Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: RandomWriter    14/08/2015    10 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
52.
T-TEAM
 

Inserire monete.
L’indicazione fornita dalle lettere rosse della macchinetta non poteva essere più chiara, Sophia l’aveva già seguita, eppure sul display erano rimasti due doppi zeri accanto all’importo.
« Cazzo, non mangiarmi i soldi! » inveì, dando una pacca all’armatura di metallo di oltre due metri che la fronteggiava. Il palmo sbatté piatto contro la superficie liscia, ma non bastò ad intaccare l’inesistente sensibilità del macchinario. La barretta di cioccolato era ancora al sicuro, avvolta dalla spirale metallica che non accennava a rotolare di un millimetro. Il nervosismo di Sophia non era motivato unicamente dall’aver perso due dollari, ma anche e soprattutto, dal contesto che la circondava: era al campus universitario, lo stesso in cui studiava Nathaniel.
Quel nome aleggiava nella sua mente come una minaccia, si poteva insidiare in ogni angolo seminascosto del corridoio, facendola sussultare al minimo movimento. Sapeva che le probabilità di incrociarlo in quell’immensa area universitaria non erano altissime, ma il fatto che non rasentassero lo zero, la portava a guardarsi attorno circospetta.  
« Ehi, hai finito? »
Si voltò, accorgendosi della presenza di un gruppo di ragazzi. Tra questi spiccava uno studente dai capelli lunghi, tali da coprirgli le guance; la scrutava con arroganza e insofferenza, con la presunzione di chi si crede superiore a tutti:
« Mi ha fottuto i soldi » spiegò Sophia, indicando la macchinetta.
« Che vuoi che ti dica? Posso prendermi qualcosa o devo star qui ad aspettare? » replicò l’altro, nervosamente. La ragazza storse il labbro, irritata, mentre lui la squadrava da capo a piedi:
« Sociologia? » le chiese con disinteresse, ma lei non afferrò subito.
« Che? »
« Studi sociologia? » le domandò, inserendo i contanti. Sul display però apparve un numero superiore rispetto all’importo immesso, così Sophia realizzò che fossero stati aggiunti i suoi due dollari.
« No, non studio, comunque ci sono i miei soldi là dentro » osservò.
Il ragazzo puntò lo sguardo sugli snack e, con un sorrisetto beffardo, comunicò:
« Allora prenderò una Red-Bull »
Intenzionato ad appropriarsi dei soldi della ragazza, stava per digitare il numero corrispondente alla bevanda, quando un braccio lo bloccò:
« Sono i suoi soldi »
La voce era ferma e calma, ma dalla violenza con cui il moro si sentiva stritolare il polso, si irrigidì preoccupato. Girò il capo verso destra e incrociò due occhi color nocciola ed un sorriso ipocritamente gentile. Sophia alzò lo sguardo, quasi con timidezza e paura, dopo aver riconosciuto all’istante quel timbro.
Era sempre stata convinta che i principi azzurri fossero personaggi delle fiabe, tanto irreali quanto stomachevoli, ma l’interpretazione moderna che Nathaniel dava di quella figura romantica, metteva in discussione tutte le sue ciniche certezze.
« Stavo solo scherzando » mormorò lo sconosciuto, ritraendo la mano.
Il biondo incurvò appena le labbra e, in un paio di secondi, vide volatilizzarsi il gruppetto, lasciandolo solo con Sophia.
« Sei una piantagrane » le disse, senza guardarla.
Lei lo fissò stranita, mentre digitava un numero sulla macchinetta.
Una barretta blu precipitò in caduta libera, la stessa che la mora avrebbe voluto prendersi. O avevano gli stessi gusti, oppure riusciva a leggerle nel pensiero.
Nonostante il ragazzo avesse preso l’iniziativa, lei non protestò, finché non lo vide aprire la confezione e staccare un pezzettino dal blocco di coccolato:
« Ehi! Quella è mia! »
« E’ il mio 10%, la ricompensa per averti aiutato » replicò asciutto il biondo. Aveva una strana luce negli occhi, una sicurezza che lo rendeva carismatico ed affascinante.
Sforzandosi di apparire naturale, e per nulla impressionata, Sophia sbottò:
« Non ti ho chiesto niente, me la sarei cavata da sola »
« Sì, ma io non ci avrei ricavato nulla e si da il caso che stessi morendo di fame »
Punzecchiare Sophia non rientrava solo nella lista delle piccole gratificazioni personali, era pure un espediente per tirare fuori il lato più autentico della sua personalità, lo stesso che fino a quel momento, solo Castiel riusciva a far affiorare.
Erano parecchi giorni che il biondo non la incontrava e viveva quella separazione come una mancanza, una privazione. Il loro ultimo incontro si era svolto all’insegna della sincerità reciproca, si era aperto con lei, come non aveva mai fatto con nessun’altra ragazza prima, nemmeno Rachel o Rosalya.
Avrebbe voluto così tanto che anche lei riuscisse a scorgere in lui delle qualità che la portassero a desiderare la sua compagnia, perché per quanto lo riguardava, quella di Sophia stava diventando irrinunciabile. Non passava giorno che non si chiedesse cosa stesse facendo, quale mistero la tenesse lontana da Erin e come avrebbe potuto aiutarla.
« Non ti basterà certo un misero pezzetto di cioccolato a farti passare la fame » borbottò lei, incamminandosi verso il corridoio.
« Infatti stavo andando a pranzo. Tu hai già mangiato? »
Quell’implicita proposta la prese in contropiede, costringendola ad arrestarti di colpo. Stava per rispondere con una bugia, quando il tempismo impeccabile del suo stomaco sprigionò un brontolio insopprimibile, quasi l’avesse voluta battere sul tempo. Non era la prima volta che le capitava di fare una simile figuraccia, ma non per questo non avvampò, mentre Nathaniel ridacchiava divertito:
« Lo prendo per un no… dai, vieni come me »
 
« Aspetta aspetta… troppe informazioni: tu pensi che se scopri chi è l’autore di questo quadro, capirai cosa nasconde tua sorella? » riepilogò Alexy confuso.
« Non solo l’autore » chiarì Erin, alzando l’indice « ma tutto quello che c’è da sapere: dove l’ha trovato, quando è stato dipinto e cose così… più informazioni abbiamo, e più ho speranze di far luce sulla vicenda »
« Non sarà facile, si tratta di fare un’indagine alla Sherlock Holmes » osservò Lysandre, chiudendo il suo quaderno nero, sul quale aveva appuntato alcune frasi.
Ormai nessuno dei presenti proponeva di trascorrere la pausa pranzo in mensa: l’inverno volgeva al termine e il loro ritrovo sulle scalinate nascoste in quell’angolo del liceo era troppo intimo per rinunciarvi. Erin aveva trascorso gli ultimi dieci minuti ad illustrare per filo e per segno, tutti i dettagli riguardanti sua sorella e lo strano mistero che la riguardava:
« Lo so Lys, è per questo che ve ne sto parlando. Voglio far vedere anche a voi questo quadro, magari mi aiutate a cogliere qualcosa che a me sfugge »
« Ce l’hai qui a Morristown? » chiese Rosalya.
« Sì, sono andata a prenderlo ieri » spiegò Erin, mentre sfogliava la galleria del cellulare.
Dopo pochi secondi voltò il display verso gli amici, che si accerchiarono attorno allo schermo per osservare la foto.
« Non si vede granché » masticò Kentin, con la bocca piena.
« Provo ad ingrandire »
Mentre Armin e il cadetto afferravano il cellulare ed esaminavano la foto con attenzione, Iris soggiunse:
« Sei proprio sicura che Sophia non ti dirà nulla? Magari se provi ad insistere ancora… »
« No » dichiarò Erin con fermezza, mentre il suo smartphone passava da una mano all’altra.
Tra i presenti, l’unico ad apparire disinteressato alla questione era Castiel, appollaiato come un gatto sul muretto di mattoni poco lontano.
Il giorno prima, Erin si era presentata a casa sua, giungendo direttamente da Allentown, per mostrargli il fatidico dipinto. Il musicista, dopo averlo osservato con interesse, non era riuscito ad estrapolare alcuna considerazione aggiuntiva rispetto a quelle avanzate dall’amica e le aveva consigliato di rimandare la questione all’indomani, a scuola.
« Questo è lo stesso che ho visto a casa tua a Natale? » indagò la vocina flebile di Violet.
Erin annuì, mentre Rosalya dichiarava:
« Allora, stando a quello che ci ha detto Violet quella volta, il quadro non è opera di Sophia. Questo è già un indizio »
Si voltò verso l’artista, che confermò l’ipotesi avanzata due mesi prima.
« Perché lo pensi? » si incuriosì Alexy.
« Ho visto altre opere di Sophia e questa ha uno stile diverso, oltre che più maturo »
« È dipinto ad olio? » domandò Lysandre.
« Credo di sì, ma non me ne intendo molto di pittura » bofonchiò Erin.
Il cellulare era ora adagiato tra le mani di Rosalya che, accidentalmente, anziché ingrandire, passò all’immagine precedente della galleria.
Si trovò sotto il naso un viso familiare, uno di quelli che con poco, riusciva a scatenare in lei una certa irritazione.
Sorrise ebete, voltandosi verso la mora, seduta accanto a lei. L’amica, a sua volta, ricambiò dapprima con un’occhiata perplessa ma, non appena realizzò la causa di quella reazione, avvampò per l’imbarazzo. Teneva gelosamente segreta quella foto di Castiel ma, per quante volte l’avesse ammirata, si era dimenticata che il suo piccolo tesoro fosse così facilmente vulnerabile all’indiscrezione altrui:
« Eh-eh, chissà che altre foto compromettenti ci sono in questa galleria » la sfottè Rosalya sottovoce, mentre il resto degli amici non si era accorto del loro soffuso scambio di battute.
« Che cretina che sei » borbottò Erin, spegnendo lo schermo « e poi non dovresti sbirciare le foto altrui »
« E’ venuta fuori da sola »
L’amica le lanciò un’occhiata gelida, che non guastò il buon umore della stilista, mentre Armin interveniva:
« Da quello che si intravede, c’è disegnato un parco… un bosco… »
« Già, bisognerebbe controllare se ci sono degli elementi che si possano ricondurre a qualche luogo specifico » considerò Lysandre.
« E il quadro non ha firma, giusto? » chiese conferma Kentin.
Castiel continuava a gustarsi il suo pranzo a sacco, senza prendere parte alla discussione, finché non fu proprio Rosalya a richiamarlo:
« Ariel, smettila di fare l’asociale e vedi di dare una mano anche tu! »
« Ma non rompere le palle Rosa » la redarguì lui, masticando rumorosamente « vi sto ascoltando e non ho niente da aggiungere »
« Secondo me è offeso perché non abbiamo dato il giusto merito alla sua notizia shock » lo canzonò Armin.
« No anzi, meno vi fate i cazzi miei, più contento sono » dichiarò il cestista, accartocciando l’incarto e centrando il bidone della spazzatura.
« Quando andrai da tua madre quindi? » domandò Lysandre, ignorando platealmente l’ultima dichiarazione del rosso.
« Dopo le Bahamas… allora, dicevate che il quadro non ha firma » tentò di sviare il musicista.
Nel vederlo in leggero disagio per quell’interesse che si era spostato improvvisamente su di lui, il sadismo di Rosalya si pronunciò:
« Eh no Cassy, adesso parliamo un po’ di te e della tua sorellina. Dovrai presentarcela, lo sai no? »
Gli occhi felini e vispi della ragazza si gustarono ogni piega della fronte del nemico, intenzionato a non prestarsi al suo divertimento:
« Ma se i bambini ti fanno venire il nervoso… »
« Anche a te se è per questo, quindi dobbiamo assicurarci che tu non traumatizzi Hailey »
Il rosso stava per replicare, quando intervenne Iris:
« Ha circa l’età di Adam, potrebbero diventare amici »
Mentre Castiel la fissava infastidito, Armin subentrò:
« Non riesco proprio ad immaginarti come fratello maggiore »
Mentre il resto degli amici si divertiva a punzecchiare il ragazzo, Rosalya sussurrò ad Erin:
« Andrai anche tu con lui a conoscere la tua futura suocera? »
Le arrivò una gomitata, a cui la stilista rispose con una risatina stupida, senza sapere di aver indovinato le intenzioni di Erin. Castiel infatti le aveva promesso che l’avrebbe portata con sé a conoscere Hailey, anche se i due avevano stabilito di non dirlo agli altri.
Era un momento delicato per lui e, per qualche motivo, la presenza dell’amica gli sarebbe stata di supporto. La mora si sentiva lusingata da quell’esclusiva e, pur non essendo molto brava con i bambini, si era ripromessa di aiutare l’amico a relazionarsi con quella nuova sorellina.
Ormai aveva imparato a interpretare parte dei comportamenti dell’amico e di una cosa era sicura: l’idea di incontrare Hailey lo rendeva particolarmente nervoso.
 
« Non mi hai ancora detto che ci fai qui »
« Tu non me l’hai ancora chiesto » obiettò Sophia, masticando dell’insalata insipida. Non era più abituata a consumare un pasto di qualità scadente attorniata da coetanei a cui toccava la stessa sorte. Ormai erano più di sette mesi che era estranea all’ambiente scolastico e, con esso, alle tristi mense. Provò quasi un moto di nostalgia, che scacciò prontamente quando Nathaniel recitò con ironia:
« Perché sei al campus? »
« Perché non sono fatti tuoi »
Continuava a tenere lo sguardo puntato sul piatto, come se i chicchi di mais che punteggiavano la lattuga meritassero tutto il suo interesse. Il biondo la scrutava attentamente, poi constatò:
« Comincio a pensare che tu soffra di androfobia, sai? »
« Sarebbe? »
« La paura dei maschi »
Sophia scoppiò in una risata esagerata, che fece voltare alcune persone attorno a lei:
« Quanto sei scemo » dichiarò, asciugandosi una lacrima ai lati degli occhi.
« E tu complessata » non demorse lui.
« Senti chi parla »
« Ho notato che sei stronza solo con i ragazzi » insistette Nathaniel, con una convinzione che la offesero.
« Non è vero! » si oppose lei « io sono stronza e basta »
Il biondo sorrise, mentre lei incrociava le braccia al petto in segno di ostilità:
« Non è vero… » mediò lui con dolcezza.
Quel sorriso sortiva l’effetto di una medicina su Sophia: guariva il suo malessere, ma ingoiarlo era un boccone amaro.
« Smettila Nathaniel » pensò lei tra sé e sé « i tuoi sorrisi non sono per me »
Non c’era modo di sopire le sue emozioni se non quello di infierire su di esse, ricorrendo ad una sorta di formula magica che le avrebbe ribadito il motivo principale per cui doveva dimenticarlo:
« Rosalya come sta? »
« Bene, sta sfogando un po’ della sua rabbia repressa su Castiel » spiegò Nathaniel, accartocciando un tovagliolo di carta.
Sophia quasi si strozzò:
« È-è tornato? »
« Sì, Erin non te l’ha detto? »
No, non gliel’aveva detto.  
Era dal giorno del loro litigio ad Allentown che le due sorelle non si sentivano. Per bocca di suo padre, Sophia sapeva che la Atlantic aveva vinto il terzo posto del torneo, ma nulla di più.
Il fatto che la gemella non l’avesse contattata per raccontarle del ritorno di Castiel, mise la rossa di fronte alla concreta possibilità che Erin le serbasse rancore come mai era accaduto in passato. Eppure non era da lei tenerle il muso, normalmente preferiva rinunciare alla propria causa, in nome dell’amore che le legava.
Sophia poteva capire perfettamente il punto di vista della gemella, ma quella volta più di ogni altra, aveva bisogno che rispettasse i suoi spazi, che le lasciasse ancora del tempo.
Erin tuttavia era diversa, non era più la stessa sorella che aveva lasciato ad Allentown: l’essere così determinata nel difendere la propria posizione, rientrava in quei piccoli miglioramenti che avevano fatto sì che diventasse più forte. Per contro, come se una sorta di maledizione binaria le legasse, più Erin maturava, più Sophia si sentiva fragile.
« Tutto ok? »
Alzò lo sguardo verso il biondo, che la fissava perplesso, quasi preoccupato:
« Cosa? » mormorò sovrappensiero.
Il ragazzo sbattè le palpebre confuso e ripetè:
« Mi sembri assente, che ti prende? »
La ragazza cominciò a giocherellare distrattamente con gli avanzi rimasti sul piatto, a causa di un appetito che era scomparso all’improvviso.
« Io ed Erin non ci parliamo più » mugolò.
La vivacità dei suoi occhi si era spenta tutt’ad un tratto e, con essa, se ne era andata anche la spavalda sicurezza con cui aveva interagito con Nathaniel fino a quel momento.
« Posso chiederti perché? » le chiese lui con prudente gentilezza. La fissava di sottecchi, come un esploratore che cerca di indagare lo stato di vigilanza di una belva.
« Puoi farlo, ma non ti risponderò »
Il biondo sbuffò paziente:
« Che cosa devo fare con te Sophia? » mormorò d’un tratto, abbandonandosi contro lo schienale della sedia « sei circondata da persone che cercano disperatamente di capire cosa ti passi per la testa, e l’unica cosa che sai fare, è chiuderti a riccio »
Lei spostò lo sguardo sul cortile, visibile dal vetro appannato dell’ampia vetrata della mensa. Una patina di malinconia aveva poggiato un delicato tocco sulle sue iridi verde bosco. Un gruppo di piccioni si era concentrato attorno a quanto rimaneva di un pacchetto di cracker, lasciato incustodito su una statua.
« Non capisco perché insisti nel voler sapere come stanno le cose » bisbigliò sconfitta, senza staccare l’attenzione dallo stormo beccheggiante.
« Perché mia sorella è preoccupata per te » le rispose con fermezza.
Lei deglutì in silenzio, mentre sul riflesso del vetro si materializzava l’immagine di Ambra, una delle sue più care amiche. Non voleva farla stare in pena, come non voleva prolungare l’agognante curiosità di Erin.
 Tutta quella situazione stava diventando sempre più ingestibile: nel tentativo di proteggere le persone a lei care, Sophia stava rischiando di ferirle in modo irreparabile.
« E anche io inizio a preoccuparmi per te, Sophia »
Spostò finalmente lo sguardo su di lui, annegando in un paio di iridi color dell’oro, calde e rassicuranti, che le infusero una scarica di tepore tale da lenire parte della sua inquietudine.
« Dimmi solo come posso aiutarti »
 
