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Autore: Marcuc    18/08/2015    0 recensioni
Diana, Mattia e Lisa. I "Tre Moschettieri" di Bologna, i coinquilini che tutti vorrebbero avere come amici. Ma uno di loro ha un terribile segreto e, per vivere la propria spensierata giovinezza, dovrà tentare di dimenticare.
" «Perché lo fai? » sputò arrabbiata. Era qualcosa di sbagliato uscire con lui, lo sentiva nella pancia. Non era pronta ad un cambiamento nel loro rapporto, non era pronta, e non lo sarebbe mai stata, a vederlo in modo diverso da come lo aveva sempre visto.
«Perché è stata mia l’idea, aspettarsi che altri facciano ciò che ho in mente io è pretendere troppo. » disse sufficiente. «E poi perché non avevo altro da fare. » cercò di mantenere il suo onore e il suo orgoglio ma quella fu un’affermazione davvero sbagliata in quella circostanza.
«Quindi sono un passatempo? » si offese, non voleva uscire con lui ma neanche essere considerata come una compagnia qualunque per passare un pomeriggio vuoto quando si aspettava di sentirsi coccolata, ascoltata e capita. Nei pomeriggi che aveva passato con Mattia in città si erano esclusivamente stuzzicati o li avevano passati rintanati in una biblioteca per studiare, se voleva divertirsi chiamava le sue amiche, e non lui per farle compagnia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sempre quella di Runaway che scrive e riscrive, con capitoli sospesi dall'altra parte. Che ce volete fa... Questa volta mi limito a circa 5 (ma forse anche meno) capitoli della mia "Originale", niente cavolate con scene ad effetto e finale senza finale come "Caffè macchiato in terzo tempo", ancora me la devono perdonare xD. Saprete in modo abbastanza soddisfacente come finirà quesa breve fic, perchè avevo voglia di farvela leggere e perchè la mia vita da universitaria fuorisede un po' mi manca. Come sempre non parla di me, è inventata di sana pianta. Spero che vi piaccia questo primo capitolo, recensite se volete che posti gli altri ;). Intanto io trovo il coraggio per abbandonare Rose, Scorpius e la vita da Auror Estero.
Pace e Bene
PS.- Spero di non offendere nessuno, se così fosse provvederò a cancellare questa fic e a chiedere umilmente perdono all'interessato/a.







Pacchetto primo appuntamento




 
Questa storia inizia un nuvoloso giorno a Bologna, città universitaria di prim’ordine, costantemente, o quasi, abitata da studenti volenterosi e protesi al meglio. La nostra attenzione si va a posare su una delle vie affollate di palazzi a con l’affitto buon mercato, affacciata su una delle strade principali zeppe di auto circolanti dalla mattina alla sera. Un palazzo in particolare ospita molte persone sotto i trent’anni di età, con la voglia di vivere e di sapere, con la libertà di chi è lontano da casa buona parte dell’anno e la responsabilità di organizzarsi gli impegni di studio o di lavoro.

Una porta blindata al quinto piano nasconde alla tromba delle scale un piccolo appartamento composta da due camere, un bagno e un soggiorno con angolo cottura; è un appartamento divenuto la dimora di tre studenti, due ragazze e un ragazzo, che da quattro anni si considerano una famiglia. I pochi vicini sopra i cinquanta li chiamano i Tre Moschettieri di Bologna perché, seppur diversi nel carattere, sono sempre disponibili a mantenere rapporti cordiali con chiunque, anche dopo le giornate più pesanti, a differenza dei loro coetanei. Molto spesso si offrono di andare a fare la spesa, gratuitamente, alla signora ottantenne dell’ottavo piano che fatica a camminare, oppure si occupano del cane del signore del secondo quando è via per lavoro. Mai una briciola è caduta sul balcone del piano di sotto, e mai nessuno ha sentito rumori molesti di troppo far capolino dalle finestre aperte.

Quei tre erano uniti come solo tre simpatici giovani possono essere,coinquilini non li chiamava più nessuno dalla loro terza settimana insieme.

Quello che verrà raccontato inizia dopo che la loro storia è già iniziata e finirà quando la loro storia non sarà conclusa.

***


« Me la svigno! Avvisa la malata, se si sveglia, che probabilmente non tornerò stanotte.» disse Diana spalancando la porta della stanza del suo coinquilino.

«Non usa più bussare?» chiese Mattia sarcastico, guardandola oltre il cellulare che teneva in mano, mentre se ne stava steso sul letto.

La ragazza sbuffò «Quanto rompi! » disse facendo per chiudere la porta e andarsene.

«Aspetta Didi, almeno dimmi che cosa vai a fare…» chiese mentre si alzava a e si metteva a sedere sul bordo del letto «E se c’è qualcuna delle tue amiche disperate…sai, non mi dispiacerebbe unirmi a voi.» ghignò alla volta della ragazza.

Lei lo fulminò con lo sguardo e, senza degnarlo di risposta, andò in soggiorno. Lui non demordeva, la seguì con quel viso strafottente, che era un suo marchio di fabbrica, e si stravaccò sul divano con l’intenzione di tormentarla fino a che non fosse uscita. La guardò e si accorse che era fin troppo elegante per dover uscire con le sue amiche.

«Oh ma tu non esci con le amiche… che sporcacciona … » fischiò sarcastico facendola arrossire.

Si voltò con un bicchiere d’acqua in mano, accigliata e con le labbra arricciate dal disappunto. « Vado a teatro e poi mi ospita Isabella, problemi?»

«A teatro? Con un ragazzo o con un professore?» chiese incredulo spalancando occhi e bocca.

«Sì, a teatro! Con un ragazzo, ovviamente! » sbottò con veemenza «Solo perché faccio Ingegneria Meccanica non vuol dire che non apprezzi… » ma ben presto rinunciò a giustificarsi, lui continuava a guardarla con la bocca piegata in una smorfia di disgusto e gli occhi ancora legati all’incredulità che li aveva appena attraversati. «Mi spieghi perché ancora parlo con te? » chiese retoricamente afferrando la giacca e il suo mazzo di chiavi.

«Come siamo acide coinquilina… mi dispiace per il poverino…» disse abbandonandosi a una grassa risata di scherno

«Dovrebbe essere vietato per legge accettare di andare a un appuntamento con il ciclo. » si alzò per prendere il telecomando divertito della sua stessa battuta.

«Dovrebbe essere vietato per legge essere stupidi quanto te. » rispose pronta lei per poi sbattersi la porta alle spalle, sottolineando con un botto la sua pronta risposta alla provocazione.

Che lingua! Pensò Mattia mentre cercava in TV qualcosa di abbastanza sopportabile.

Sempre la stessa storia tra lei, una ventitreenne molisana, e lui, un ventiquattrenne ligure: si erano conosciuti quattro anni prima sulla soglia di quell’appartamento che condividevano da studenti a Bologna, dalla prima sferzante frase che si erano rivolti le cose non erano più cambiate tra loro. Non si odiavano, si divertivano solo a stuzzicarsi fino alla soglia di una lite furiosa, conoscevano l’uno il limite dell’altra e stavano sempre ben attenti a non varcarlo. Ogni scambio tra loro finiva con un sorriso o con una risata e mai dovevano chiedersi scusa per ciò che si dicevano. Due amici un po’ strani, con tanto e poco in comune.

Diana era una ragazza sicura di sé, con un carattere un po’ spigoloso ma abbastanza accessibile; era l’unica donna a Ingegneria Meccanica a non essere scambiata per un ragazzo: alta e flessuosa, il fisico lineare con tutte le forme al posto giusto, il suo viso delicato era sovrastato da due grandissimi occhi cioccolato e contornato da una chioma nera come la fuliggine. Era sveglia e intelligente, ma nessuno ci credeva alla prima occhiata, professori compresi, essere tanto belle e avere un cervello funzionante non era sempre un vantaggio.

