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Autore: Betta7    15/08/2015    4 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4.
OSTACOLI.


Pov Akito.

Ormai erano passati mesi dall'ultimo incontro con Sana, il tour per la promozione del suo ultimo film l'aveva tenuta sempre impegnata durante l'estate e avevamo avuto la possibilità di sentirci solo per telefono.
Come al solito, le telefonate erano per lo più brevi, ma piene di prese in giro e risate, ma non avrei mai osato dire che sopperivano alla sua assenza, perchè Sana mi mancava in modo indescrivibile, più di tutte le altre volte.
All’inizio avevo attribuito quella sensazione al bacio che ci eravamo scambiati la sera del ballo, ma poi riflettendoci bene avevo capito che questo senso di perdita derivava soprattutto dal fatto che mi mancava fisicamente. Se negli anni addietro sentire la sua voce riusciva a colmare la distanza, adesso avevo bisogno di avere un vero e proprio contatto, anche se in maniera accidentale. Quando la abbracciavo mentre guardavamo un film, quando le facevo il solletico e la vedevo ridere fino alle lacrime, quando le scostavo qualche ciocca dei suoi capelli davanti al viso, erano queste le cose che mi facevano sentire vivo. Era come se il mio corpo si nutrisse di quei gesti, che riuscivano a creare una sorta di alchimia tra noi.
In quel periodo il tempo per pensare non mi era di certo mancato, avevo ponderato più volte di recidere quel filo invisibile che mi teneva legato a Sana, perché ero arrivato alla conclusione che prima o poi l’avrei persa. Lei stava sbocciando in tutta la sua bellezza e stava diventando sempre più famosa e prima o poi sarebbe arrivato qualcuno che me l’avrebbe portata via. E a quel punto sarei rimasto solo a raccogliere i cocci e, onestamente, non sapevo se avrei trovato la forza di reagire.
Quelle paranoie mi avevano tolto buona parte del sonno e così avevo deciso di parlarne con Tsu.  Lui mi aveva guardato sconvolto, dicendomi che Sana non era come le altre star, e che se non volevo perderla dovevo rischiare. Decisi di essere completamente onesto con lui e gli confidai che il fatto di non essermi mai spinto oltre non era da imputare solo alla paura di un rifiuto, che avrebbe incrinato per sempre la nostra amicizia, ma soprattutto al fatto che, in un modo o nell'altro, avrei potuto anche rovinare le cose col mio brutto carattere. Io, d'altro canto, avevo preso ad insegnare ai bambini della palestra, affiancato sempre da un maestro più adulto che mi aiutava nel far apprendere anche ai più piccoli le tecniche basilari. Avevo preso un po' sottogamba la faccenda dell'insegnamento, avevo sempre pensato che spiegare a qualcuno una tecnica di movimento piuttosto che un colpo non irregolare fosse una passeggiata, perchè io ero in grado di farlo, ma mi ero accorto ben presto che gestire quindici bambini che vogliono darsele di santa ragione, non era un compito facile.
Tuttavia, tutto l'impegno che mettevo con i marmocchi, mi permetteva di pensare sempre meno alla lontananza di Sana e, anche se per qualche ora, il mio cervello riusciva a non darmi il tormento.
Mentre tornavo a casa, avevo involontariamente percorso la strada all'interno del parco, e mi ero ritrovato lì... sotto il nostro gazebo.
Avevo pensato mille volte che, se mai un giorno avessi dovuto chiedere a Sana di sposarmi, l'avrei fatto lì, nel luogo che aveva custodito l'inizio del nostro rapporto, che era stato testimone di tutti i nostri bei momenti.
Mi ero seduto a guardare i ciliegi che cominciavano a perdere la loro bellezza, in vista dell'autunno, quando mi squillò il telefono. Sapevo benissimo che era Sana, quindi risposi senza neanche guardare.
«Ciao, Kurata.»
«Ho una sorpresa per te.»
Sana era una continua sorpresa, quindi quando sfoderava quella carta io ero già pronto a qualsiasi cosa.
«Dimmi che non torni più, dimmi che non torni più!»scherzai io, per farla innervosire.
«Spiritoso! No, in realtà volevo dirti che... sono a casa tua.»
Il mio corpo si gelò in un istante, a casa mia c'era Nat... e la sua situazione non era di certo delle migliori.
Mia sorella aveva avuto un'estate d'inferno, niente a che vedere con la mia, perchè il suo ragazzo l'aveva lasciata. Quella non sarebbe stata una tragedia se lui non l'avesse abbandonata mentre dentro di lei cresceva un'altra creatura.
Io e mio padre l'avevamo scoperto pochi mesi prima, quando avevamo notato che Natsumi comprava magliette sempre più larghe, quindi un giorno scherzai sul fatto che sembrassero magliette premamam.
Quando mia sorella scoppiò a piangere davanti ai miei occhi, capii immediatamente che avevo colto nel segno e non pensai minimamente a come potesse stare lei, ma immediatamente nella mia testa cominciarono ad affollarsi immagini di quel bastardo del suo ragazzo massacrato dalle mie mani. C'erano volute ore prima che mi calmassi, e anni prima che io riuscissi ad abbracciare veramente mia sorella.
Aveva pianto così tanto... e io non riuscivo a capire come potesse un uomo scappare via davanti ad una cosa più grande di lui, come potesse rinunciare ad un figlio.
Dopo aver chiuso la telefonata, corsi a casa, sperando di limitare i danni da entrambe le parti.
Sana si sarebbe arrabbiata a morte perchè non gliene avevo parlato, ma ero sicuro che avrebbe capito le mie ragioni, perchè l'avevo fatto anche per proteggere lei.


