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Autore: Restart    17/08/2015    1 recensioni
James aveva (quasi) diciassette anni. E diciassette lividi, tra addome e braccia e gambe. Il Quiddich a volte era doloroso. Ma il Quiddich era la sua vita. Lui era il cercatore dei Grifondoro. Come suo nonno James e suo padre Harry. Suo padre. Lo ammirava così tanto, ma era difficile sostenere il peso di un padre che si chiama Harry Potter: il bambino sopravvissuto, il Salvatore del mondo magico, bla bla bla.
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Alexandra aveva altro a cui pensare. Seguiva attentamente la lezione. Quell'anno c'erano i M.A.G.O. e lei doveva essere pronta. Nessuno sapeva cosa celava sotto la sua veste da secchiona. Nessuno doveva sapere del suo doloroso passato. Lei affogava il suo dolore nello studio, a volte forsennato.
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-Quindi vorresti dire che il bambino, un bambino di sette mesi, può riportare ad una guerra magica?- chiese sarcastica Ginny.
-Non ora, ovviamente. In un futuro non troppo lontano. James non sa niente. Però la profezia che dice Hermione?- chiese Harry all'amica.
-Non posso prenderla. Non è proprio una profezia è più una maledizione. Quel bambino è stato maledetto quasi cento anni fa. Nessuno può sentire cosa dice quella "profezia-maledizione" se non Alexandra
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, Lily/Scorpius, Ron/Hermione, Sirius/Lily, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
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James entrò in quella stanza con passo lento. Sentiva le assi di legno poste a mo’ di pavimento scricchiolare tristemente ad ogni suo passo. Il fetore che aleggiava non era affatto indifferente. E poi lo scorse. Il quadernino sconcio era aperto su una sorta di altare. La cura per il vaiolo era lì davanti ai suoi occhi. Ma qualcosa lo fermò. Sentì la porta cigolare e poi chiudersi con un colpo secco. C’era qualcuno dietro di lui. Si guardò attorno, cercando una scappatoia, ma quella cella non aveva finestre. L’unica fonte d’illuminazione era una fiammella flebile di una candela ridotta a cera gocciolante. Sentì dei sospiri lenti e caldi da sopra le spalle che gli facevano accapponare la pelle.
“Sei arrivato a destinazione piccolo Potter. Ma come sempre la conclusione è sbagliata” la voce era secca e gracchiante.
“La conclusione non è affatto sbagliata” ringhiò lui improvvisamente. Strinse ancor di più i pugni, ficcandosi le unghie corte nei palmi morbidi delle sue mani.
“Hai lasciato la ragazza da sola per venire a prendere una cosa totalmente, futile, come te, come lei e come tutta quella gentaglia di cui vi siete circondati” stava girando attorno alla stanza, cercando di catturare uno sguardo da parte di James, ma lui si rifiutava di muovere un solo muscolo.
“Lei non è sola. Lei non ha bisogno di me. Lei ha tutto quello che vuole” si morse rapidamente il labbro per non far trasparire il tremolio della voce.
“Non credo. Lei non ha mai vissuto l’adolescenza. Lei ha praticamente perso due figli e l’amore della sua vita, ovvero te, brutto imbecille e adesso anche un padre. L’unica cosa bella che le possa succedere è morire. Ma non temere, non le faremo mancare niente” anche se non la poteva vedere, James intuì che stesse sorridendo.
“Cosa è successo a Dean?” domandò lui.
“Uhm, è andato a vivere in un posto migliore di questo. Adesso sta sicuramente meglio” James si lasciò sfuggire un piccolo gemito. Lexie ancora non lo sapeva.
“Prendi pure il diario. Vattene. Non farti più vedere” sbottò ad un certo punto l’ombra alle spalle del ragazzo. Lui esitò un momento per poi lanciarsi lui diario aperto e scappare via. Si fermò solo per prendere fiato. Era arrivato in una stanza completamente spoglia da ogni cosa, tutte le pareti ricoperte da uno spesso strato di quella che sembrava cera. Era solo lui, lui e il diario. Si guardò attorno cercando una via di fuga che non c’era. Si stropicciò gli occhi furioso, ma quando riaprì le palpebre al posto della cera candida c’erano macchie scure che sembravano incrostate. Sangue. Sentì pizzicare il naso per il fetore che piano piano si faceva strada attraverso le pareti. La testa iniziò a girargli e le gambe si fecero pesanti. S’inginocchiò davanti a un angolo e grattando con le unghie cercava di aprirsi un varco, ma la cera ricresceva piano piano così come le macchie di sangue. Ormai anche le sue mani erano ricoperte da rivoli di quel liquido rosso, dolciastro. Se le portò al volto capendo di non poter più uscire di lì.
“Questa è la tua prigione James. Te la sei costruito da solo, non puoi uscirne” la voce di prima era riapparsa alle sue spalle. Non si voltò a guardare il viso al quale quel suono gracchiante e fastidioso apparteneva.
