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Autore: Beatrix Bonnie    18/08/2015    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 18
Un salto indietro nel tempo IV


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Rory Tir Chonail O'Donnell di Sir Eriu Gulbain sapeva benissimo di non essere più conte di un bel niente da quando aveva lasciato l'Irlanda. Non aveva nemmeno avuto bisogno del gufo di conferma che Con O'Neill, il giovane figlio di Hugh, aveva loro mandato qualche settimana dopo la loro partenza: sapeva già benissimo che quel cane di Deamundi avrebbe fatto di tutto per buttarli fuori dalla nobiltà. Eppure sperava di contare ancora qualcosa per la società magica. Purtroppo, non era stato così.
Avevano bussato a tante porte, ma molte di esse erano restate chiuse: a quanto pareva, nessuno voleva mettersi contro la potente Inghilterra. La loro prima destinazione era stata la Spagna, che a lungo aveva accolto e protetto suo fratello Hugh, ma la Provvidenza aveva intercesso per loro affinché una tempesta gli impedisse di raggiungere le coste iberiche. Si erano allora recati in Francia, per chiedere aiuto all'importante stregone Guillaume Fouquet, ministro del re. L'uomo si era dimostrato disponibile nei loro confronti, nonostante tutto, e aveva anche cercato di intercedere per loro presso re Enrico. Ma Rory sapeva di non poter far leva sulla comune appartenenza religiosa, dato che il tiepido cattolicesimo di Enrico era solo una forma di convenienza per poter tenere il regno: infatti, si diceva di lui che, di fronte alla possibilità di ottenere il trono di Francia in cambio della sua conversione al cattolicesimo, avesse esclamato: “Parigi val bene una messa”. Se non era la fede a legarli, non poteva nemmeno essere la magia, dato che il re non solo era Babbano, ma non era nemmeno a conoscenza del fatto che il suo ministro Fouquet fosse un mago. Quanto meno, il re si era comunque dimostrato disponibile, rifiutando a quel voltagabbana di re Filippo di Spagna l'estradizione. A quanto pareva, dopo che aveva protetto suo fratello Red Hugh e aveva appoggiato la sua rivolta, Filippo aveva timore della reazione della corona inglese e voleva arrestare i fuggiaschi. Rory ringraziò Iddio che la tempesta avesse impedito loro di approdare sulle coste spagnole, altrimenti re Filippo li avrebbe immediatamente consegnati a lord Chichester e di certo sarebbero stati sbattuti in qualche prigione a prova di mago. Marcire nelle segrete di Londra, bella fine per due degli stregoni più importanti d'Irlanda!
Era stato allora che Rory aveva capito di dover cambiare tattica: se non erano i re ad accoglierli, che fosse almeno la Santa Chiesa a onorare il suo nome di madre e la sua vocazione all'ospitalità. Così, dall'austera Parigi, Rory e Hugh si erano messi in marcia verso Roma. Sul loro lungo cammino, avevano incontrato a Lione un mago mercante arabo di nome Abdul-Qaadir Ebn Assad, che era diretto a Venezia. Con lui avevano percorso molta strada, lungo la zona meridionale della Francia, attraversando le Alpi e infine viaggiando nei domini spagnoli in Italia. Si era dimostrato un uomo leale e addirittura un valido amico, quando li aveva fatti nascondere nella sua carovana, camuffandoli tra i suoi servitori arabi, per attraversare indenni i territori spagnoli.
«Mai si può dire che un cristiano abbia trovato in un musulmano un così grande amico come io ho trovato in te, Abdul-Qaadir» si congedò da lui Rory, quando le loro strade giunsero a dividersi.
«Ho visto la dignità nei tuoi occhi, Rory della terra di Eriu» rispose l'arabo. Prima di separarsi, Abdul-Qaadir consegnò loro molti doni, tra i quali anche erbe e preziosi manufatti della sua terra, che Rory e Hugh poterono ricambiare solo in minima parte. «Salam aleikum» li salutò infine.
«Aleikum salam.» Rory si inchinò a quel grande uomo e si rimise in cammino verso il suo destino.

