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Autore: Shatzy    29/01/2009    11 recensioni
[Partecipante al contest "Team Suna", indetto da rolly too]
Il complesso di Edipo è un fenomeno per cui il bambino tende ad avere un attaccamento morboso verso la madre e a competere con il padre, che vede come una minaccia. Sì, ma se due bambini non hanno potuto vivere un’infanzia normale, a causa della morte prematura della madre, e in seguito quella del padre, è possibile che riadattino questo complesso alla situazione che stanno vivendo, per poter finalmente maturare come uomini?
“Penso che tu sia migliorata molto, Temari.”
“Ah, Gaara! Tu sei il mio fratello preferito!”
“Ehi! Smettetela voi due, mi date il voltastomaco.”

È possibile trovare un’altra mamma da amare e un altro papà da odiare?
[Team Suna]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Shatzy

Disclaimer: i personaggi citati non appartengono a me, ma ai legittimi proprietari, così come la canzone iniziale.


Note dell' autore:
io semplicemente amo questo Team, da morire. Sono poco approfonditi nella trama di Naruto, eppure hanno quel qualcosa che ha da sempre stuzzicato la mia immaginazione. E’ il classico “amore per i personaggi secondari” XD. Per cui quando ho visto questo contest mi ci sono fiondata, perché, come minimo, un piccolo tributo alla mia squadra preferita era d’obbligo.

Questa fanfic è ambientata tra la prima e la seconda serie, il momento non è preciso, comunque dopo lo scontro con Naruto e prima che Gaara diventi Kazekage. E’ una riflessione su ciò che è cambiato, in relazione ai flashback sull’infanzia dei tre. Dovrebbe risultare un gioco di contrasti ^^” Il tema principale che ho scelto è il complesso di Edipo, che dovrebbe avvenire nell’infanzia, in particolare durante i flashback il rapporto è con il padre e la madre, come dovrebbe essere, mentre nella storia nel presente è un po’ cambiato secondo una mia riflessione. Perché questa tutto è, tranne che una famiglia normale (il colore del titolo è verde speranza appositamente XD).

Vaghi accenni ShikaTema (ci ho provato, ma non riesco a farne a meno, chiedo scusa ^^”).

 

Avverto che è una fanfic estremamente lunga, spero che avrete il coraggio e la forza di leggerla fino alla fine. La storia mi ha preso decisamente la mano.

 

 

 

Strange complex

 

 

 

 

È la vita in cui abiti
niente meno e niente più
sembra un posto in cui si scivola
ma queste cose le sai meglio tu.
Cosa vuoi che sia
passa tutto quanto
solo un po' di tempo e ci riderai su,
cosa vuoi che sia
ci sei solo dentro
pagati il tuo conto e pensaci tu.

 

(“Cosa vuoi che sia” – Ligabue)

 

 

“Sei un perdente, Kankuro!”

 

Il sole del mezzogiorno picchiava forte in quella radura, riscaldando l’aria circostante. Non che ci fossero piante che potessero soffrirne, la bruna terra sabbiosa era più che riarsa e non permetteva la vita di nessun organismo.

 

Temari, la tua era una mossa sleale!”

 

All’orizzonte il deserto era sfocato per il riverbero del sole, creando qualche miraggio, che danzava tremulo di fronte a occhi inesperti. Il silenzio tutt’attorno ben spiegava la completa inospitalità del luogo. Silenzio rotto solo da qualche frase urlata, che faceva nascondere le lucertole nelle spaccature del terreno, spaventate.

 

“Ah, sì? Di’ al tuo prossimo nemico di non essere sleale, mi raccomando!

 

Avrebbe stordito chiunque stare a quell’ora in mezzo al deserto.

Beh, chiunque non fosse un ninja esperto.

 

***

Gaara odiava il sole.

Lui amava la notte, unica e silenziosa compagna della sua infanzia, perché non lo giudicava, ma quasi lo cullava come il canto di una mamma.

La fantasia di un bambino non ha confini.

In quei momenti, nelle lunghe ore di solitudine, c’erano soltanto loro due, lui e il buio; si compenetravano tra loro, tanto erano unite le loro essenze, e Gaara lo contemplava cercando di carpire il suo segreto.

(Incantare chiunque, nel suo silenzio, senza paura – la notte porta refrigerio – e conferire un pacato senso di tranquillità, nella sua imperturbabilità).

Ma lui sapeva bene di non essere normale.

Un bambino di cinque anni dovrebbe aver paura del buio, ma lui lo preferiva di gran lunga alla giornata assolata del suo Villaggio (“che senso ha aver paura se sono io a far del male agli altri?”).

Che senso aveva passare le giornate al buio dei vicoli scrutando le persone vivere? Era meglio la notte, quando rimaneva per le strade solo l’alone di vita, quando si sentiva che lì qualcuno era passato, e lui poteva far finta di stare in mezzo alle persone reali.

Ma la fantasia di un bambino non ha confini, finché rimane libera.

Sarebbe stato meglio se il sole non fosse mai esistito, così la terra di Suna non sarebbe stata arida, la sabbia non sarebbe andata a infilarsi negli occhi tanto facilmente, e lui non avrebbe visto così chiaramente gli sguardi impauriti e sprezzanti delle persone. Se il sole non fosse esistito, la vita non sarebbe mai nata. Lui non sarebbe mai nato.

Ma questo non si poteva più cambiare. E allora bastava inventarsi un mondo tutto suo.

Di notte era solo con se stesso – ma si può sopportare di essere soli anche alla luce del sole, quando tutto è chiaro e bello e felice? – e Gaara aveva tutto il tempo per pensare.

Pensava ai genitori che aspettavano i loro bambini finire di giocare in piazza, alle mamme che correvano ad abbracciare i propri figli, con una carezza e un bacio leggero, ai papà che li prendevano in braccio. E sorridevano, tutti.

E non ci vedeva poi niente di diverso.

Anche lui aveva un papà rigido e dei fratelli intimoriti. E una mamma che aveva ucciso.

Anche lui insisteva ad aspettare, rallentando impercettibilmente il passo, che qualcuno venisse a prenderlo con un sorriso caldo e una mano tesa. Invano.

Il suo Villaggio solare era così in contrasto con la vita che era costretto a vivere che non poteva non amarlo, perché era tutto ciò che desiderava nei suoi sogni.

Anche se quella luce splendente, a lui, era preclusa.

Ma la fantasia di un bambino non ha confini, finché non viene infranta.

E se non era costretto a vedere la scintillante armonia degli altri, sotto quel sole caldo che mostrava sentimenti troppo limpidi per chi si ritrovava a correre e a giocare – solo – soltanto di notte, poteva anche abituarsi alle tenebre in cui stava vivendo.

Rifugiandosi nell’oscurità aveva la giustificazione al suo essere da solo. Lui stava bene con se stesso, con il piccolo peluche a tenergli compagnia. Bastavano loro due, e la notte. 