______________________________________________
Pov Sana.

Chiusi la telefonata con Akito e suonai alla porta, contenta di rientrare in quella casa dopo così tanti mesi.
Casa sua ormai era diventata un po' come il mio eterno rifugio, quando a scuola qualcosa andava storto entravo sempre in camera di Akito e mi ritrovavo in pace con il mondo.
Sentii dei passi pesanti provenire dall'interno, scendere le scale e arrivare proprio davanti alla porta che, però, non si aprì subito.
Dopo qualche secondo, che mi parve un'eternità, finalmente Natsumi affacciò alla porta, con un'espressione sconvolta sul viso che, stranamente, era più paffuto del solito.
Sorrisi e, senza aspettare che mi invitasse, entrai in casa. La abbracciai immediatamente, anche se non aveva detto nulla ero sicura che fosse felice di vedermi, ma poi sfoderò uno dei suoi sorrisi più belli.
«Fatti guardare, Natsumi! Sei bellissima!»
«Dicono che la gravidanza renda radiose!»
Quella frase mi lasciò interdetta perchè, complice la mia eterna sbadataggine, non avevo affatto notato che Natsumi vantava un pancione che solo io potevo non aver visto e, improvvisamente, mi ritrovai con la mano tesa per accarezzarlo.
Ero senza parole.
«Ma... come... Akito... Natsumi cosa...?». Balbettavo, segno che il mio shock era forte, a me non mancavano mai le parole.
Natsumi mi sorrise, facendomi cenno di seguirla in cucina, e cominciò a spiegarmi.
«Sono incinta di sei mesi. Quando tu sei partita, mio padre e mio fratello ancora non ne sapevano nulla... poi ovviamente ha cominciato a notarsi e, al quinto mese, ho dovuto confessare.»
Ascoltavo assorta le sue parole, non riuscivo a crederci. Natsumi aveva due anni in più di me e Akito, come avrebbe potuto crescere un figlio se ancora la bambina era proprio lei?
L'avevo sempre immaginata mamma, nonostante i precedenti con il fratello, sapevo che Koharu gli aveva trasmesso il valore della famiglia e che lei stessa se ne sarebbe creata una prima o poi, ma non pensavo l'avrebbe fatto così presto.
Lei venne a sedersi accanto a me, e io continuavo a fissarla perchè i tratti di quella che ricordavo una ragazza come tante, si erano improvvisamente trasformati in quelli di una donna che non poteva più pensare solo a se' stessa, perchè condivideva il corpo con un altro essere.
«E il bambino è di... di quel ragazzo che hai portato alla mia festa?» chiesi, sperando che non fosse come invece avevo intuito non appena l'avevo ascoltata. Natsumi non aveva la faccia preoccupata di una mamma giovane, ma aveva la faccia distrutta di una mamma giovane e single.
«Si, di Konhiro, ma...».
Non riuscì nemmeno a terminare la frase che le lacrime le ruppero la voce. Anche a me si inondarono gli occhi e, per farle capire che poteva contare su di me, la abbracciai forte. Non sapevo dire molto in situazioni come quelle, ma a dare abbracci ero fenomenale, quindi cercai di trasmetterle tutto il mio affetto attraverso quello.
Quando, finalmente, smise di essere scossa dai singhiozzi, io le accarezzai la schiena e la invitai a spiegarmi, a parlarmi, ad appoggiarsi a me. Ero pronta a sostenere qualsiasi peso, per lei. Natsumi negli ultimi anni non era più solo la sorella del mio migliore amico, ma una mia cara amica a sua volta, ci vedevamo e sentivamo spesso, e avevo scoperto in lei una persona che mai avrei detto, quindi vederla in quello stato mi ferì profondamente perchè non era di certo la ragazza che si meritava una sofferenza del genere.
«Sfogati, Nat... ti conosco e so che c'è qualcosa che non va, oltre all'ovvio si intende.»
Si alzò dal divano e andò in camera sua, per poi tornare con in mano una cartelletta che mise subito nelle mie mani.
«Leggi e capirai.»
La aprii, ma non ne avevo alcun bisogno, conoscevo fin troppo bene quei documenti perchè mia madre me li aveva mostrati quando mi aveva rivelato la verità sulla mia nascita.
Erano i documenti per l'adozione.
Mi voltai verso Natsumi e non riuscivo a credere che potesse anche solo pensare di separarsi da suo figlio.
«Vuoi darlo in adozione...?»
Natsumi sembrava confusa, non sapeva davvero cosa fare e la sua confusione mi fece pensare a come poteva essersi sentita mia madre quando aveva scoperto di aspettare me.
Forse anche lei aveva sentito quel senso di impotenza, a maggior ragione perchè Keiko aveva solo quattordici anni quando scoprì di essere incinta.
«Sana io... non so cosa fare. Da una parte la sola idea di lasciarlo mi fa stare malissimo, ma dall'altra... cosa potrò mai offrire a questo bambino?».
Il suo discorso filava, razionalmente parlando non aveva tutti i torti, ma io non riuscivo comunque a concepirlo.
Io venivo da una storia simile e, anche se ero stata fortunata nel trovare la mia mamma, avevo sempre pensato a come sarebbe stata la mia vita se fossi cresciuta con la mia madre biologica.
«Il tuo amore, Nat. Mia madre ha deciso per me, mi ha allontanato... e io so che l'ha fatto per darmi la mia migliore possibilità, ma io avrei voluto che desse una possibilità a noi due. Non l'ha fatto, e io ho trovato una vera madre ad accudirmi, ma non sempre è così per tutti...»
Sperai di averla convinta, ma lei sembrava sempre ferma sulla sua scelta, quindi decisi di accantonare per un attimo l'argomento chiedendole se fosse maschio o femmina.
Era una bambina, e già mi sembrava di vederla: speravo che gli occhi li ereditasse dalla madre, Nat li aveva di quel castano che ti fa pensare alle montagne, alla calma e quiete che solo lì puoi trovare, e poi con i capelli tutti arruffati come suo zio.
Speravo che lei si rendesse conto dell'enorme sbaglio che stava facendo perchè, se si fosse pentita in seguito, sarebbe stato troppo tardi.