Mattia frequentava l’ultimo anno della Magistrale in Matematica, non era affatto stupido come spesso gli rimproverava Diana, anzi, era una di quelle persone che se la cavavano sempre senza lavorare eccessivamente; uscito dalla triennale con 110 e lode, preparando gli esami in tre giorni e la tesi al limite del tempo accettabile, la sua media nella Specialistica era del trenta pulito. Dotato di una logica invidiabile e di una memoria pazzesca, riusciva a sorprendere chiunque sapesse delle sue conquiste accademiche, specialmente perché la sua vita sociale era piena, il suo carattere solare e coinvolgente, e il suo viso uno dei più belli in circolazione. Sì, potrà sembrare strano, ma anche per lui intelligenza e bellezza andavano di pari passo (molto spesso Madre Natura da molto ad alcuni e poco ad altri, e non c’è nulla da fare). Era un ragazzo alto e in forma, il volto piccolo era governato da un sorriso ampio e abbagliante, gli occhi azzurri erano fin troppo espressivi, i capelli corti e biondo paglia gli davano quell’aria da Principe Azzurro che nelle donne fa sempre colpo.

I due condividevano l’appartamento con Lisa, modenese fuoricorso al DAMS, era l’ artista stravagante che se ne andava in giro con i vestiti pescati nell’armadio a occhi chiusi e abbinati a sentimento. La trovavi sempre con una canna o con una sigaretta che le ballavano tra le labbra carnose, insieme a un sorriso un po’ ingiallito ma rassicurante. Era una ragazza di una simpatia unica, dalla battuta pronta, che aveva le sue idee rivoluzionare ma che era troppo pigra per metterle in atto; amava parlare di tutto e di nulla, dubitava della gente a parole ma era la prima a fidarsi del primo che passava, era colma di contraddizioni e di genuinità palesata al mondo. Con Mattia e Diana formava un trio che era difficile non ammirare.

Quella sera al principio di novembre Mattia se ne andò a letto alle una passate. Lisa dormiva da quel pomeriggio assalita da una febbre da cavallo, praticamente in quarantena nella doppia che condivideva con Diana, la quale si era preoccupata di restarle lontano dal momento che il mercurio del termometro aveva toccato la temperatura pericolosa per una studentessa alle soglie della sessione invernale.

Quando il condominio giaceva addormentato una ragazza scalza salì le scale, una mano teneva per il tacco a spillo le scarpe eleganti mentre l’altra era pronta a girare la chiave nella toppa. Diana entrò nel suo appartamento di soppiatto, attenta a non svegliare gli altri due, si fiondò in bagno, dove mollò abito scuro e scarpe, si struccò per poi infilarsi nella stanza di Mattia, vestita di una maglietta abbondante e di pantaloncini sbrindellati sopra l’intimo. Lui dormiva placidamente nel letto ad una piazza e mezzo della sua singola, aveva la bocca aperta piegata in uno strano modo, fortunatamente se ne stava rannicchiato in una sola porzione di materasso lasciando parecchio spazio di manovra a Diana. Non si preoccupò di svegliarlo per chiedere il permesso, alzò le coperte senza tante cerimonie e si sdraiò al suo fianco pronta a immergersi in un sonno profondo e dimenticare lo sconforto che provava. Era la prima volta che dormiva nello stesso letto di Mattia in quattro anni di convivenza, quella sera gliene erano successe di tutti i colori ed era sicura che lui non si sarebbe arrabbiato per quell’irruzione, era perfino sicura che non si sarebbe neanche accorto di averla lì fino al mattino.

Evidentemente si sbagliava. Il movimento di lenzuola e piumone lo misero in allarme, spalancò gli occhi di botto e scattò a sedere accendendo la luce sul comodino. «Che cazzo…? » quasi lo urlò nella notte guardando la coinquilina.
Lei gli mise una mano sulla spalla ridacchiando e tentando di calmarlo, poi portò un dito alle labbra «Sshh… sveglierai Lisa! » lo rimproverò.

«Mi dici che cazzo ci fai nel mio letto? » chiese tentando di far passare lo spavento e prendere a respirare normalmente.

Lei alzò gli occhi al cielo, non aveva voglia di dare tante spiegazioni: «Esaudisco il tuo più sporco desiderio!» disse sarcastica «Secondo te?» chiuse gli occhi facendo un respiro profondo e tentando di addormentarsi, ma si sentiva scrutata e ciò la agitava.

Ancora intontito aggrottò le sopracciglia non cogliendo la battuta:«Non ho mai desiderato portarti a letto. » disse in una protesta allargando le braccia, confuso… e bugiardo. Faticava ad ammettere con se stesso di aver fatto più di un pensiero impuro sullo schianto di coinquilina che aveva, ma aveva cercato di non farci troppo caso, lo considerava normale.

Sbuffò: «Non posso dormire di là con Lisa, fra una settimana ho un parziale e vorrei studiare. » disse come se fosse ovvio.

Lui la guardò incredulo: «Abbiamo un divano in soggiorno. Perché nel mio letto?» protestò senza indignazione.

«Sono alta un metro e ottanta e il divano è lungo un metro e mezzo… vorrei studiare con un collo sano. » specificò « Fammi questo piacere, domani giuro che mi faccio ospitare da Isabella… lo avrei fatto anche stanotte se non fosse impegnata altrove.»

Quella promessa sembrò calmarlo e trovare la sua approvazione. Le fece più posto nel suo letto tornando a sdraiarsi. Non essendo due amici convenzionali non si erano mai fatti le coccole, né abbracciati, né tantomeno baciati sulla guancia; erano riusciti a farsi le congratulazioni per la Laurea dandosi un asettico cinque, per nulla imbarazzato. Era quella la giusta e usuale distanza tra loro. Essere così vicini in quel letto, ancora o già caldo, creava tra loro una tensione che non avevano mai conosciuto prima.

Mattia la nascose con un’altra delle sue punzecchiatine:« E’ andata così male con Matusalemme? » chiese facendo una mezza risata.

Diana gli diede le spalle rannicchiandosi su sé stessa: «Non sono disposta a parlarne con te. » non erano mai stati tipi da confidenze, riuscivano egregiamente a tenersi tutto dentro senza scoppiare.

«Didi, oramai mi hai svegliato e sei in debito, non ti lascerò dormire. » la minacciò spegnendo l’unica fonte di luce e voltandosi su un fianco verso di lei.

Diana non rispose e tentò di prendere sonno, ma anche lei non ne aveva.

Fu solo un invito a fare peggio:« Ti sei addormentata e si è offeso? O è morto prima della fine dello spettacolo? Ma lo sai che la mia bis-bis-bis nonna è stata l’ultima delle ragazze ad avere un primo appuntamento a teatro e che era considerato obsoleto anche allora? » era una macchina spara provocazioni non aveva respiro per altro.

La ragazza si voltò verso di lui con espressione arcigna, gli sfilò il cuscino da sotto il braccio e glielo spinse contro il viso: «Taci! » tagliò corto riprendendo la sua posizione di chiusura.

Lo fece ridere ancora più forte. « Diana! » la scrollò con vigore afferrandola per le spalle « Siamo stanchi, quindi dillo in poche parole che poi dormiamo entrambi. »propose rimettendo il cuscino al suo posto «Ti conviene farlo se vuoi che non diventi inopportuno… sono assonnato e potrei scambiarti per una delle tante che mi porto a letto. » il ghigno ben visibile anche nell’oscurità era fin troppo minaccioso e malizioso.

S’irrigidì: «Sei disgustoso! » disse voltandosi per poterlo guardare in faccia con astio.

«A te la scelta! » ripeté senza pentirsi minimamente delle parole appena pronunciate, non era da lui pentirsi per le frasi imbarazzanti che le rivolgeva.

Sbuffò controvoglia, si morse un labbro e decise che, per quieto vivere, lo avrebbe accontentato senza sbilanciarsi troppo:«E’ andata male perché è uno sfigato che mi ha liquidato con una stretta di mano. Quando siamo usciti dal teatro non ha fatto che parlare dell’autore e della caratterizzazione dei personaggi. Alla prima uscita non ha chiesto niente di me e non mi ha detto nulla di lui, ha parlato solo di un defunto. » ammise per poi precisare «Ma lo spettacolo è stato bello. » ed era sincera, andare agli spettacoli teatrali le era sempre piaciuto, su quella persona ci aveva contato molto.