Eppure gli sarebbe piaciuto, per una volta, uscire a giocare nel sole.

 

***

 

“Che caldo!” esclamò Temari, sedendosi all’ombra del muro di recinzione del campo di allenamento, mentre il ventaglio le scivolava dalle mani. Stese le gambe in avanti mentre con una mano andava a massaggiarsi il collo indolenzito.

Gaara le si accostò, sedendosi però non troppo vicino. La fissò con curiosità mentre lei si distendeva in quel modo scomposto, osservando con attenzione i lineamenti del suo viso. Così simili…

“Hai caldo anche tu?” gli chiese dolcemente la sorella, mentre lui annuiva piano. Temari sorrise, avvicinandosi leggermente verso di lui, che ora la guardava serio.

“Ehi, che stanchezza oggi!” gridò Kankuro, muovendosi a grandi passi verso i suoi fratelli, mentre si sfilava il cappuccio nero. “Sono distrutto!” dichiarò prima di buttarsi stancamente a terra, portandosi dietro le sue due marionette e massaggiandosi il collo con una mano.

“E’ perché sei poco allenato, invece io ho ancora abbastanza forze per batterti” si vantò la ragazza, con un sorrisetto di sfida. “Non che mi ci voglia poi molto neanche quando sei al massimo delle forze…” lo prese in giro.

“Ah, ma sta’ un po’ zitta! E passami l’acqua” ordinò con fare prepotente, stendendo la mano verso di lei.

Temari ghignò, poi recuperò lo zaino ed estrasse la borraccia piena, che lanciò al fratello. Kankuro non ci pensò un secondo di più e bevve avidamente il contenuto, senza curarsi delle preziose gocce che stava disperdendo intorno.

“E bevi piano, è fredda!” lo sgridò lei.

“Scusa, mammina” sghignazzò lui rivolgendole un sorrisetto divertito, che Temari stroncò sul nascere con uno sguardo fulminante. Poi si ricordò improvvisamente di qualcosa, tanto che lasciò il fratello alla sua sorte – ci avrebbe pensato sicuramente dopo a fargliela pagare con tanto di interessi – e cercò qualcos’altro nello zaino.

Gaara fissò i fratelli maggiori con il solito sguardo impassibile, chiedendosi in realtà come fosse possibile che due semplici esseri umani creassero tutto quel trambusto. Non era meno faticoso starsene in disparte? La tranquillità permetteva di recuperare appieno le forze…

“Tieni…” la voce di Temari lo ridestò, ritrovandosi poi sotto agli occhi un’altra borraccia. “E’ la mia acqua, bevila prima tu” concesse, lasciando l’oggetto tra le mani bianche del fratello, che rimase un po’ interdetto da quel gesto.

“E’ acqua, Gaara, la devi bere, non guardare” lo prese in giro il fratello maggiore.

“Ma lascialo stare!” gli si rivolse la sorella, lanciandogli un sassolino.

“Ah, molto matura, davvero” commentò Kankuro ridendo, prima di lanciarle la sua borraccia, ormai mezza vuota. “Almeno bevi, non voglio averti sulla coscienza se poi ti senti male.”

“Figurati! Non mi sentirò male per così poco” rispose altezzosa, rigirandosi l’oggetto tra le mani, mentre Gaara nel frattempo prendeva un sorso e guardava curioso i suoi fratelli rumorosi e infantili.

“Dai! Altrimenti poi Baki chi lo sente?” provò. E la sorella non cercava altro che un pretesto, tanto iniziò a bere velocemente.

Gaara la fissò ancora, poi spostò lo sguardo sull’altro fratello, che ora si era disteso supino sulla terra secca, con gli occhi chiusi e le braccia dietro la nuca. “Puoi bere anche da qui” disse con calma alla sorella, riconsegnandole la sua acqua.

Temari notò quel gesto, facendo poi caso a come lo sguardo del fratello fosse ancora impassibile. “Tu hai finito?” chiese, e l’altro annuì piano. “Beh, grazie, ma…” provò, indicando la borraccia di Kankuro che ancora teneva tra le mani. Solo che quell’espressione sincera – o almeno a lei così sembrava – la colpì così tanto che prese con un gesto sicuro l’oggetto dalle mani del fratello. “Grazie, Gaara” e gli sorrise.

Il discorso non passò inosservato a Kankuro, che tornò seduto in meno di un secondo, osservandoli di sottecchi, notando quanto suo fratello si fosse avvicinato e quanto Temari stesse sorridendo.

“E’ meglio se ti lasci l’acqua per dopo, ma quanto bevi?” la sgridò, con tono più acido del voluto.

“Ma sta’ un po’ zitto!” lo rimproverò bonaria, mentre il minore gli lanciava un’occhiata torva. Una di quelle che in passato bastavano per mandare qualcuno all’altro mondo. Kankuro sudò freddo, decidendo che fosse meglio cambiare argomento. E subito.

Temari, ti ricordi quando venivamo qui ad allenarci, da piccoli?”

Almeno questo era un argomento che avrebbe riguardato solo loro due. Niente fratelli minori improvvisamente redenti tra i piedi.

“Io mi ricordo i tuoi pianti ogni volta che ti battevo” ridacchiò l’altra.

C-cosa? Non è vero!” si difese, probabilmente arrossendo d’imbarazzo sotto quel trucco viola.

Temari, così non vale, devi darmi il tempo di pensare” lo prese in giro la sorella, cercando di imitare, volutamente male, il tono lamentoso di lui. Kankuro arrossì ancora di più, notando anche quel ghigno – che forse avrebbe definito sorriso, se fosse stato certo che ne era capace – sulle labbra di Gaara.

“E poi arrivava Baki e ci sgridava!” continuò lei, con un sorriso malinconico.

“Sempre. E spesso ci scappava anche qualche punizione” finì lui.

I due si ritrovarono a sospirare all’unisono, e a fissare quel cielo terso e blu, perdendosi nei loro ricordi, mentre Gaara li osservava in silenzio. Prima lei, poi lui…

“Ma Baki ormai non ci allena più…”

Kankuro, ma sei scemo? Il Sensei è molto impegnato con il consiglio, ora che non abbiamo più un Kazekage” e nemmeno un’ombra di tristezza sfiorò i volti dei tre fratelli al ricordo del padre, “e poi siamo tutti e tre Chuunin ormai, non abbiamo bisogno di qualcuno che ci alleni” si vantò.

“Giusto. Ma preferivo quando c’era qualcuno che ti impediva di comportarti come una furia! Guarda come hai ridotto la mia Karasu!” si lamentò, mostrandole la marionetta malandata.

“Sei tu che non la sai controllare bene” rispose con un’alzata di spalle.

“Cosa?! A breve imparerò anche a maneggiare la terza!” dichiarò borioso.