____________________________________________

Pov Akito.

Avevo cercato di fare meno rumore possibile entrando in casa, perchè volevo fare anch'io una piccola sorpresa a Sana portandole un enorme pacco di cioccolatini che avevo comprato strada facendo.
Quando avevo aperto piano la porta, avevo sentito Sana e Natsumi parlare in cucina quindi mi ero limitato ad avanzare nel corridoio in silenzio per cercare di ascoltare la loro discussione.
Improvvisamente calò il silenzio, e poi sentii Sana dire «Vuoi darlo in adozione?»
Per poco non mi sentii male. Mia sorella voleva prendere suo figlio, mio nipote, e portarlo in un orfanotrofio e aspettare che qualcuno gli desse l'amore che avrebbe dovuto dargli lei.
Non potevo accettarlo. Dovetti frenarmi in modo particolare per non entrare in cucina e urlarle in faccia che non poteva farlo e soprattutto che io non gliel'avrei lasciato fare. Non capii molto di ciò che si dissero dopo, aspettai che cambiassero argomento e feci qualche rumore per far sentire la mia presenza, entrando in cucina con in mano i cioccolatini che avevo comprato.
Non appena Sana mi vide sfoderò uno dei suoi sorrisi più belli e, dopo mesi, finalmente mi sentii completo.