Rory O'Donnell e Hugh O'Neill giunsero a Roma nell'aprile del 1608, ben otto mesi dopo essere salpati in fretta dalle spiagge irlandesi. Roma era una città in fermento. Dove un tempo sorgeva l'antica basilica di san Pietro, sul luogo della sepoltura del martire, ora c'era un gran cantiere: gigantesche impalcature di legno, carpentieri ovunque, blocchi di marmo grossi come montagne. Si parlava di costruire un colonnato superbo, che abbracciava l'enorme piazza, e cupole più alte del cielo. Una basilica che facesse risplendere la magnificenza stessa della città papale, grandiosa come le vestigia di un tempo e espressione della potenza del portavoce di Dio in terra.
Rory e Hugh approfittarono del tumulto che regnava per le strade per far passare inosservato il loro arrivo in città; con tutto quell'andirivieni di artigiani, mercanti e carpentieri, nessuno si preoccupò di una piccola carovana di stranieri dai capelli rossi e dalla lingua strana. Si poterono così incontrare indisturbati con Mekaster, l'uomo di fiducia di Rory, che li fece alloggiare in una villa di campagna abbandonata, situata su uno dei colli di Roma. Ma per quanto Mekaster fosse bravo nel suo mestiere, non aveva contatti sufficientemente altolocati per introdurre i suoi signori alla curia del Patriarca.
Rory e Hugh cominciarono con l'ispezionare l'Ager Gaianum Magorum, la parte magica di Roma, cui si accedeva tramite un passaggio segreto in una vecchia cisterna sotterranea dell'età romana, poco distante dalla basilica di san Pietro. Il nome derivava dalla zona transtiberina dove spontaneamente i maghi della Roma antica si erano riuniti a vivere – l'ager Gaianum, appunto – ma ormai da tutti era chiamato solamente il Gaianum. Aveva un aspetto particolare, quasi bizzarro: i maghi romani avevano conservato per lunghissimo tempo, fino al X secolo e oltre, i costumi, le tradizioni e perfino la lingua dell'antico Impero Romano, in contrapposizione ai Barbari Babbani, che penetravano e si infiltravano nella società, e alle novità dell'Oriente che minacciavano di far crollare il glorioso mos maiorum.
Ma poi, quando il Medioevo aveva ormai imposto la sua impronta su Roma, trasformandola da capitale di un impero pagano a rinnovata potenza religiosa d'Occidente, pian piano anche il Gaianum cambiò il suo volto. La roccaforte dell'antica romanità fece penetrare al suo interno i nuovi costumi e la nuova mentalità: il cristianesimo si impose sui templi pagani, le toghe porpora si mescolarono con le tuniche e le brache germaniche, il latino si imbarbarì con termini stranieri e volgari.
Alle soglie del XIII secolo, si poteva veder passeggiare per il Gaianum un patrizio colla toga insieme ad un chierico nella sua tonaca scura. Il quartiere aveva acquisito un carattere eccentrico, nel quale tuttavia aveva trovato il suo equilibrio. I maghi erano ormai tutti cristiani cattolici, sudditi del Patriarca Magico, per quanto restassero particolarmente attaccati alle antiche tradizioni romane. La chiesa cattedrale del Patriarca era un antico tempio circolare, con un colonnato marmoreo sul frontone, mentre la sede della curia era un nuovissimo palazzo barocco completamente affrescato, con una delle biblioteche più fornite del mondo magico. Ormai molti elementi si fondevano insieme, per creare un unicum davvero straordinario: antichi costumi romani, cattolicesimo del Patriarcato e novità del neonato diciassettesimo secolo davano vita alla più straordinaria comunità magica d'Europa.
Erano passati pochi giorni dall'arrivo a Roma dei due fuggiaschi con la loro comitiva, quando Mekaster si presentò alla porta accompagnato da una figurina ammantata, che teneva le redini di un cavallo schiumante.
«Mekaster, cosa diavolo...» cominciò a gridare Rory, pronto a metter mano alla bacchetta, ma dovette interrompersi quando la figura si levò il cappuccio. Riccioli castani incorniciavano un volto da ragazzino, stanco e spaventato.
«Conn!» esclamò di getto il vecchio Hugh, stringendo il figlio in un abbraccio. «Cosa ci fai qui?» gli domandò poi, dopo aver sciolto la stretta.
«Hugh, fallo sedere» intervenne bonariamente Rory, che aveva notato la spossatezza del ragazzino.