La metratura dell’appartamento di Pam non permetteva di classificarlo come un locale spazioso, bensì risultava piuttosto raccolto e contenuto. Quel giorno in particolare, a causa della presenza di una decina di adolescenti, si aveva la percezione che lo spazio si fosse addirittura rimpicciolito.
« Mi sembra di tornare al tuo compleanno, Erin » aveva commentato Armin, spaparanzandosi svaccato sul divano.
Rosalya, Iris, Violet, Lysandre e Alexy si erano disposti ordinatamente attorno al tavolo, in attesa che Erin servisse loro una bibita fresca. Kentin era impegnato a studiare i pochi volumi disposti sulla libreria dell’Ikea, accarezzandone con delicatezza le costine rilegate. Solo Iris si accorse della sua posizione e rimase a fissarlo per un po’, incantata. Quel ragazzo era strano, quasi enigmatico, non riusciva a decifrarne la personalità, che sembrava sdoppiarsi nel dualismo di un militare intellettuale: accanto ad atteggiamenti rozzi e cafoni, Kentin sapeva comportarsi con delicatezza e sensibilità.
« Già, quella volta c’eravamo tutti » stava dicendo Rosalya « mancava solo Kentin e quell’altro idiota… a proposito: Castiel dov’è? »
I presenti si guardarono attorno spaesati, convinti che il rosso li avesse seguiti all’interno dell’appartamento.
« È in bagno » mormorò Erin, poggiando sul tavolo un vassoio di bicchieri tintinnanti.
« Dov’è la belva? » chiese Armin, alzandosi dal divano.
« Sei sordo? È in bagno » ripetè la padrona di casa, sovrappensiero, mentre distribuiva della Coca-Cola.
« Non stavo parlando di Castiel! » rise il moro « ma di Ariel! »
I presenti scoppiarono a ridere, mentre la padrona di casa lo informava che la sua micia stava probabilmente dormendo in camera sua.
« Meglio così, sennò inizia a soffiarci contro finché non ce ne andiamo » sentenziò la stilista, riempiendosi il bicchiere. L’odio che l’animale provava per qualunque essere umano che non fosse Erin o Lysandre, era risaputo tra i suoi amici che pertanto cercavano di tenersene alla larga.
« Che ne diresti Erin di mostrarci questo fatidico quadro? » domandò il poeta, deglutendo la bevanda e passandosi velocemente la lingua sulle labbra.
« È in camera. Aspettatemi qui, vado a prenderlo »
Lasciò i suoi ospiti in salotto, sorpassando il bagno la cui porta era stranamente aperta e lasciava intendere che non vi fosse nessuno all’interno. Non fece quasi in tempo a chiedersi che fine avesse fatto Castiel, che lo trovò seduto sul suo letto. Le dava le spalle, per cui non si accorse subito di lei e questo diede modo alla ragazza di assistere ad una scena inaspettata: beatamente distesa a pancia all’aria, la sua Ariel aveva un’espressione estatica mentre l’amico alternava le sue carezze tra il mento e il ventre dell’animale. La gatta emetteva delle sonore fusa ed era l’unica presente in quella camera, a poter apprezzare il tenero sorriso con cui il ragazzo la fissava.
« Ehi! Non è giusto! »
La gattina trasalì, rotolando su se stessa e mettendosi in agguato, così come il suo massaggiatore, che si girò di scatto:
« Ariel! » la riprese Erin, portandosi le mani sui fianchi « non puoi già socializzare con il nemico! »
Castiel la fissò senza capire mentre la mora, lanciando saette al suo animale da compagnia, spiegò:
« Cioè, io ci ho messo mesi a convincere Demon a non sbranarmi e lei, che non va d’accordo praticamente con nessuno, si lascia accarezzare così da te? »
« Preferivi che mi graffiasse? » domandò lui dubbioso, mentre la micetta iniziò a strofinare il nasetto umido contro i jeans del ragazzo. Erin non replicò, ma camminò indispettita verso la scrivania, da cui afferrò una cornice voluminosa, contorno del tanto chiacchierato quadro.
Abbandonò la stanza, leggermente irritata, mentre gli occhi neri di Ariel cercarono quelli grigi del ragazzo:
« La tua padrona è strana forte » commentò lui perplesso.
 
La superficie trasparente dell’acqua rifletteva i raggi di un sole che, anche se insufficiente a scaldarla, le conferiva delle rifrangenze luccicanti. Quella fontana, piazzata al centro del cortile dell’area Ovest, era una delle preferite di Sophia e, passandoci accanto, non aveva perso l’occasione per rimirarne i particolari in pietra.
« Non voglio sapere i dettagli della faccenda » esordì il biondo, che stava camminando al suo fianco « voglio solo capire come aiutarti »
Si erano lasciati alle spalle l’affollata e rumorosa mensa, per optare per un luogo più appartato, dove potessero discutere in tranquillità.
« Non posso farmi aiutare da nessuno » mormorò la rossa, sedendosi sul bordo umido della fontana.
Il ragazzo sospirò e si piazzò davanti a lei, restando in piedi. Aveva le mani affondate nelle calde tasche del giubbotto blu scuro, perfetto per il suo incarnato.
« Perché? »
« Perché non sarebbe giusto »
Nathaniel sapeva di dover dar fondo a tutte le sue scorte di pazienza e diplomazia se intendeva scucirle qualche confessione. Ne analizzava lo sguardo sfuggente, le guance leggermente arrossate dal freddo e dal disagio e non poteva che provarne tenerezza. Si accucciò davanti a lei e con dolcezza e ripeté:
« Perché? »
Lei si morse il labbro, abitudine che la accumulava alla sorella ed era proprio su quest’ultima che si erano concentrati i suoi pensieri.
« Perché non voglio che Erin sappia di questa storia, non ora almeno… e se non la dico a lei, è ingiusto che la sappia qualcun altro »
« Allora raccontami solo una parte della storia » patteggiò Nathaniel.
« Che parte? »
« Boh, magari quella che ti trattiene qui »
Sophia deglutì, ripensando alle parole del suo amico Space del giorno prima. Era in una situazione di stallo, sempre più confusa e disorientata. L’unica sua certezza era tenere la gemella all’oscuro di tutto, mentre il desiderio di appoggiarsi a qualcuno iniziava pericolosamente a tentarla, facendo vacillare la sua ostinazione.
Nathaniel era lì, davanti a lei, pronto ad ascoltarla ed aiutarla e, anche se le costava un certo sforzo ammetterlo, era contenta di poter usare quel pretesto per averlo vicino.
« Come amico » le ricordò la sua coscienza.
« Sarà il nostro segreto, non dirò a nessuno quello che mi racconterai » le promise il biondo.
Lei lo squadrò di sottecchi e, finalmente, il ragazzo vide un cedimento in quell’armatura di riserbo e mistero:
« Prometti che non ne farai parola con nessuno? » gli sussurrò incerta.
Lui annuì con serietà, guardandola dritta negli occhi, così Sophia precisò:
« Ci saranno domande a cui non ti risponderò »
« Cercherò di non fartele allora » pazientò lui.
Sophia inspirò a fondo, alzandosi dal comodo giaciglio di pietra. Iniziò a camminare per il giardino, mentre lui la seguiva in silenzio.
Arrivarono di fronte ad un vecchio acero e, accarezzandone il tronco nodoso, la ragazza raccontò:
« L’anno scorso ho trovato casualmente un quadro e ne sono rimasta affascinata »
« Casualmente? »
Lei sorrise paziente e soggiunse:
« Questa è una domanda a cui non risponderò »
Dopo quella replica, Nathaniel realizzò quanto fosse precario il loro equilibrio: un minimo movimento falso e Sophia si sarebbe richiusa a riccio, ostacolando ogni conversazione. Optò quindi per il silenzio, in attesa che fosse lei a proseguire.
« È un olio su tela, rappresenta un parco. La vegetazione è rigogliosa, i colori dei fiori vivaci…  mi ricorda un po’ i quadri di Renoir, hai presente? »
Il ragazzo annuì, mentre l’artista proseguiva:
« Sin dalla prima occhiata, quel quadro mi colpì. È qualcosa di irrazionale, e non mi aspetto che tu lo capisca, ma ho sentito il bisogno di conoscere di più sul suo autore. Quando presi questa decisione, le vacanze estive erano alle porte e, visto che i misteri mi hanno sempre affascinato, pensai che fosse un passatempo divertente, oltre che stimolante. Dopo aver individuato la città in cui si trovava quel giardino, mi ci sono recata, ma non sono riuscita a scoprire granché. Era un paesino piccolo, di periferia, ma nessuno sapeva dirmi chi potesse aver realizzato quel dipinto. Avrei voluto fermarmi qualche giorno in più, quando mi arrivò il messaggio di una mia carissima amica, Candy, che non sentivo da mesi: mi raccontò di aver rotto con il suo ragazzo tempo addietro e che quella separazione l’aveva destabilizzata più di quanto immaginasse. Voleva andarsene lontano, lasciarsi tutto alle spalle e mi chiese di andare con lei in California. Ovviamente rifiutai: avevo ancora la scuola da finire, la mia famiglia e le mie indagini… inizialmente erano motivate dalla curiosità e dal desiderio di avventure, ma pian piano stavano diventando una vera e propria ossessione.
Tuttavia, una settimana dopo averla lasciata partire da sola, accadde qualcosa che mi fece rimpiangere la mia decisione: io ed Erin fummo investite e, per un pelo, lei si salvò. Quella volta ero io al volante, anche se avevo alzato il gomito e »
Non riuscì ad aggiungere altro per qualche secondo: la voce era accorata, il labbro inferiore le tremava e il cuore aveva iniziato un battito sfrenato. Ricordare le ore a seguito dell’incidente le suscitava sempre la stessa reazione, perché l’angoscia di aver rischiato di perdere Erin, era opprimente.
« …Non rispettai uno stop. Io me la cavai con poco, perché la vettura veniva dalla parte del passeggero.  Erin aveva perso moltissimo sangue e fu necessario farle delle trasfusioni, con sangue che io non potei donarle perché a mia volta il mio fisico era molto debilitato.
Erin rimase in una sorta di coma per un paio di giorni e quando si risvegliò, i medici le diagnosticarono un’amnesia temporanea. Vedere il suo sguardo vuoto e assente, mentre mi chiedeva chi fossi, mi pietrificò. Era colpa mia, capisci? Se lei non fosse tornata quella di prima, io… »
Strinse i pugni contro la stoffa del maglione, imponendo a se stessa di non piangere.
Non in quel momento. Non davanti a lui.
« Durante il ricovero di Erin, le circostanze mi spinsero ad una scelta di cui tutt’ora ne sto pagando le conseguenze: chiamai Candy, la mia amica e le chiesi ospitalità qui, in California. Avevo bisogno di tempo e spazio per riflettere, perché in quel periodo una parte di me era andata in frantumi, avevo un disperato bisogno di stare sola ed allontanandomi da Allentown, potevo cercare quella serenità che avevo perso. Erin non doveva vedermi in quello stato, volevo che continuasse ad illudersi che fossi la gemella forte, quella che non si piega davanti a nulla. È sempre stata una bugia, una farsa, ma lei mi vedeva così e doveva continuare a farlo. Se fosse crollata lei, io non ce l’avrei fatta a restare in piedi »
Si fermò per un po’, poi si lasciò sfuggire un sogghigno amaro:
« E’ sempre stato così ingenua da non accorgersi che è lei quella forte. È Erin quella che nei momenti davvero difficili tira fuori la grinta, io so solo trovare un posto sicuro in cui piangere o nascondermi »
« Allora perché non le racconti tutto? » puntualizzò Nathaniel confuso:
« Perché ora come ora, la paura di vederla soffrire, mi paralizza »
 
Dopo un’analisi scrupolosa del quadro, Alexy aveva sbuffato:
« Non saprei proprio cosa dirti Erin… cosa possiamo capire da un semplice dipinto? »
Lysandre stava per aprire bocca, quando il campanello suonò. Nove teste si voltarono di scatto, mentre Armin si sollevava pigramente dal divano:
« Deve essere Ambra: le ho detto di venire a prendermi qua »
Tutti i presenti erano al corrente dell’imminente colloquio tra l’amico e il signor Daniels, uno dei colossi dell’industria informatica. Anche se avevano cercato di rassicurarlo, erano segretamente e unanimemente convinti, che l’uomo volesse dargli una bella strigliata per il danno d’immagine che aveva recato all’azienda, infiltrandosi nel sistema. Seppur Nuvola Rossa fosse un ricordo che viveva nella memoria di pochi addetti al settore, ciò che aveva combinato durante il suo periodo di attività non poteva essere ignorato.
« Certo che Armin, farti venire a prendere da una donna… » lo canzonò Kentin, occupando il posto sulla poltrona rimasta libera. Si trovò accanto Castiel, che per tutto quel lasso di tempo, aveva dedicato le sue attenzioni esclusivamente ad Ariel e alla sua morbida pelliccia.
« Non viene a prendermi lei, ma l’autista! » puntualizzò il moro, rispondendo ad un messaggio sul cellulare.
« Ti fai trattare da principino » rincarnò la dose il rosso, pronunciando la prima frase dopo mezz’ora di isolamento.
In lontananza sentirono che la padrona di casa invitava Ambra a salire, parlando al citofono. Erin lasciò così la porta aperta e dopo un paio di minuti, quest’ultima venne varcata dall’ospite temporanea. Sorpresa per l’affollamento della stanza, la bionda commentò in leggero imbarazzo:
« Non avevo capito che eravate tutti qui »
« Sì, siamo nel mezzo di un’indagine investigativa: scoprire qualcosa su quel quadro »
Era stato Armin a parlare, indicando l’oggetto appoggiato sul tavolo da pranzo. La bionda allora, incuriosita, gli si avvicinò, sporgendosi a guardarlo con interesse.
Nove paia di occhi si focalizzarono sulla sua figura longilinea, incurvata sul dipinto.
Le dita sottili accarezzarono la cornice lignea, con una delicatezza quasi timida e bisbigliò infine:
« È una cornice di Leroy? »
« Di chi? » scattò Erin perplessa.
Ambra non rispose e continuò ad esaminare l’oggetto con scrupolosa attenzione. Con l’unghia tamburellò su un lato della cornice che oppose una resistenza tale da farle sussurrare:
« Ebano »
Solo quando si decise ad alzare nuovamente gli occhi sul resto dei presenti, si accorse di quanto fossero sorpresi. Eppure, anche in lei era affiorata una sensazione analoga e ne approfittò per chiedere:
« Si può sapere dove lo avete preso questo quadro? Solo la cornice vale almeno duemila dollari »
Al suono di quella cifra, la padrona di casa sbiancò: era fuori discussione che sua sorella avesse acquistato un quadro di simile valore. Si insediò in lei allora l’inquietante sospetto che fosse rubato, ma la sua razionalità convenne che non era dalla gemella commettere un atto deplorevole come un furto, specie di tale entità.
Mentre era impegnata ad elaborare una spiegazione, Lysandre intervenne:
« Conosci questo artigiano? »
« Di fama. La mia famiglia ha un paio di cornici sue »
« Mi ripeti il nome di questo tizio? » domandò Erin.
« È una donna » la corresse Ambra « e si chiama… »
 
« Tracy Leroy » rispose Sophia « Sono arrivata al suo nome grazie a Candy, che ne ha riconosciuto la cornice »
« Sì beh, è una famosa artigiana » commentò Nathaniel.
« L’hai già sentita nominare? » si stupì la rossa
« Sì, la mia famiglia ha qualcosa di suo, meno di quanto mia madre avrebbe desiderato »
« Perché? »
 
« Si dice che sia morta » esclamò Ambra, continuando a fissare il quadro.
 