*

Quando Sana aveva smesso di rimproverarmi perchè non le avevo detto nulla di Natsumi, cominciammo a parlare del suo tour e della mia esperienza da insegnante, cercando di non farci distrarre dalla vicenda di mia sorella.
Paradossalmente, però, entrambi cercavamo di riportare l'argomento a galla, per riuscire a chiarire i nostri pensieri. Visto che non ero riuscito a carpire tutto della loro discussione, ero ansioso di sapere cosa ne pensasse lei dell'idea di Natsumi di dare la bambina in adozione, perchè io non riuscivo neanche a pensare ad una cosa del genere.
Mentre stavamo mangiando il dolce, Sana si fece pensierosa. Sapevo che pensava a Natsumi, alla sua situazione, alla bambina che portava in grembo e a quale sarebbe stato il suo futuro se lei avesse preso quella decisione, ma non sapevo se parlarne o meno.
«A che pensi?» le chiesi evasivo, spostando un pezzo di cioccolato da una parte all'altra del piattino.
«Penso alla bambina. So che hai ascoltato la conversazione, ti si leggeva chiaro in faccia che eri sconvolto quando sei entrato.»
Mi conosceva fin troppo bene, eppure spesso non riusciva ancora a capire ciò che era ovvio agli occhi di tutti.
«Già..» risposi «Mi sembra assurdo che voglia lasciare sua figlia.»
«Non lo farà... deve solo sciogliere il gelo che ha dentro e rendersi conto che se ne pentirebbe fino alla fine dei suoi giorni.»
Improvvisamente, dopo quelle parole, mi resi conto che Sana non era più una bambina. Non fisicamente parlando, ovviamente. Era cresciuta molto negli ultimi tempi, non era più la ragazzina sbadata che non faceva altro che combinare casini uno dietro l'altro, e neppure quella che aveva una visione delle cose tanto ottimista da farsi odiare. Adesso era diventata una ragazza responsabile, capace di comprendere quando una situazione si fa difficile e quando può essere risolta e, se non è così, arrendersi.
La situazione di  Natsumi era entrambe le cose, tutto dipendeva da come lei avrebbe affrontato la maternità. Noi, anche se le stavamo accanto, non potevamo fare molto a parte consigliarla... la decisione era sua e di nessun altro.
Uscimmo dal ristorante e, mentre ci dirigevamo in macchina, la conversazione si spostò sull'argomento quanto sono stronzi gli uomini.
Partendo dal presupposto che non sempre sono gli uomini ad essere stronzi, ma le donne ad essere un libro chiuso, sigillato e anche nascosto, io avevo sempre pensato che dietro ad ogni comportamento si nascondesse qualcosa di più profondo. Io non ero cattivo, almeno avevo smesso di pensarlo, eppure venivo spesso accusato di essere un ragazzo stronzo e insensibile.
Non ero insensibile, ero semplicemente disinteressato.
«Per esempio, il ragazzo di tua sorella è stato così bastardo perchè, non solo l'ha lasciata, ma l'ha lasciata sapendo che era incinta. I maschi sono tutti così, ti usano per i loro scopi e poi ti buttano, come se fossi un fazzoletto usato.»
Il tragitto in macchina fu più o meno tutto su quei toni, Sana accusava Konhiro di essersi comportato da bastardo e che l'unico modo che aveva per riscattarsi era presentarsi in ospedale non appena la bambina fosse nata, ma non era sicura neanche in quel caso che sarebbe stato degno di essere perdonato. Io, da fratello, ovviamente lo avrei ammazzato di botte, ma cercavo di non pensarci perchè ormai erano due mesi circa che la mattina mi alzavo con l'idea di andare a casa sua e ucciderlo con le mie stesse mani, ma avevo fatto così tanti progressi nel contenere quell'impulso che cedere alla fine mi sembrava troppo facile.
Entrammo in casa sua e, dopo esserci tolti le scarpe, ci eravamo buttati sul divano, continuando a parlare del comportamento di Konhiro.
«Un uomo non si fa scrupoli a venire a letto con te e, il giorno dopo, trattarti come se non fosse successo niente. Per esempio, neanche tu te ne fai con tutte le ragazze che vengono a vederti combattere, immagino che la frase una botta e via per te sia più appropriato che per chiunque altro.»
Inizialmente pensai che scherzasse, ma poi mi resi conto dalla sua espressione che non stava affatto giocando, era serissima e continuava a guardarmi come se volesse trafiggermi con mille coltelli.
Ma neanche io ero tranquillo, mi stava accusando praticamente di essere un puttaniere e non era una cosa che potevo accettare. Non tanto per l'offesa in se', non mi importava particolarmente di quella, ma più che altro perchè non capivo come lei potesse dire quelle cose su di me quando lei stessa aveva atteggiamenti peggiori?
Chi, dei due, doveva vedere ogni settimana una foto scattate agli eventi di tutto il mondo, sempre con una persona diversa.
«Scusami, stai parlando di me o... di te? Sai, sei tu quella che ogni settimana è a una festa diversa con un accompagnatore differente. La settimana scorsa chi era, fammi pensare, Kamura o qualche altro attore da quattro soldi? Non riesco a tenerne il conto.»
Le parole uscirono dalla mia bocca come un fiume in piena, come quando una diga si rompe e tutta l'acqua che c'era al suo interno viene liberata.
«Ah parli di me? Ma se sei tu quello che ha stuoli di ragazzine che sarebbero pronte a fare carte false per ricevere anche un sorriso.»
«Ma, a differenza tua, io non glielo concedo. Io non so cosa fai tu, durante i tuoi fantomatici viaggi di lavoro, quindi non venire a fare la predica a me!»
Le mie parole dovettero scioccarla davvero perchè, improvvisamente, la vidi alzarsi e pararsi davanti a me.
«Ma cosa stai insinuando?! Che io la do a destra e a manca durante i miei viaggi o i party di lavoro?!»
Era arrabbiata, furiosa addirittura, e lo riconoscevo dal fatto che aveva cominciato a gesticolare più del solito. Ma ormai il danno era fatto, tanto valeva tirare fuori tutte le mie perplessità, prima che fosse troppo tardi.
«Parole tue, non mie.»
Detto ciò, raccolsi la mia giacca da terra, mi diressi alla porta e, dopo essermi infilato alla buona le scarpe, uscii sbattendo la porta.