Scoppiò a ridere cercando si soffocare il rumore nel cuscino: «Il peggior primo appuntamento che mi abbiano mai raccontato. » disse tra una risata e l’altra «Ma proprio un fanatico di Lettere ti dovevi trovare?» lui non era certo il tipo da bacio sulla fronte, ci sapeva fare con le ragazze ai primi appuntamenti e le sue serate si concludevano a letto, molto spesso.

Rise a suo malgrado:«Sembrava etero quando ci siamo parlati nel negozio di libri. » si giustificò lei.

«E’ anche gay? » chiese incredulo ridendo ancora più forte, ma non per prenderla in giro.

«No, non credo. O forse sì…» rise «Non che ci sia nulla di male ad essere gay, ma… mi ha delusa, ecco. Sai la canzoncina che ho in testa, quella della marcia nuziale… te ne avevo parlato. Bhè… con questo nulla, direi che è stato più un canto funebre.» rincarò mettendo su un finto broncio, ironizzare sulle situazioni e le persone con lui non era una novità, era un gioco che li divertiva sempre.

Ululò dal ridere, sembrava quasi soffocare.

Rise con lui, rilassandosi un po’. Provò a giustificarsi: « Prima che si rivelasse un necrofilo mi attirava… sai che a me piacciono quelli dalla tipica aria da secchione, antichi già a vent’anni… ma bho… niente scintilla. » tirò fuori le mani e le chiuse a coppa sulla bocca soffiandoci aria calda, le rimanevano sempre gelate quando usciva.

Schioccò le labbra:«E ti credo! Ammazza la libido uno così! » le diede ragione e le prese una mano per riscaldarla tra le sue, in un gesto spontaneo di gentilezza e accortezza che non passò certo inosservato.

Deglutì senza mettere enfasi sulle carezze alla sua mano destra che stava ricevendo, l’imbarazzo era una cosa che vivevano raramente da quando erano coinquilini e non voleva cominciare a crearlo quella sera: «Non è comunque il peggiore degli appuntamenti che ho avuto. » disse stringendosi nelle spalle.

«Ora mi stai incuriosendo…» Si sistemò per ascoltare il racconto prendendo anche l’altra sua mano.

Lei si rannicchiò su un fianco, i loro visi erano a trenta centimetri di distanza e per la prima volta le fece un bell’effetto. La stanchezza oramai non la sentivano più, troppo occupati a parlare di quel passato che non si erano mai confidati, di quei pezzi di vita che lui non conosceva:«Nella mia top four quello di stasera si piazza al terzo posto, è stato leggermente peggiore di quello che mi ha portato al cinema e mi ha fatto pagare biglietto e pop corn… abbiamo visto Transformers e di pop corn ne ho mangiato solo uno, sembrava che non mangiasse da mesi. » si perse a ricordare la sua adolescenza con un sorriso malinconico e divertito al tempo stesso.

«Tutti cafoni te li scegli? » commentò con uno sguardo stupito.

«Era carino… e avevo diciotto anni» spiegò con un sorriso che sapeva di ricordo. Poi continuò: «Al secondo posto abbiamo quello che mi vomitò sulle scarpe e mi attaccò il virus intestinale. » buttò lì.

«Ommioddio! Che schifo…» fece una smorfia disgustata.

Risero tanto, ma quando l’ilarità si spense in un batter d’occhio, un silenzio di attesa misto a determinazione si frappose tra loro. Diana non sembrò voler continuare con il suo passato, si chiuse in uno strano mutismo che Mattia non seppe interpretare e che lo sconcertò.

«Al primo posto quale hai? » chiese non percependo la nuova sfumatura acquisita dalle sue emozioni, non capendo che il suo sorriso era stato sostituito da qualcosa di molto diverso.

Lei sospirò e disse senza rancore: «Buona notte. » per poi sfilare le sue mani dalla presa di lui e girarsi dandogli le spalle, pentita di aver iniziato quella conversazione.

«Ehi! » protestò per poi accorgersi che qualcosa non andava «Stai bene? » chiese deglutendo a disagio. Finalmente aveva percepito la diversa atmosfera scesa su quel letto, aveva capito che c’era sicuramente un avvenimento brutto e non ridicolo quanto gli altri. Il gelo che li avvolgeva stava diventando insopportabile. E poi il tremore delle sue spalle era inequivocabile, oltre al suo mantenersi lontana e rannicchiata su sé stessa.

Diana cercò di asciugarsi lacrime brucianti che diluivano il suo terrore e le sue angosce, le erano scese lungo le gote senza che lei lo volesse. Rispose con la voce più ferma che poté: «Sì, sto bene… » deglutì «…adesso. »

Mattia le posò una mano sulla spalla, lei tremò violentemente, lui scostò la mano ma si avvicinò di più a lei: « Ho detto qualcosa che non va? » quella domanda non gliel’aveva mai posta in quattro anni, gli risuonò così strana, ingiusta. Quello era un limite che non avevano mai sperimentato, che lei non aveva mai frapposto tra di loro. Forse perché non ce ne era mai stata occasione. Non parlavano mai di amori, appuntamenti e passato, vivevano in un presente tutto loro, forgiato con una complicità immediata e quella irritabile simpatia che sentivano reciprocamente.

Rise nervosamente cercando di nascondere qualcosa che era tornato prepotentemente a galla: «No, non ti preoccupare. » lo rassicurò pigiando nello stomaco tutto quel nuovo tra di loro. Non voleva che cambiassero, lui era un amico, il suo unico amico maschio, che non lo voleva perdere per un cambiamento di confidenze.

«Me lo diresti se così fosse? » era agitato e preoccupato, altra novità.

Si voltò, nel suo sguardo si leggeva la preghiera. Diana voleva tornare alle vere risate, alle battute, a quel rapporto senza impegno che li legava, che li teneva insieme senza imbarazzi, senza troppi contatti e senza preoccupazioni. Le piaceva la loro amicizia fatto di scherzi e divertimento, le piaceva quel suo coinquilino impertinente che non si era mai preoccupato per lei, o dei suoi sentimenti. Con lui era libera dalle costrizioni e dalle paure che l’eccessiva “galanteria” poneva come muro tra le persone : «Non mi sono mai fatta problemi, no? » tentennò asciugandosi le lacrime dal volto.

«Appunto. » ribadì mantenendo il contatto visivo nel buio, con sicurezza.

Cercò di soddisfare un po’ della sua curiosità e della sua ansia, per ringraziarlo di cogliere sempre i suoi desideri, di essere ancora Mattia :«Ti basti sapere che non ho mai avuto un primo appuntamento che non sia stato un disastro. Non lo sai ma non ho mai avuto storie né di una notte né lunghe più di un mese. »

Si rituffò nel loro discorso, calmo e pacifico: «Tu? » chiese incredulo «Mi picchierai se non ti credo? » era sinceramente stupito. Ciò che colpiva in lei, prima della sua vivace intelligenza, era il dono di un corpo da urlo, di quelli che facevano voltare gli uomini per strada.

Rise: «Non stasera. »promise. «Comunque sono stata sincera, me li sono cercata tutti cafoni, necrofili o malati e anche in quella piccola storia di un mese abbiamo avuto un incipit un po’ zoppicante. »

«Ma… sei bella, intelligente, simpatica… come è possibile che nessuno… »non aveva mai negato quanto la sua coinquilina fosse attraente sotto molti punti di vista.

«Bhè… grazie» disse arrossendo a quei complimenti che non aveva mai sentito uscire dalle sue labbra «Ma forse non hai pensato che simpatica lo sono solo con te, che magari agli altri maschi do impressioni diverse.» lo provocò « Comunque dopo stasera ho rinunciato per sempre agli uomini, niente più uscite! Quando sarò trentenne diventerò lesbica e il problema non si porrà più. » sentenziò più a sé stessa che per notificarlo a lui.