« Come sarebbe a dire? » sbiancò Sophia « Io so che vive qui in California… da qualche parte! »
« Chi te l’ha detto? »
« L’ho scoperto chiedendo a vari negozi di belle arti qui a San Francisco, purtroppo però l’unica pista che ho seguito mi ha fatto parlare con un vecchio rincoglionito che a mala pena ricordava che fosse una donna »
 
« Oh no! » sospirò Erin frustrata « il primo indizio che abbiamo ed è già è sfumato! »
La bionda la fissò interrogativa per qualche secondo, poi improvvisamente il suo viso si contrasse e le sopracciglia chiare si piegarono sopra i suoi occhi azzurri, così la mora aggiunse:
« Questo quadro è di mia sorella. Sono sicura che c’entra qualcosa con il segreto che si ostina a celare »
« È di Sophia? »
In quella domanda c’era tutto il suo sconcerto, misto a note di panico e timore. Quei sentimenti si trasformarono in una sorta di indignazione quando vide Erin annuire gravemente.
Ambra si allontanò in fretta dal tavolo, come si fosse improvvisamente rivelato un oggetto maledetto.
« Che hai? » le chiese Alexy.
« Non voglio intromettermi in questa storia » sentenziò la bionda con severità, dirigendosi verso l’uscita.
« Sai qualcosa? » la attaccò Rosalya.
« No, ma se anche lo sapessi, non lo direi » replicò secca. Dalle espressioni degli altri, capì di essere stata fin troppo brutale nell’esternare la sua posizione, così ritrattò:
« Non ho nulla contro di te, Erin… sul serio, ma Sophia è mia amica e l’unica cosa che so è che vuole che restiamo tutti fuori da questa faccenda, tu per prima. Se ti assecondassi, sarebbe come tradirla »
Erin boccheggiò, incapace di replicare, mentre Rosalya, di temperamento ben più impulsivo, montò su tutte le furie:
« Al diavolo questo senso di solidarietà! Tu sai qualcosa e non ce lo vuoi dire! »
Diversamente dalla stilista, il resto dei ragazzi era rimasto impressionato da quella manifestazione di lealtà da parte di Ambra. Capivano il suo punto di vista ma era difficile realizzare che sentimenti così nobili si celassero sotto quella cascata di capelli biondi.
« Non è così, White » replicò duramente l’altra: ben poche ragazze potevano tener testa ad una come Rosalya ed Ambra rientrava facilmente in quell’esclusiva cerchia. Non era il tipo da farsi intimorire, specie quando era convinta dell’inappuntabilità della sua decisione.
« Ambra » la chiamò pazientemente la voce di Iris « abbiamo bisogno di te per far luce su questa faccenda. Noi è da mezz’ora che fissiamo questo quadro senza aver trovato nulla mentre tu, in dieci secondi, hai già capito chi è l’autore della cornice »
« Mi dispiace Iris, ma non saranno le lusinghe a intenerirmi »
Una ragazza sveglia e sensibile come Ambra, sapeva che i suoi modi bruschi venivano fraintesi, ma credeva nel valore della franchezza per sottrarsi a situazioni scomode. Non poteva permettersi di tentennare, lasciare che la implorassero di aiutarli, perché così facendo, ne era quasi certa, avrebbe finito per cedere.
« E comunque, se può essere di consolazione, questa è l’unica cosa che mi viene in mente guardando quel quadro. Di più non saprei dirvi » concluse.
« Ambra » quasi la supplicò Erin « ti prego, per me è importante »
La fissava con i suoi occhi grandi ed espressivi, troppo dolci e teneri per lasciarla indifferente:
« Credi che questa situazione mi diverta? Non posso Erin, davvero, non mettermi in difficoltà »
Era in inferiorità numerica, attorniata da quelle nove persone i cui sguardi oscillavano dalla recriminazione, dipinta sul volto di Rosalya, alla tenerezza di Erin.
 
« Ascolta Sophia, è l’ultima volta che te lo chiedo, poi giuro che non insisterò più : sei sicura che non vuoi parlarmi del perché ti ostini a restare qui? »
Ambra vide gli occhi della rossa ingrandirsi in un’espressione spiazzata, per poi distogliersi dai suoi che la scrutavano con intensità. La sua interlocutrice sembrava sfuggente e, diversamente dal solito, particolarmente riservata:
« Sto cercando una persona, e non me ne andrò finché non l’avrò trovata » borbottò infine, con un filo di voce.
« Una persona » ripetè Ambra.
« Sì »
La bionda metabolizzò quell’informazione in silenzio, poi obiettò:
« Non puoi pagare un detective? »
La risposta non le arrivò istantanea. La rossa tergiversava, soppesando le parole migliori con cui esprimersi, come se temesse di rivelare troppo.
Dopo cinque estenuanti secondi di silenzio, la ragazza spiegò:
« A  mala pena riesco a tirare fuori i soldi per l’affitto e il resto… »
« Se è per questo, ti aiuto io »
Sophia scosse la testa  con decisione, appena udì quella generosa offerta:
« Non se ne parla… è una cosa che devo fare io in prima persona, non deve occuparsene nessun altro…e poi… »
« E poi? » incalzò Ambra.
«… Ho fatto una promessa »
« Che genere di promessa? »
« Di quelle che non vanno mai infrante » concluse l’amica con un’espressione criptica.
Ambra sospirò delusa. Da un lato avrebbe voluto insistere, strappare a Sophia quella verità che stava nascondendo a tutti i costi, ma dall’altro, si imponeva di rispettare la sua privacy e la volontà che non venisse violata:
« Nient’altro? Mi dici solo questo? » riepilogò amareggiata.
« E’ abbastanza » precisò Sophia e, assicurandosi che l’amica la fissasse dritta negli occhi, le strappò una promessa:
« Tu però non parlarne con mia sorella, ti prego. Lei non sa niente di questa storia »
Non aveva mai visto Sophia con un’espressione tanto greve e scura. Tutto il mistero che avvolgeva quella questione, per quanto angosciasse e incuriosisse Ambra, andava dimenticato, in nome dell’amicizia che le legava.
« D’accordo » convenne infine la bionda, sospirando rassegnata « spero almeno che tu sappia quanto ad Erin pesi questa situazione »
« Lo so » tagliò corto Sophia « ho solo bisogno di altro tempo »
(Capitolo 45 –Verso la semifinale)
 
« Devo andare, scusatemi » mormorò a disagio.
Loro non potevano capire.
Sophia era stata la sua prima vera amica, la persona che era riuscita a cogliere l’essenza più bella e autentica di una personalità apparentemente egoista e cattiva. Le aveva fatto apprezzare se stessa come mai nessuno prima; tra di loro si era creato un legame talmente saldo che non avrebbe permesso a nessuno di comprometterlo.
Tuttavia, anche se la volontà della rossa aveva la priorità assoluta, Ambra detestava trovarsi tra due fuochi, poiché in uno di essi vi erano Armin e i suoi amici. Non osava guardarlo in faccia, nel timore di vedere una smorfia delusa. Stava quasi iniziando a dubitare che volesse ancora accettare l’invito di suo padre, quando lo sentì dire:
« Io vado, ci vediamo domani »
Gli unici a rispondere al saluto furono Erin ed Alexy, mentre gli altri li guardavano andare via in silenzio.
 
Appena si chiusero la porta alle spalle, Rosalya esclamò:
« Detesto ammetterlo, ma dobbiamo trovare un modo per convincere Ambra ad aiutarci! Lei conosce un sacco di gente, ha degli agganci che ci potrebbero fare comodo »
« Ed è molto intelligente » osservò Lysandre sovrappensiero.
« Scusa se siamo un branco di capre » replicò la stilista piccata.
« Perché non cerchiamo il nome che ci ha detto su internet? » s’intromise Iris.
La stilista nel frattempo aveva già il naso incollato allo schermo del cellulare e le dita in movimento.
« Non trovo un cazzo! » sbottò dopo qualche minuto « Erin, prendi il computer! »
Mentre le ragazze ed Alexy si concentravano nello scorrere i risultati, Lysandre e Violet scrutarono attentamente la cornice:
« È una vera artista »
« Già, del resto Ambra ci ha detto che è famosa »
In attesa di ricevere qualche informazione, Alexy si era spostato da Castiel, seduto sul divano con Ariel addormentata sulle sue gambe:
« E’ strano vederla così mansueta »
« E’ più facile trattare con gli animali che con le persone » sussurrò il chitarrista, rapito dalla gattina.
« Solo se sei socialmente inabile »
Mentre i due avevano intrapreso un dibattito sulle relazioni interpersonali, Kentin si era isolato sulla poltrona a mangiucchiare dei Mikado. C’erano fin troppe persone impegnate nella ricerca di informazioni e il suo contributo sarebbe stato del tutto superfluo.
 
Dopo un quarto d’ora, il trio di investigatrici gettò la spugna:
« Trovato nulla? » domandò Lysandre.
« Qualcosa sì… » mormorò Iris.
« Un cazzo, un cazzo abbiamo trovato! » imprecò Rosalya frustrata.
«Rosa calmati » la sedò Erin « certo non potevi sperare che trovassimo il suo indirizzo »
« Cosa avete scoperto? » s’intromise Alexy, alzandosi dal divano e raggiungendo gli amici.
« Tracy Leroy è un’artigiana rinomata per le sue cornici… sono considerate delle vere e proprie opere d’arte. Abbiamo trovato qualche immagine di alcune sue creazioni »
« Posso vederle? » squittì Violet, avvicinandosi al PC.
Erin allora voltò lo schermo, in modo che l’artista potesse passare in rassegna le foto.
« E oltre a queste immagini non avete trovato altro? »
La mora fece cenno di diniego col capo e si abbandonò contro lo schienale della sedia.
« La pista è quella giusta, lo sento, ma ci siamo impantanati in un punto morto. Anche se in questo trafiletto confermano quanto ha detto Ambra, in nessun altro sito abbiamo trovato informazioni su di lei… non c’è nessuna traccia » commentò abbattuta.
Castiel alzò gli occhi, osservando di sfuggita l’amica. Era parecchio demoralizzata e l’entusiasmo con cui si era approcciata a quella ricerca, stava scemando. Doveva mettere in conto che quell’impresa aveva alte probabilità di concludersi con un insuccesso, anche se il coinvolgimento di tante menti le aveva regalato qualche speranza aggiuntiva.
Nell’ambiente raccolto ed intimo di quel salotto, l’aria si permeò di una silenziosa solidarietà verso la padrona di casa e la sua amarezza. Tutti sembrarono concentrarsi nel trovare qualcosa da dire, eccetto Kentin che, con un Mikado in bilico tra le labbra, mormorò tra sé e sé:
« Anche la mancanza di prove è una prova »
Attirò l’attenzione generale e, su tutti, fu Alexy a chiedere:
« Come dici? »
Il ragazzo incrociò le braccia dietro alla nuca:
« Era un’espressione che ci ripeteva sempre il tenente del corso di criminologia all’accademia » spiegò l’ex cadetto, sbadigliando annoiato.
Mentre ai lati degli occhi gli fecero capolino due lacrime, Lysandre mormorò:
« Kentin ha ragione »
Con quella dichiarazione si guadagnò una serie di occhiate perplesse; persino il moro era sorpreso, mentre il poeta specificò:
« C’è un motivo per cui, nonostante sia così talentuosa, internet non conosce Tracy Leroy »
 
I sedili in pelle emanavano un odore leggero ma pungente che iniziava ad infastidire Armin. Erano in macchina da dieci minuti e, in tutto quel lasso di tempo, né lui né Ambra avevano spiaccicato mezza parola.
Gustave Daniels.
Erano poche le persone che il moro ammirava nel profondo e quell’uomo era una di quelle. Ne conosceva la biografia, sapeva come era riuscito a costruirsi un impero partendo dalla polvere. Il signor Daniels era un uomo caparbio e sicuro di sé, oltre che una mente brillante ed erano quelle qualità a soffiare sul fuoco del rispetto con cui il moro lo aveva sempre venerato.
Diversamente dai suoi amici, che mai avevano sopportato l’austerità con cui il padre di Nathaniel si rivolgeva loro quando andavano a trovarlo anni prima, Armin lo reputava una figura affascinante e carismatica; provava quella sorta di sospirata ammirazione per la personificazione di qualità di cui era sprovvisto, ma che sognava di emulare.
Quando quell’uomo lo aveva chiamato, era ora di cena ma al ragazzo era passato istantaneamente l’appetito. Sapeva di non potersi sottrarre a quell’invito, che nonostante i modi garbati del signor Daniels, risultò più come un’imposizione a presentarsi al suo cospetto. Non aveva fatto il minimo cenno al motivo di quella convocazione, ma Armin aveva intuito che fosse arrivato il momento di pagare le conseguenze delle sue azioni: Nuvola Rossa era stata smascherata e doveva solo pregare che il signor Daniels non volesse denunciarlo.
Più si torturava con quegli angoscianti pensieri e più essi assumevano una connotazione pessimistica, al punto che quando Ambra ruppe il silenzio, Armin si stava figurando una schiera di minacciosi avvocati pronti a distruggerlo.
« Mi dispiace Armin, non è che voglio fare la stronza ma davvero non posso tradire Sophia »
« Eh? » gracchiò lui sovrappensiero.
Incrociò due occhi feriti, dispiaciuti, espressione del tutto estranea ad una persona orgogliosa come la bionda. Ricollegò allora quanto era accaduto nell’appartamento di Erin e, sollevato di aver trovato una distrazione, borbottò:
« Ah, no, no, non stavo pensando a quello… » mormorò distrattamente, guardando fuori dal finestrino « sinceramente ho altro per la testa ora… »
L’altra passeggera ne indagò il viso e domandò con titubanza:
« … Sei preoccupato per l’incontro con mio padre? »
« E come faccio a non esserlo? » sbottò l’altro, con una punta di isteria, mentre la vettura frenava davanti all’imponente cancello di villa Daniels « è un colosso dell’informatica e io sono solo un liceale babbeo che gli ha hackerato il sistema aziendale! »
« Liceale babbeo » ripetè Ambra con una risatina « se serve a tranquillizzarti, era da tempo che non lo vedevo interessarsi tanto ad una persona »
« Non mi tranquillizza affatto! » quasi strillò lui, mentre scendevano dalla macchina.
La padrona di casa lo precedette, dopo aver liquidato l’autista. Armin era un fascio di nervi, i muscoli del collo e delle spalle erano rigidi e c’era un che di robotico nel suo modo di avanzare. Nel complesso, le fece una grande tenerezza e, dando sfoggio del migliore dei suoi sorrisi, lo incoraggiò:
« Sono sicura che andrà tutto bene »
 
