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Autore: Manto    16/08/2015    11 recensioni
Colli Albani, 754 a.C.
Nella terra che i Greci chiamavano Esperia, nel Lazio, si nascondono uno specchio d'acqua di pura bellezza e la sacra selva di Nemi dove dimora la Cacciatrice.
Qui, all'ombra delle querce, durante la festa per l'avvento della Primavera ha inizio la storia di un amore immortale e triste, di Eternità e Tempo; qui, una Dea ed un uomo decisero la Storia e la loro stessa sorte.
Canto per Egeria e per il suo re, Numa Pompilio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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II - Cuore Cangiante




Corre come un Immortale, al pari mio quando mi getto nelle più profonde fonti. Corre e il Sole gioca con i suoi capelli, parte della sua infinita luce si tramuta in essi.
Corre e io veglio su di lui da anni, che per me sono solo un istante.
“Numa, fermati! Non ce la facciamo più!”, gridano i suoi compagni, e il giovane scoppia in una risata, frena i suoi piedi.
“Muovetevi, avanti! Che cosa siete, tartarughe, forse?”, dice, e ancora la risata gli toglie il fiato, gli occhi brillano come stelle.
Gli amici lo raggiungono. “No, sei tu che discendi dai cerbiatti”, sbuffano questi, e lui scuote la testa. Io sorrido, guardandolo, e il mio cuore trilla di gioia.
Lui mi sente – lo fa sempre – e si irrigidisce; allora mi allontano, perché questo momento deve essere solo per lui e per i compagni. Mi ritiro nel grembo della terra e ascolto per un'ultima volta i suoi passi su di me, le risate, le grida; quindi corro a Nemi, dove qualcuno implora il mio aiuto.
“Egeria”, dice Diana, comparendo tra gli alberi silenziosi, mentre mi sto per immergere nel lago. Il suo sguardo è pieno di ansia e di una specie di rimprovero – come se temesse per me.
Io, come sempre, le chiedo perdono per aver dimenticato il mio ruolo e consolo e proteggo le madri, le spose, le figlie, chiunque chieda la mia mano caritatevole. Eppure il mio pensiero è sempre a lui; e così spesso trovo la mia Signora accanto a me, e guardandola mi accorgo di non aver ascoltato nessuna preghiera, di non aver accolto nessun canto, di non aver sollevato dal dolore nessuno di quei postulanti... perché io non sono qui, con loro. Perché nel mio cuore c'è spazio solo per un umano, ora.
“Egeria, fermati”, dice ora la Cacciatrice, e mi prende per un braccio, “smetti di fingere.”
Io boccheggio, la guardo senza comprendere... non la comprendo più da anni, ormai.
La sua bocca assume una piega piena di amarezza, mentre distoglie i suoi occhi dai miei. “Vattene da qui. Non mi puoi servire, così.”
Io indietreggio, impaurita dal suo tono. “Mia Signora...”
Ella trema per qualche istante, quindi il suo volto si illumina, quando compare un tenue sorriso. “Non posso trattenerti, mia cara. Perché tu vuoi andartene da qui, vero?
Vuoi correre da lui, sempre. E allora fallo, dolce Egeria.”
“Ma... tutta questa gente...”
“Riprenderò su di me il potere che ti ho concesso. Ma tu dovrai lasciare questo luogo.
Questo è un rifugio per gli uomini, Egeria; e tu li stai facendo solo soffrire di più, perché la prima a farlo sei tu.”
Mentre lei parla le grida delle partorienti, il suono delle loro lacrime diventa sempre più flebile, scivola via, mi abbandona. “Veglia su di lui... come io veglierò, comunque, su di te”, sussurra la Dea, e il bosco di Nemi le si chiude intorno, la allontana da me. Mi giro, guardo il lago: le sue acque mi paiono non più così belle... ora che non appartengo più ad esse.
Un fruscio, lontano: lo sguardo di Virbio è pieno di rabbia e inutile furore, perché non mi può seguire, perché non riesce a comprendere cosa provi di così forte per un umano, da spingermi a dimenticare chi io sia. E anche se il mio cuore grida forte la tristezza di lasciare questa casa, io non ascolterò.
Corro, corro nel vento come nebbia per raggiungere il giovane dai capelli dorati; e ora lo vedo, solo, gareggiare con i cavalli per le selve, lasciarsi alle spalle il giorno senza alcuna fatica, procedere nella mesta notte. Mi affianco a lui, e quando sente il mio richiamo si ferma.
Ci sediamo al suolo, sotto un albero, e io lo prendo tra le mie braccia, anche se ora ha superato venticinque inverni; lo faccio sempre quando il Sole muore, perché non abbia paura, perché niente incomba su di lui. Come tutte le notti lui affonda il viso nell'incavo tra il mio collo e la spalla, con abbandono.
Inizia sempre i nostri incontri con quella frase: “Raccontami della prima volta che ci incontrammo.”
Io sorrido e obbedisco, e lui mi accarezza i capelli. “La seconda”, implora.
Narro anche questa, seppure lui la ricordi. “Erano anni che ti cercavo, che volevo rivederti, ma Diana e mia sorella Camenia mi impedivano di lasciare Nemi.
Io disperdevo il mio corpo ovunque, sotto la terra, sopra di essa, in cielo, per sentirti; ma non ti trovavo mai. Poi, una notte, ti ho udito. Ti ho riconosciuto per il battito del cuore, che si era fermato mentre io ti chiamavo; quindi la tua risposta mi ha raggiunto.
Sono venuta da te, nella casa dove dimoravi solo, e tu mi hai aperto le braccia. Allora non eri un sogno, hai detto con dolcezza mentre affondavi il volto nel mio ventre e io cercavo di sfuggire alla tua presa, perché ero spaventata dai tuoi gesti, dalla tua audacia.
Mi sono sciolta in acqua, quindi sono fuggita fuori. Tu mi hai inseguito seguendo le tracce sul terreno, fino a che non ho ripreso forma umana per fronteggiarti.
Mi hai afferrato le gambe, mi hai guardato. Pensi forse che potrei farti del male? Non ho mai scordato la tua voce, e mi rammaricavo perché non la sentivo più.
Io non ti ho ascoltato, mi sono trasformata in un lago pieno di oscurità perché tu te ne andassi. Ma non lo hai fatto: hai teso la mano e hai accarezzato l'acqua.
Brividi di piacere mi hanno scossa a lungo mentre passavi senza indugio le tue dita su di me, e la paura cedeva mentre percepivo il rispetto che mi portavi.”
In questo punto Numa sorride sempre e mi morde con desiderio il collo. Allora chiudo gli occhi e lascio – imploro, agogno – che mi getti al suolo, che mi spogli, che sia lui a tenermi fra le braccia.
Eppure non riesce mai a possedermi: un timore potente, la paura che stia valicando i confini di ciò che gli è concesso, lo frena e io, per quanto lo baci a lungo e lo rassicuri, non riesco a fargli svanire questo nero sentimento. Allora parlo, parlo a lungo, stretta a lui, fino a farlo addormentare, fino a quando l'alba non ci coglie e io devo andarmene.
Ma questa volta accadrà diversamente.
Quando sento il suo respiro farsi regolare e profondo lo prendo tra le braccia e lo porto nella sua casa. Appena lo appoggio sul giaciglio si sveglia, mi afferra una mano. Sorride, mi accarezza il braccio. “Quanto vorrei svegliarmi e addormentarmi con te al mio fianco. Mi sposeresti mai?”
Io sorrido, mi siedo accanto a lui. “Voglio farlo.”
I suoi occhi si spalancano e balza a sedere nel letto; poi il suo corpo è scosso da tremiti e volge il capo altrove. “Ma tu non puoi. Tu sei una Dea... e io sono solo un uomo.
Non dovrei neanche amarti... neppure osare di sognarti.”
Io lascio cadere la mia veste, e gli salgo in grembo. “Rifiuteresti il desiderio di una Dea?”
Si imporpora mentre guido la sua mano tra le mie cosce, verso il mio piacere. Mi chino su di lui, la nuvola dei miei capelli color dell'ibisco lambisce il suo volto, mentre le mie labbra lo sfiorano con un bacio che non ha nulla di casto.
Lui geme, e trema. Sorrido e gli accarezzo il volto. “Io ti amo, Numa. Ho visto così tante albe, ma nessuna sarà bella come quella che sorgerà tra poco, quella in cui diventerò tua moglie.”
Lui chiude gli occhi, mi accarezza il ventre. “Non ho nemmeno il coraggio di immaginare la mia gioia... mia adorata...”
I nostri cuori ora battono all'unisono, e la melodia mi fa salire le lacrime agli occhi, per la bellezza che esprime. In quell'istante ogni paura cade; c'è spazio solo per la luce del nuovo giorno, un giorno che nasce solo per noi... in cui scoprirò, finalmente, la felicità.