“Uhm, se lo dici tu…” disse poco convinta, stringendosi nelle spalle. 

“Ehi!” si risentì l’altro.

Gaara, tu che ne pensi?” gli chiese la sorella, notando quanto se ne restasse in disparte. Troppo in disparte, per trovarsi con i suoi fratelli.

Ormai la situazione era cambiata, non c’era più nulla da temere, niente più paura anche solo di fissarlo negli occhi, niente inquietudine nello stargli accanto o sfiorarlo. C’era solo qualche rimorso ogni tanto, ma anche per questo lei e Kankuro avevano deciso di prendersi finalmente le loro responsabilità di fratelli maggiori e non lasciare più Gaara da solo. In fondo, non aveva colpe, la sua sorte poteva essere stata benissimo quella di uno di loro due, per questo si erano ripromessi di lasciare indietro il passato. Non erano stati capaci da soli di cambiare la situazione con le loro forze, si erano sempre nascosti dietro un’età troppo giovane e dei progetti più grandi di loro. C’era voluto un ragazzino di un altro Paese per fargli aprire gli occhi, e per farli sentire degli incompetenti.

 

***

 

Kankuro correva veloce quel pomeriggio, tenendo saldamente tra le mani il pezzo di legno perfetto che aveva trovato. Niente di meglio per riparare l’arto della sua marionetta, che tanto a lungo aveva aspettato di tornare in gioco. Mancava poco al palazzo, già pregustava l’intaglio del legno, l’odore di sughero, la perfetta minuziosità di cui era capace, nonostante la sua età, con cui incastrava precisamente ogni meccanismo, e poi c’era la prova, avrebbe connesso i fili di Chakra e infine…

Kankuro…”

Si sentì chiamare, e quel sussurro timido e freddo lo fece bloccare sul posto. Perché sapeva bene a chi apparteneva quella voce.

Gaara…”

Il bambino sbucò da dietro un angolo, stringendo tra le braccia il suo peluche preferito – Kankuro non si era mai fermato a chiedersi se fosse anche l’unico.

“Non dovresti essere dallo zio?” domandò il più grande, indietreggiando appena di un passo.

“Zio Yashamaru è fuori in missione, torna domani” spiegò pacato, guardandolo con i suoi occhi profondi – troppo, per un bambino di cinque anni.

“Non dovresti girare così, lo sai che poi papà si innervosisce se non sa dove sei…” provò, spostando lo sguardo sul terreno sabbioso, stringendo con forza il legno tra le sue dita.

(“Come è possibile avere ancora paura di mio fratello minore?”)

Gaara annuì, stringendo le spalle piccole nel mantello scuro in cui era avvolto. “Ti cercavo…”

Me?” deglutì. E ancora quella sensazione di freddo che immobilizzava le ossa, come ogni volta.

L’altro annuì piano, abbassando poi lo sguardo, timido. “Stasera sono solo… Perché tu e Temari non mi fate compagnia per un po’? Possiamo giocare a quello che volete voi.

Kankuro ci rifletté per un po’, impacciato. Non è che non volesse stare con suo fratello, solo che…

“Se rimango sveglio non accadrà niente” provò a convincerlo, debolmente.

E il fratello non riuscì a resistere a quel piccolo broncio timido, gli si avvicinò, alzando una mano per accarezzargli i capelli. “Beh…” cominciò, ritirando subito il braccio dopo aver visto qualche granello di sabbia accumularsi velocemente. “Beh, faremo il possibile, d’accordo? Tu aspettaci, e non ti addormentare, chiaro?

Gaara annuì, sorridendo con gli occhi sinceri, ora molto più luminosi.

“Ora devo proprio andare. Ciao, eh…” e Kankuro corse via, mentre rilassava i muscoli tenuti in tensione fino a poco prima. Non riusciva nemmeno a pensare a cosa aveva appena promesso, né alla sua paura, né al suo importante pezzo di legno. Aveva in mente solo un pensiero.

Di sicuro Temari sapeva cosa fare ora.

 

***

 

“Penso che tu sia migliorata molto, Temari” chiarì Gaara, pacato come sempre. Non ci avevano mai fatto caso, impauriti com’erano, ma lui aveva il potere di tranquillizzare chiunque, se solo gli si mostrava un po’ di affetto.

“Visto?” sorrise soddisfatta la ragazza.

“Non è giusto! Gaara è sempre dalla tua parte!” si lamentò Kankuro.

“La verità brucia, eh?” lo prese in giro lei.

Gaara! Questa me la paghi! Ora chi gliela toglie più questa convinzione?” lo minacciò bonariamente. E niente più paure, niente più minacce di morte, ora era quasi uno sfogo parlarsi in quel modo. Come fratelli.

“Al nostro esame di selezione dei Chuunin, Temari è stata la migliore. E anche al primo a cui abbiamo partecipato. Avrebbero dovuto dare a lei il titolo…” ammise serio fissando il fratello negli occhi.

“Ah, Gaara! Tu sei il mio fratello preferito!” lo abbracciò lei, in uno slancio di affetto fraterno, sotto gli occhi di un Kankuro sconvolto.

“Ehi! Smettetela voi due, mi date il voltastomaco” sbottò indignato, mentre Gaara cercava di capire cosa fosse successo, avvertendo quel calore dentro di sé diffondersi anche sulle guance pallide.

“Grazie, Gaara” concluse lei, arruffandogli i capelli.

E niente sabbia a proteggerlo. Non da quel gesto, almeno. Non ce ne era bisogno.

“Beh, di certo meglio a te che a quel tipo assurdo” riprese Kankuro, incrociando le braccia al petto in un gesto di stizza e cercando di inserirsi nel discorso con qualche velatissimo complimento. “Com’è che si chiamava?”

Nara” rispose Gaara, gli occhi più freddi del solito e forse una scintilla omicida dei tempi d’oro.

“Giusto! Quel cretino…”

Shikamaru non è un cretino!” s’imbronciò Temari.

“E da quando lo chiami per nome? Cos’è tutta questa confidenza?” chiese stupito Kankuro.

“Da quando siamo amici, scemo. Gli ho salvato la vita” spiegò.

“Proprio perché gli hai salvato la vita, potete essere tutto tranne che amici” le rispose scontroso, cercando una qualche ragione da far valere.

“Quindi devo pensare che tra te e quel tipo amante dei cani ci sia altro, oltre l’amicizia?” sibilò, con espressione maliziosa.

“Cosa? Ma smettila! Kiba è un amico, è diverso, non pensavo di trovare uno così simile a me così lontano da Suna. Non siamo tutti sorrisi e paroline dolci, come te e quel… com’è che si chiama?

“Cosa? Quando mai avrei trattato così Shikamaru?” s’infuriò, arrossendo appena, non sapendo bene neanche lei il motivo.