« C’è un motivo per cui, nonostante sia così talentuosa, internet non conosce Tracy Leroy »
Dopo aver pronunciato quella frase, l’atmosfera era come sospesa, tutti erano rimasti in attesa che Lysandre esponesse il suo ragionamento, il quale non tardò ad arrivare:
« Internet è un fenomeno degli ultimi trent’anni, se non meno. Al giorno d’oggi è scontato che, appena qualcosa o qualcuno faccia notizia, vengano caricate informazioni sulla rete… eppure ricercando il nome Tracy Leroy abbiamo trovato solo un risultato. Secondo me ci sono più interpretazioni per questo e non sono tutte mutualmente esclusive. La prima è che il periodo d’oro di quest’artista si sia spento prima dell’avvento di internet. È caduta quindi nel dimenticatoio, tant’è che nessuno di noi qui presenti l’ha mai sentita nominare. Probabilmente è un nome che solo qualche intenditore d’arte, come il signor Daniels, ricorda, mentre ai più suona come un nome sconosciuto. Se la mia ipotesi è corretta, Tracy Leroy deve essere una donna anziana, o almeno, deve avere sicuramente più di cinquant’anni »
« Secondo me anche sessanta - settanta » calcolò Alexy « supponi  anche che abbia avuto il massimo del successo a vent’anni, concediamole almeno cinque anni di carriera, poi sparisce dalla circolazione, mettiamo per cinque anni, e poi arriva internet… in tutto sono sessant’anni »
« Per questo dico minimo cinquanta, ma sono dell’idea che siano molti di più » convenne il poeta.
« E la seconda ipotesi? » incalzò Erin.
« Supponi di avere una madre che in passato è stata una grande artista, o una zia, una nonna, una sorella… in ogni caso, immaginati di avere una vecchia parente che in passato è stata una grande artista. Non vorresti che le sue opere non fossero dimenticate? Non ti prodigheresti per diffondere nella rete qualche immagine, qualche sua notizia? »
« Immagino di sì… »
« E invece noi non abbiamo trovato nulla » borbottò Iris.
« E’ proprio questo il punto. Mi viene da pensare che questa donna sia molto sola, non abbia una famiglia, dei figli, dei fratelli… »
« Frena, frena! » lo interruppe Rosalya « non è detto che lo sia. Magari ha semplicemente dei parenti che non ci hanno pensato o a cui non interessa »
« Lo so, ma dobbiamo considerare ogni eventualità, che messa insieme alle altre, ci porterà verso una determinata direzione, anche se riconosco che rispetto alla precedente, questa ipotesi è più un azzardo » spiegò Lysandre « e poi gli artisti, specie quelli davvero talentuosi, sono persone eccentriche e, a volte, sole »
Violet increspò le labbra, e arrossì appena si accorse che istintivamente tutti avevano iniziato a fissarla.
« Ma Violet non è sola! » obiettò Erin, dandole una stretta affettuosa « però ha talento »
L’amica sorrise timidamente, mentre Castiel ghignava orgoglioso: era proprio da Erin fare il possibile perché le persone attorno a lei non si sentissero a disagio. Era gentile e premurosa, e quelle qualità erano solo alcuni dei motivi per cui quella ragazza gli piaceva così tanto.
« Stiamo andando fuori strada gente! » li riportò all’ordine Rosalya, battendo frettolosamente le mani « cerchiamo di fare il punto della situazione: questo quadro è avvolto nel mistero, ed Erin è convinta che se riusciamo a scoprire il più possibile su di esso, intuiremo qualcosa sullo strano comportamento di Sophia, giusto? » cercò la conferma dell’amica, che annuì, poi continuò « per ora sappiamo che la cornice è stata creata da Tracy Leroy, una donna che con ogni probabilità oggi è anziana e, secondo Lysandre, sola »
Il fratello non aggiunse altro, ma fu Alexy ad intervenire:
« Se anche non avesse dei familiari, questo cosa non ci è di alcun aiuto saperla »
« Non sono d’accordo » insistette Lysandre « saperlo, ci permette di includere nella nostra ricerca anche la possibilità che si trovi in strutture come una casa di riposo, perché è lì che vanno gli anziani quando non c’è nessuno ad occuparsi di loro »
« Ammesso che sia così presa male da andarci » osservò Erin «e comunque, come facciamo a sapere dove cercarla? Su internet dicono solo che sia nata a Pittsburgh, ma potrebbe essere in qualsiasi angolo dello stato »
« O del mondo » aggiunse Alexy.
« E la ricerca delle immagini che risultati ha prodotto? »
Si voltarono verso Violet, la cui vocina flebile si era intromessa nel discorso.
« In realtà non l’abbiamo fatta » ammise Iris, portando il cursore sopra la parola Images.
Dopo il click del mouse, si aprirono una serie di riquadri, la maggior parte dei quali svincolati dall’oggetto della ricerca.
« Ci sono solo foto che non c’entrano nulla » osservò Rosalya delusa.
« Aspetta! » incitò Erin, mentre Iris scorreva la pagina « torna un attimo su… ecco, qui! Clicca su quella cornice »
L’amica eseguì il comando, mentre un’immagine ingrandita occupava lo schermo.
Tutti si accerchiarono attorno al computer, fatta eccezione per Kentin e Castiel, che non si decidevano a staccare il sedere dal divano.
Ne analizzarono ogni dettaglio, ogni venatura del legno ed incisione, finché Lysandre non esternò quello che doveva essere il pensiero generale:
« Sì, è sicuramente una sua opera. I tralci di vite sono realizzati allo stesso modo e quella specie di strani ottagoni sono gli stessi della cornice di Sophia »
« Non esattamente » lo smentì Violet, mentre il resto dei presenti annuiva.
« Che intendi? »
« Lo stile di questa cornice sembra più maturo: guardate attentamente questa foglia… è scolpita in modo molto più curato e preciso rispetto a quella che c’è qui » osservò, puntando l’indice contro il quadro appoggiato sul tavolo «e il cherubino dell’angolo in basso a destra ha qualche imprecisione anatomica, le proporzioni non sono esatte »
« Quindi? » domandò Iris, che non riusciva a cogliere la conclusione a cui voleva giungere la giovane artista.
« La cornice con il quadro di Sophia potrebbe essere un’opera di molto antecedente a questa, magari risale a quando Leroy non era ancora famosa » spiegò Lysandre, convenendo sulla correttezza di quelle osservazioni.
« Strano che non ci sia la data » commentò sovrappensiero una voce alle loro spalle.
Finalmente anche Castiel si era deciso ad intervenire, rompendo l’isolamento in cui si era barricato assieme ad Ariel.
« Che hai detto? » domandarono in coro Erin e Rosalya.
« La data. Qualsiasi artista, musica, arte, scultura che sia, quando fa qualcosa di importante, ha la tendenza a segnare la data di creazione dell’opera »
« Non è detto che debba esserci » lo sminuì Rosalya che, contrariamente alla sfiducia delle sue parole, aveva già in mano il quadro e lo stava ispezionando. Lo capovolse, scrutandolo attentamente, ma l’unica cosa che riuscì a notare, fu il tessuto rovinato sul retro, con cui era foderata la struttura.
« Non c’è nessuna data, Cas » lo informò.
Si udì un sospiro profondo, rassegnato, mentre la stilista riappoggiava la cornice sul tavolo:
« Beh, almeno qualcosa abbiamo scoperto! » esclamò Alexy, cercando di risollevare l’umore generale.
Era come se la delusione di Erin si fosse diffusa tra i suoi amici che, per empatia e solidarietà, si adeguavano al suo stato d’animo. Era impossibile per loro non lasciarsi condizionare da quella ragazza, le volevano troppo bene per ignorare le sue emozioni.
« Ragazzi, non abbiamo altra scelta se non convincere Ambra ad aiutarci. Lei potrebbe essere a conoscenza qualcosa che non sappiamo » propose Erin.
« Ma ha detto di non sapere altro » obiettò Iris.
« E tu le credi? » replicò Rosalya con cinismo. La rossa boccheggiò, ma fu la padrona di casa a rispondere:
« Io sì, infatti non è per questo che voglio il suo aiuto. Ambra è estremamente perspicace ed intelligente »
« Ci stai dando dei tardoni? » sbottò Rosalya, che già dal fratello si era risentita per un’affermazione analoga. Erin ridacchiò e si affrettò a rimediare:
« Assolutamente no, ma rimane il fatto che lei è molto in gamba… e sola »
« E ti pareva! » sbuffò Castiel, alzando gli occhi al cielo « sei tornata in modalità Madre Teresa, Cip? È una missione la tua quella di salvare le persone dalla solitudine? »
« Se qualcuno ha qualcosa in contrario a coinvolgere Ambra, lo dica qui » sputò lei, incrociando le braccia al petto. Lo fissava con severità e non intendeva minimamente sottovalutare e ridicolizzare l’importanza di quell’argomento.
« Fa’ come ti pare » borbottò il rosso, mentre Ariel si stiracchiava pigramente.
« Io sono d’accordo con te, Erin » mediò Lysandre, con un sorriso dolce e complice  « Ambra è un elemento prezioso e sono sicuro che alla fine accetterà di unirsi a noi »
« Pensi di convincerla tu? » si incuriosì Alexy.
Videro il poeta sogghignare, scuotendo leggermente il capo:
« Per una volta, lasciamo fare ad Armin »
 
Nemmeno quando lui e Castiel erano stati convocati dalla preside, in seconda superiore, per aver scassato la macchinetta delle merendine, Armin era così teso.
In quel preciso momento, le porte in legno massello dello studio di Gustave Daniels venivano deformate dalla sua mente, assumendo l’aspetto di uno dei tanti varchi infernali del suo videogioco preferito.
Dall’altro lato non avrebbe certo trovato il mostro a cinque teste che sputava fuoco, ma un altrettanto spaventoso essere, armato di avvocati e potere, in grado di rovinargli l’esistenza.
Perché diavolo aveva creato Nuvola Rossa?
Più che prendersi a pugni mentalmente, Armin non sapeva che altro fare. Il fiato era corto, il cuore a mille ed i palmi delle mani impregnati di sudore.
« Non ti mangia mica » mormorò Ambra, in piedi accanto a lui. L’amico non seppe dire se fosse solo una sua impressione, ma nelle parole della bionda sembrava esserci poca convinzione. Lei infatti stava sfruttando le sue doti di attrice per nascondere il nervosismo che provava.
Come Armin, anche lei aveva una sua ipotesi circa il motivo di quella strana convocazione, ma essa non veniva a coincidere con quella del ragazzo.
La preoccupazione di Ambra, era di ben diversa natura ed affondava le sue origini nella festa di San Valentino di poche settimane prima. In quell’occasione, suo padre aveva finalmente conosciuto Armin Evans e non si poteva certo dire che ne fosse rimasto piacevolmente sorpreso; almeno per quanto aveva visto lei, Gustave aveva realizzato quanto il moro si discostasse dai parametri di accettabilità imposti da Ingrid, circa il futuro marito della loro unica figlia femmina.
Armin non era forte e sicuro di sé, non aveva charme e, soprattutto, un conto in banca da sei zeri, che avrebbe fatto passare in secondo piano qualsiasi altra manchevolezza.
Tuttavia, se suo padre l’aveva convocato con l’obiettivo di intimargli di stare lontano da lei, Ambra non sarebbe rimasta a guardare. A costo di smascherare i suoi sentimenti, avrebbe difeso quel rapporto, non si sarebbe lasciata piegare come aveva fatto il fratello maggiore un anno prima. Insofferente ai ricatti, era pronta a tirare fuori una grinta che i suoi genitori non le avevano mai visto addosso, convinti della poca consistenza delle sue emozioni di adolescente. Lei era forte e risoluta, qualità che, detestava ammetterlo, aveva ereditato da suo padre.
Bussò alla porta e annunciò:
« È arrivato Armin »
Mise molta asprezza nelle sue parole, annunciando quell’arrivo con freddezza. Era un modo per ostentare sicurezza di fronte a suo padre, chiarire che mai più gli avrebbe più permesso di metterla in soggezione.
Si udirono dei passi, il rumore di suole italiane schiacciate contro il pavimento marmoreo ed infine, con una lentezza esasperante, la maniglia di ottone si abbassò: si presentò davanti a loro Gustave che, nonostante fosse più basso di Armin, riuscì a far sentire il ragazzo piccino piccino:
« Perché Molly non mi ha detto che stavate arrivando? Sarei venuto ad accogliervi in entrata » disse con una leggera irritazione.
Quell’uscita spiazzò Ambra, che tutto si aspettava, tranne che un simile riguardo da parte di suo padre. Non di rado si degnava di accogliere personalmente i suoi ospiti in entrata, ma era un privilegio che riservava alle persone di più alto rango e degne del suo interesse.
« Non era necessario che ti scomodassi »
« Quando si ha un ospite, Ambra, è doveroso accoglierlo all’ingresso, non gli si chiede di raggiungerti in qualche angolo della casa. È una questione di buona educazione »
Voleva imporle una lezione, ma la figlia non era disposta a recitare la parte della studentessa negligente:
« Come il pretendere che una persona venga a farti visita? »
Armin se ne restava in silenzio, ad osservare lo scontro tra quei due arieti; aveva il fiato sospeso quando Gustave lo interpellò:
« Ti ho per caso obbligato a venire qui, Armin? » gli domandò.
Il moro arrossì leggermente e mugolò impacciato, un:
« No, affatto »
Rivolgendo poi un sorriso trionfante alla figlia, il quale decretò la sua vittoria, Gustave spalancò la porta e fece segno al ragazzo di entrare:
« Accomodati pure »
Ambra istintivamente fece per seguirlo, ma il braccio di suo padre la braccò:
« E tu dove pensi di andare? »
Lei lo guardò confusa, come se volesse privarla di un suo diritto, avanzando un pretesto assurdo:
« È una conversazione tra uomini, non ti riguarda »
La ragazza sentì un brivido percorrerle la schiena da parte a parte, ma non riuscì a replicare, tanto erano stati spicci i modi di suo padre nel tagliarla fuori.
Prima che la porta si chiudesse definitivamente, incrociò gli occhi teneramente terrorizzati di Armin, che le ricordarono quelli di un cucciolo costretto a separarsi dal ventre caldo della madre.
 
Gustave aggirò il tavolo, strisciando le dita sulla sua superficie in legno e si accomodò sulla poltrona girevole. Accavallò le dita le une sulle altre, fissando l’ospite seduto davanti a lui:
« Grazie per essere venuto, e scusami per la discussione a cui hai appena assistito. Ambra è testarda »
« Lo so » sorrise impacciato il ragazzo, mentre il sopracciglio del suo interlocutore si sollevava, sospettoso. Era bastato nominare la figlia per alleviare un po’ la tensione dal viso del ragazzo, il quale sembrò accorgersi di aver lasciato trapelare troppo affetto nelle sue parole:
« C-cioè si figuri, nessun problema » farfugliò poi a disagio.
Gustave lasciò passare qualche secondo in silenzio, poi proseguì:
« Non mi piace tergiversare, quindi andrò dritto al punto: tu hai diciotto anni, giusto? »
« Ne faccio diciannove a Novembre » confermò il ragazzo, dubbioso.
« E che progetti hai dopo il diploma? »
« Mi hanno preso alla Brown »
« A studiare? »
« Sì certo, che altro si può fare all’università? » ridacchiò nervosamente Armin.
Gustave lo scrutò perplesso e precisò:
« Intendo dire, cosa studierai? »
Armin diventò paonazzo per la figuraccia appena fatta e farfugliò qualcosa che Gustave interpretò come ingegneria informatica.
 