Hugh si fece da parte, permettendo la figlio di accomodarsi in casa. Lui si lasciò cadere su una sedia, passandosi una mano sul volto stanco e provato. «Inseguo le vostre tracce da mesi» si giustificò con un accenno di sorriso.
«E il Trinity?» si informò Hugh: dal momento che il figlio aveva solo quindici anni e non aveva ancora finito gli studi, sarebbe dovuto essere a scuola, non in giro da solo per le lande europee a inseguire le tracce della loro fuga.
Conn scosse la testa. «Ho abbandonato il Trinity, padre. Non siamo più i benvenuti nella società magica d'Irlanda.» Il ragazzino si levò il mantello e accettò grato il boccale di acqua fresca che Mekaster gli aveva portato. «È per questo che ho cercato di raggiungervi. Le vostre mogli aspettano mie notizie dalle coste della Normandia, desiderose di raggiungervi.»
Al solo sentir nominare sua moglie Eorann, Rory fu investito da un'ondata di nostalgia. Pensò alla sua pelle candida che non accarezzava da tempo, al suo sguardo dolce, ai suoi capelli dorati, alla voce mite e leggera. E poi pensò al figlio che non aveva potuto veder nascere, di cui non aveva mai avuto nemmeno una notizia. Non sapeva nemmeno come si chiamasse. Alzò gli occhi sofferenti su Conn, pieni di angoscia e malinconia, e non ci fu bisogno di parole.
Conn sorrise. «Sta bene, è un maschio» annunciò. «Ha i capelli rossi e sua madre l'ha chiamato Hugh.»
Rory sentì le forze venirgli meno, per quell'improvviso conforto che gli avevano portato le notizie del giovane Conn, e fu costretto a sedersi. Avrebbe voluto piangere per il sollievo, ma pensò che le difficoltà non erano ancora terminate e avrebbe fatto bene a risparmiare le lacrime per la fine delle loro tribolazioni.
«Figliolo, mettiti in contatto con le donne» asserì il vecchio Hugh, col volto grave. «Credo che Roma sarà la nostra casa per un bel po'.»

Rory e Hugh ci impiegarono quasi tre settimane, dal loro arrivo a Roma, prima di riuscire a farsi introdurre in casa di Ottaviano Crescenzi, uno dei più importanti patrizi del Gaianum. Da quel che Rory era riuscito a capire, il nipote di Ottaviano, il cardinal Giuliano Crescenzi, era il segretario del Patriarca. Gente importante, insomma, a cui avrebbero potuto chiedere protezione e un luogo sicuro dove nascondere il loro segreto.
Oltretutto, Conn si era messo in contatto con Rosemary, Eorann e il loro seguito: li avrebbero raggiunti a Roma al più presto. Forse Hugh aveva davvero ragione: tutte le cose si stavano mettendo a posto e quella terra sempre soleggiata sarebbe potuta essere la loro nuova casa.
«Noi siamo pronti, Rory» annunciò proprio in quel momento Hugh, presentandosi in ingresso con i suoi due figli al seguito. Tutti indossavano gli abiti migliori tra quelli sopravvissuti al lungo viaggio.
Anche Rory aveva scelto il completo verde scuro di seta e broccato che indossava solo nelle grandi occasioni. «Allora andiamo» asserì, facendo cenno a Mekaster di mostrar loro la strada.
Scesero a piedi dal colle sul quale si trovava la loro casa provvisoria, per inoltrarsi nel dedalo di viuzze di Roma, fino a giungere all'entrata dei Gaianum. La casa di Ottaviano Crescenzi, almeno quella di rappresentanza, aveva sede in un'antica domus romana, situata nella zona nord del Gaianum. Mekaster li portò fin davanti all'abitazione, ma poi disse che quello non era luogo per lui e si dileguò per le strade affollate dai maghi romani. Fu lo stesso padrone di casa a venire ad aprire loro la porta, facendoli accomodare in una stanza affrescata che dava sul portico interno, arricchito di piante esotiche e freschi giochi d'acqua. Alcuni altri uomini erano semi sdraiati su dei divanetti particolari, con il bracciolo solo da una parte – quella dove poggiava la testa; chiacchieravano tranquillamente tra loro, sotto un grande crocifisso ligneo appeso alla parete opposta al portico. Tutti erano vestiti alla maniera romana: i maghi del Gaianum, infatti, indossavano spesso la toga sopra il farsetto, come segno distintivo; il che creava un bizzarro accostamento di antico e moderno.