“Per tutto il tempo che siamo rimasti a Konoha. E anche quando ce ne siamo andati e quello è venuto a salutarci, come se ne avessimo bisogno…” bisbigliò sbuffando. “Dovevi per forza sorridergli a quel modo?” s’interessò scontroso.

Kankuro, il sole deve aver fatto male a quel tuo cervello bacato! Era solo un modo per tirargli su il morale dopo quello che era successo, niente di più! Certo che la tua fantasia vola alta…” spiegò, vagamente sopra le righe per nascondere l’imbarazzo.

“Sì, certo, la missione… Se non fossimo arrivati noi sarebbe fallita, e tutto per colpa di quel tizio” si ostinò.

“Non è vero” ribatté irritata. “E poi stai tirando fuori argomenti vecchissimi, ma quanto è passato?! Ti stai comportando come un bambino capriccioso.

“Ha ragione Temari, quel ragazzo si è dimostrato molto capace nella missione di recupero” espose calmo Gaara, mentre la sorella sorrideva compiaciuta.

“Cosa? Ma se anche tu dicevi che era un ragazzino debole?

“Non posso aver mai detto nulla del genere” lo fulminò il minore, ricordando sottilmente all’altro che l’età tra loro due era la stessa.

Ma anche Gaara aveva notato quel sorriso sul cancello di Konoha, e avrebbe tanto voluto aver messo in pratica la sua minaccia di qualche anno prima, in ospedale. Perché già doveva dividere le attenzioni di Temari con suo fratello - e non che la cosa fosse tanto piacevole - un’influenza esterna era non voluta e non sperata.

Ci mancava solo una disgrazia del genere per cambiare di nuovo il baricentro di quella famiglia rattoppata… I ruoli ormai erano ben chiari, non era tempo di cambiarli di nuovo.

 

***

 

Il Kazekage ha il compito di assicurare pace e prosperità al suo Paese, così gli avevano detto quando era stato eletto.

Ricordava la gioia di essere stato considerato il ninja migliore del villaggio, e l’orgoglio (l’amore) che aveva letto negli occhi chiari di sua moglie. Il sorriso di quel giorno ancora brillava in lui. Era convinto che sarebbe rimasto accanto a Karura per sempre, e avrebbero allevato insieme i loro due figli, come le famiglie normali. Anche se niente era normale in clima di guerra.

Ricordava bene l’eccitazione infantile che lo aveva colto quando aveva deciso di possedere il demone Shukaku (“Suna adesso sarà alla pari degli altri Paesi, vedrai Karura, non ci saranno più guerre!”), e gli occhi impauriti e fiduciosi della moglie.

E ricordava anche il dolore e la disperazione e la solitudine che erano seguiti a quella scelta.

E ogni sera, mentre il buio inghiottiva le mura sabbiose della città, non riusciva a non pensare alle tenebre che avevano attorcigliato anche il suo cuore. Ma l’alba lì non sarebbe più sorta, ricoperta dalla sabbia come la tomba della moglie.

Kankuro” richiamò il figlio, vedendolo correre nel corridoio del palazzo.

Il bambino si fermò, fissando con occhi impauriti – troppo grandi, troppo sinceri – il volto austero del padre. “Papà, non ti avevo visto…”

“Lo sai che non devi correre così, un bravo ninja non si fa muovere dalle emozioni.”

“Lo so” ammise, stringendo con più forza il pezzo di legno contro il petto. “Stavo cercando Temari…”

Un sospiro infastidito. “Tua sorella è nella sua camera.”

“Ah, Baki-sensei ti ha detto del livello a cui è arrivata? Temari sarà la migliore kunoichi di Suna, ne sono certo!” lo informò, con orgoglio fraterno.

“Tua sorella ha un carattere troppo ribelle, non mi interessano i suoi miglioramenti sul campo ninja. Mentre tu…” si soffermò, alzando una mano per sfiorare i capelli del figlio, in una carezza più immaginaria che reale. “Kankuro, nutro grandi aspettative da te, sarai il mio erede.”

“Ma Temari è la maggiore…”si ritrovò a chiarire l’altro, con occhi sgranati.

Temari rimarrà sempre una donna, non sarà mai un capo villaggio.”

“E… e Gaara?” provò, mentre la sua voce si incrinava appena sul nome del fratello. E come sempre, negli occhi del padre notò quella scintilla di orrore, di paura, di perdita di controllo. Quell’errore continuava a rimbalzare nella sua mente dopo cinque anni come se non fosse passato nemmeno un giorno. Quel rimorso lo avrebbe portato con sé fin nella tomba, ormai per lui non c’era nessuna luce. Un uomo finito, un fantasma di se stesso. Spento.

“E’ di te che mi fido” evidenziò con un sussurro. Oltrepassò poi suo figlio, scomparendo in una delle numerose stanze del palazzo del Kazekage.

Ma ogni volta che vedeva quell’uomo, Kankuro sentiva rafforzarsi dentro di sé una certezza dura come la roccia.

Non avrebbe mai somigliato a suo padre.

 

***

 

“Ah! Mi stavo dimenticando…” esclamò Temari, rovistando nello zaino. “Ecco qui” ed estrasse un sacchetto bianco. Sciolse il nastro rosso per mostrare ai fratelli il contenuto.

“Biscotti?” chiese curioso Gaara.

“Non sono solo biscotti, sono i biscotti!” lo corresse il maggiore, con occhi sognanti.

“Li ho fatti ieri sera, non riuscivo a dormire” spiegò lei con noncuranza.

“I biscotti di mamma” si avvicinò Kankuro, “l’unica cosa decente che Temari sappia cucinare” la prese in giro, meritandosi un pugno non tanto fraterno da parte della sorella.

“Non è vero!” si difese infatti lei.

“Dai, scherzavo! Dammene uno, su” la pregò.

“Neanche se ti inginocchi” rispose scontrosa.

Temari-neesan, lo sai che ti voglio taaanto bene, vero?” provò con tono fintamente dolce.

“Mi fai venire i brividi quando fai così, smettila!” lo minacciò, tirandogli un biscotto che Kankuro prese al volo, sorridendo sornione. “Gaara, ne vuoi uno?” gli si rivolse poi, affabile.

Gaara li fissò ancora, prima di spostare lo sguardo sul sacchetto ricolmo di Temari. I biscotti della mamma…

“Perché con lui sei sempre così gentile?” si mostrò offeso l’altro.

“Smettila di fare il geloso e mangia.”

Quella madre che lo aveva odiato dal momento in cui lo aveva concepito. Quella madre che gli aveva dato quel nome egoista e che poi era morta, lasciandogli in eredità soltanto l’odio del padre e la paura dei fratelli. E un destino più grande di lui.

“Per me non ha mai potuto prepararli. O forse non avrebbe voluto lo stesso.”

I due fratelli maggiori smisero di litigare, guardandolo serio.