Vedere la sua cocca accucciata davanti alla porta, impegnata ad origliare, era una scena nuova per Molly. In quindici anni di servizio in quella casa, mai una volta aveva beccato Ambra in comportamenti così eccentrici e, incuriosita, attraversò l’androne. La ragazza la guardò con la coda dell’occhio e le fece cenno di non parlare, portandosi l’indice davanti alle labbra; incurante di quell’avvertimento, la colf le sussurrò con rimprovero:
« Non si origlia »
« C’è Armin con mio padre »
Quella giustificazione era la migliore che potesse avanzare, al punto che vide Molly appoggiare il cesto della biancheria per terra e incollare l’orecchio contro il legno della porta:
« Non sento nulla » si lamentò la vecchietta.
« Stanno parlando del futuro di Armin » l’aggiornò nervosamente l’altra.
« Perché sei preoccupata? »
Non le giunse risposta, poiché la secondogenita di casa Daniels era troppo impegnata a ponderare la sua angosciosa ipotesi: la conversazione si spostava sempre di più verso quella direzione che lei temeva. Le domande di suo padre erano sicuramente mirate a valutare il ragazzo, stabilire che partito fosse per sua figlia ma, a prescindere dal suo giudizio finale, quel compito non spettava a lui. Ambra si riteneva abbastanza ragionevole da decidere da sé del suo futuro e non poteva perdonare a suo padre una simile ingerenza nella sua vita sentimentale.
Armin non apparteneva ad una famiglia ricca, lo sapeva, l’aveva sempre saputo e non le era mai importato nulla. Non erano mai stati i soldi a renderla felice, solo sua madre era così ottusa da barricarsi dietro quella triste e illusoria convinzione.
Ambra poteva mal tollerare i commenti dispregiativi rivolti ad Armin, ma non che la sua famiglia rovinasse il suo rapporto con lui, legame che avrebbe difeso ad ogni costo.
Ignaro dei pensieri della figlia, Gustave aveva proseguito:
« Ottimo indirizzo »
« Grazie » replicò Armin, maledicendo la sua incapacità di oratore. Non sapeva come interagire con quell’uomo che per anni aveva rappresentato un mito e continuava ad esserlo. Gustave Daniels era tutto ciò che lui sognava di diventare, o per lo meno, per quanto riguardava la sua carriera professionale.
« E sai cosa vorresti fare dopo la laurea? »
« Beh, di preciso no, ma non mi dispiacerebbe trovare posto come game designer »
« Videogiochi? » ripetè Gustave, mentre il moro arrossiva.
« È un settore che mi ha sempre affascinato, oltre che in continua espansione » cercò di giustificarsi. Sapeva che la sua passione lo faceva apparire immaturo ed infantile agli occhi degli adulti, ma tra questi, non rientrava l’uomo che aveva davanti, che infatti commentò:
« È difficile trovare della passione in voi giovani al giorno d’oggi »
Si alzò dalla scrivania, portandosi di fronte all’ampia fenestratura del suo studio. Da lì godeva di una vista spettacolare dell’intricato giardino della villa, in cui una timida vegetazione iniziava a fare la sua comparsa, preannuncio di una primavera alle porte.
Dava le spalle ad Armin che ne approfittò per fissare un pupazzetto antistress a forma di omino Michelin. La prosperità dell’oggetto lo istigava ad essere deformato e per il giovane la tentazione di toccarlo diventava sempre più irresistibile.
Il gusto del proibito, la sfida di manipolare quell’umanoide senza che Gustave lo vedesse, erano allettanti, oltre che una distrazione al suo stato perenne di nervosismo.
L’adulto non accennava a riprendere la conversazione, perso nei suoi pensieri così la mano del moro sorvolò la scrivania ed afferrò finalmente il pupazzetto.
La consistenza era piacevole al tatto, sortendo realmente un effetto antistress su Armin che, privo di inibizioni, iniziò a giocherellare con l’oggetto, divertendosi a deformarne il viso in modo da fargli cambiare espressione.
« Anche serietà e maturità sono valori che nei giovani stanno scomparendo » e nel dire quella frase, Gustave si era voltato nuovamente verso il suo interlocutore, trovandolo impegnato ad imitare la smorfia dell’urlo di Munch, sia con il giocattolo che con il proprio viso.
Sbattè gli occhi un paio di volte, quasi faticasse a capacitarsi che il ragazzo avesse assunto quell’espressione esagerata, mentre quest’ultimo si ricomponeva all’istante, assumendo lo stesso colore delle tende porpora.
« M-mi s-scusi » farfugliò Armin.
Gustave era allibito: gli era difficile credere che a sua figlia piacesse un ragazzo così strampalato e buffo. Evidentemente non la conosceva abbastanza e, doveva ammetterlo, da quando aveva iniziato a frequentarlo, il sorriso di Ambra era diventato un evento quotidiano.
La bionda si mordicchiò l’unghia del pollice, chiedendosi cosa potesse essere accaduto all’interno della stanza.
« Che ha detto tuo padre? » le domandò Molly.
Mentre Ambra le ripeteva la frase, il signor Daniels proseguì:
« Ti ho chiesto di venire qui Armin, perché dopo quello che ho visto qualche settimana fa, durante il ricevimento di gala, ho notato qualcosa su cui non intendo sorvolare… sarebbe una negligenza imperdonabile da parte mia »
Il ragazzo deglutì vistosamente. Era arrivato il momento di affrontare la conseguenza delle sue azioni.
No, no, non era pronto. Negare, negare, negare.
Anche se non era mai stato bravo a mentire.
Ambra aveva iniziato a sudare. Si stava materializzando la necessità di irrompere nella stanza. Non poteva permettere al padre di rovinare tutto. Non poteva lasciare che Armin capisse che lei era innamorata di lui e, tanto meno, che suo padre gli intimasse di starle alla larga.
« I-io non so di cosa stia parlando » balbettò il ragazzo, il cui nervosismo tradiva una confessione contraria.
Gustave intrecciò le dita davanti alla bocca, puntando i gomiti sul tavolo:
« È così difficile da immaginare? »
Il moro aveva la gola secca. Non ebbe il tempo di umidificarla che la porta si spalancò con veemenza:
« ADESSO BASTA PAPÀ! »
I due sussultarono, alzando lo sguardo verso Ambra che aveva fatto irruzione nella stanza. Alle sue spalle, nel corridoio, si notava la figura di Molly che teneva ancora il braccio alzato in un fallimentare tentativo di trattenere la ragazza.
« Ti sembra questo il modo di entrare? » abbaiò il padre, cercando di moderare la sua irritazione « questa discussione non ti riguarda » la freddò.
« Non mi riguarda? » ripetè lei con rabbia.
Gustave strinse le palpebre, confuso, senza staccare lo sguardo dalla figlia:
« Ambra, calmati… » mediò Armin « devo assumermi le mie responsabilità di fronte a tuo padre. È stato un errore mio »
Anche se la voce gli era uscita tremante, si sentì orgoglioso di aver accantonato la propria codardia. Di fronte ad Ambra, non poteva essere il vigliacco che tutti conoscevano.
Tuttavia, quando rialzò lo sguardo, gli occhi di Gustave erano sbarrati, iniettati di sangue:
« Ragazzi… » sibilò « non aspetterete mica un bambino? »
I due giovani rimasero spiazzati. Si scambiarono un’occhiata dapprima perplessa, poi avvamparono:
« Ma che hai capito?! » saltò su Ambra « sei completamente fuori strada! » esclamò paonazza la figlia.
« Allora perché parlavi di responsabilità? » attaccò Gustave, rivolgendosi ad Armin che, preso in contropiede, ammise senza riflettere:
« Non mi ha convocato qui per parlare di Nuvola Rossa? »
« Più o meno » ammise l’adulto, ancora sconvolto « e posso sapere allora che responsabilità devi prenderti in merito? »
Il moro sbiancò.
Forse aveva sopravvalutato le capacità dell’uomo ed aveva finito per smascherarsi da solo. Boccheggiò, incapace di replicare, mentre Gustave ghignò:
« Rilassati. Ho capito che eri tu Nuvola Rossa, ma se avessi voluto denunciarti, non avrei aspettato tanto, no? »
« N-non vuole denunciarmi? » ripeté Armin speranzoso.
« Solo se mi dirai che ne hai fatto dei dati che hai sbirciato »
« Volevo solo vedere le immagini in anteprima di Il calice di ghiaccio. Giuro che non le ho diffuse » ansimò.
« Lo so, abbiamo controllato che non fossero in rete dopo aver subito il tuo attacco, ma devi stare attento ragazzo, se Ian Stewart scoprisse che ci sei tu dietro a Nuvola Rossa, non ci andrebbe tanto morbido con te »
Armin annuì gravemente, mentre Gustave si rivolgeva alla figlia:
« Non so cosa tu abbia capito Ambra, ma come vedi, questa conversazione non ti riguarda. Esci dalla stanza e vedi di non disturbare più »
Il tono era perentorio e non ammetteva repliche. La bionda restò qualche secondo in attesa, sfidando gli occhi severi del padre ed alla fine si rassegnò ad assecondarne l’imposizione.
Appena la porta venne chiusa, Gustave proseguì:
« Mi scusi se insisto » esclamò Armin, sempre più confuso « so di darmi la zappa sui piedi da solo, ma perché non mi denuncia? Ne avrebbe tutto il diritto, anche se le giuro che non era malintenzionato »
L’uomo scrutò il viso del suo interlocutore: aveva gli occhi di un azzurro intenso, quasi vitreo, come il candore della sua ingenuità. Suscitava simpatia solo dallo sguardo, che sorrideva da sé.
Di persone squisitamente oneste, Gustave ne conosceva poche ed era felice di averne davanti una.
« A volte Armin bisogna sapere guardare oltre le cose. All’apparenza si potrebbe dire che tu abbia fatto una cosa gravissima, che deve assolutamente essere punita, ma mi fido di te se mi assicuri che non avevi cattive intenzioni e che non lo farai più »
« Certo! » si affrettò a sottoscrivere l’altro, con una certa urgenza nella voce.
L’uomo incurvò le labbra verso l’alto e proseguì:
« … Ma solo una persona dalla mente limitata non si accorgerebbe del grande potenziale che c’è in te. Sei riuscito ad aggirare i sistemi di sicurezza di alcune delle più grandi aziende informatiche del paese, pur essendo appena un liceale. Devi avere una conoscenza dei linguaggi di programmazione che va oltre quella di un appassionato di computer ed intendo fare l’impossibile per averti dalla mia parte… ammesso che tu lo voglia, si intende »
Al moro, gli occhi brillavano più del solito. Era passato dal terrore di una denuncia che gravava sulle sue spalle, alla prospettiva di realizzare il sogno di una vita: lavorare all’interno della Daniels Co.
« Il motivo per cui ti ho convocato qui, è sapere se sei interessato a fare uno stage estivo nella nostra sede di New York, che è una delle più attive sul mercato. Puoi pensarci quanto vuoi, ma cerca di darmi una risposta prima dell’est- »
« Accetto! »
Gustave dapprima rimase senza parole, poi sogghignò:
« Non ti interessa nemmeno sapere se c’è possibilità di un compenso? »
« No, è una grande opportunità quella che mi sta offrendo e non intendo lasciarmela sfuggire » esclamò il moro al settimo cielo.
Entusiasmo.
Ecco qual era il sentimento che lo aveva spinto a costruire il suo impero. Con gli anni, Gustave aveva dimenticato tutta la passione che lo alimentava, finendo per farsi sommergere da numeri e statistiche.
La sua azienda era in declino, le spese superavano le entrate, ma per la prima volta da molto tempo, si sentì serenamente felice. In fondo, come tutti gli appassionati di videogiochi, era un sognatore che credeva fino all’ultimo nella possibilità di concludere la partita con un successo.
Anche se era un’infantile utopia, voleva scommettere che in quel ragazzo di fronte a lui, si celasse una figura profetica, in grado di ribaltare le sorti del gioco.
Guardando Armin Evans, non riusciva a fare a meno di vedere uno strambo e impacciato genio del computer.
Non riusciva a fare a meno di vedere sé stesso vent’anni prima.
 
Sophia aveva raccontato a Nathaniel di Tracy Leroy e delle poche informazioni che era riuscita a reperire, cercando di far mente locale su ogni dettaglio relativo alla cornice; suo malgrado, il biondo non aveva saputo far altro che concludere:
« Voglio vedere la foto di questo quadro. Così a parole non posso esserti granché utile »
Quello era stato il pretesto per seguire la ragazza fino al suo appartamento, dove da un computer, gli avrebbe mostrato l’immagine del fatidico oggetto.
Dopo essere scesi dall’autobus, camminarono lungo la Diciottesima Strada, costeggiando un muro dipinto da alcuni talentuosi writers. Era un quartiere culturalmente vivace, anche se popolato dalle classi più umili della società e da studenti squattrinati. Così diverso dalla realtà ricca e benestante in cui era cresciuto il ragazzo, ma proprio per questo, ai suoi occhi affascinante.
Seguì Sophia all’interno di un edificio in mattoni faccia a vista, il cui portone di ingresso si rivelò piuttosto ostico da varcare:
« La serratura è un po’ arrugginita » si scusò lei, mentre la chiave compiva un certo sforzo nello sbloccare il meccanismo.
Salirono lungo una rampa di scala, piuttosto buia e ripida e sostarono al terzo piano. In altre circostanze, Nathaniel avrebbe contestato il mancato utilizzo dell’ascensore ma, dopo aver valutato lo stato generale del condominio, non potè che giudicare più sicure le faticose scale.
Sophia stava per inserire le chiavi nella toppa del suo appartamento, quando la porta di quello davanti al suo, si aprì con foga:
« LO RECUPERO IO! LO RECUPERO IO! » urlò una ragazza.
I due sussultarono per lo spavento, mentre una chioma verde acqua sfrecciava sotto i loro nasi. Nathaniel pensò di aver qualche problema di vista, così si sporse a guardare lungo la rampa di scale, in cui una ragazza dai capelli assurdamente tinti, stava rotolando giù:
« SCEMA, ORMAI È TARDI! »
Quel richiamo provenne dall’interno dell’appartamento da cui era uscita la prima sconosciuta.
« Felicity, lascia perdere! » insistette la voce senza volto.
Fece allora la sua comparsa una ragazza totalmente diversa dalla prima, con un carré molto corto e i capelli neri, del medesimo colore degli occhi. Si era portata una mano sulla fronte, sospirando rassegnata.
Si accorse della presenza dei due ragazzi solo in un secondo momento, quando fu Sophia a reclamare la sua attenzione:
« Che succede Hilary? »
La ragazza si appoggiò allo stipite della porta, come se le mancassero le forze.
« Felicity ha buttato nell’immondizia la nostra copia del contratto di affitto »
La rossa sghignazzò, per sdrammatizzare l’afflizione della ventitreenne, mentre Nathaniel studiava con interesse quella nuova figura: Hilary aveva una belle abbronzata ed olivastra e degli intensi occhi neri, cerchiati da una matita del medesimo colore. Aveva un taglio molto corto ed elegante, che sottolineava la simmetria del suo viso.
« E adesso dove è andata? »
« A farsi un tuffo nel camion dell’immondizia che è appena passato » spiegò la ragazza, avvertendo un senso di nausea al solo pensiero.
« Non potete semplicemente chiedere al padrone di stamparvene un’altra copia? » intervenne Nathaniel.
Si trovò quel paio di occhi neri puntati addosso, che quasi lo misero in soggezione:
« È quello che le ho detto, ma lei è sempre troppo impulsiva e si è incaponita a voler tentare di recuperarlo »
Cadde il silenzio, finchè Hilary sbottò:
« Allora Fiafia? Devo fare tutto da sola? » e non ricevendo risposta dalla ragazza, se non un’occhiata confusa, allungò una mano verso il biondo:
« Mi chiamo Hilary, immagino tu sia il ragazzo di Sophia »
La rossa boccheggiò a disagio, mentre Nathaniel scioglieva l’equivoco con naturalezza:
« No, sono solo un suo amico, anzi manco quello perché non mi sopporta »
« È il fratello di Ambra » tagliò corto la rossa.
« In effetti le assomigli un po’ » convenne Hilary, analizzandone i lineamenti « tua sorella come sta? Dille che a Felicity mancano le loro partite alla Play »
Sorpreso per quella risposta, Nathaniel cercò di immaginarsi la sorella intenta a giocare con la tipa che era svettata giù dalle scale poco prima, così diversa dal genere di amicizie che immaginava avesse. Convenne però che sua sorella era piena di lati nascosti, come l’amicizia con quell’eccentrica ragazza di nome Sophia Travis.
« Notizie da Space? »
« Si sta ambientando, dice che è dura ritornare alla vita di prima, ma tutto sommato è contento »
« E tu? Quando ti deciderai a tornare a casa? »
Hilary osservava Sophia con un leggero cipiglio mentre la rossa fece spallucce; sentirono il rumore di alcuni passi, uniti ad un respiro leggermente ansimante che risaliva le scale: Felicity aveva i capelli in disordine e la fronte imperlata di sudore. Brandiva in mano un foglio sgualcito, sorridendo vittoriosa:
« Non mi dire che sei riuscita a recuperarlo… » esclamò basita Hilary, staccandosi dallo stipite della porta. In tutta risposta, la coinquilina sventolò il pezzo di carta, che si rivelò macchiato di chiazze organiche di origine ignota:
« Avevi dubbi? Mi sono messa in mezzo alla strada per fermare il camioncino »
« Chissà quanto ti avranno insultata gli spazzini »
« Si dice operatori-ecologici » scandì la ragazza « comunque all’inizio sì, poi devo aver fatto loro pena e mi hanno aiutata »
« Non per ridimensionare il tuo entusiasmo City, però credo che dovremo comunque richiedere una nuova copia al padrone » osservò Hilary, indicando il contratto.
Felicity aggrottò la fronte ed obiettò:
«Macché! È solo un po’ sgualcito! Basta dargli una stirata con il ferro! »
« E gli facciamo un lavaggio a 30 gradi con i capi delicati? » ironizzò la mora.
La coinquilina sbuffò, degnando finalmente Nathaniel della sua considerazione: gli sorrise esagerata, mostrano una dentatura perfetta:
« Finalmente Sophia si porta a casa un ragazzo come si deve, altro che quell’ameba di Space »
« Non è il suo ragazzo » la corresse Hilary « e comunque smettila di essere cattiva di Space »
« Fai presto a parlare tu, mica ti ha definita un’alga transgenica » borbottò risentita l’altra, indicandosi l’eccentrica capigliatura. Osservandola con più attenzione, Nathaniel notò che le radici dei capelli erano tinti di verde acqua ma sfumavano verso l’azzurro per tutta la lunghezza. Gli occhi della ragazza riflettevano il suo carattere: trasparente e vivace, stagliandosi su una pelle diafana e impeccabile. Lei e Hilary era l’una la complementare dell’altra e quell’incompatibilità fisica era compensata da un rapporto di amicizia e complicità molto saldo:
« È solo uno studentello delle superiori, perché te la prendi tanto? Non è neanche un insulto, alga transgenica » osservò la mora.
« Manco so cos’è » ammise Felicity in tutta sincerità, poi tornò a prestare attenzione al biondo, che nel suo rapido scambio di battute con Hilary, era rimasto ad ascoltare in disparte:
« Quindi, tu sei… »
« Uno studentello delle superiori » scherzò « Nathaniel »
« E non sei il ragazzo di Fiafia » puntualizzò la ragazza, cercando conferma:
« Non sono il suo ragazzo » sorrise lui.
In quel mentre, Hilary notò, con la coda dell’occhio, la piega che si era formata ai lati della bocca della rossa, ma si limitò a restare in silenzio.
 
