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Autore: Kim_HyunA    17/08/2015    1 recensioni
“Dovresti lasciarmi il tuo numero”. Voleva sembrare sciolto e disinvolto, ma era certo che la velocità con cui aveva parlato avesse rivelato il suo nervosismo e l’aver abbassato lo sguardo a terra l’aveva sicuramente tradito.
Kibum tornò verso di lui, un sorriso storto sul volto.
“Mi vuoi chiedere di uscire?” domandò.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un veloce boccone nella mensa ospedaliera, Jonghyun tornò in reparto per la preparazione all’operazione. Rivolse quello che voleva essere un sorriso rassicurante al ragazzo ed entrò con dottori e chirurghi nella camera.
 
La prassi voleva che in quei momenti le finestre fossero chiuse e Jonghyun si sentì terribilmente in colpa a dover abbassare le persiane davanti al volto teso dell’altro. Mormorò uno “scusa” muovendo solo le labbra, prima di escluderlo da ciò che stava succedendo nella stanza.
 
Seguì le indicazioni che gli rivolgevano gli altri medici, con anni e anni di esperienza e sicuramente maggiore competenza di lui, per preparare la paziente.
 
Quando la portarono via su una barella verso le sale operatorie, non poté fare altro che uscire dalla stanza, sentendosi leggermente stordito.
 
Era terribilmente in ansia per l’esito. Ma poi vide il volto pallido e stanco del ragazzo e si chiese che diritto avesse lui di sentirsi così coinvolto per una estranea. Di fronte alla tacita sofferenza del figlio, gli parve non aver alcun senso.
 
Si avvicinò a lui e gli mise una mano sul braccio. L’altro sembrò non notarlo nemmeno.
 
“Andrà tutto bene. Devi avere fiducia in quei dottori, sanno quello che fanno” lo incoraggiò.
 
Lo vide fare un respiro profondo. Stava cercando di tranquillizzarsi.
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Jonghyun gli lanciava qualche sguardo, incerto sul da farsi. Lo sguardo dell’altro era ancora puntato verso il corridoio lungo il quale avevano portato la madre.
 
Jonghyun decise che avrebbe preferito rimanere solo, ma non aveva ancora mosso il primo passo, che l’altro parlò.
 
“Puoi restare con me? Non mi va di aspettare da solo… mi sembra di impazzire.”.
 
La sua voce era provata, il viso esausto. Jonghyun non si sarebbe sorpreso se avesse scoperto che non aveva né mangiato né dormito in quei giorni. Si era crogiolato nell’ansia, era cotto a fuoco lento nell’incertezza.
 
“Certo” gli aveva detto, portandolo in un corridoio più isolato, dove sarebbe potuto rimanere tranquillo.
 
Si erano presi un caffè per ingannare il tempo e tenersi impegnati, e dopo la prima mezz’ora che avevano trascorso seduti quasi in completo silenzio, Jonghyun si chiese cosa stesse passando per la mente dell’altro in quel momento. Stava pensando a cosa sarebbe potuto andare storto? O a quello che le avrebbe detto appena si fosse risvegliata? O magari non stava pensando a niente e ripeteva disperate preghiere nella testa.
 
“Queste sedie sono davvero scomode” sdrammatizzò all’improvviso il ragazzo, abbozzando un sorriso. Jonghyun apprezzò lo sforzo.
 
“Sono Kibum comunque” si presentò, tendendogli una mano, e capì che stava cambiando strategia. Forse parlare e avviare una conversazione lo avrebbe aiutato a distrarsi e a distogliere anche solo per qualche minuto l’attenzione da quello che stava succedendo nella sala operatoria del piano di sotto.
 
“Jonghyun” gli sorrise incoraggiante.
 