Certe cose forse non sarebbero mai cambiate, e certe ferite mai rimarginate. Per quanto fingessero di essere una famiglia come tutte le altre, era impossibile incollare perfettamente quei cocci sparsi e rovinati, come se fossero destinati ad essere soltanto una pallida imitazione. Niente di più.

Ma c’erano solo loro tre ormai, con il loro enorme desiderio di essere come una di quelle famiglie sfavillanti che vedevano in ogni città che incontrassero, con un papà che amava la mamma, con una mamma che accarezzava dolcemente i figli, e i bambini che si aiutavano tra loro, tra tanti sorrisi, tanto amore e tanta felicità.

Loro che altro potevano fare?

 “Oh, beh, ma noi non ce lo ricordiamo mica, eravamo troppo piccoli” rispose Kankuro. “Temari ha rubato la ricetta non so da dove, ma non sappiamo se il sapore sia davvero questo” concluse addentando il biscotto.

“L’ho rubata insieme a tutto il libro di ricette, in fondo all’armadio di papà, dentro a quel baule chiuso a chiave” si vantò dell’impresa.

Gaara si ritrovò a sorridere impercettibilmente – quello che nella sua testa era un sorriso vero e proprio, con tanto di brillio negli occhi e risata cristallina – dando un primo morso.

“E’ buono…” giudicò.

Gaara, mi pare che ne avevamo già discusso, no? E pensare che hai così tanto seguito tra i ragazzini dell’Accademia… Quando provi qualcosa di positivo devi sorridere, così anche noi possiamo capire” lo sgridò bonariamente il fratello.

Gaara scrutò prima la sorella e poi il fratello, entrambi che lo guardavano in attesa, con un sorriso, poi fissò il biscotto, mangiandolo in un solo boccone.

“E’ buono” ripeté atono, mentre masticava vorace.

Ma questo era più che sufficiente, almeno per ora, tanto che il sorriso sul volto degli altri due si aprì sincero.

“Sono contenta che ti piacciano. Prendine altri, su” lo incoraggiò alzandogli il sacchetto davanti al naso.

“A me non li offrì?” chiese Kankuro.

“Tu ne hai già mangiati abbastanza. Gaara è troppo magro, fanno più bene a lui che a te” spiegò, allontanando la mano del fratello, avvicinatasi pericolosamente al tesoro in questione.

“Uhm” fece finta di pensarci su. “Hai ragione. Gaara, mangiali tutti tu, così diventerai robusto come i tuoi fratelli maggiori” scherzò, incoraggiando il fratello con una vigorosa pacca sulle spalle, che a momenti gli fece sputare tutto.

E ancora, nessuna sabbia…

“Scusa, puoi ripetere?” sibilò Temari, con sguardo assassino, migliore anche di quello di Gaara dei tempi d’oro.

“Ho detto che può mangiarli Gaara. Non era quello che volevi?” domandò stupito l’altro.

“Intendo quello che hai detto dopo…” minacciò.

“Uhm? Non lo so, che così Gaara diventa come noi?” provò, non capendo dove la sorella volesse andare a parare, e visibilmente spaventato dal suo cambiamento d’umore.

“Appunto! Ma come ti permetti?! Sei un insensibile! Ci credo che non trovi una ragazza!” sputò fuori lei.

“Ma che ho detto di male?”

“Che è grassa” gli venne in aiuto Gaara, rigirando il coltello nella piaga, con un ghigno malevolo.

“Io non sono grassa!” sbottò infatti la ragazza, tirando un pugno sulla spalla del fratello.

“Ahi! Ma chi ha mai detto una cosa del genere?” si difese questo. “Gaara, non te ne restare lì e aiutami con questa pazza!”

“Che hai detto? Io ti sfido!” gridò lei puntando il dito contro il fratello, decisa ad andare fino in fondo.

“Non sei grassa! Non l’ho mai neanche pensato, d’accordo?” si scusò Kankuro, non capendo bene cosa avesse combinato. Sapeva solo che davanti a sé c’era una furia molto pericolosa e che una parola fuori posto voleva dire la fine. E la vittoria di Gaara. E questo mai!

“Uhm, ti credo” gli concesse, fissandolo di sottecchi. “Prendi un biscotto” si sentì generosa, levando il sacchetto da sotto gli occhi di Gaara e piantandolo davanti al fratello più grande, con immensa gioia di quest’ultimo e visibile fastidio del primo.

“Però fossi in te eviterei quell’abbigliamento…” sussurrò Kankuro, masticando una manciata di biscotti tutti insieme.

“Eh?”

“Dovresti coprirti di più” spiegò a voce più alta.

Kankuro, se provi di nuovo a dire che sono gras-

“Ci hai fatto caso a come ti guardano?” sbottò. “C’è bisogno di quel misero pezzo di stoffa a coprirti le gambe?” continuò, preda della gelosia.

“E’ comodo” alzò le spalle lei. “Non m’importa se mi guardano, tanto non hanno il coraggio di dirmelo in faccia. Vero, Gaara?” gli sorrise. 

“Concordo con Kankuro” affermò quest’ultimo, nello stupore generale.

Forse era la prima volta nella loro vita che assistevano a un evento miracoloso…

“Puoi ripetere?” domandò stupita Temari.

“Ti guardano” dichiarò, come se spiegasse tutto.

“Non ascoltavo nemmeno mio padre quando ero una bambina, figuriamoci se vi do retta adesso” rispose scontrosa. Ma proprio lei doveva sorbirsi due fratelli minori gelosi marci? Gelosi di cosa, poi…

Sapeva che la sua famiglia era strana, ma doveva dare un taglio a quella situazione scomoda prima che le sfuggisse di mano. Era necessario mettere dei paletti invalicabili, in modo che l’educazione venisse rispettata sempre e si capissero i limiti da non poter oltrepassare, l’aveva letto più volte nei libri di pedagogia della biblioteca.

Temari, ma che ti costa? Almeno eviti di farti guardare da mezza Konoha – a Suna no, ci penso io a cavare gli occhi al primo che osa – anche da quel coso, là, com’è che si chiama?

Nara.”

Temari arrossì improvvisamente. “Shikamaru mi guarda le gambe?” chiese in un sussurro.

“Sì” rispose lapidario Gaara, mentre la sorella addentava un biscotto che si era rigirata tra le mani.

“Non per molto ancora, se continui a mangiare così” scherzò Kankuro, ricevendo sulla fronte per una volta scoperta il biscotto che era tra le mani della sorella, lanciato con precisione millimetrica. “Ahi! Temari, non dirmi che ti sei presa una cotta per quel moccioso?!” la derise.

“Eh?! Ma vuoi scherzare?” si difese, ancora in imbarazzo. “E’ soltanto un ragazzino, mi ricorda Gaara, tutto qui” finì, meritandosi un’occhiataccia da parte del fratello più piccolo, che non aveva gradito il confronto con quel tizio che lui definiva semplicemente “un idiota debole”.