Crescendo, Mackenzie si era chiesta più volte se la trepidazione con cui aspettava le visite di suo padre fosse dovuta al suo infantile bisogno di una figura maschile in famiglia, oppure alla bontà di sua madre, che per Jack aveva solo parole di indulgenza e affetto.
A prescindere dalla natura della causa, in entrambi i casi, i suoi occhi ingenui sembravano non notare l'espressione severa con cui quell'uomo entrava in casa ogni weekend; la sua fierezza pareva sopita di fronte ai modi talvolta bruschi ed arroganti con cui le si rivolgeva suo padre.
Lui era lì e quella tenera e perdonabile felicità, la rendeva cieca di fronte alle mancanze dell’uomo. Jack era un papà a tempo determinato, arrivava il sabato nel tardo pomeriggio e ripartiva la domenica alla stessa ora, per due volte al mese.
« É molto impegnato con il suo lavoro » le aveva spiegato Dianne.
Le dita della donna si erano mosse convulsamente, per qualche secondo, per poi tornare a rilassarsi. Affondava le unghie nei palmi solcati dai calli e dalla fatica  ma quella strana abitudine ricorreva solo in una particolare circostanza che sua figlia aveva imparato a riconoscere:  la bugia.
Mackenzie non aveva mai rivelato a sua madre quanto riuscisse ad interpretare i suoi gesti, perché aveva bisogno di quei segnali per scoprire le verità più scomode che la donna le celava.
« Papà mi vuole bene? » le aveva chiesto un giorno, dopo che l’uomo aveva lasciato l’abitazione.
« Ma certo tesoro »
Le guardò le mani: le dita si muovevano più nervosamente del solito.
Entrato nell’appartamento, Nathaniel si guardò attorno con interesse e, analogamente alla sorella qualche settimana prima, ne rimase incantato. Nonostante il degrado del condominio, l’interno era ricco di oggetti e colori. Era completamente diverso dalla freddezza di villa Daniels, era così accogliente che avrebbe voluto restare lì per sempre.
« Nathaniel, ascolta... quello che ti ho raccontato oggi » lo distrasse la padrona di casa.
« Rimane tra me e te » concluse lui, accarezzando la scultura africana di una giraffa.
Sophia sorrise, grata che la reazione del ragazzo fosse così misurata: non aveva insistito per farle cambiare idea, per convincerla a raccontare tutto ad Erin e alla sua famiglia.
Per lei era difficile capire i suoi stessi sentimenti: da un lato si sentiva più leggera, consapevole di aver scaricato a qualcuno parte di quel peso che la opprimeva; dall'altro però non poté ignorare quanto le avesse scaldato il cuore il fatto che fosse proprio quel ragazzo ad esserle così vicino e quella sensazione, seppur dolce, era al contempo intrisa di amarezza.
Si sentiva come un senza tetto di fronte ad una casa accogliente: sa che all'interno troverà tutto ciò che ha sempre sognato, quel calore e protezione di cui ogni essere umano ha bisogno, ma l'abitazione è già occupata e per lui non c’è spazio. Nathaniel apparteneva a Rosalya, doveva ripeterselo ogni volta che pensava a lui con quell’interesse romantico che non provava da tempo e che, forse, non aveva mai avvertito in modo così intenso.
Il ragazzo era tutto ciò per lei: un posto sicuro, un angolo di paradiso e perfezione dove persino una persona sbagliata potesse aspirare ad una redenzione.
Aveva impiegato appena un mese a maturare dei sentimenti così profondi verso di lui, ma accettarli si era rivelato un processo ben più insidioso. In un primo momento, Sophia non riusciva a riconoscersi in quel l'infatuazione per un ragazzo così diverso da lei, arrivando così a negare l'evidenza.
La razionalità con cui imponeva a se stessa di ignorare quel turbamento emotivo, tuttavia, nulla aveva potuto dinanzi alla delicata violenza con cui la figura di Nathaniel si radicava nel suo cuore. Aveva tentato di estirparne le radici, ma quel tentativo era stato così sofferto che ormai si era rassegnata a lasciar crescere quei sentimenti. Aveva così raggiunto un certo equilibrio con essi, una sorta di compromesso per il quale lei non avrebbe più tentato di eliminarli, se solo loro non l'avessero spinta ad azioni di cui pentirsi: mai avrebbe accettato di rubare il ragazzo di un'altra, a maggior ragione se quest'ultima era la migliore amica di sua sorella.
Nathaniel non si era accorto di nulla, desensibilizzato da quella superficialità tipicamente maschile per le questioni amorose e lei poteva continuare a recitare la parte dell'amica, anche se a modo suo.
Prima o poi l'avrebbe dimenticato, ne era sicura: negli ultimi mesi era maturata molto e l'impulsività che animava ogni sua avventata azione, sembrava essersi rintanata in qualche angolo della sua mente, lasciando il posto ad una personalità piú adulta.
« Sophia? Mi stai ascoltando? »
« C-come scusa? »
« Ti ho chiesto se hai qualcosa da bere… »
« Ti offro un bicchiere di Coca, ti va? » propose lei, avvicinandosi al frigo.
« Quando andavo alle medie… non hai una birra? »
« Fai pure il viziato? »
« Scherzo, la Coca va bene »
Sì, forse essergli amica non sarebbe stato così difficile.
 
« Grazie mille per essere venuti »
« Siamo il team Travis ora » scherzò Rosalya « il T-Team » precisò, seguendo il fratello giù per la rampa di scale.
Lei e Lysandre avevano appena lasciato l’appartamento di Erin, preceduti da Alexy e Violet qualche minuto prima. A tener compagnia alla ragazza, erano rimasti Iris, Castiel e Kentin, in attesa che arrivasse anche per loro il momento di prendere l’autobus.
« Sbaglio o ti sei innamorato di Ariel? » domandò Erin, notando la delicatezza con cui il rosso accarezzava la testolina del gatto. Lui non le rispose, così la mora concentrò la sua attenzione su Iris:
« Secondo te Violet si è offesa del fatto che non l'ho invitata alle Bahamas? »
A causa di cinque posti vacanti, la squadra di basket aveva proposto ad Erin di invitare due persone a sua scelta, purché fossero di sesso femminile e, dovendo scegliere, aveva escluso l'amica più timida e riservata:
« No, stai tranquilla, Violet non è il tipo, anzi, era più che sincera quando ti ha rassicurata sul fatto che non sarebbe venuta comunque »
« Quando partite? » domandò Kentin. Si sentiva perfettamente a suo agio in quell’abitazione, al punto da concedersi il lusso di sedersi di traverso sulla poltrona, con le gambe che penzolavano da uno dei braccioli.
« La settimana prossima... ah, la sai l'ultima Iris? Verrà anche Dake!"
Il grissino che Kentin teneva in mano si spezzò ma solo Castiel sembrò farci caso, distogliendo per un secondo le sue attenzioni dalla gatta. Lanciò un sorrisetto beffardo al ragazzo che fissava le due senza battere ciglio.
« Come mai? » stava domandando la rossa.
« Boris non può venire, così manda lui visto che è suo nipote e che è amico di Castiel e Trevor »
« Non è mio amico » puntualizzò il rosso « uscivamo solo insieme  qualche volta »
« Allora sei dell'altra sponda, Castiella » lo provocò Kentin.
Il musicista si limitò a lanciargli un'occhiata eloquente prima di provocarlo:
« Scommetto che Dake sarà contento di sapere che ci sei anche tu, Iris »
Le orecchie dell’ex cadetto si imporporarono, mentre Erin soggiungeva:
« Sbaglio Cas, o Dajan ti ha detto di scegliere tu una delle cinque persone da portare? »
« Puó darsi » replicò annoiato, mentre l'attenzione di Kentin si concentrava su di lui:
« E a chi l'hai chiesto? » incalzò la rossa.
« A nessuno, così staremo più larghi nel bungalow »
« Non fare l’egoista » lo rimproverò Erin « più siamo e meglio è »
« Lys non verrebbe ed i gemelli sono via tutta la settimana »
« C'é Kentin » osservò Erin, indicando il soggetto spaparanzato sulla poltrona.
« Chi? La Barbie in mimetica? » commentò ironico. Tra i due ragazzi ci fu uno scambio di sguardi che si alternavano dall’astio di Kentin all’espressione sbruffona del rosso.
« Ci sono già troppe ragazze, se viene anche Barbie il livello di estrogeno si alza troppo »
« Non so se sono più sorpresa del fatto che sai cosa sono gli estrogeni, o irritata dal tuo atteggiamento » convenne Erin, incrociando le braccia al petto.
Iris palleggiò l’attenzione sulle tre figure presenti in quella stanza: Kentin se ne stava in silenzio, immerso nei suoi pensieri, Erin aveva un’espressione corrucciata con la quale fissava Castiel che era assolutamente indifferente a quelle occhiate di biasimo.
« Ah Iris, prima che te ne vada, devo farti vedere una cosa! Vieni in camera con me? »
In un paio di secondi, le due ragazze abbandonarono il salotto, lasciando da soli di punto in bianco, Castiel e Kentin.
Calò il silenzio: il rosso controllò il cellulare, mentre Kentin appoggiò il pacchetto di Mikado, ormai vuoto, sul tavolino. Ruotò il corpo di novanta gradi e assunse una postura più composta. Appoggiò gli avambracci sulle ginocchia e, flettendo il busto in avanti, fissò dritto negli occhi l’altro ragazzo:
« Verrò alle Bahamas, Black »
« E come pensi di fare? » replicò asciutto Castiel, senza degnarsi di guardarlo.
« Perché tu, amico mio, mi inviterai » ammiccò.
Castiel smise di masticare la chewing gum e lo fissò con serietà, tale da lasciare per un attimo spiazzato il moro:
« Posso farti una domanda? »
Kentin lo studiò diffidente, ma il rosso non demorse e, senza aspettare una risposta, questionò:
« La testa di voi Barbie è piena d'aria o è riempita di qualche plastica neurotossica? »
« Sarebbe una battuta? »
« Sarebbe un modo per dire "cosa ti fa pensare che ti voglia tra i piedi alle Bahamas?” »
« Non fare il coglione! Non ci perdi nulla a dire agli altri che verrò anch’io »
« Se vuoi venire in viaggio, ti compri il biglietto… oppure ti attacchi all’aereo… suggerisco la seconda »
Kentin assunse una smorfia sdegnata e sbottò irritato:
« Ma che cazzo di problemi hai? »
« Mi sta in culo la gente che pensa di potermi dare ordini »
« Parla quello che ignora il significato di “per favore” »
I due si guardarono in silenzio, con gli occhi ridotti a due fessure e, nel volere uscire vincitore da quella situazione di stallo, Castiel dichiarò con un sorriso astuto:
« É un vero peccato che tu non possa venire Affleck: Iris in costume fa proprio bella figura, vedessi che due tette che ha »
Kentin dapprima arrossì, incapace di replicare poi le sopracciglia si aggrottarono contrariate ed infine, rilassò i lineamenti. Si lasciò sfuggire un sorrisetto canzonatorio e ribattè:
« Già... è un vero peccato che io non possa venire… mi chiedo se cambiasse qualcosa se, accidentalmente, mi scivolasse con Erin il fatto che le muori dietro… »
L’espressione di Castiel, a seguito di quelle parole, fu il miglior trofeo che il militare potesse ricevere: il chitarrista era sbiancato, aveva la bocca dischiusa, completamente spiazzato da quel sovvertimento delle parti:
« Fallo, e sei un uomo morto Affleck » sibilò. Aveva infuso più cattiveria possibile nella sua minaccia, ma il moro non era più un ragazzino pauroso ed impacciato e quel genere di intimidazioni anziché spaventarlo, lo divertivano; allargò le braccia e con un sorriso arrendevole, mediò:
« Siamo sulla stessa barca Black: grazie a Lysandre, io so qualcosa di te che tu non vuoi far sapere ad Erin, e tu di me, per quanto riguarda Iris »
Parlava con una schiettezza tale da lasciare sorpreso Castiel che lo conosceva da appena una settimana:
« La questione è semplice: io voglio venire alle Bahamas, e tu sei l'unica possibilità che ho per farlo. Se non intendi esaudire la mia richiesta, allora dirò ad Erin la verità »
« Non hai pensato al fatto che io potrei dirla ad Iris? » ribatté prontamente Castiel, illudendosi di averlo messo all’angolo.
Kentin però non battè ciglio e rispose:
« Certo, ma ho l'impressione che tra i due, il più codardo sia tu. Hai più paura tu di far sapere ad Erin come stanno le cose, di quanta ne abbia io con Iris »
La sicurezza con cui sembrava sfidarlo valse come conferma: era Castiel quello che aveva più da perdere in quel ricatto mutuale. Non poteva permettere a quel ragazzo di rovinare il suo rapporto con Erin per un capriccio.
« Io intanto vado a pisciare » dichiarò il militare, abbandonando la stanza e dirigendosi verso il bagno. Si muoveva con una tale naturalezza in quell’appartamento, che in Castiel si insinuò il dubbio che vi fosse già stato molte altre volte durante la sua assenza.
In realtà non aveva niente contro di lui, per lo meno non da quando aveva scoperto che aveva un debole per Iris, ma stuzzicarlo e rispondere alle sue provocazioni era fin troppo stimolante. Con amicizie come Lysandre ed Alexy, era praticamente impossibile abbassarsi a discorsi grezzi e volgari ed anche a confronto con Armin, si sentiva uno scaricatore di porto nel suo modo di fare.
Quell’Affleck invece era uno diretto, fin troppo schietto e tutto sommato quella qualità gli piaceva. Non era abbastanza per considerarlo suo amico, ma doveva sopportarne la presenza, visto che il resto del gruppo lo aveva accolto.
Prese il cellulare e, in pochi secondi, inviò un messaggio a Dajan, comunicandogli che Kentin si sarebbe unito al gruppo in partenza per le isole tropicali. Stava per riporre lo smartphone in tasca, quando sentì un urlo femminile seguito da una porta sbattuta con violenza:
« SCUSASCUSASCUSAERIN! » farfugliò la voce del moro.
Castiel si precipitò nel corridoio dove lo trovò particolarmente agitato, con il viso paonazzo ed Iris che aveva appena fatto capolino dalla stanza di Erin.
« Sei entrato in bagno? » lo attaccò lei tra l’imbarazzo e la sorpresa.
« N-non sapevo che ci fosse Erin dentro! » si giustificò l’altro, in evidente disagio.
« Si stava provando un costume! »
« Me ne sono accorto! » sbottò prontamente il ragazzo, innescando in Castiel un istinto omicida difficile da sopprimere.
« La prossima volta, perché non provi a bussare? » lo rimproverò lei.
« Pensavo che non ci fosse nessuno… » fu la debole difesa di Kentin che tuttavia non poté aggiungere altro perché sentì una morsa strattonarlo via.
« Torna in cucina, Affleck » scandì Castiel, con un ghigno malvagio. Aveva i canini che scintillavano nella penombra dell’anticamera mentre il pomo d’Adamo del militare galoppò verso il basso, guardando per la prima volta con terrore, il rosso. Le dita di quest’ultimo gli stritolavano l’avambraccio con una forza disumana e, un po’ per l’imbarazzo ancora presente, un po’ per timore, non fiatò.
I due ragazzi tornarono in soggiorno ma anche quando il musicista si chiuse la porta alle spalle, non mollò la presa:
« Ti conviene non aver visto niente Barbie, oppure giuro che il viaggio alle Bahamas lo fai dentro il mio bagaglio a mano » soffiò.
« Allora vengo? » squittì speranzoso il ragazzo, dimenticando tutto il terrore che l’aveva pervaso.
Castiel non rispose e, nel tentativo di sbollire la sua irritazione, optò per uno dei suoi nuovi passatempi preferiti: stuzzicare Kentin.
« Forse… »
« Come sarebbe a dire forse? Ehi pezzo di » ma l’occhiataccia del rosso lo trattenne dal continuare la frase.
« Devi portarmi rispetto Barbie, sia perché sono più vecchio di te, sia perché ho in mano la chiave della tua felicità » sentenziò Castiel. Ariel gli era appena saltata in grembo, accovacciandosi sulle gambe e nel complesso a Kentin quella scena ricordò quella del famoso film di Coppola, Il Padrino.
« Hai un che di mafioso Black, te l’hanno mai detto? »
« Continua così Affleck, e ti troverai a nuotare con i pesci » replicò l’altro, imitando piuttosto male un accento italoamericano.
Kentin sbuffò contrariato e si sedette sulla poltrona, imbronciato. Dopo la figuraccia appena fatta, non era così ansioso di parlare con Erin, rendendo meno pericoloso quel ricatto che altrimenti vincolava Castiel a portarlo alle Bahamas.
 