E da lì Kibum fu un fiume in piena. Gli raccontò di come durante la sua infanzia sua mamma avesse avuto seri problemi di salute ed era stata costretta ad entrare e uscire dagli ospedali con tale regolarità che lui era stato praticamente cresciuto dalla nonna. E ora che si era trovato in quella situazione, aveva paura di perderla per sempre. Jonghyun lo ascoltò con trasporto e partecipazione, cercando di ricacciare indietro le lacrime che puntualmente gli si presentavano agli occhi.
 
Scoprì che studiava architettura all’università, ma la sua vera passione era la moda. Gli raccontò dei suoi due cani che avevano trascorso gli ultimi giorni a casa della nonna, che era troppo in là con gli anni per raggiungerlo in ospedale ed aspettare insieme a lui per interminabili ore. Jonghyun si inserì con piacere nella conversazione, parlandogli di Roo e di come fosse convinto che non sapesse di essere un cane. Gli mostrò persino orgoglioso alcune foto che aveva scattato con il cellulare. A sua volta gli aveva raccontato qualcosa della sua vita: di come aveva deciso che voleva diventare dottore (il suo desiderio di aiutare gli altri lo aveva da sempre accompagnato), di come nel tempo libero amasse guardare film circondato da candele profumate (i suoi aromi preferiti, aveva sottolineato, erano vaniglia, lavanda e cocco), o di come sul comodino accanto al suo letto non mancassero mai libri impegnati, libri che leggeva con occhiali neri dalla spessa montatura che, non solo gli facevano sembrare il volto più piccolo, ma a sua detta gli conferivano anche un’aria da intellettuale (Kibum aveva soffocato a stento una risata a questo) — anche se ultimamente li aveva dovuti trascurare a malincuore per dedicarsi allo studio. Kibum arrivò persino a prenderlo in giro quando gli spiegò del rapporto quasi simbiotico che aveva con la sorella, rivelandogli fiero che aveva una sua foto come sfondo del cellulare.
 
Jonghyun era così lieto di essere riuscito a distrarlo, di essere riuscito a vedere qualche sorriso sul suo volto altrimenti impassibile. Ma presto il suo sollievo si trasformò in disagio perché a quanto pare, aprirsi in quel modo aveva abbassato le barriere difensive di Kibum, che non era più riuscito a trattenere le lacrime.
 
Jonghyun rimase spiazzato per qualche secondo, incerto sul da farsi. Gli diede qualche colpetto sulla spalla con la mano, prima di decidere di lasciarla appoggiata, nella speranza di trasmettergli un po’ di calore. Ma forse non era abbastanza per alleviare la sofferenza dell’altro che gli gettò le braccia al collo, nascondendo il viso contro una sua spalla. Jonghyun lo lasciò fare senza problemi.
 
“Andrà tutto bene, puoi fidarti di me.”.
 
 
 

 
Finalmente, a due ore dall’inizio dell’operazione e alcuni minuti dopo che Jonghyun e Kibum erano tornati di fronte alla camera della madre, i dottori avvisarono che tutto si era concluso per il meglio e che al suo risveglio sarebbe rimasta ancora in ospedale per qualche giorno per essere tenuta sotto osservazione. Ma sembrava che Kibum non avesse nemmeno sentito la seconda parte della frase: l’intero universo era esploso di gioia per lui quando scoprì che stava bene e si sarebbe ripresa. Gli scese una lacrima liberatoria prima di stringere Jonghyun in uno stretto abbraccio pieno di gratitudine.
 
Erano rimasti nuovamente soli mentre aspettavano che la riportassero in camera, ancora sotto gli effetti dell’anestesia.
 
“Vuoi che resti a farti compagnia?” chiese ad un certo punto, per essere sicuro che lo volesse ancora lì con lui.
 
“Fino a che ora sei di turno?” chiese di rimando, era più rilassato ora e con il volto più sereno.
 
“In realtà ho finito due ore fa” confessò, portandosi una mano dietro il collo, ma non ebbe il tempo di sentire la sua risposta, perché in quel momento la barella fece la sua comparsa in corridoio e Kibum vi corse incontro con un sorriso.
 
