesoro!”

Oddio… il mio fondoschiena sporco di fango… sul divano giallo di velluto…

   
 
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