Il padrone di casa disse qualcosa nella sua lingua madre agli ospiti presenti in salotto e questi si alzarono in silenzio e lasciarono la stanza. «Possiamo parlare in latino?» domandò allora Crescenzi, indicando dei divanetti su cui sedersi. Era un uomo di mezz'età, con i capelli corti, alla moda romana, spruzzati qua e là di grigio; aveva gli zigomi pronunciati e il mento con una fossetta nel mezzo, ma in generale il suo volto aveva un aspetto gradevole e insieme autoritario.
«Dovrete allora perdonare il nostro latino, an tUasal Crescenzi» mormorò un po' a fatica Rory, che non aveva mai avuto una gran dimestichezza con quella lingua, per quanto l'avesse studiata al Trinity e fosse stato costretto ad utilizzarla in più di un'occasione. Scelse anche di riferirsi al suo ospite con il titolo di 'messere' usando il suo idioma, il gaelico. Non era infatti sicuro che Crescenzi avesse una qualche carica onorifica o nobiliare, né era certo di sapere come funzionasse il patriziato romano.
L'uomo accettò le scuse con un sorriso di comprensione. «Quali occorrenze vi portano a Roma, così lontano da casa?» domandò loro, mentre veniva servito del vino allungato con acqua e miele.
Rory, abituato al sapore intenso della birra, lo trovò disgustoso, ma cercò di non darlo a vedere. «La ricerca della pace» rispose infine. «E di un luogo sicuro dove poter stare, lontani dalle grinfie protestanti.»
I bei lineamenti di Crescenzi si contrassero in una smorfia. «Non si è mai abbastanza al sicuro da quelli» commentò. «Le loro pretese sono ridicole, non sanno a cosa stanno andando incontro.»
Hugh annuì mesto. «In patria la situazione è drammatica» intervenne, in un latino più fluido di quello di Rory. «La corona inglese espropria le terre a noi Irlandesi per darle ai suoi maledetti coloni protestanti.»
Crescenzi si voltò verso l'interlocutore dalla lunga barba grigia. «Non c'è modo di ricorrere alla magia per fermare tutto questo?» si informò. «A volte i Babbani sono facilmente influenzabili.» E in quella semplice affermazione gli ospiti colsero tutta la pericolosità del Patrizio Ottaviano Crescenzi, che tanto si era dimostrato benevolo nei loro confronti, tanto avrebbe potuto rivelarsi terrificante se avesse deciso che fossero nemici.
Rory prese un profondo respiro: la conversazione si stava procedendo bene, ma non voleva rischiare di compromettere tutto. «Ci abbiamo provato, finché non è arrivato Lord Chichester» rispose infine. «È un mago anche lui, e maledettamente abile.»
Il Patrizio sollevò un solo sopracciglio in un'espressione sorpresa. «Ma tutta la nobiltà magica irlandese... contro un solo uomo?»
«Non siamo uniti» spiegò Hugh. «C'è troppa rivalità: il conte Deamundi ha continuato ad ostacolarci, cosicché la sua famiglia diventasse la più potente dell'Irlanda magica.»
«E ci è riuscito» aggiunse Rory con amarezza.
«Dove porta la sete di potere» commentò saggiamente Crescenzi, sorseggiando il suo vino con aria meditabonda. «Io non posso fare molto per le sorti dell'Hibernia, purtroppo. Ma avrete il mio sostegno, fintanto che resterete a Roma» annunciò infine. «E quello di mio nipote, sua eminenza il cardinal Giuliano Crescenzi. Credo che non ci saranno problemi anche a farvi incontrare direttamente col Patriarca; dopotutto, anche lui è Irlandese e sicuramente condividerà le vostre preoccupazioni.»
Finalmente, dopo tanti mesi, Rory si aprì in un sorriso. «Non sappiamo come ringraziarvi per quello che state facendo per noi.»
«Non è nulla» minimizzò Crescenzi. «In fondo, noi cattolici dobbiamo restar uniti in tempi difficili come questi.»