Jonghyun li guardò sollevato e se ne andò.
 
 



Il pomeriggio seguente si sentì scaldare il cuore quando arrivò nell’ormai famigliare corridoio del quinto piano e vide Kibum e la madre che si tenevano per mano, lui immerso in una fitta conversazione.
 
Era già stata visitata da un altro medico e Jonghyun si limitò a rimanere fuori dalla stanza per qualche minuto. Quella scena gli scaldava il cuore. Erano quelli i momenti che valevano la pena andassero vissuti. Quando tutto andava bene, quando tutto si concludeva come doveva concludersi, Jonghyun era certo di aver fatto la scelta giusta nella vita.
 
Kibum alzò lo sguardo, avendo notato la sua presenza, e lo salutò allegro con la mano libera. Anche gli occhi della donna si posarono su di lui e Jonghyun salutò contento di rimando.
 
Certo, sarebbe dovuta rimanere in ospedale ancora qualche giorno, ma si sentiva il cuore molto più leggero. Era andato tutto bene. Non c’era sensazione migliore.
 
Si allontanò con un piacevole caldo all’altezza del petto che lo accompagnò per tutta la giornata fino a quando tornò a casa e strinse forte in un abbraccio mamma e sorella. Era così felice di trovarsi lì con loro, di averle vicine.
 
Finalmente aveva due giorni di riposo dall’ospedale ed era più che mai risoluto a spenderle sui libri. Non avrebbe permesso a niente di distrarlo. Neanche a Roo che lo guardava dalla porta muovendo la sua lunga coda da una parte all’altra, sbattendola pesante contro uno stipite della porta. Beh, forse il tempo di una passeggiata l’aveva.
 
 

 
 
Con la testa piena di nuove nozioni ma senza più alcun senso di colpa, tornò in ospedale qualche giorno più tardi per il turno pomeridiano.
 
Con una certa sorpresa notò che il letto della madre di Kibum era vuoto e andò a chiedere informazioni. L’avevano dimessa proprio quella mattina. Se da una parte fu sollevato che aveva finalmente potuto lasciare l’ospedale — significava che non c’era stata alcuna complicazione — dall’altra gli dispiacque non aver avuto la possibilità di poterli salutare. Si chiese se anche a Kibum fosse dispiaciuto essersene andato senza riuscire a scambiare una parola, o se la sua gioia e il suo sollievo erano talmente grandi, che non gli era nemmeno passato per la mente.
 
Con un certo rammarico si dedicò ai compiti che lo aspettavano quella giornata.
 
Nella settimana che seguì, l’umore di Jonghyun era altalenante. Oltre a sentirsi come sempre addosso le emozioni più o meno positive di chi aveva intorno, si erano intensificate anche le sue emozioni personali. Si era ritrovato a pensare a Kibum con sempre maggior frequenza. Si chiedeva se l’avrebbe rivisto, se si ricordava ancora di lui o se era stato solo una persona come tante che l’aveva sì incoraggiato, ma niente di più. E non gli era mai successo niente di simile con nessun altro in ospedale. Faceva sempre il suo dovere senza mai aspettarsi nulla in cambio, come era giusto che fosse.
 
Un mercoledì mattina stava sistemando il contenuto di un armadio di medicinali, quando vide Kibum con la madre in lontananza. Rimase talmente stupito che il braccio gli restò fermo a mezz’aria.
 
Appoggiò una boccetta, chiuse l’anta e camminò con passo veloce — in realtà quasi correva — verso di loro. Arrivò nel momento in cui la madre entrò in una stanza, lasciando Kibum fuori da solo.
 
“Hey” iniziò quasi impacciato. Ora che lo aveva di nuovo di fronte si sentiva stranamente nervoso. Perché la settimana prima era riuscito a stargli accanto tranquillo?
 