Sbuffò: «Mi sembra un programma allettante ma terribilmente ingiusto. » disse Mattia con un sorriso, riprendendo le mani di lei tra le sue.

Con finta aria di superiorità affermò:«Certo, ingiusto per voi maschi! » risero a quella battuta senza modestia.

Scosse la testa con decisione:«No, ingiusto per te. Dovresti provare l’emozione di un primo appuntamento come Dio comanda. Magari senza sesso a conclusione della serata… ma dove ci sia qualcosa che non sappia di disastro. » obbiettò. «Sentirsi interessanti, corteggiate, è qualcosa che tutte le donne dovrebbero provare accanto ad un uomo, anche se solo per una sera. » disse sinceramente e con fervore.

Sorrise:«Ma se poi m’ innamoro? Non potrò più diventare lesbica e addio ai miei piani… sarebbe un disastro! Conto di sposarmi in Spagna con una bella donna ricca e premurosa! » si lagnò ironicamente con lo sguardo da cucciolo bastonato.

Fece una smorfia:« Sappi che più parli di donne “premurose” e più qualcuno reagisce all’immagine. Contieniti donna! » la rimproverò maliziosamente con un finto ringhio. «Comunque prova ad avere un primo appuntamento con qualcuno di cui non potresti mai innamorarti, poi potrai mantenere fede ai tuoi piani sempre che non cambi idea su noi maschi. » propose serio mettendo enfasi su quel maschi, come se la rimproverasse di non averli chiamati uomini.

«Tipo con quello di stasera? » chiese terrorizzata al pensiero di avere un’ altra serata disastrosa.
Scosse la testa: «Nha… non sarebbe più un primo appuntamento e poi lui è pessimo con le ragazze. » commentò. « E sono sicuro anche orrendo.»

«Se me lo trovi sono disposta a tentare.» buttò lì senza pensarci, finalmente il sonno stava per vincerla, le palpebre stavano cedendo, complice il calore del piumone, quelle coltri abitate, quelle forti mani che scaldavano le sue.

«La prendo come una sfida! Affare fatto, allora. » disse entusiasta di quel nuovo gioco prendendo posizione per assopirsi.

«Affare fatto! » sbadigliò lei accoccolandosi meglio al suo fianco.

Il silenzio scese tra loro, rimpiendo di pace e di promesse quella stanza, facendo rimanere unite quelle quattro mani fino al giorno che stava per iniziare.

Una settimana dopo.

Al tavolo della cucina di quell’appartamento tre persone avevano appena consumato il pranzo, i piatti sporchi giacevano davanti a loro sulla tovaglia a fiori piena di briciole, con il dubbio sempre acceso su chi li avrebbe lavati quel giorno. Lisa se ne stava rannicchiata sulla sedia con la sigaretta in bocca, ancora in pigiama pigiava sui tasti di un vecchio cellulare con aria aggressiva, completamente incurante dei dialoghi dei suoi coinquilini. Diana era vestita di tutto punto, truccata e acconciata per un appuntamento che per lei aveva preso Mattia. Non credeva che quell’accordo tra loro fosse serio, non credeva che tre giorni dopo quella notte lui sarebbe rientrato a casa con un sorriso a trentadue denti annunciando che aveva trovato il ragazzo perfetto per la sua situazione e che si sarebbero visti quel sabato pomeriggio.

Mattia era già pronto per andarsene e lasciare le incombenze domestiche, i dubbi e le domande, alle sue ragazze.

«Sei sicuro che non mi troverò a cena con uno che mi parlerà costantemente di altre persone? » chiese agitata guardando il ragazzo con aria supplichevole.

Sbuffò; quella domanda, sotto cento forme diverse, gli era stata posta un milione di volte almeno:«Ti dico che non sarà così. » si alzò e prese il giubbetto.

«Ripetimi ancora che tipo è… » disse tutto d’un fiato alzandosi per seguirlo fino all’uscio, si torceva le mani, non era abituata a non sapere, a non avere idea di quello che le sarebbe accaduto, la terrorizzava non avere tutto sotto controllo.

Lui questo lo sapeva e lo divertiva.«Didi sono cento volte. E’ un appuntamento al buio! Ti puoi fidare? Non ti innamorerai di lui. Fa la mia università, è simpatico, il classico dongiovanni. Questo deve bastarti. E’ bello e sa di esserlo, ma sa anche come farsi piacere. » la rassicurò con le stesse parole che aveva usato quegli infiniti tre giorni.

«Ora dove vai? » chiese quasi in un urlo che, per pochi secondi, scosse anche Lisa. Non voleva essere abbandonata, lui era il suo contatto, il suo punto fermo in quel mare di punti interrogativi.

«In palestra! » alzò le mani come se gli puntasse una pistola addosso, prese il borsone con cautela attento a non darle le spalle e aprì la porta lentamente. Quel tono aggressivo e agitato lo spaventava e aggiunse, tentando di calmarla: « Andrà tutto bene. Mi raccomando l’appuntamento è in Piazza Maggiore sotto il Nettuno, faccia rivolta a via Indipendenza, fra un’ora. Ti riconoscerà lui e non agitarti, mi raccomando.» fece un sorriso tentennante per calmarla, come si fa con chi è armato.

«Come si chiama? » chiese isterica.

«Ottima domanda per cominciare una discussione! » si chiuse la porta alle spalle rapidamente, ridendo sguaiatamente, prima che lei potesse replicare o scagliargli addosso un piatto di ceramica ancora sporco di sugo.

Un’ora dopo

“Neanche la decenza di dirmi il nome… come ho fatto a fidarmi di Mattia?” si rimproverò mentre raggiungeva a grandi falcate il luogo dell’appuntamento, i tacchi tintinnavano sul cemento del marciapiede tenendo il ritmo del suo umore nero. Non era da lei andare ad un appuntamento così nervosa, aveva sempre voluto fare bella figura. Arrivò il Piazza e si appostò sotto l’imponente statua, guardandosi intorno. C’era gente che andava e veniva, nessuno la guardava aspettare, nessuno sembrava andarle incontro. Cominciò a chiedersi se quell’appuntamento fosse tutta una gigantesca presa per i fondelli.

Era comunque armata a dovere. Una piccola boccetta di lacca, in formato da viaggio, era infilata nella tasca destra del giubbotto. Era sicura che le averebbe dato un vantaggio se l’individuo sconosciuto si fosse fatto troppo intimo senza la sua approvazione.

Ma ecco che…

«Vogliamo andare? » una voce impertinente alle sue spalle la fece sobbalzare e inorridire.

Quella voce la conosceva bene. La sentiva tutti i giorni appena sveglia e tutte le sere prima di andare a dormire. La sentiva in tutte le inflessioni. Roca e prepotente in quelle notti in cui urlava all’intero condominio il piacere di avere un’altra ragazza nel letto, rilassata durante i pasti, pressante fuori dalla porta della sua camera o del bagno, curiosa dopo aver dato un esame o dopo aver studiato in biblioteca, biascicata quando beveva un bicchierino di troppo.

Si voltò e si trovò davanti Mattia che ghignava. Portava una giacca sopra i jeans eleganti, i capelli sistemati alla perfezione.

Era spiazzata, non capiva il motivo della sua presenza. Secondo accordo doveva fare tutto da sola, come se lui non fosse il suo mediatore:«Che ci fai tu qui? » chiese con un sopracciglio alzato, non voleva pensare nemmeno per un secondo a quello che temeva di più.

La prese sottobraccio mentre lei lo guardava attonita e confusa:« Ho pensato: “Perché fare la fatica di trovare uno che ci sappia fare con le donne ma di cui non può innamorarsi, quando ci sono io che corrispondo perfettamente a questa descrizione?” Non te l’ho detto subito perché altrimenti non ti saresti presentata. » si giustificò cercando di condurla verso il luogo che aveva stabilito.