“Fammi uscire! Voglio uscire di qui! Voglio andare da Lexie e da mia figlia. Lasciami andare” l’urlo furioso si trasformò lentamente in un pianto supplichevole.
“E’ la tua prigione, la tua mente. Tu non puoi uscirne e non vuoi” rispose con calma la voce.
“Certo che voglio uscire! Voglio mia figlia, voglio mia moglie!” era la prima volta che lo ammetteva. Rivoleva indietro Emma. Rivoleva indietro il suo piccolo raggio di sole. Lexie era improvvisamente passata in secondo piano. Lei aveva suo marito, non aveva bisogno di James. Ma lui non aveva più una moglie e aveva bisogno di Alexandra.
“Voglio Lexie” piagnucolò lievemente.
“Nessuno ti riporterà indietro tua moglie e nemmeno Lexie. Le hai messe in pericolo per via del tuo stupido egoismo. Se la vita ti sorriderà anche solo un minuto dovrai accontentarti di Caroline” James aggrottò le sopracciglia confuso.
“Cosa significa?” chiese.
“Lo capirai” rispose la voce e lui capì che la sagoma se ne era andata, portando con sé il diario. L’unica compagnia che gli era rimasta erano le sue lacrime. Si rannicchiò in un angolo, tirando a sé le gambe lunghe e toniche, aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivato
Si ricordò di quello che le aveva detto quella mattina Lexie con le lacrime agli occhi.
Johanna è morta
E lui era scappato. Aveva corso finché non sentiva i polmoni andare a fuoco e le gambe tremare. Ed era finito in quel posto scabroso. Era entrato velocemente, facendo scricchiolare le assi di legno marce. C’era puzza di escrementi, di malinconia, di morte.
E in quel momento, quella stanza spoglia, desiderava esser tornato indietro, da Lexie, da Caroline. Provò a piangere, ma era rimasto senza lacrime. Si sentiva la gola secca e lo stomaco chiuso dalla fame. Strinse gli occhi cercando di pensare al primo sorriso di sua figlia, ma i morsi lo costringevano a sognare altro. Piano piano cadde in un sonno tormentato. 
Vide Johanna che lo accarezzava da bambino, con i capelli corvini raccolti in una treccia e gli occhi che splendevano. Poi suo padre l’abbracciava, l’abbracciava e la baciava sulle guance morbide. Vedeva lontano Ginny parlare dolcemente con Edward, guardarlo in un modo in cui non aveva nemmeno mai guardato suo padre. Lui era diventato trasparente. Nessuno faceva più caso a lui, che di soppiatto osservava la madre uscire di casa la notte fonda, per raggiungere il castello dell’amante. Poi sentì il pianto di una bambina, dai capelli rossi e dagli occhi verdi. Non gli occhi di Harry, gli occhi di Edward.
Si svegliò gocciolante di sudore. La camicia che indossava era fradicia e tremava lievemente. Per un attimo si chiese dove fosse, ma quado vide le pareti immacolate, capì immediatamente.
Il sogno.
Il sogno che aveva fatto era la spiegazione di una parte della sua storia. Della storia della sua famiglia. Lily non era figlia di Harry. E probabilmente nemmeno Albus.
Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di parlare con sua madre.
Ma lui era lì, non sapeva come uscire.
“Fatemi uscire, per favore!” cercò un urlo che non riuscì a trovare. La voce era bassa, tremante, debole.
“Fatemi uscire” un lieve sussurro, prima di ricadere nel sonno.
C’era Lexie questa volta, protagonista dei suoi sogni. Aveva il vestito di chiffon blu che gli aveva regalato per il compleanno ed era bellissima.
“James, hai tu la chiave per uscire” non diceva altro. Gli occhi erano vacui, fissava solamente un punto dietro di lui.
“Non ho la chiave”
“James, hai tu la chiave per uscire” e poi svanì. Si era svegliato di nuovo.
Aveva freddo, fame, sete, ma non aveva nulla. “Hai tu la chiave per uscire” si tastò le tasche dei jeans, ma erano vuote. Dette un pugno rabbioso alla parete di fianco a sé e questa si sgretolò.
Era libero.
Corse a perdifiato verso quella porticina lontana. Quando l’aprì poté sentire l’aria fresca.
No, non sentì niente. Solo il fetore della morte.
Era in un castello e una battaglia aveva preso inizio.












||Penultimo capitolo (sigh) della storia. Non ci posso credere che sia quasi finita dopo un anno. Capitolo che si incentra su James (che me piace tanto) e su un viaggio al'interno della sua psiche (spero di aver reso abbastanza l'idea). 
Vorrei ringraziare tutte le persone che seguono questa storia. Grazie tante! 
Un bacio e al prossimo capitolo 
Restart
   
 
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