“Siamo qui per un controllo” spiegò, rispondendo alla domanda che Jonghyun non aveva nemmeno pronunciato.
 
“Come sta?” chiese, con un misto di sincero interesse e preoccupazione.
 
“Molto meglio. Ha avuto qualche leggero mal di testa negli ultimi giorni, ma sta bene.” Jonghyun non l’aveva mai visto così sereno, gli occhi luminosi e gli angoli della bocca sollevati in un sorriso.
 
Non poté fare a meno di sorridergli di rimando, contento per la buona notizia.
 
“Non ho avuto nemmeno modo di salutarti” si ritrovò a dire, prima di accorgersi che aveva pronunciato quel pensiero ad alta voce.
 
Kibum abbassò gli occhi per un istante, per poi tornare a fissarli in quelli dell’altro, che si ritrovò a deglutire nervoso. Come poteva avere degli occhi così belli? E quella cicatrice su una guancia come non aveva potuto notarla prima?
 
“Mi dispiace” iniziò a scusarsi l’altro. “Ho chiesto di te la mattina che ce ne siamo andati, ma mi hanno detto che non c’eri.”
 
Kibum aveva chiesto di lui. Aveva espressamente chiesto di lui per poterlo salutare. Jonghyun ci mise qualche secondo per registrare l’informazione.
 
Prima che potesse anche solo pensare a come rispondere, l’altro proseguì.
 
“E non ho nemmeno avuto modo di ringraziarti”.
 
Il cuore di Jonghyun prese a martellare impazzito. Se non altro, se si fosse sentito male, era già in ospedale.
 
“Non ce n’è bis—” aveva iniziato a dire sentendosi la testa leggera, ma si interruppe quando notò cosa l’altro stesse facendo.
 
Si era velocemente avvicinato a lui e prima ancora che potesse capire del tutto cosa stesse succedendo, le labbra di Kibum stavano premendo sulle sue e vi rimasero appoggiate per pochi secondi.
 
Si sentiva stordito.
 
Frastornato.
 
Cos’era appena successo?
 
Si sentiva le guance in fiamme e le gambe molli.
 
Aprì la bocca per cercare di dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono.
 
Fu salvato da quella imbarazzante situazione dalla porta che si apriva accanto a loro.
 
Kibum si allontanò con la madre, ma non prima di essersi voltato verso di lui e avergli rivolto un occhiolino.
 
 
 
 

Per tutta la giornata seguente e quella dopo ancora, sul volto di Jonghyun era stampato un sorriso che andava da parte a parte e con la sua positività e la sua gioia riusciva ad influenzare tutti quelli che aveva intorno.
 
E naturalmente il suo sorriso non era passato inosservato nemmeno a casa, e anche se si era limitato ad un sognante: “Sono solo contento” accompagnato da un’alzata di spalle, era sicuro che avessero capito. Lo conoscevano fin troppo bene per sapere che ci poteva essere una sola ragione che lo portava ad essere così spensierato.
 
Inutile dire che, nonostante le ore che trascorreva sui libri in compagnia di tazze enormi di tè fumante, non riusciva ad arrivare a fine pagina e ricordare una sola parola di quello che aveva letto. Guardava il libro senza nemmeno vederlo. Tutto quello che vedeva era il volto di Kibum davanti al suo. Si portò un dito alle labbra, tracciandone il contorno, cercando di ricordare com’era la bocca dell’altro contro la sua.
 
Osservando i movimenti in ospedale, ben presto capì che la madre di Kibum doveva continuare con gli accertamenti e con il recupero totale delle piene funzionalità tre volte a settimana e, puntualmente, se non c’erano emergenze, Jonghyun faceva in modo di incontrarli ogni volta. Ovviamente per puro caso. Quando gli passava accanto, sentiva il volto diventargli bollente, ma sperava con tutto se stesso che l’altro non se ne accorgesse. Era stupido agitarsi così, dopotutto non era stato nemmeno un vero bacio, non poteva essere durato più di tre secondi. Ma era più forte di lui.
 