Lo guardò con astio, era esattamente quello che temeva. Chiuse gli occhi per ritrovare un minimo di controllo di sé, a denti stretti disse::« Avevi ragione di crederlo… perché vado immediatamente a casa. » era arrabbiata, si sentiva ingannata e cercò di slegarsi dalla presa del suo braccio.

Lui la trattenne con vigore ma attento a non farle male. «Almeno fammi tentare! » la supplicò con lo sguardo implorante e furbo.

Si irrigidì ancora di più: «Perché lo fai? » sputò arrabbiata. Era qualcosa di sbagliato uscire con lui, lo sentiva nella pancia. Non era pronta ad un cambiamento nel loro rapporto, non era pronta e non lo sarebbe mai stata, a vederlo in modo diverso da come lo aveva sempre visto.

«Perché è stata mia l’idea, aspettarsi che altri facciano ciò che ho in mente io è pretendere troppo. » disse sufficiente. «E poi perché non avevo altro da fare. » cercò di mantenere il suo onore e il suo orgoglio ma quella fu un’affermazione davvero sbagliata in quella circostanza.

«Quindi sono un passatempo? » si offese, non voleva uscire con lui ma neanche essere considerata come una compagnia qualunque per passare un pomeriggio vuoto, quando si aspettava di sentirsi coccolata, ascoltata e capita. Nei pomeriggi che aveva passato con Mattia in città si erano esclusivamente stuzzicati o li avevano passati rintanati in una biblioteca per studiare, se voleva divertirsi chiamava le sue amiche e non lui per farle compagnia.

Si accorse della gaffe e tentò di rimediare: «Non è ciò che ho detto. » Si spostò e le arrivò davanti ma sempre tenendola per non farla scappare: «Didi… non lo faccio perché voglio prenderti in giro, o perché non ho trovato nessuno di meglio, o perché voglio farti innamorare e poi spezzarti il cuore. Lo faccio perché, anche se mi irriti pià di ogni altra persona al mondo esclusa mia madre, voglio che tu sappia come ci si sente ad un primo appuntamento con una persona interessata a te e non a macchine mutanti, compositori morti, eccetera. » insieme risero. «Nonostante tutto ciò che ci diciamo per infastidirci vorrei che stasera tornassi a casa con un sorriso sincero. Vorrei che ti divertissi. Fidati di me.» era sincero, lei sapeva che quand le mentiva le palpebre gli tremavano ad intermittenza. In quel momento non lo facevano, in quel momento stava dicendo la verità.

Sorrise quasi commossa da quella dichiarazione strampalata, non aveva mai pensato che ci tenesse a lei, che fosse davvero interessato al suo sorriso e al suo buonumore: «Avevamo un accordo. Mi fido, ma hai un aggravante se va male anche questa volta: mi preparo a sostituire l’acqua che bevi con dell’acido muriatico. » chiarì guardandolo negli occhi intensamente.

Sorrise a sua volta e con lei cominciò a camminare per via Indipendenza. «Sei autorizzata a fare di peggio. »

Erano appena le tre del pomeriggio ma l’aria novembrina tormentava Bologna e chi passeggiava per il corso. Il chiacchiericcio dei passanti era un sottofondo quasi fastidioso e frastornante. L’imbarazzo che aveva seguito quell’ultima battuta era insolito, non sapevano cosa dirsi in quel frangente, essere così uniti in quella stretta era un’altra novità in quella settimana.

Camminarono a lungo per la via principale, in silenzio, senza chiedersi che cosa fosse nato tra loro, amici da tempo e ora posti uno davanti all’altra per un appuntamento galante. Non avevano niente da chiedersi, sapevano tutto l'uno dell'altra, almeno di tutte quelle cose che si dicono ai primi appuntamenti. Guardarsi a vicenda non aveva quel carico di imbarazzo che portava il guardarsi per la prima volta, molto spesso si erano visti anche nelle versioni peggiori di loro, o addirittura con solo un asciugamano addosso quando uscivano dal bagno in comune.

Però tutta quella tensione, tutto quel nervosismo che c'era, doveva per forza sparire.
«Allora…» tentò di iniziare lei guardandolo in tralice, quasi timorosa che una sua occhiata fosse diversa da quelle a cui era abituata: «Dove andiamo? » chiese.

Sembrava perfettamente a suo agio in quel ruolo, per nulla agitato. «E’ una sorpresa, ma dato che siamo in largo anticipo ti va di prendere un caffè? » chiese fermandosi davanti alle porte di un bar poco affollato e molto intimo.

Lei annuì ed entrò scortata da Mattia che in un gesto galante le aveva tenuto aperta la porta. Si accomodarono in uno dei tavolini vuoti spogliandosi dei cappotti, non ebbero il tempo di guardarsi intorno che una cameriera sulla cinquantina gli fu addosso armata di un taccuino e di un sorriso molto minaccioso e poco accogliente. Per un secondo ebbero paura.

«Che cosa vi porto? » chiese senza sperticarsi in convenevoli e smancerie.

«Caffè» dissero in coro fulminei, temendo che un loro tentennamento avesse scatenato il finimondo.

La donna si dileguò all’istante con aria arcigna. Probabilmente non doveva essere una giornata molto positiva per lei e il locale quasi vuoto doveva essere un indizio abbastanza eloquente. Quando arrivarono le loro bevande le consumarono in fretta, rischiando di ustionarsi la lingua, Mattia pagò per entrambi lasciando una lauta mancia, e anche quella fu accolta con una smorfia di disapprovazione.

Quando ritornarono in strada scoppiarono a ridere più per sollievo di essere usciti vivi da quel bar, che per divertimento. Ripresero a camminare sottobraccio.

«Mi dispiace per la brutta esperienza, non era previsto. » disse indicando con un movimento della testa il bar che si erano appena lasciati alle spalle.

«Non ti preoccupare, non è la prima cameriera scortese che incontro. » disse ridendoci su.

Non poteva considerarlo un flop, si erano ritrovati complici in quella piccola sventura, pur non avendo scambiato che poche parole sottovoce, temendo di infastidire l’arcigna cameriera. Tutto quello aveva contribuito a rendere l’atmosfera molto più rilassata, pur continuando ad essere diversa dal solito.

Rise anche lui: «Ti prometto che dove ti porterò ora saranno tutti gentilissimi. » disse stringendola di più a sé.

Accolse la promessa con un largo sorriso e si lasciò condurre in un vicoletto appartato. Entrarono in un edificio dall’aria molto antica, attraversarono un lungo corridoio e si fermarono davanti ad una porta di legno scuro con sopra una targa in ottone che riportava la scritta “ Direzione” incisa in carattere oro sbiadito.

«Aspettami qui un secondo. » le intimò con gentilezza slegandosi dalla sua presa.

Non protestò, era troppo intenta a capire che cosa avesse in mente di farle vivere quel pomeriggio così misterioso e strano. L’aria che si respirava in quel palazzo era simile a quella che aveva percepito entrando nella Facoltà di Lettere, quando aveva assistito alla discussione della tesi di un’amica: sapeva di antico e di saggezza, di arte e di energia. Era diversa dalla sua Facoltà, quella che viveva tutti i giorni, dove la scienza ti si appiccicava addosso con la sua freddezza ma anche con la sua bellezza logica e pulita. Si chiese cosa facessero lì, chi li aspettasse quel pomeriggio, chi ci fosse dietro alla porta e che cosa dirigesse.

Mattia bussò e una voce profonda lo invitò ad aprire e accomodarsi. Lui infilò solo la testa e la voce disse «Eccoti qui, i ragazzi sono già dentro il teatro, vai pure. »

«Grazie mille! Ci vediamo dopo. » disse Mattia allo sconosciuto senza lasciar trapelare nulla.

«Figurati, a dopo! » lo salutò il signore misterioso al di là della porta.

Diana lo guardava e poco ci mancava che occhi, naso e bocca si potessero sistemare come un grosso punto interrogativo nel suo volto.

«Signorina, mi segua. » disse Mattia porgendole il braccio per la terza volta in quella giornata.