Quando lasciarono la domus di Ottaviano Crescenzi, mancava ormai poco al tramonto. Rory era fiducioso che le cose si stessero finalmente sistemando per il meglio: Crescenzi era un uomo d'onore e con il suo aiuto, se anche non fossero riusciti a tornare in Irlanda, quanto meno avrebbero potuto trovare un luogo sicuro dove rifugiarsi. E nascondere il loro segreto.
I quattro maghi irlandesi giunsero alla vecchia cisterna sotterranea e attraversarono il passaggio segreto per tornare nella Roma Babbana. Rory, l'ultimo che chiudeva la fila, non riuscì a capire che cosa avesse agitato tanto i suoi compagni finché non risalì anche lui dall'antica botola, per ritornare alla luce del sole morente. Là, illuminata dal rosso del tramonto, brillava una dama dai lunghi capelli dorati, con in braccio un bambino paffuto. Rory per poco non si inciampò nella botola, per la fretta di uscire e correre ad abbracciare sua moglie.
«Eorann!» Il grido gli uscì soffocato dai singhiozzi, mentre stringeva tra le braccia la sua amata.
«Rory, questo è tuo figlio Hugh» mormorò dolce la donna, mettendogli tra le braccia un bel bimbo di circa sette mesi, con gli occhi vispi e i ciuffi di capelli rossicci. «Hugh, saluta tuo padre.»
Il bambino gorgogliò e si aprì in un sorriso gioioso.
«Ciao, piccolino» sussurrò Rory, lasciando che il figlio stringesse la manina paffuta intorno al suo dito. Per qualche tempo l'uomo si perse nella contemplazione di quella creaturina tanto straordinaria, che era sangue del suo sangue ed erede della stirpe degli O'Donnell. Ma poi tornò a concentrarsi su sua moglie e, noncurante delle regole del buon costume, le mise una mano dietro la nuca, la attirò a sé e la baciò a lungo.
«Rory, rientriamo» lo incitò Hugh, più ragionevole. Non era il caso di attardarsi troppo, visto che il sole era ormai tramontato.
Rory si separò dalla moglie e accennò un segno col capo. Salutò anche Rosmary, la moglie di Hugh, e fece un cenno a Mekaster, senza dubbio l'autore di quella sorpresa. Fece per incamminarsi quando...
«Cosa hai visto?» domandò preoccupata Eorann, mentre riprendeva in braccio il piccolo Hugh.
Rory scosse la testa. Gli era parso di vedere un'ombra solitaria che si aggirava nel cantiere della basilica di San Pietro, ma forse si era sbagliato. «Nulla, nulla. È meglio se andiamo.»
Si incamminarono tutti verso i colli, troppo emozionati per via di quel ritrovo inaspettato per poter parlare. Dopo ci sarebbe stato il tempo per le parole. Quello era il momento della contemplazione silenziosa e del dolce meditare nel cuore.
Rory non riusciva a togliere gli occhi di dosso dalla moglie. Quanto gli era mancata, quanto aveva temuto di non poterla rivedere, di non poterla più riabbracciare, accarezzare, baciare.
Ma poi un rumore soffocato alla sua sinistra lo fece voltare d'improvviso e fu allora che la vide: la figura che aveva intravisto tra le travi di legno delle impalcature si era delineata nei contorni di un uomo in armatura, ma le lunghe ombre del tramonto impedivano a Rory di distinguerne il volto.
Eppure... quella cappa azzurra bordata d'oro non l'avrebbe scordata facilmente. La mano gli corse istintivamente alla bacchetta, proprio mentre altre figure apparivano tra le ombre.
«Scappate!» ordinò frettoloso alle donne, preparandosi a combattere.
«Rory, che succede?» Eorann lo guardò allarmata, stingendo tra le braccia il suo piccolo.
Ma anche Hugh aveva riconosciuto la figura e fece cenno alla moglie Rosemary di eseguire velocemente l'ordine di scappare. La donna capì al volo la gravità della situazione per cui convinse Eorann e il giovane Conn a seguirla in fretta.
Rimasero a fronteggiare i nemici solo Rory, Hugh, suo figlio Matthew e il fedele Mekaster.
L'uomo in armatura e cappa azzurra fece qualche passo avanti, finché i suo avversari non poterono gustare tutto il sarcasmo dell'orribile ghigno che gli incurvava la bocca. «Finalmente ci rivediamo.»