« Kentin-lo-uccido! Per poco non mi ha vista nuda! » brontolò Erin, che nel frattempo si era rivestita.
Aveva invitato Iris nella sua stanza per farle vedere il costume che aveva comprato apposta per il viaggio ma mentre era in bagno a cambiarsi, il suo ospite aveva ben pensato di fare irruzione.
« Ma avevi già il costume addosso quando è entrato? »
« Più o meno. La parte sotto l’avevo già su, mi stavo allacciando il top… per fortuna che gli davo le spalle »
 
Il rosso si alzò dal suo comodo giaciglio, per prendersi un bicchiere d’acqua e in quel mentre il suo cellulare, lasciato incustodito sul tavolino, si illuminò: Kentin gettò l’occhio distrattamente sullo schermo e vide comparire il nome di Dajan:

« Perfetto Black, allora dirò agli altri che viene anche Affleck: siamo al completo »

La felicità di aver un posto in quella vacanza durò poco: venne presto sostituita in Kentin dall’irritazione per essere stato preso in giro. Castiel gli aveva già assicurato il posto su quell’aereo, si stava solo divertendo a tormentarlo e solo per questo doveva prendersi una piccola rivincita.
Così, appena il rosso tornò dalla cucina e si accomodò sul divano, Kentin dichiarò:
« Comunque posso confermarlo… » esordì, con un ghigno astuto e compiaciuto.
« Che cosa? »
« Che è vero quello che è scritto sopra uno dei lavandini del bagno dei maschi: Erin Travis ha proprio un bel culo »
 
Quando le due ragazze tornarono nella stanza, notarono subito che Kentin era impegnato a massaggiarsi la mascella dolorante, ma nel chiedere spiegazioni né lui né tantomeno Castiel si prodigarono a sciogliere la loro curiosità.
Per il militare, il colpo che aveva ricevuto poco prima bruciava ancora, ma mai quanto la soddisfazione di essere riuscito a provocare la gelosia del rosso.
 
« Ancora non ci credo che mio padre ti abbia offerto uno stage » stava commentando Ambra.
« Non dirlo a me! Ero convinto che una volta entrato nel suo studio mi avrebbe messo K.O. con uno stuolo di avvocati »
Armin inclinò il joystick, come se quella mossa incrementasse la sua abilità di schivare le rocce che sfrecciavano nello schermo ultra piatto.
« Sei sicura che i tuoi non abbiano nulla da ridire se ci siamo chiusi qui a giocare come due ragazzini? »
Erano seduti a terra, nella stanza di Ambra, isolati da qualsiasi altra distrazione e concentrati sulle immagini digitali di uno dei videogiochi usciti da poco sul mercato.
« Mia madre è ad Aspen, mentre mio padre è tornato in ufficio » spiegò la ragazza, premendo con agilità una combinazione di tasti. Armin emise un fischio di apprezzamento e si gasò:
« Con te sì che è un gusto giocare, Slytherin! Alexy mi molla dopo la roccia sacra del quarto livello »
« Cerca di stare concentrato, hai solo il 34% di energia » lo redarguì la compagna di avventure.
Giocarono per qualche altro minuto in silenzio, poi Armin domandò:
« Me la togli una curiosità? Di cosa pensavi volesse parlarmi tuo padre? »
Un grumo di saliva venne spinto giù a fatica, attraverso la gola della bionda, che faticò a trovare una scusa credibile, così cercò di liquidare la questione:
« Niente di importante »
« A giudicare da come sei entrata nel suo studio, non si direbbe » insistette lui, distogliendo l’attenzione dal gioco. Lei lo fissò di sottecchi, incrociando un paio d’occhi sinceri e sorridenti:
« Per un attimo ho pensato che fossi venuta a difendere il tuo amore spassionato per me »
Il colpo fu tale che il joystick le scivolò dalle mani, come se uno spasmo patologico l’avesse colpita d’un tratto. Il suo personaggio capitolò in una voragine, per poi riemergere con un valore dimezzato di energia e una vita in meno, un po’ come la versione reale.
Spiazzato da quella reazione, Armin era poi scoppiato a ridere sguaiato, mentre lei abbaiò:
« M-ma quanto sei cretino? »
« Ehi, non te la prendere così! Stavo scherzando! » rise lui, quasi con le lacrime agli occhi.
Ambra mise il broncio, talmente in imbarazzo da non riuscire ad aggiungere altro. L’amico ci aveva preso in pieno, ma era così ingenuo da non sospettarlo minimamente.
I loro personaggi digitali attraversarono un portale che irradiava lampi blu e bianchi e si trovarono di fronte ad un vecchio barbuto, che ricordava un po’ Albus Silente, il saggio preside di Harry Potter.
« E questo chi è? » domandò il moro.
« Non so, non sono mai arrivata così avanti con il gioco »
« Nemmeno io, siamo una coppia formidabile, Daniels »
« Ma se ho fatto tutto io » lo provocò la bionda.
« Non avremo mai sconfitto il mostro del settimo regno se non avessi trovato il diamante rosso »
« Che era da mezz’ora che dicevo di cercare nella grotta del troll » puntualizzò l’altra, sollevando l’indice.
« Dovevamo esplorare il gioco, ha una grafica meravigliosa, è uno spreco non apprezzarla »
Ambra roteò gli occhi verso l’alto, rassegnandosi:
« D’accordo Nuvola, adesso sta’ zitta che ascoltiamo Silente »
« Oltre quella porta vi aspetta un mistero da svelare… » stava spiegando il mago « è necessario che uniate le vostre menti più di quanto non abbiate fatto finora »
« A proposito » intervenne Armin « sei proprio sicura che vuoi tenerti fuori dalla storia di Sophia? Ci faresti comodo »
La bionda lo fissò truce e mormorò:
« Questo l’ho capito, ma toglitelo dalla testa: lo faccio solo per Sophia, altrimenti vi aiuterei »
« Vi verrà chiesto di fare delle scelte, ma non sempre quelle che credete siano le più giuste, si riveleranno tali » stava ancora parlando il personaggio, tanto che Armin esclamò:
« Ascolta il nonnetto Ambra! Ha ragione lui »
« Dovrei ascoltare chi? »
« Silente! » indicò lo schermo il moro, mentre la bionda storceva il labbro.
« Ascoltami » insistette, guardandola dritta negli occhi.
Aveva portato una mano sul ginocchio della ragazza, che trasalì, ma lui non se ne accorse, tanto era impegnato a trovare le parole giuste.
« Tu non vuoi intrometterti perché è stata Sophia a chiedertelo, ma questa storia sta andando avanti da troppo e lei ancora non ne è venuta fuori. Sono mesi che è in California e noi non ce la facciamo più a vedere Erin così giù di morale quando si tratta di sua sorella »
« Avete capito? » stava domandando il personaggio dal monitor.
« Sta’ zitto un secondo, Silente » sbuffò Armin, premendo il tasto muto sul telecomando e tornando a guardare Ambra con intensità.
« Quello che devi fare per Sophia non è restartene in disparte, ma intrometterti: solo se scopriamo cosa c’è dietro questa storia, puoi aiutarla. Essere sua amica non significa assecondare tutte le sue scelte, significa avere il coraggio di contrastarle quando sono sbagliate »
Calò il silenzio, nel quale Ambra annegò con le parole del moro che le riecheggiavano in testa.
Non aveva mai visto la situazione da quella prospettiva e, sorprendentemente, le sembrava molto ragionevole.
Nemmeno lei riusciva a sopportare la lontananza da Sophia, quando quest’ultima avrebbe potuto trovarsi ad Allentown, ad un’ora di macchina da lei.
« Dimmi che ti ho convinta » tentò lui, con un sorrisetto adorabile.
Le strappò a sua volta un ghigno timido e dolce, che di riflesso gli illuminò ulteriormente lo sguardo.
Gli piaceva credere di essere l’unico a vedere quel lato così sensibile e tenero della ragazza e, in parte era così, perché a parte Molly, nessun altro riusciva a suscitare nel viso di Ambra Daniels, quell’adorabile dolcezza.
Giorno dopo giorno, il suo rapporto con la sorella di Nathaniel migliorava sempre più, avvicinandolo alla ragazza più di quanto avesse mai desiderato. Pensava di conoscerla meglio di chiunque altro e quasi quasi, sperava che nessun altro arrivasse a capire quanto lei potesse essere diversa dall’immagine che si era cucita addosso in passato.
Notarono dei movimenti sullo schermo, così voltarono il capo verso il vecchio mago che sprigionava delle strane bolle e gli restituirono la facoltà di parlare.
« Non ho tempo da perdere! Vi decidete o no a farmi le domande? » si inviperì. Il personaggio era progettato per mimare quei movimenti e battute ogni volta che il gioco veniva sospeso per più di due minuti, ma vedendolo per la prima volta, i due sorrisero divertiti.
« Credo che voglia che componiamo delle domande » ipotizzò Ambra, vedendo comparire una tastiera digitale.
« Ho sentito che è tipo Siri dell’i-phone » spiegò Armin « non vedevo l’ora di arrivare a questa parte del gioco » squittì eccitato.
« Quindi immagino che cazzeggeremo un po’ prima di chiedergli come arrivare al castello del drago d’argento » concluse Ambra, sospirando rassegnata.
Il suo compagno di giochi infatti aveva già digitato un insulto e la risposta non era tardata ad arrivare:
« Sono abbastanza intelligente da sapere che non vale la pena abbassarsi al tuo livello »
Armin ridacchiò e passò ad un’altra frase, del tutto svincolata dal gioco.
Ambra lo fissava con la coda dell’occhio, pazientando sull’infantile divertimento dell’amico, che aveva esplorato ogni possibile argomento, dalla religione alla politica, ricevendo risposte più o meno piccate.
« Ne avrai ancora per molto? »
Armin non le rispose e lo vide digitare una domanda che la lasciò interdetta:
« Perché Ambra è entrata nello studio oggi? »
« Non conosco nessuna Ambra, mi dispiace » rispose Silente.
« Armin smettila, andiamo avanti » mormorò lei a disagio.
« E’ una ragazza in gamba, ma un po’ stramba » scrisse Armin, come se il personaggio digitale potesse realmente essere un confidente.
« Senti chi parla! » si indispettì lei, arrossendo per la prima parte di quella dichiarazione.
Stare in quella stanza con lei, loro due da soli, era estremamente rilassante e piacevole. Non solo Ambra era una giocatrice esperta, ma era anche una compagnia divertente e stimolante. Ne aveva avuto la dimostrazione durante la Vigilia, quando si erano trovati a lavare i piatti fianco a fianco, nel ristorante della famiglia di Lin.
Un’occasione analoga si era riproposta a San Valentino: avevano trascorso una serata meravigliosa insieme, ridendo e chiacchierando come vecchi amici. L’unico neo era stata la ramanzina di suo fratello Alexy, non appena aveva scoperto che il gemello non aveva invitato Ambra sulla pista da ballo:
« In questo momento mi vergogno ad avere il tuo stesso DNA, sappilo » aveva dichiarato sprezzante.
Armin si era limitato a scrollare le spalle divertito: non avrebbe cambiato nulla di quella serata, che si era preannunciata indimenticabile sin da quando aveva visto quella bellissima ragazza, ora seduta accanto a lui, scendere le scale.
« Se lo dici tu » lo assecondò Silente dopo la frase digitata dal moro.
« Questo tizio comincia ad inquietarmi » ridacchiò Armin.
« Allora dacci un taglio e chiedigli del castello! »
« Perché sei così in difficoltà, Daniels? »
C’era una strana luce negli occhi del ragazzo, una sicurezza che mai gli aveva visto.
Aveva un sorrisetto malizioso stampato in faccia, come se fosse riuscito a leggerle dentro, facendola sentire inspiegabilmente vulnerabile.
« Perché continui a negare l’evidenza? » le bisbigliò, senza guardarla.
Lei trasalì e le guance tradirono tutto il suo imbarazzo.
Aveva capito.
Armin era riuscito a intuire l’equivoco che l’aveva spinta ad entrare come una furia nello studio di suo padre quel pomeriggio.
Sapeva dei suoi sentimenti.
Mentre cercava di tranquillizzarsi e prepararsi ad uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita, lui concluse:
« Quindi siamo amici ora no? »
« Che? » gracchiò lei, sgranando gli occhi.
Aveva le labbra socchiuse, troppo spiazzata ed inebetita per pensare di richiuderle.
« Siamo diventati amici Daniels, inutile che continui a fare finta di niente » canticchiò lui vittorioso.
Ambra si portò una mano sulla fronte, scuotendo il capo rassegnata.
C’erano così vicini.
A parte i sette battiti che il suo cuore aveva saltato, improvvisamente la prospettiva che Armin scoprisse la verità non le sembrò più così terrificante. Forse a causa della scarica di adrenalina che le pervadeva il corpo e che la rendeva più istintiva che razionale, decise che fosse arrivato il momento.
O la va o la spacca, si disse risoluta.
Impugnò il joystick caduto sul pavimento e, guardando lo schermo, scrisse a Silente:
« Secondo te » lesse a voce alta il moro, mentre le parole digitate dalla ragazza si componevano sotto il suo sguardo:
« Quanto deve essere idiota Armin… ehi! » si risentì, poi proseguì a leggere « per non aver capito quello che realmente mi passa per la testa? »
La ragazza tenne il joystick in grembo ma non osò guardarlo in faccia e, quel riserbo riuscì a lasciare senza parole anche un casinista come lui.
Lei non staccava lo sguardo dalle sue mani, aveva il capo chino e le spalle incurvate in avanti, come alla ricerca di una protezione invisibile.
Le faceva una tenerezza immensa, ma non era solo quella a smuovergli ogni organo interno.
Ambra gli piaceva, ma fino a quel momento si era convinto che fosse troppo perfetta per abbassarsi a provare dell’interesse per uno come lui. Era un’utopica e pertanto irrealizzabile speranza, pensare che la reginetta del liceo volesse il ragazzo sfigato dei computer.
Eppure, il linguaggio del corpo non lasciava alito ad  interpretazioni diverse, o per lo meno, Armin volle illudersi che non ve ne fossero.
La bionda alzò leggermente lo sguardo, mentre una dopo l’altra, una serie di lettere si componevano sullo schermo, fino a formare una frase, destinata a imprimersi come uno dei ricordi più dolci della sua adolescenza:
« Mi sei sempre piaciuta, Ambra »
Non fece neanche a tempo a voltarsi verso di lui, che sentì un paio di labbra posarsi delicatamente sulle sue.
Lo stomaco iniziò a fare le capriole, mentre un formicolio di felicità mai sperimentata prima, pervadeva ogni muscolo del suo corpo.
Le dita del moro iniziarono ad avventurarsi tra i suoi lunghi riccioli biondi, avvicinando ancora di più i loro visi. Le fece quasi il solletico, tanto era delicato il tocco ma soffocò una risatina per non staccare la sua bocca da quella di lui.
Era in estasi.
Felice come non lo era mai stata in vita tua.
Lei e Armin.
Insieme.
« Non ho tempo da perdere! Vi decidete o no a farmi le domande? » tornò a ripetere il personaggio dello schermo.
« Ma sta’ zitto » mormorò divertito il ragazzo, staccandosi per un attimo dalle labbra di Ambra e, senza nemmeno guardare lo schermo, impugnò il telecomando e spense il monitor.
Anche se avevano impiegato due ore a raggiungere quel livello del gioco, per la prima volta in vita sua, il ragazzo si dimenticò di salvare i progressi.
In quel momento, era impegnato in una partita ben più piacevole. La migliore che avesse mai giocato.
 