«Che cosa…» provò a chiedere.

Lui la bloccò. «Lo vedrai presto. »

Seguirono parecchi corridoi, attraversarono qualche porta, due archi, uscirono e tagliarono in diagonale un chiostro, fino a giungere davanti ad un maestoso portone che Mattia spinse e aprì per lei. Entrarono in piccolo teatro, che non aveva nulla a che fare con quello che lei aveva frequentato il sabato prima: era davvero minuscolo, c’erano logge con pochi posti a sedere, una modestissima galleria, il centinaio di poltroncine della platea, rivestite in velluto rosso, erano completamente vuote e il sipario chiuso. Il soffitto era pieno di affreschi e da lì scendeva un lampadario maestoso, d’oro con intarsi in vetro e pietre, al posto delle fiammelle ad olio che in epoca precedente avevano occupato le punte ricurve in arabeschi, vi erano state installate moderne lampadine a risparmio energetico. Dietro la tenda rossa si udiva un fitto brusio, qualche parola detta a voce alta e un paio di risate.

«Ehi ragazzi, ci siamo! » urlò Mattia al nulla.

Non ci fu risposta alla sua notifica, solo un frusciare e un calpestare, ma questo non la preoccupò. Si accomodarono nelle poltroncine in prima fila in attesa. La ragazza non osava fare domande, era troppo confusa. Pur con i sensi in allerta si decise a non rovinare nulla con i numerosi quesiti che le roteavano nella calotta cranica.
Il sipario si aprì e cominciò lo spettacolo del Lago dei Cigni, in esclusiva per loro.

Cinque ore dopo

Mattia era stato un perfetto spasimante. Aveva organizzato una giornata meravigliosa attento a darle esattamente ciò che le piaceva.

Avevano assistito allo spettacolo in quel piccolo teatro per tutto il pomeriggio, si erano fermati a parlare con i ballerini di quella piccola compagnia di danza. I ragazzi erano stati gentili e simpatici, parecchi erano amici di Mattia e non avevano disdegnato dal metterlo un po’ in imbarazzo svelando a Diana come lui li aveva implorati perché gli facessero quel favore. La ragazza si era sentita lusingata e aveva dimenticato che quel giovanotto che le stava affianco era il suo coinquilino oramai da parecchi anni; lui l’aveva sempre chiamata per nome, non gli aveva dato altri titoli, come se dovesse capire che quello era un vero, sconvolgente, primo appuntamento con qualcuno che era lì per lei, attento quanto basta da capirla e soddisfarla.

Dopo lo spettacolo l’aveva condotta in un ristorantino minuscolo a conduzione familiare, durante la cena avevano trovato il tempo di chiaccherare di tutto e di niente. Mattia le aveva fatto domande che nella loro vita quotidiana non erano mai emerse, le aveva chiesto dettagli sulla sua famiglia, sui suoi amici di casa, le aveva chiesto dei suoi hobby scoprendo che era una danzatrice esperta di ballo anni 50. Non era stato strafottente ed inopportuno, non aveva fatto battute su ciò che le piaceva, anzi, si era mostrato stupito e incuriosito. Avevano parlato tanto anche di lui, della sua vita prima della loro convivenza, della famiglia, del padre che non c’era più da quasi dieci anni, della forza di sua madre che aveva mandato avanti una famiglia di cui lui era l’unico con la testa al posto giusto. Avevano parlato di progetti per la vita, di aspettative di carriera. Di tantissime cose. E dopo un ultimo drink consumato in un bar poco lontano da casa, quasi controvoglia, si erano diretti lungo la via del loro appartamento.

«Io abito qui… » disse Diana prendendo le chiavi dalla borsa con il sorriso stampato sul volto, notificandolo come se quella sera fosse uscita veramente con uno sconosciuto.

Rise: «Lo sai che è una strana coincidenza? Anche io abito in questo palazzo, tu in che appartamento sei? » chiese facendo il finto tonto e notando, senza esprimerlo, che una nuova sensazione, come una leggera paura, lo stava invadendo.

Sospirò: «Cinque B. Tu? » resse il gioco, probabilmente non sentendosi ancora pronta a farla finita.

«Non sarai mica la mia coinquilina, anche io sono al cinque B. » disse fintamente sorpreso.

«Non so, non ti ho mai visto nel mio appartamento. » spalancò gli occhi stupita, e c’era quasi una verità in quelle parole. Quel Mattia lì, lo spasimante attento e affettuoso, non lo aveva mai incontrato.

Si guardarono sorridendosi beatamente, divertiti da quel gioco, da quell’uscita piacevole e scherzosa che li aveva uniti più di prima. Se ne stavano uno davanti all’altra, sulla soglia del portone del condominio, non sapendo bene che fare ma essendo allo stesso tempo a loro agio.

Si sentì precisamente quando arrivò il momento di tornare alla loro realtà. Lo decise lei.

«Grazie, Matti. » arrossì mentre lo diceva.

La guardò negli occhi: «Per cosa Didi? » spiazzato perché non si aspettava gratitudine, quell’appuntamento era stato unico anche per lui. Non si era mai impegnato così per una ragazza, non aveva mai cercato di compiacere così tanto una persona come aveva tentato di fare con lei, riuscendoci. Si era preso quell’impegno credendo di farlo per un’amica, credendo di esporsi in quel modo per qualcuno che considerava di famiglia.

Fece un mezzo sorriso ricambiando lo sguardo: «Per avermi regalato un fantastico primo appuntamento. Mi hai… riscattato. » era sincera, i suoi occhi bruni lo confermavano.

Sorrise: «Vuoi anche il bacio della buonanotte? E’ compreso nel pacchetto “primo appuntamento”. » scherzò aprendo il portone e guidandola verso le scale, scherzò tentando di contrastare quelle emozioni nuove di appagamento, soddisfazione, eccitazione e benessere che gli invadevano il petto.

«No, grazie. Questo accordo si conclude felicemente qui. » disse ridendo, non comprendendo che quella battuta nascondesse un vero desiderio « Però ricordati che ti devo un favore. » Arrivarono al loro appartamento, fermandosi ancora sulla porta.

Sorrise: «Me ne ricorderò. » promise infilando la chiave nella toppa. Ma non entrò e non la fece passare, si voltò a guardarla con una strana ombra negli occhi. «Ora cosa succederà? » chiese con un nodo alla gola. Era strano il modo in cui i suoi pensieri erano cambiati, il modo in cui il suo umore era mutato. Varcare la soglia del loro appartamento significava un po’ ritornare alla realtà, combattere con la realtà. Si riscoprì a pensare che non voleva farlo, che non voleva scoppiare qualla piccola bolla di stranezza che aveva gonfiato in quella giornata con tanta fatica. Aveva promesso che lei non si sarebbe innamorata del ragazzo di quella prima uscita, non aveva mai promesso il contrario.

«Che vuoi dire? » chiese curiosa non sapendo bene come rispondere alla sua domanda carica di altre domande.

Guardò basso «Ora entriamo e…? » lasciò in sospeso aspettando che lei desse qualche alternativa.

Parve pensarci per un po’, poi spiegò: «Succederà che Matti, il mio coinquilino, mi chiederà come è andato il mio primo appuntamento e io glielo racconterò. Sarà felice per me e andremo a dormire ognuno nella propria stanza, consapevoli che il mio spasimante sia fuori di qui che se ne torna a casa meditando di non farsi sentire mai più. » si sporse per tentare di entrare, ma lui le bloccava ancora la via.

Lo ferì talmente tanto che quasi si vide. «Che spasimante contraddittorio che ti sei trovata. Prima mette in piedi tutta questa cosa per farti piacere e poi non vuole più farsi sentire pur essendogli piaciuta la serata. » disse facendosi strada nell’appartamento seguito da lei.

Si strinse nelle spalle prima di abbassarsi a togliere le scarpe con il tacco e liberarsi del cappotto. «Può accadere che si decida di proseguire su strade diverse anche dopo un bel primo appuntamento. » si sedette sul divano tirandosi sulle gambe un plaid sbrindellato ma ancora caldo.