“Non ci credo…” la canzonò l’altro, ottenendo solo l’ennesimo pugno della giornata. Come se non fosse bastato l’allenamento.

“Ma smettila, cretino. Ho ben altro da fare nella vita che trovarmi un fidanzato” s’imbronciò.

“Certo, certo…” continuò l’altro.

“Tipo?” s’interessò il minore, con occhi curiosi.

“Voglio diventare Jounin!” esclamò entusiasta lei.

“Eh? Ma se sei appena diventata Chuunin!” si stupì Kankuro.

“E allora? Voglio essere la migliore, qualcosa in contrario?” lo minacciò ancora.

“Se tu diventi Jounin allora lo sarò anche io!” esclamò contento l’altro. “Così saremo ancora insieme.”

“Lo saremo tutti e tre” s’intromise Gaara, con la sua solita voce calma e debole. Eppure riuscivano sempre a sentirlo; anche quando si urlavano a vicenda qualcosa, le sue parole arrivavano comunque alle loro orecchie. E facevano perdere la voglia di parlare, di urlare, di litigare, come in quel momento, stupiti della frase del fratello.

Jounin, intendo” spiegò meglio il più piccolo, sentendo le occhiate degli altri due su di sé.

“Ma certo Gaara, lo saremo tutti e tre” gli sorrise il fratello.

“E saremo insieme” concordò la sorella.

Come una di quelle famiglie scintillanti che vedevano in ogni città che incontravano, ma senza una mamma, senza un papà, eppure con tanti sorrisi e tanto amore e tanta felicità.

 

 

***

Temari aveva imparato a sopravvivere.

Sapeva manipolare il proprio chakra come un ninja esperto, odiava le bambole, aveva rafforzato il suo fisico troppo debole, non sopportava i capelli lunghi, aveva soppresso ogni emozione e detestava piangere.

A otto anni, Temari era una kunoichi perfetta.

Eppure, l’orgoglio di un padre non l’aveva mai conosciuto. Di quel padre che avrebbe dovuto amare come l’unico uomo della sua vita (“invece è l’unico uomo della mia vita che detesto!”).

Odiava quella sua femminilità che cominciava a uscire, sebbene relegata in fondo alla sua essenza. La odiava sopra ogni cosa, ma non riusciva a farne a meno del tutto. Perché le ricordava qualcosa che ancora non era pronta a lasciare andare.

“Avanti” disse, sentendo bussare alla sua porta. “Kankuro, cosa vuoi?” lo anticipò, sapendo già che si trattava del fratello, anche se dava le spalle alla porta, rivolta verso la finestra. La notte a Suna era particolarmente bella - senza nuvole si potevano riconoscere tutte le costellazioni - ma anche molto triste – ci si può davvero sentire soli vedendo tutti quei puntini luminosi nel cielo?

“Ho trovato un pezzo di legno perfetto, guarda!” esultò il fratello, mostrandole l’oggetto. “Vuoi aiutarmi ad intagliarlo?” propose. Adorava dividere i suoi interessi con la sorella.

“Stasera no” rispose, continuando a fissare davanti a sé. Eppure quel riflesso nel vetro nero, a lei, non ricordava proprio niente.

Kankuro posò il legno sul comodino della sorella – niente foto, perché averne se non hai ricordi? –, sedendosi sul letto. “E’ successo qualcosa?”

“No” mentì, troppo brava anche per il fratello.

 Prima ho incontrato papà…”

“Ti ha detto qualcosa?” chiese subito, voltandosi verso di lui e tradendo l’autocontrollo.

N-no… Perché?”

“Niente” rispose. (Non farlo soffrire, non lui, Kankuro può ancora ricominciare, lui era troppo piccolo, non ricorda, allontanalo da te e sbrigatela da sola, se resiste Gaara alla solitudine, posso farcela anche io).

Mh. Posso rimanere qui con te per un po’?” chiese, un po’ infantile.

Kankuro aveva imparato a leggere negli occhi della sorella quello che le sue parole non dicevano. Aveva soltanto lei e non aveva la minima intenzione di lasciarla andare via, lontano da lui. L’avrebbe seguita anche in capo al mondo, testardo e ostinato com’era.

Kankuro! Hai sette anni ormai! Quando sarai un Jounin rispettato ti prenderò in giro davanti a tutti, sappilo” scherzò, ritrovando il buonumore e sedendosi con un salto sul letto, vicino al fratello.

“Cosa? No, Temari, ti prego non lo fare!” la implorò, ingenuo, mentre lei ridacchiava.

“Uhm, forse, vedremo…”

Kankuro la faceva sentire importante, eppure sapeva che quel legame così solido non sarebbe durato per sempre. Niente durava per sempre in quella famiglia.

E mentre rideva, non le importava più lo sguardo di disprezzo che le aveva rivolto il padre, quel pomeriggio, quando l’aveva vista con i capelli sciolti per rinfrescarsi dopo l’allenamento (e mai più glieli avrebbe visti liberi). Infantile imitazione di quella che per lei era niente più che una foto. Il ricordo ormai sbiadiva ogni giorno di più.

E stringendosi al fratello, su quel letto così grande per due bambini (senza una mamma che rimboccasse le coperte, senza un papà che raccontasse storie), si rendeva conto sempre più che da sola, lei, non sarebbe sopravvissuta nemmeno un giorno.

Kankuro la guardò addormentarsi, lanciando un’occhiata di supplica e scuse fuori la finestra. La notte era tranquilla, Gaara non dormiva. Ma avrebbe mai perdonato la promessa infranta di quel giorno? Avrebbe mai capito che Temari, a cui anche lui era affezionato, in quel momento non aveva tempo per dedicarsi a lui? Doveva capire se stessa e maturare il prima possibile, per poi dare l’esempio ai suoi fratelli, così da riuscire a sopravvivere in quel mondo.

Temari era la migliore in tutto, le veniva spontaneo, eppure chiedeva di riuscire a fare solo una cosa.

Non amare.

Inutilmente.

 

***

 

“Comunque non ti smentisci mai, non fai che pensare a te stessa e a quanto sei brava” la prese in giro bonariamente Kankuro.

“Che vorresti dire?” Temari si mise sulla difensiva.

“Mi spieghi che razza di sogno è? Diventare Jounin… Di solito le ragazze sognano un fidanzato bello e romantico, no?

“Quello è il tuo sogno, Kankuro. Preferisco non interferire e tenermi il mio, che almeno ha una dignità” gli rispose a tono, ghignando.

“Ehi! Cercare una ragazza è una cosa normale alla mia età!” mostrò le sue ragioni.

“Ma non la troverai conciato così.”

“Non fa niente, il trucco non lo leverò mai” disse sicuro, con sguardo fiero.