***************

La purezza di mia sorella è svanita per mano di quell'uomo, come nei miei peggiori incubi. Ora che lui l'ha fatta sua e l'ha rapita al nostro mondo, ora non mi resta altro che disperarmi?
Ho tentato ogni cosa per salvarla, per non farla cadere nelle trame del mio stesso Destino.
Io non ho mai dimenticato il giovane Irio, i suoi occhi disperati mentre la terra del Toro [1] scompariva alle sue spalle.
Povero, dolce fanciullo. Era bello e tenero, indifeso. I suoi compagni lo odiavano, e io ho fallito. Neanche averlo vendicato è servito a qualcosa. Il sapore di quel sangue crudele è svanito dalla mia bocca, ma il dolore è rimasto, è rimasta l'eco della sua risata e la sensazione dei suoi timidi baci.
Ancora, ancora e ancora io lo piango.

Forse è per questo che li odio tutti, gli umani? Perché con Irio se ne è andato anche il mio cuore?
Perché loro sono stati creati solo per portare dolore e rovina?
Perché negli occhi di Numa mi sembra di rivedere quelli del mio sfortunato amore, quindi l'invidia mi porta a dimenticare l'affetto per Egeria?
No, io non potrei mai volerle del male. Lei mi fa ricordare quanto il mondo sia bello, quanto questa vita sia degna di essere vissuta; lei illumina la mia oscurità... e io devo, posso ancora proteggerla.
Ora i due amanti dormono: entro nella casa, piena dell'intimo odore della passione, e risalgo il tetto. Mi tramuto in pioggia e mi lascio cadere sulla testa di Egeria.
Perdonami, sorella, perdonami tanto per quello che ti farò.
Ma lui non è l'unico ad amarti; io te lo dimostrerò.



NOTE

[1] Il Toro simboleggiava i Sanniti.
Presso di questa e in altre popolazioni italiche vi era il rito del “Ver Sacrum”: i bambini nati in primavera crescevano come “sacrati”, e al raggiungimento dell'età adulta erano costretti a lasciare la loro terra per creare colonie altrove. Il rito era praticato per porre rimedio all'elevata pressione demografica che gravava su questi popoli.

   
 
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