Si sedette accanto a lei grattandosi la testa:«Ma questo per te non rende un primo appuntamento pessimo? » chiese con un sopracciglio alzato.

« No, assolutamente. » era felice, gli occhi le brillavano nel semibuio. «Sono stata trattata benissimo, mi hai ascoltato e ti ho ascoltato, ho visto un meraviglioso spettacolo di danza classica in esclusiva e ho mangiato buon cibo. Non sono una che si aspetta il bacio sulla porta e il sesso a fine serata. »

«Quello è il mio metro di giudizio per capire se un appuntamento sia andato bene o meno. » gli scappò detto non volendo, ammettendo quasi che provava una certa delusione per quella conclusione a metà.

Ma lei non la colse persa com’era nella sua beatitudine: «Colei che hai invitato ad uscire ti sta dicendo che è andato più che bene, quindi tranquillizzati e fidati. » gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. «Non sempre il sesso è fondamentale. »

«Dici? » chiese scettico e sarcastico. Ma era una domanda sbagliata da porre a lei.

La sua espressione cambiò di botto, i suoi occhi si spensero e si volsero altrove, deglutì con fatica «Dico.» disse sforzandosi di ostentare sicurezza come pochi minuti prima. Fece leva sul sedile del divano e si alzò «Vado a letto. » annunciò fremente, sembrava non veder l’ora di allontanarsi da lui e da quella conversazione.

«Didi… stai bene?» chiese agitato alzandosi a sua volta. Non era nuova a quei cambi d’umore così repentini e lui non era nuovo allo sconcerto che ogni volta lo scuoteva.

«Ma certo! » sorrise in modo fin troppo aperto «Sono un po’ stanca, sai… i tacchi mi hanno distrutto le gambe. Ti ringrazio ancora di cuore per tutta la meravigliosa giornata… io…spero che ci sia uno come te là fuori.» senza altri gesti o parole si avviò in camera sua.

Tre settimane dopo

Diana si sedette con malagrazia nel divano sfondato del soggiorno, Lisa se ne stava appollaiata sul tappeto intenta a seguire un talk show e a criticarlo pesantemente ad ogni scambio di battute. Era una tranquilla serata di dicembre, il primo timido freddo era arrivato qualche giorno prima, si respirava già aria natalizia e di vacanza. Le due ragazze non si rivolsero la parola per parecchi minuti, percependo l’una la presenza dell’altra senza sentire la necessità di parlarsi.

Poi anche Mattia arrivò facendo parecchio baccano, senza salutarle imboccò l’uscita in silenzio e, bardato di un pesante cappotto e una sciarpa di lana, sparì al di là della soglia in pochi secondi.

Lisa si voltò verso Diana con aria interrogativa.

«Che c’è?» chiese lei notando il suo sguardo.

Le due sapevano bene che quello sguardo non era di sincera curiosità ma il preludio di qualcosa che la studentessa del DAMS voleva farle notare da giorni.

Si strinse nelle spalle:«Mi mancano i vostri siparietti da coppia sposata.» disse senza filtri e con aria noncurante.

La guardò interrogativa:«Di cosa stai parlando?» era veramente impreparata a quel commento da parte sua. Non sapeva a che cosa si riferisse, cadde praticamente dalle nuvole.

Lisa sospirò come una mamma che deve spiegare a sua figlia uno di quegli argomenti imbarazzanti di cui le mamme vogliono sempre ritardare le discussioni, o di cui le mamme non vogliono mai discutere. Spense la tv e si voltò verso l’amica rassegnata, pronta ad affrontare tutto il discorso che sarebbe seguito alle sue affermazioni. «Di solito quando uno di voi esce, l’altro lo stuzzica con una battuta e andate avanti a parolacce per un buon quarto d’ora. E’ parecchio che non lo fate, lui non saluta neanche più e per casa lo vedo poco.» buttò lì con tono ovvio.

Non seppe cosa replicare, non sentiva che fosse cambiato qualcosa e non si era mai posta quel problema. Certo, da un po’ di tempo se ne stavano sempre più spesso rintanati nelle loro stanze, non erano più andati in biblioteca insieme e raramente lui si vedeva durante i pasti. Ma Mattia non era una donna, con un ragazzo se conti le volte in cui si parla o in cui si viene a contatto rischi di risultare paranoica e insopportabile. Con lui era così, aveva preso quell’abitudine naturalmente, erano fratelli loro, una coppia di bellissimi fratelli in cui il dialogo non era sempre contemplato.

Era raro che Lisa insistesse per parlare di rapporti tra coinquilini.«Qualcosa è cambiato, Dì.» sottolineò nel caso non le fosse chiaro.

Fece una mezza risata: «Sarà una tua impressione. Avrà un esame difficile da dare, e non vuole perdere tempo con stupidi giochetti.» ipotizzò per nulla preoccupata, mentre si raccoglieva i lunghi capelli in una coda spettinata.

Scosse la testa, decisa a non lasciar cadere quel discorso: «Neanche quando scriveva la Tesi si è mai risparmiato dal provocarti. Un esame non può fargli questo effetto. Con me è sempre la stessa persona. E’ con te che le cose sono cambiate.» ci stava provando a farglielo capire, a fare in modo che lo notasse da sola, ma sembrava sorda ad ogni suo appunto.

«Non mi sembra che ti abbia salutato.» le fece notare indicando la porta da dove era appena uscito.

«Non mi saluta mai quando esce e se lo fa è quando saluta anche te.» le ricordò sfidandola a contraddirla.

Allargò le braccia: «Non so che dirti Lì. A me non sembra che ci sia qualcosa di diverso, che mi vuoi dire?» le chiese non sapendo più come sostenere quelle congetture.

Si alzò e si sedette accanto a lei che ritirò le gambe per farle spazio sul divano. «Sarò brutale ma ti prego di essere sincera e di ricordare che sono un’amica e non tua madre.» disse accigliata posandole una mano sulle braccia che tenevano insieme le gambe.

Rise:«Purtroppo non ho una madre che beve birra a colazione…non potrei mai scordarmi chi sei per me.» la rassicurò sinceramente incuriosita, ma anche un po’ mendace. Lisa era solita comportarsi da mammina con lei, soprattutto nell’anno dopo la Laurea era diventata troppo apprensiva nei suoi confronti. Qualche volta era anche carino che si preoccupasse per lei, ma altre volte aveva rischiato veramente di scambiarla con la madre che a casa l’aspettava ansiosa e che la chiamava ogni sera prima di andare a dormire.

Si strinse nelle spalle «Sei una bugiarda ma ti perdono.» le fece l’occhiolino, poi prese un respiro profondo dopo aver chiuso gli occhi. La rimproverava spesso di starle col fiato sul collo. Si preparò prima di porle quella grossa domanda la cui risposta sarebbe pesata sulla vita in quell’appartamento. «Siete finiti a letto insieme?» si vedeva nei suoi occhi chiari che era una domanda che da anni contava di porre.

Diana spalancò la bocca e gli occhi, era stata brutale come aveva promesso.«Certo che no! E’…» non riusciva neanche ad immaginarsi con lui, a letto, nudi, a fare sesso. Era una cosa così sbagliata da metterle i brividi.

Le credette immediatamente, sapeva che su quelle cose non le avrebbe mai mentito. Però giunse le mani e con lo sguardo di chi oramai ha capito tutto, fece un’altra delle sue affermazioni spiazzanti:«Allora è tutto chiaro, è innamorato di te. Questa è l’unica spiegazione.» concluse la frase in un modo che Diana non si sarebbe mai sognata neanche di pensare nei più remoti angoli del suo inconscio.

«Scusa ma quante canne ti fumi? Dovresti diminuire la dose giornaliera.» chiese risentita e sulla difensiva.