E Gaara notò ancora quei lineamenti. Così simili…

“Almeno stai più attento, non ci hai fatto caso che la linea sotto l’occhio è storta?” lo rimproverò Temari.

“Cosa?” si allarmò lui, passandosi una mano nel punto indicato dalla sorella.

“Ah, lascia stare… Saranno sogni difficili da realizzare, i nostri” sospirò, guardando il cielo limpido.

Il caldo soffocante del deserto lasciava il posto a un debole tepore interno, quando erano tutti e tre insieme. Forse era davvero così il rapporto normale tra fratelli…

Beh, più o meno. Di cose ne erano successe troppe nella loro vita, la normalità si era incrinata da tempo. Ma forse era questa la loro forza: continuare a provarci. Alla fine, in fondo, un equilibrio lo avevano trovato, ormai sembrava che non ci fossero nubi all’orizzonte, proprio come il loro amato deserto. La pace con gli altri Paesi, la morte del Quarto Kazekage, l’insperata amicizia con gli shinobi di Konoha… Rimaneva la questione Shukaku, ma ormai erano abituati anche a quello, e insieme avrebbero aiutato Gaara a sopportarlo. Stavolta di loro spontanea volontà, niente dovere imposto da nessuno.

“Anche io ne ho uno. Di sogno” proruppe Gaara. I suoi fratelli lo guardarono stupiti ancora una volta, notando quanto fosse cambiato in poco tempo. Ora era lui ad iniziare i discorsi, in modo naturale e spontaneo. E non c’era conquista più grande.

“Quale, Gaara?” chiese dolcemente Temari.

“Ah! Lo so io! Anche tu vuoi trovare una ragazza, eh?” rise Kankuro.

“Ma piantala! Gaara è molto più maturo di te” lo sgridò lei.

“Anche lui è un essere umano, che male c’è?”

“Ma che ne vuoi capire, tu…”

“Sempre meglio di un sogno egoistico come il tuo, almeno io farò la felicità di qualche giovane e affascinante ragazza” ghignò.

“Se non scappa prima.”

“Cosa?”

“Voglio diventare Kazekage.”

La voce pacata di Gaara interruppe ancora una volta i litigi insensati dei suoi fratelli maggiori, che si ritrovarono a dir poco sconvolti dall’affermazione del minore, con tanto di bocca spalancata e occhi sgranati.

“Lo so che è difficile” riprovò.

“Non è questo…” iniziò Temari. “E’ che…”

“Dopo tutto quello che è successo…” l’aiutò Kankuro.

“Se diventerò il migliore di Suna anche il consiglio degli anziani dovrà capitolare, per questo mi sto allenando duramente. E sarò un Kazekage migliore del Quarto” dichiarò solenne. E Temari già lo vedeva con la veste da Kage e il cappello azzurro in testa.

“Questo è sicuro, non che ci voglia poi tanto” ridacchiò Kankuro.

“D’accordo allora. Noi saremo con te, Gaara” lo rassicurò la sorella.

“Io ti aiuterò ad allenarti” si propose il fratello. “Così sarai il migliore.”

“E sorridi, mi raccomando” si preoccupò Temari.

“Non mi prendete in giro? Non vi farò niente” assicurò piano, mentre i due maggiori si ritrovarono a sorridere.

Gaara, penso che il tuo sogno sia meraviglioso. Ti aiuteremo davvero, siamo una famiglia, no?” evidenziò la sorella.

“Ah! Io scorterò ben volentieri le delegazioni straniere, soprattutto se ci saranno belle ragazze” rise Kankuro, mentre gli altri due scuotevano la testa sospirando.

“Uhm. E allora io sarò ambasciatrice in qualche Paese alleato, che ne dite?” propose Temari con un sorriso. “Penso sia un ruolo che mi si addica…”

“Essere servita e riverita? Non ti bastiamo noi e il clima di terrore che instauri a casa?” ridacchiò suo fratello.

Kankuro, stai mettendo a dura prova la mia pazienza…” sibilò.

Temari, potrai scegliere il ruolo che preferisci” le concesse Gaara.

“Ma la smetti di essere sempre dalla sua parte?” si alterò l’altro.

L’altro rispose calmo, squadrando il fratello dall’alto in basso, a voce talmente bassa che solo Kankuro riuscì a sentirlo. “E’ normale avere delle preferenze, se c’è una scelta a disposizione. Non che tra me e te ci sia poi questa difficoltà di decisione.”

Temari, ma l’hai sentito?!” si lamentò infatti quest’ultimo.

“Cosa? Non vi stavo ascoltando. Pensavo al mio ruolo di ambasciatrice di Suna… Uhm, in che Paese potrei andare per prima?” rifletté.

“La smetti con questa storia dell’ambasciatrice? Che ci troverai di divertente…”

Mh. Chissà… Magari trovo qualcosa di interessante.

O qualcuno…

L’occhiata che Kankuro e Gaara si diedero bastò a far capire loro che il pensiero di entrambi fu lo stesso.  E si ritrovano una volta tanto perfettamente d’accordo.

 

***

 

Karura era una donna molto bella, con un carattere forte e dolce allo stesso tempo, una di quelle persone che nella loro semplice rarità rimangono marchiate a fuoco nei pensieri di chiunque l’avesse incontrata.

Di lei, quello che rimaneva impresso era il sorriso, così rassicurante e solare che sembrava scacciare via qualunque problema, come se il mondo non avesse mai conosciuto tenebre. Forse per questo, suo marito l’aveva sposata, e amata sopra ogni altra cosa. E forse per questo il suo popolo quasi la venerava.

Karura incurvava le labbra e una scintilla di vita si accendeva nei suoi occhi, la stessa vita che le era stata strappata via troppo velocemente e troppo presto. Dopo quel giorno, Suna sembrò vivere un’eterna eclissi, tra guerre, accordi infranti e un Kazekage sempre più scostante. E quel dolce sorriso solare era rimasto cristallizzato in una foto sbiadita, incapace di rischiarare il cuore di nessuno e alimentando l’odio per una privazione così sofferta.

Ma Karura era anche una donna con la capacità di amare con tutte le sue forze, e amava suo marito sopra ogni altra cosa, e i suoi figli. Avrebbe voluto vedere con i suoi occhi come Temari sarebbe riuscita a vincere il rispetto di chiunque incontrasse, guadagnandosi il suo spazio nel mondo. Avrebbe voluto aiutare Kankuro a superare la sua timidezza e a conquistare la sua prima fidanzata, dicendogli che una donna andava amata più della propria vita e rispettata ancora di più. E avrebbe voluto vedere di che colore fossero gli occhi di Gaara, insegnargli a muovere i primi passi, sentirlo dire mamma.

Aveva capito che le speranze non sempre vengono mantenute, e che era meglio vivere con un sorriso sulle labbra, imparando a non illudersi.