«Chichester» rispose tagliente Rory. «Come hai fatto a trovarci?»
«È Lord Chichester, per te, O'Donnell.» L'uomo si sistemò la cappa azzurra. «Comunque è stato semplice: era da un po' che tenevo sott'occhio le vostre mogli, certo che presto o tardi mi avrebbero condotto da voi.»
Rory strinse più forte la presa sulla sua bacchetta, improvvisamente investito da un'ondata di rabbia: immaginare quel verme che spiava la sua dolcissima moglie e il bambino, quando lui non aveva nemmeno potuto assistere alla sua nascita, né accarezzare i capelli di Eorann per tutto quel tempo...
«Siamo giunti alla fine!» latrò in preda al furore, puntando la sua arma contro quella serpe.
Chichester si lasciò sfuggire un ghigno. «Sì, ma è la tua fine.» Veloce come un lampo nel cielo, l'uomo si fece scivolare la bacchetta tra le dita e scagliò una maledizione silente, che Rory evitò per un soffio.
Fu il segnale: le guardie di Lord Chichester attaccarono simultaneamente, addestrate a null'altro che duellare e vincere. Hugh e Matthew incominciarono a retrocedere, parando a stento i colpi dei nemici. Lampi di luce illuminarono il crepuscolo, con il sole ormai tramontato oltre le colonne in costruzione della piazza.
Rory si lanciò come una furia contro Chichester, scagliando ogni maledizione che gli venisse in mente, ma il suo avversario era un ottimo duellante e parò con facilità. Si inseguirono e si rincorsero tra le impalcature di legno, i blocchi di marmo semi scolpiti e gli attrezzi da lavoro abbandonati. Gli incantesimi riempivano l'aria come il rombo assordante di una cascata, rendendo il cantiere abbandonato simile ad lugubre campo di battaglia. Chichester era rapido, scattante e con i sensi allenati da numerosi scontri: le sue maledizioni, precise come il lavoro di un orefice, raramente mancavano il bersaglio, tanto che Rory era quasi sempre costretto a difendersi e aveva poche occasioni di attaccare.
«Qui nemmeno i tuoi angeli potranno proteggerti, O'Donnell» lo schernì Chichester, proprio mentre gli faceva crollare addosso le macerie del cantiere. Rory si tuffò di lato appena in tempo. Ma le parole canzonatorie del nemico gli avevano fatto balenare in mente un'idea. «Piertotum locomotor!» gridò, lanciando l'incantesimo contro le statue degli angeli che gli scultori stavano ultimando. Funzionò. Tre di esse, ormai finite, si innalzarono in volo maestose e poi si lanciarono in picchiata contro Chichester.
L'uomo colpì la prima che era ancora in aria, stagliata contro il cielo del vespro: la statua si frantumò in mille pezzi. Poi Chichester, rapidissimo, estrasse la spada dal fodero e si preparò all'assalto. Parò i colpi di spada dell'angelo, scagliò una maledizione contro l'altro, staccandogli un braccio, poi piroettò su se stesso e parò l'incantesimo di Rory. Infine, fece un balzo all'indietro e si aggrappò alle impalcature, sparendo tra le travi.
Rory si affrettò ad inseguirlo, ma la statua dell'angelo fu più rapida: si tuffò sul pontile, la spada puntata davanti a sé, e tallonò il fuggiasco che saliva sempre più in alto. Mentre Rory si arrampicava, il sordo rumore del metallo contro il metallo risuonava nella piazza. E poi un «Reducto!» squarciò il cielo e Rory dovette coprirsi il volto con il braccio per evitare di essere accecato dalle schegge di marmo che erano esplose in ogni direzione.
Lì, ricoperto di polvere bianca marmorea, in piedi come un conquistatore, con la spada sguainata e la bacchetta pronta, stava Lord Arthur Chichester. «Non credo bastino i tuoi giochetti, O'Donnell» ghignò, ripulendosi il volto con la manica del farsetto.
Il duello ricominciò; ma questa volta, ad aggravare la situazione, c'era la pericolosità del terreno di gioco: le impalcature parevano reggersi in piedi per un qualche miracolo divino. Fu dopo qualche colpo di incantesimi che Rory mise un piede in fallo e la trave su cui si era poggiato crollò sotto il suo peso. Si ritrovò carponi qualche piano più sotto, il corpo dolorante e ricoperto di schegge di legno. La bacchetta era persa chissà dove.