_____________________________________________

Pov Sana.

La discussione con Akito era stata devastante, non ci era mai capitato di litigare così furiosamente, almeno non per argomenti veramente importanti.
Ci eravamo detti delle cose bruttissime, io lo avevo palesemente accusato di usare le ragazze e lui, d'altro canto, non si era risparmiato nel dirmi che, secondo lui, io avevo atteggiamenti poco opportuni quando ero lontana da casa.
Mi venne quasi da piangere, perchè ora che il nostro rapporto sembrava stare prendendo una piega più definita dovevamo per forza essere noi a complicare le cose.
Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che fuori pioveva a dirotto, la pioggia era fittissima e Akito quando era nervoso guidava in modo troppo spericolato, quindi immediatamente il cuore mi si strinse.
Lo chiamai centinaia di volte al cellulare, migliaia forse, ma non ricevetti nessuna risposta e cominciavo davvero a preoccuparmi.
Lo odiavo quando si comportava in quel modo, era totalmente irresponsabile e non pensava minimamente all'effetto che questo poteva avere sulle persone che gli stavano a fianco.
Se gli avessero chiesto di saltare da un dirupo lui, per spirito di trasgressione, l'avrebbe fatto e se c'era un lato del suo carattere che non potevo far altro che odiare, era proprio quello.
Avevo sempre sperato che, crescendo, il suo carattere si smussasse un po' ma Akito era così: o bianco o nero. Non c'erano vie di mezzo, non esisteva il grigio nella sua scala cromatica, era un continuo eccesso.
Avrei voluto che la stessa determinazione l'avesse messa nel nostro rapporto, per schiarire le mie idee e soprattutto perchè quella situazione di stallo faceva male a tutti e due e, anche se lui non lo diceva e non lo dava a vedere, non riusciva più a sopportarla.
La pioggia continuava incessante e la preoccupazione dentro di me aumentava a dismisura.
Mi girai di scatto quando sentii la serratura girare.
Akito entrò di scatto in casa mia e, non appena incrociò il mio sguardo, si fiondò su di me per abbracciarmi.
Sapevamo entrambi che quello equivaleva a delle scuse, quindi non ci fu bisogno di dire nulla, ma ci scostammo quasi subito per guardarci negli occhi.
Pensai che, finalmente, il momento fosse arrivato. Se Akito mi avesse baciato, e speravo davvero che lo facesse, avrei finalmente fatto chiarezza nella mia mente e, soprattutto, nel mio cuore.
Ma, ovviamente, il fato non era d'accordo con me e, improvvisamente, squillò il telefono.
La magia era finita.
Akito sbuffò e prese il cellulare, rispondendo alla chiamata.
Io mi scostai, mi veniva quasi da ridere per l'assurdità della situazione.
«Pronto? Si, sono io. Cosa? No... non è vero. Arrivo subito!»
Gli occhi di  Akito divennero vuoti e, anche se non sapevo ancora di cosa si trattasse, sentivo che il mio cuore diventava sempre più pesante.
Era successo qualcosa di grave. 
   
 
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