Un noioso venerdì mattina, dopo aver finito il giro di routine delle stanze e dopo aver finito di riordinare alcune cartelle dei pazienti, Jonghyun non vedeva l’ora che arrivassero le undici. Era quello l’orario in cui Kibum e la madre arrivavano in ospedale per i controlli. Guardava impaziente l’orologio, sentendo crescere l’ansia ad ogni secondo che passava. Se almeno avesse avuto qualcosa con cui tenersi impegnato, il tempo sarebbe passato più velocemente. Mancavano ancora 20 minuti e mai un’attesa gli era sembrata tanto lunga.
 
Con la gola secca e il cuore che palpitava a mille, notò che la lancetta dei minuti era quasi arrivata a segnare l’ora tanto attesa.
 
Scattò in piedi e arrivò giusto in tempo per vedere Kibum che aspettava solo in sala d’attesa. E ora cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasto lì a guardarlo da lontano per tutto il tempo?
 
Ma ancora una volta Kibum lo salvò dall’indecisione, lanciandogli un sorriso giocoso — e il suo stomaco fece un triplo salto mortale — prima di alzarsi e scomparire lungo il corridoio.
 
Jonghyun colse la palla al balzo e, senza nemmeno pensarci, lo seguì. Con il cuore in gola, si chiese che intenzioni avesse.
 
Kibum camminava a qualche metro da lui, senza voltarsi. Doveva essere sicuro che l’altro lo stesse seguendo.
 
Jonghyun lo vide infilarsi in una porta e quando lo raggiunse, si trovò davanti agli occhi il divieto di ingresso al personale non autorizzato.
 
Io sono del personale, pensò mentre apriva la porta, trovandosi in una sorta di magazzino dove erano stipati materiali di ogni genere, camici, mascherine, stracci…
 
Stipati tra quegli scaffali, non gli rimaneva molto spazio per muoversi liberamente, ma l’iniziale disagio venne presto dimenticato quando l’altro gli si mise davanti. Era vicino. Troppo vicino.
 
Jonghyun non respirava.
 
Davanti al suo mezzo sorriso e alle fossette sulle guance, non riusciva più a ricordare come si ispirasse ossigeno.
 
Sentì le mani dell’altro prendere le sue e giocherellare con le dita.
 
Non sapeva cosa dire. Aveva la mente completamente vuota.
 
L’unica cosa che sapeva è che stava infrangendo un mucchio di regole e se l’avessero trovato lì, avrebbe passato non pochi guai.
 
Ma in quel momento non gli interessava poi così tanto.
 
Con l’altro così vicino, praticamente schiacciato contro il suo corpo, non sapeva nemmeno dove fissare lo sguardo. Non riusciva a guardarlo negli occhi troppo a lungo, ma se lo abbassava, la vista delle sue labbra gli annebbiava ancor più la mente. Erano così morbide, così rosa…
 
Il volto dell’altro si inclinò da un lato, facendosi più vicino e Jonghyun fece lo stesso nella direzione opposta. Sentiva la presa intorno alle sue mani farsi più salda e poteva percepire chiaramente il suo respiro caldo sul viso.
 
Se era nervoso, non lo mostrava apertamente. Ma Jonghyun non poteva dire lo stesso di sé: le mani gli tremavano leggermente, sopraffatto dalla situazione. E aveva caldo. Molto caldo. Ed era piuttosto sicuro che non dipendesse da quanto fosse piccola la stanza.
 
Per la seconda volta, Kibum posò le labbra su quelle di Jonghyun, ma questa volta non si ritrasse poco dopo, non dovevano sfuggire agli sguardi indiscreti del corridoio. E non solo non si allontanò, notò Jonghyun con piacere, ma aumentò l’intensità del bacio. La sua bocca si muoveva con più forza, con più trasporto e Jonghyun non poté fare altro che imitarlo con soddisfazione.
 