Era già la seconda volta che il suo piede rischiava di scivolare su quel tappeto di foglie bagnato da una pioggia indesiderata. Che cosa ci facesse tutto quel fogliame morente ad inverno ormai conclusosi, Jordan proprio non riusciva a spiegarselo.
Come del resto, non riusciva a giustificare il perché si stesse recando al Dolce Amoris. Poteva chiamare in causa quel senso del dovere che le era stato inculcato sin da bambina, quell’attitudine a cercare di far sempre la scelta più giusta. Se un oggetto di valore veniva ritrovato, era un atto di cortesia ammirevole impegnarsi a ricondurlo al suo proprietario. Il caso aveva voluto che l’articolo in questione fosse un cellulare di ultima generazione e che la ragazza fosse l’unica a conoscerne lo sbadato padrone.
Uno come lui poteva permettersi di trattare con tanta non curanza e superficialità un dispositivo che, a confronto del modello in possesso della ragazza, sembrava creato dalla NASA.
Ogni volta che si soffermava a riflettere sull’indifferenza del ragazzo, sentiva montarle una tale rabbia, che avrebbe preferito lasciare lo smartphone dentro il cassetto del bancone del pub in cui lavorava.
In tre giorni da quando l’aveva smarrito, non si era presentato una volta al locale per reclamarlo, nonostante fosse uno dei posti più scontati da cui iniziare la ricerca.
Il tizio, di cui manco conosceva il nome, stava inconsapevolmente mettendo a dura prova la sua pazienza, come se la serata passata a lamentarsi delle sue grane non fosse stata sufficiente.
Arrivò all’ingresso del liceo, ma rimase a debita distanza, come un esploratore che vuole osservare con discrezione la fauna selvatica: vide così degli esemplari di adolescenti, suoi coetanei, molti dei quali accessoriati di zaini e cellulari molto di moda, che nella sua scuola erano ben più rari. Analizzò clinicamente ogni viso, ma nessuno era riconducibile a quello del ragazzo che si era trascinato sul bancone qualche giorno prima.
La folla si diradava sempre più, al punto che per qualche minuto nessun altro essere umano varcò la soglia dell’istituto. Stava quasi per rassegnarsi a tornarsene a casa, quando comparve una squadra di giganti: un ragazzo con i capelli rossicci e altissimo, si stagliava su tutti ma a primeggiare, era la presenza chiassosa di un tizio che scoprì chiamarsi Wes.
Dietro di loro riconobbe la ragazza mora che, assieme a quello che doveva essere il suo ragazzo, si era presentata al locale l’ultima volta. Jordan scrutò meglio quelle facce e riuscì a riconoscere in Wes, l’idiota che le aveva fissato le tette, così come ricordò anche la presenza di Steve al tavolo. Alle loro spalle, avanzava un ragazzo con un colore eccentrico di capelli, decisamente anticonformista rispetto a quello che Jordan immaginava essere il rigido regolamento scolastico. Si stava accendendo una sigaretta ma il tentativo venne boicottato da una figura minuta accanto a lui che gli aveva strappato il cilindro dalle labbra.
Lei aveva detto qualcosa, lui aveva replicato un borbottio sommesso che l’aveva fatta irritare, al punto da gettare la sigaretta, ancora spenta, nel cestino.
Quei due era sicura di non averli mai visti prima, mentre il resto del quartetto erano sicuramente amici dell’idiota che aveva perso il cellulare. Non conoscendo il nome di Trevor, nella mente di Jordan, riferirsi a lui come “l’idiota” era diventato l’epiteto per eccellenza.
La ragazza di colore le sembrava quella più affidabile, così a passo svelto, attraversò la strada, presentandosi davanti al cancello.
Kim la riconobbe subito ma non spiccò una parola, così toccò a Jordan rompere il ghiaccio:
« Ciao. Tu sei amica di quel tizio che era seduto con voi al tavolo sabato giusto? Quello con la giacca in pelle? »
La cestista annuì, un po’ disorientata dai modi spicci della cameriera:
« Penso tu stia parlando di Trevor »
« Non lo so come si chiami, so solo che questo cellulare è suo » replicò sbrigativamente Jordan, allungando un i-phone S5.
I ragazzi alternarono lo sguardo da una ragazza all’altra, incapaci di stabilire quale delle due fosse la più spigolosa e acida. Kim infatti aveva un sopracciglio sollevato, evidentemente risentita dai modi poco garbati con cui Jordan le stava praticamente imponendo di fare la facchina, mentre quest’ultima si considerava già fin troppo generosa ad essersi presentata al liceo.
« Sei stata molto gentile » mediò la seconda ragazza del gruppo, costringendo Jordan a distogliere lo sguardo da Kim. Aveva dei lunghi capelli castani, scalati davanti in modo da incorniciarle un sorriso dolce, sotto occhi verdi e intensi. Diversamente dall’amica, Erin aveva un’indole più accomodante e disponibile, pronta a instaurare un dialogo:
« Glielo daremo noi, siamo in classe insieme » aggiunse conciliante, innescando in Jordan un senso di fiducia.
Ignorò allora Kim e si rivolse all’ambasciatrice.
« Ok » mormorò, poggiandole l’oggetto sulla mano. Girò i tacchi, mentre il viso le si imporporava per il disagio: le relazioni sociali non erano mai state il suo forte, detestava dove interagire con i suoi coetanei, specie se sconosciuti. Sapeva di avere tutti quegli occhi puntati addosso e non faticava ad immaginare di essere oggetto di commenti poco carini, a causa del suo atteggiamento schivo e indisponente.
Si stava per allontanare, quando sentì Wes alle sue spalle dire:
« Cosa? Quella è la cameriera tettona del pub? »
 
Aveva appena girato l’angolo, quando una voce la chiamò:
« EHI TU! »
Si voltò, riconoscendo in quelle due parole un timbro che sperava di dimenticare: a correrle incontro, il trafelato padrone del cellulare.
L’idiota di nome Trevor.
La raggiunse in poco tempo, mentre lei lo fissava neutra. Si accomodò gli occhiali sul naso, che si appannarono leggermente:
« Per fortuna ti ho presa » ansimò sollevato « grazie per il cellulare, non sapevo dove cercarlo »
Jordan increspò leggermente le labbra, prima di asserire:
« Non ti è proprio venuto in mente di cercare al pub? »
« No, perché ero convinto di averlo usato l’altro ieri » ammise lui.
La ragazza abbassò lo sguardo sul borsone che il ragazzo aveva appoggiato sulla spalla. Sulla stoffa rossa, impresso con una scritta bianca, era stampato il logo del club di basket del Dolce Amoris, altrimenti detto Atlantic High School. Tutta la città era orgogliosa dell’ottimo piazzamento ottenuto dalla squadra nel torneo interhigh conclusosi la settimana precedente.
In Jordan, tuttavia, il fatto di fronteggiare uno dei valorosi cestisti, non sortiva lo stesso effetto: Trevor le confermò l’impressione di essere il classico ragazzo poco incline allo studio, che compensava la sua scarsità del rendimento scolastico, con una discreta attitudine per lo sport.
« Comunque ora te l’ho ridato, quindi ciao » lo liquidò.
Nonostante la scontrosità della ragazza, il moro non demorse:
« Lascia almeno che ti offra qualcosa da bere per ringraziarti »
« Un “grazie” è più che sufficiente e, per inciso, non me l’hai ancora detto » sottolineò Jordan, affossando ancora di più le mani nelle tasche.
« Forse preferiresti qualcosa di più di un grazie… » commentò lui con malizia.
La vide irrigidirsi ed avvampare, con una facilità che lo divertì ed al contempo intenerì:
« D-devo lavorare » farfugliò lei a disagio.
Non era la risposta migliore: doveva rinfacciargli l’esistenza di Brigitte, la sua fidanzata potenzialmente incinta. Possibile che, nonostante quella delicata situazione, si divertisse a provarci con lei?
La cameriera non si accorse del divertimento con cui la scrutava Trevor, frammisto ad una certa sorpresa: lui stava solo scherzando, ma l’espressione di Jordan lasciava intendere quanto seriamente avesse preso quella provocazione:
« Guarda che non sto facendo sul serio… per chi mi hai preso? » ribatté lui beffardo.
Jordan sbattè gli occhi, smarrita e umiliata di aver fatto la figura dell’ingenua. Odiava quel genere di situazioni perché davvero non sapeva cosa volesse dire comportarsi da normale ragazza di diciassette anni. Inoltre, essendo molto bella, non era raro che qualche cliente le facesse delle sgradite avance.
A scuola si era costruita una fama poco lusinghiera, in cui il suo caratteraccio bisbetico e intrattabile aveva allontanato molti potenziali pretendenti.
Il suo unico obiettivo e soddisfazione era quello di essere una studentessa modello, estremamente preparata in materie come letteratura e scienze, ma in fatto di relazioni interpersonali, era una frana.
Per quanto si vergognasse al solo pensiero, aveva provato a migliorare se stessa ripiegando su ciò che sapeva far meglio: studiare; aveva così comprato manuali dai titoli imbarazzanti quali “noi e loro: come sopravvivere in mezzo alla gente” ma non avevano fatto altro che aumentare la sua confusione.
Sulla teoria, sembrava che le persone fossero tutte uguali, che si comportassero esattamente allo stesso modo, manovrate da una generalizzazione che non lasciava loro la possibilità di libero arbitrio, ma nella realtà ciò non accadeva e Trevor ne era l’esempio.
« Vado » ripeté lei, scocciata. Sollevò la sciarpa fin sotto il naso e si incamminò indispettita.
Aveva fatto solo due passi, quando Trevor la richiamò:
« Per la cronaca, mi chiamo Trevor »
« Per la cronaca, nessuno te l’ha chiesto » sbottò lei, senza neanche girarsi.
Lui sorrise divertito, mentre lei voleva solo allontanarsi il prima possibile da quell’individuo dai modi equivoci e bizzarri.
 



 
 ####################################################
 


NOTE DELL’AUTRICE:
 
Salve^^
 
Mi dispiace per tutto il tempo che lascio passare tra un aggiornamento e l’altro, purtroppo (come molte di voi già sanno) è una scelta che esula completamente dalla mia volontà ç_ç. Da parte mia, posso solo assicurarvi che “prima o poi arrivo” (^_^)v.
 
Finalmente in questo capitolo mi sono decisa a fare qualche passo in avanti sul mistero del quadro.
Anche nei successivi indizi in merito non mancheranno, dal momento che l’indagine viene portata avanti su più fronti: quello di Erin, con quello che Rosalya ha battezzato il T-Team e sul fronte Occidentale, dalla lontana California, abbiamo Sophia e Nathaniel.
 
Fino all’ultimo sono stata indecisa se dare una spintarella ad Ambra e Armin… non vi sto prendendo in giro se vi dico che ho riflettuto sull’eventualità di aspettare ancora. Poi alla fine mi sono detta che questi due rendono meglio da fidanzati da che separati (e fu così che Erin e Castiel si fidanzarono in punto di morte del rosso), così mi sono decisa U.U.
 
Il prossimo capitolo mi piacerebbe pubblicarlo prima della fine dell’estate, perché è ambientato alle Bahamas, sarà il classico capitolo in stile fanfiction con le classiche scenette che solo un “setting in place” con il mare può evocare… se uscisse in autunno, mi verrebbe il magone a pensare alle vacanze andate ç_ç (ferie che comunque non mi sto godendo quest’anno φ(.. ))
 
Con questo capitolo ho sperimentato una tecnica nuova per la revisione degli errori (ma che si è rivelata una sorta di scoperta dell’acqua calda, dal momento che molte altre autrici la usano da tempo): l’ho letto a voce alta. Come mi ha fatto giustamente osservare Kayleah, vista la lunghezza del testo, ci ho rimesso le corde vocali, ma ho visto molti più errori rispetto a quando leggo in silenzio… spero quindi che il mio sforzo sia servito a non farvi individuare i soliti strafalcioni o errori di battitura *cross fingers*.
 
Ultima cosa! Per chi non lo avesse ancora visto, sulla mia pagina di EFP ho pubblicato un piccolo sondaggio in base al cui risultato, scriverò una one shot ;)
 

Intanto grazie a chi ha già partecipato ^^
Sempre a proposito di ringraziamenti, ci tengo a ringraziare pubblicamente _nuvola rossa 95_ per il disegno che troneggia sul mio profilo (e che ho ritenuto opportuno riportare qui sotto, così concludiamo in bellezza) ^^.

 
 
Grazie per aver letto il capitolo ^^
 
Alla prossima!
 
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: RandomWriter