Chichester gli fu subito addosso: con un incantesimo lo scagliò contro una trave dell'impalcatura e si preparò al colpo fatale. Rory, semi intontito, sguainò a sua volta la spada, mettendosi in posizione di difesa. La sua mano sinistra scivolò tra le pieghe dei pantaloni, alla ricerca dell'unica cosa che avrebbe potuto porre fine per sempre a quell'inseguimento durato ormai troppi anni.
Chichester sorrise sarcastico di fronte al suo pallido tentativo di difesa. Attaccò come un fulmine, assestando colpi di spada precisi e rapidissimi. Rory si difese e contrattaccò, ma sapeva di non aver alcuna possibilità in quel duello. Dopo qualche tiro di spada, infatti, Chichester sembrò stancarsi di giocare con la preda. «Expelliarmus» sibilò, senza nemmeno preoccuparsi di dover usare un incantesimo silente. In fondo, il suo avversario come avrebbe potuto parare?
La striscia di Rory volò lontano. Lui cercò di ripararsi dietro una trave, ma sapeva sarebbe stato inutile. Nella sua mano sinistra stringeva una piccola capsula di sottilissima terracotta: con un ultimo respiro, se la ficcò in bocca e si preparò a fronteggiare il suo nemico.
Lord Chichester era lì in piedi, con la bacchetta puntata al suo petto. «È finita» disse. «Non ci saranno per te le prigioni e il perdono reale. Questa storia la concludo a modo mio.»
«Marcirai all'inferno!» gli sputò addosso Rory.
Chichester sorrise. «Tielle per te le tue lezioncine di catechismo da cattolico» replicò sarcastico. «Io regnerò in terra.» Alzò la bacchetta su di lui, pronto a colpire. «E regnerò nell'Ade! Avada Kedavra!»
Accadde tutto in un lampo. Rory spezzò tra i denti la capsula e un liquido amaro gli anestetizzò la bocca. Ma non ebbe nemmeno tempo di rendersene conto che il lampo verde l'aveva già investito in pieno.
E Rory O'Donnell stramazzò a terra.









Carissimi,
no, non sono scomparsa, rapita dagli ufo o impegnata in un'avventura con Gandalf... purtroppo in questo periodo la mia ispirazione va e viene e ho avuto ripetutamente bisogno di pause. Ma, non mi stancherò mai di ripeterlo, non potrei abbandonare Ed e gli altri al loro destino!

Comunuque, per farmi perdonare i mesi d'assenza, questo è un capitolo ben fornito! Spero che la parte storica non risulti troppo noiosa, ma dovevo in qualche modo raccontare le peregrinazioni dei poveri Conti in fuga.
Quanto alle mie speculazioni sulla parte magica di Roma, ho dato libero corso alla fantasia: ho immaginato infatti che - dal momento che i maghi per come li descrive la Rowling sono tendenzialmente conservatori e avversi alle novità (vogliamo parlare dell'uso delle candele??) - anche i maghi di Roma (e Italiani in generale) avessero conservato con orgoglio alcuni elementi della romanità classica, soprattutto in spregio ai barbari. Comunque avremo modo di tornare nel Gaianum anche nel prossimi capitoli. Ah, per il nome mi sono ispirata al Vaticanum, la cui origine è simile a quella descritta per il Gaianum.
Se vi interessa, ecco le pagine di wikipedia dei vari personaggi storici che compaiono nel capitolo: QUI re Enrico IV, sovrano di Francia al termine della guerra tra cattolici e ugonotti, mentre QUI il suo consigliere Guillaume; QUI re Filippo III di Spagna, e infine QUI l'adorabile lord Chichester. [che sì, è un figo di cattivo!].
Vi lascio anche con le immagini dei personaggi:
QUI Rory O'Donnell e Hugh O'Neill;
QUI Arthur Chichester;
QUI Ottaviano Crescenzi.

Questa volta puntuale, ci rivediamo lunedì 7 settembre. E presto o tardi scoprirete anche cosa è successo al povero Rory.
A presto,
Beatrix

   
 
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