Lasciò che la lingua di Kibum scivolasse nella sua bocca, incontrando la sua. Chiuse gli occhi e si sentì crescere la pelle d’oca lungo le braccia quando le mani di Kibum si spostarono verso le sue spalle per raggiungere poi i capelli. Le sue dita si muovevano senza sosta, afferrandogli qualche ciocca.
 
“Mi piace il colore dei tuoi capelli” gli disse staccandosi per un attimo, forse anche per riprendere fiato, e guardando la sua capigliatura platino.
 
Gli avrebbe voluto dire che erano anni ormai che li teneva così, che si piaceva di più con quel colore chiaro, ma non riuscì a dire nulla, perché Kibum aveva preso a baciargli il volto, partendo dalle orecchie e arrivando fino al collo.
 
Jonghyun aveva la sensazione che, se avesse potuto, si sarebbe spinto fino al petto, ma lo scollo poco generoso del camice glielo impediva. Ma per il momento, gli bastava sentire le dita scorrergli senza sosta sul torace, per tornare poi ancora una volta tra i capelli.
 
Jonghyun realizzò di avere ancora le braccia penzoloni lungo il corpo e si sentì stupido. Gliele appoggiò contro la schiena, spingendolo verso di sé e quel maggiore contatto non fece che aumentare il calore che provava.
 
Doveva tendere il collo e alzarsi leggermente sulle punte per riuscire a baciarlo. Gli dava una piacevole sensazione trovarsi contro il suo corpo più alto e le sue spalle larghe.
 
Si sentiva premere con forza la schiena contro lo scaffale, i loro corpi non avrebbero potuto essere più vicini. Jonghyun gli infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni e, traendolo a sé, gli era sembrato di aver sentito un sorriso contro le proprie labbra.
 
Dopo quelle che parvero ore — ma Jonghyun non avrebbe avuto nulla in contrario a rimanere lì per il resto della giornata — si staccarono. Entrambi con le labbra rosse e gonfie e il fiato corto.
 
Il cervello di Jonghyun era andato in corto circuito. Non sapeva cosa dire o cosa fare. A pensarci bene, non ricordava più nemmeno il suo nome.
 
“Faremmo meglio ad andare” gli disse Kibum a pochi centimetri dal suo volto, tanto che gli venne la tentazione di far finta di non averlo sentito e riprenderlo a baciare.
 
“Vado prima io. A presto” lo salutò con un sorrisetto malizioso, prima di scoccargli un veloce bacio, mantenendo il contatto visivo.
 
Ancora sconvolto, Jonghyun lo vide uscire dal ripostiglio, chiudendosi la porta alle spalle. Sicuramente era stata una buona idea non uscire contemporaneamente, o avrebbero attirato qualche sospetto. Si trovò ad ammettere che non gli sarebbe mai venuta in mente una simile astuzia, non in un momento come quello.
 
Incredulo e con la testa che ancora gli girava, si passò le mani sul camice per lisciarlo e cercò di darsi una sistemata ai capelli, era sicuro che le dita dell’altro li avessero scompigliati in ogni direzione. Sperava di non dare troppo nell’occhio una volta uscito.
 
Stava ancora cercando di capire su quale pianeta si trovasse esattamente, quando gli passarono accanto Kibum con la madre, diretti verso l’uscita. Li seguì con lo sguardo e notò che Kibum si era voltato verso di lui, la lingua che sbucava maliziosa in un sorriso e le sopracciglia alzate in un’espressione carica di promesse.
 
Gli ci volle qualche ora per riprendersi.
 


 
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A/N: eccomi qua con la 2^ parte!
 
cosa dire, meno male che c’è kibum che prende un po’ di iniziativa, soprattutto se jong fa il timidone ahah
 
giovedì penso posterò l’aggiornamento. grazie per aver letto! c:
  
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