Ma un sogno lo aveva anche lei, un sogno banale e proprio di ogni mamma.

Karura desiderava la felicità per i suoi figli.

 

***

 

“Bene, ci siamo riposati abbastanza, riprendiamo l’allenamento!”

Temari, il sole sta tramontando, ricominciamo domani, dai…”

 

Era sicuramente un team strano, una famiglia strana. Con dei rapporti strampalati e totalmente sbagliati che non erano mai stati affrontati nell’infanzia e che si erano riadeguati secondo un loro ordine discutibile. L’inserimento di un nuovo elemento esterno non avrebbe fatto altro che rompere il delicato equilibrio su cui si reggeva il tutto.

 

“Che cosa?! Sei un povero rammollito, Kankuro!”

“E dai! Sarai una Jounin perfetta anche saltando un giorno di allenamento.

“Uhm, da dove esce tutta questa gentilezza? Non dirmi che sei innamorato?!

“Ma smettila…”

Gaara, hai sentito?”

“Ti ho detto di smetterla!”

 

Un equilibrio precario, con qualche incrinatura qua e là, qualche frammento mancante e un’instabilità di fondo.

 

Temari, Kankuro, andiamo a casa.”

 

Ma in fin dei conti, una famiglia come tante. 

 

Fine

 

 

 

Nota finale: avrei davvero tanto da dire su questa fanfic. A partire dal concetto base, il complesso di Edipo. Nei flashback sulla loro infanzia è inteso nel senso classico, Kankuro e Gaara sono ancora attaccati alla madre (per Gaara, la mamma l’ho intesa come la notte, il padre come il giorno), e odiano il padre. Il fatto che anche Temari odi suo padre indica che già all’epoca qualcosa non va tanto bene. Per le bambine ho sentito di un complesso di Elettra, esattamente opposto a quello di Edipo. Ora, entrambi i complessi dovrebbero terminare entro i 5 anni, mi pare, ma penso che la morte prematura di una madre faccia rivedere il tutto.

Nel presente della fanfic, il complesso c’è ancora, come se il loro rapporto si fosse cristallizzato nel tempo, perché non lo hanno affrontato (per paura, perché non ne erano capaci, o chissà per che altro), ma le figure sono cambiate, e ruotano tra loro, non sono fisse. Kankuro e Gaara li ho intesi allo stesso tempo come mariti e figli, perché lottano tra di loro per le attenzioni di Temari, che è madre e in parte figlia (perché i due fratellini sono un tantino gelosi e possessivi). Tutti e tre hanno bisogno di sentirsi figli (penso anche Temari, non riesco a vederla coma “la mammina” del gruppo, e lo dico in quanto sorella maggiore anche io, il bisogno di sentirsi figlia ci sarà anche in lei), e allo stesso tempo non dovrebbero, perché le figure dei genitori sono ormai morte per sempre.

Insomma, va bene così? è sbagliato? è giusto? Io non lo so, ma sembra che tra loro funzioni. E un po’ di pace se la meritano, psicanalisi o no.

Per quanto riguarda i due flashback con i genitori, si sa poco di loro, ho provato a capirli meglio, e io mi rifiuto di credere che Karura possa aver odiato suo figlio (o almeno, non del tutto). In fondo, nell’anime, questo ci viene detto da altre persone, non da lei. E forse era soltanto odio e frustrazione a farli parlare. Ho provato a rivalutarla, come donna, come moglie e come madre. Sul signor Quarto Kazekage, ho da dire solo che lo vedo come un uomo distrutto e addolorato, che pagherà fino alla fine le conseguenze delle sue azioni (e che se lo merita dopo come ha trattato sua moglie XD), che non riesce e non vuole vincere i suoi fantasmi. Al contrario dei suoi figli, perché per quanto Kankuro e Temari siano fragili (o almeno ho provato a dare questa visione di loro), tentano di superare le loro insicurezze per il bene della loro famiglia. Entrambi sono un po’ goffi nel dimostrare il loro affetto, perché non sanno bene come fare ed hanno dei caratteri orgogliosi, ma ci provano, non sanno esternare bene, ma il sentimento c’è. E per me è importante.

 

Noticina tecnica: lo so che l’argomento è banale, ci ho costruito un minimo di trama dietro proprio perché un’introspezione così lunga sarebbe risultata come minimo noiosa XD e ho inserito i flashback per rendere un po’ più dinamica la storia (sarebbe il contrasto con la pace del presente). Sono cose a cui ho pensato, ecco, come il fatto che ogni flashback inizi con un nome e un verbo che caratterizza quel personaggio in quel momento della vita.
E il flashback di Karura... Beh, Vale, quello è dedicato tutto a te ^^

 

Spero innanzitutto che qualcuno sia riuscito ad arrivare fin qui (le note finali sono più lunghe della fic) ^^” e di essere riuscita a trasmettere qualcosa, anche solo una minima parte di quello che ho sentito mentre scrivevo.

Io credo che non mi farò rivedere (se non per i commenti, ovvio ^^) nel fandom per almeno un mese, au revoir, mie care lettrici.

Detto ciò, commentino? ^^

 

 

Questa fanfic ha partecipato al contest “Team Suna”, indetto da rolly too sul forum di EFP. Sono arrivata seconda (su due, dettagli ^^”), la sfida l’ho persa, ma la fanfic non mi fa del tutto schifo, anche se alcune parti ancora non mi convincono, quindi eccola qui.

Faccio ancora i miei complimenti a Sasori_Danna, la vincitrice ^^

Vi lascio il giudizio e i voti, per correttezza:

 

Grammatica e stile: 8
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5
Originalità: 8,5
Giudizio: 9
Attinenza al tema: 9
Totale: 44
Questa fiction mi ha colpito in particolar modo per l'introspezione dei personaggi. Ritengo che l'aspetto psicologico sia stato sottolineato con grande cura mantenendo l'IC. Ho apprezzato molto il contrasto tra i flashback e la narrazione “nel presente”, perché mette davvero in evidenza il modo in cui i tre fratelli di Suna sono riusciti a creare armonia nella loro famiglia nonostante la complicata situazione in cui si trovavano, e soprattutto ho apprezzato il modo in cui hai reso i ruoli familiari, che sono allo stesso tempo confusi e definiti, poiché Temari è sorella, amica e madre, così come Gaara e Kankuro sono amici, fratelli e padri. Mi ha colpito anche il modo in cui hai reso Karura e il Quarto Kazekage: ho trovato la loro caratterizzazione molto intensa ed efficace.
Trovo che l'attinenza alla traccia data sia quindi ottima e l'argomento sviluppato estremamente bene. Tra l'altro, mi è piaciuta l'idea della sindrome di Edipo, azzeccata e ben descritta.

 

 

 

 

Risponderò qui sotto agli eventuali commenti.

 

   
 
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