Non si offese, non era un segreto che le piacesse fumare erba. «Ho lasciato il mio spinello quotidiano per dopo… mi ci vorrà.» Sorvolò così su quella insinuazione e con sicurezza proseguì:« Senti Diana, io vi voglio un bene nell’anima e Dio solo sa quanto mi metta a disagio parlare con te di queste cose. Sapevo fin dall’inizio che qualcosa tra voi sarebbe capitato e…se mi avessero chiesto di scommettere su chi dei due si fosse innamorato dell’altro per primo, avrei scommesso su di te. Non me ne volere per questo, ma di solito le donne sono quelle più legate all’idea dell’innamoramento… » e avrebbe continuato su quella via se lei non l’avesse interrotta alzando un palmo a pochi centimetri dal suo viso.

Non la fece finire:«Non io, Lisa! Lo sai che non sono capace di innamorarmi, e anche lui ha i suoi begli handicap su questo aspetto della vita. Non voglio sentire una parola di più a questo proposito. Siamo usciti insieme per gioco, lui ha scommesso con sé stesso di riuscire a farmi sentire una donna interessante anche solo per una sera. Siamo andati a letto separatamente ed è finita lì. E’ stato al patto, punto!» non abbandonò il soggiorno ma si alzò e si avvicinò all’angolo cottura per cercare qualcosa che le tenesse occupata. Aprì tutti gli sportelli della credenza, non sapendo cosa cercare e facendo un baccano spaccatimpani a suon di cigolii e ante chiuse con violenza. Non voleva parlare con lei di quelle cose, non dopo aver affrontato una mattinata e un primo pomeriggio impegnativi.

Ma la coinquilina era decisa a continuare. «Lo credi tu di non esserne capace e guarda a cosa ti ha portato! Non vedi neanche le prove più ovvie d’amore, quelle che ti stanno sotto il naso. Smettila di impedirti qualcosa, di credere di non esserne capace.» si alzò anche lei e la raggiunse al tavolo che Diana aveva prontamente riempito con gli ingredienti per fare un ciambellone.

Faceva sempre così quando si sentiva a disagio: cercava di cucinare qualcosa per non dover guardare negli occhi il suo interlocutore, si concentrava sul miscuglio di ingredienti che nessuno sano di mente avrebbe mai accostato tra loro. La cosa buffa era che i suoi esperimenti, sorprendentemente, risultavano mangiabili nove volte su dieci. « Non dire idiozie! Io mi conosco! E Mattia è solo agitato per qualcosa, non è per causa mia se non sentiamo la necessità di battibeccare ogni santo giorno.» replicò decisa frustando con eccessiva violenza due uova in una ciotola.

«Diana sei una persona intelligente, ti prego di guardare in faccia la realtà cosicchè in questo appartamento si torni a respirare.» la implorò «E’ dalla vostra uscita che fa di tutto per non provocarti, quando gli parli risponde a monosillabi e se ne stà tutto il giorno in camera sua o fuori di qui. Non una ragazza è entrata in questa casa da quel giorno e non l’ho più sentito scopare con nessuna. Qualcosa deve essere successo a colui che almeno due alla settimana le faceva godere a portata del nostro orecchio. E non era il fatto che sentissimo tutti i suoi movimenti di lenzuola a mettermi a disagio, è questo muro di “non detto” che c’è tra voi che manda in confusione il nostro equilibrio. Non siete stati mai così lontani e questo mi fa paura.» quasi urlava per svegliarla da quello stallo emozionale in cui si trovava.

Reagì con un tono sopra quello di Lisa: «Si sarà deciso a fare la persona seria, perché la nostra uscita dovrebbe essere la causa scatenante? Avrà capito che vuole una relazione stabile anche lui… perché per forza con me?» le chiese sentendosi accusata. Non capiva… non ci riusciva.

Fu così che Lisa sganciò la bomba atomica: «Me lo ha detto, ok?» confessò di getto.

Si bloccò con la ciotola sotto un braccio e la frusta con l’impasto che colava a terra nella mano destra. La guardava attonita sperando, pregando, di aver capito male. Un silenzio teso scese tra loro, si guardavano l’una con lo sguardo sconvolto e l’altra con lo sguardo colpevole. Non sapevano bene cosa fare, come riprendere quel fondamentale discorso.

Fu Diana a parlare dopo parecchi secondi: «C… Che cosa ti ha detto?» non poteva crederci. Lui era suo amico, non poteva tradirla così. Non era così che doveva andare tra loro. Voleva che si salutassero dopo la sua laurea, che si lasciassero quel giorno, pur rimanendo in contatto senza impegno. Dovevano rimanere solo quei due che erano stati coinquilini per quattro anni, non quei due che avevano provato ad avere una storia che poi era finita male lasciandoli distrutti. Erano amici, lui era il ragazzo di cui si fidava di più sull’intero pianeta, non voleva che cambiasse per poi degenerare. Lei odiava tutti i cambiamenti.

«Gli avevo chiesto una settimana fa cosa fosse successo tra voi, perché non era più come prima. Non ha parlato molto, mi ha detto solo che lui era stato ai patti, che come ti aveva promesso eri uscita con uno di cui non potresti mai innamorarti, e che si sentiva solo un buon amico per te. Ed ho capito.» spiegò velocemente.

Diana sospirò di sollievo, fortunatamente niente era stato detto ad alta voce, niente era vero. Solo deduzioni. Niente sarebbe cambiato: «Quindi non ti ha detto che si è innamorato di me… che sollievo… mi hai fatto prendere un mezzo spavento.» posò la frusta dentro la citola «Guarda che disastro.» e si mise a pulire a terra con un sorriso.

Era attonita, sconvolta. Eppure era chiaro il discorso che le aveva riportato parola per parola, lei era una donna e, di solito, le donne vanno a nozze con situazioni e parole da interpretare e sviscerare. Come poteva far finta di niente? Quello la faceva infuriare perché li aveva visti all’altare più di una volta nei suoi sogni: «Diana! Per Dio! Non ti ha mai promesso che quello con cui saresti uscita non si sarebbe innamorato di te. E’ questo che è successo ed era chiarissimo anche senza tanti giri di parole. Era deluso, rassegnato, triste. Tu lo vedi solo come amico ma lui si è innamorato di te. E’ cambiato tutto.» lo urlò esasperata.

Si rizzò in piedi con uno scatto repentino. «Non puoi prendere per buone tante piccole deduzioni provenienti dalla tua testa, Lisa.» protestò. Perché ci teneva tanto al fatto che prendesse per vero il suo pensiero a riguardo?

«E’ una prova schiacciante il fatto che abbia sottolineato come tu lo vedi…» non era disposta a rinunciare.

Ringhiò « Per te lo è! » si passò una mano in fronte scordandosi completamente che fosse sporca, una striscia di cioccolato, uova e zucchero agglomerati, campeggiava sul suo volto ignorata da entrambe. Diana sbattè i palmi sul piano del tavolo, minacciosa: «Mettiamo in chiaro questo: se i suoi sentimenti sono cambiati e non lo vuole palesemente dire, non sono cazzi che mi riguardano. Se vuole fare come i quindicenni e non affrontare la questione con me, sempre che così sia, non sono io che mi devo porre il problema, e neanche tu. E invece di farla a me la ramanzina spingi lui a trattarmi come un’adulta che può affrontare queste cose, spingi lui a diventare l’uomo che dovrebbe essere già da un bel pezzo. Digli di smetterla di fare l’enigmatico e di tirare fuori le palle per una volta, senza nascondersi nel silenzio, nell’indifferenza o nelle sue cazzo di battute. Non sono io la responsabile del suo cambiamento.» aveva gli occhi lucidi «Non ho bisogno di rovinarmi le viscere in congetture, ho bisogno di sincerità. Sbaglio a volere questo? Lui è il mio migliore amico, l’unico uomo di cui io mi sia mai fidata, lo sai. E’ ora che cominci a darmi prova che non stia sbagliando. Non posso essere la responsabile di tutto ciò che gli uomini mi fanno o di tutto ciò che provano nei miei confronti, Lisa. Se lui non riesce a venire a patti con quello che prova, e a comportarsi da uomo e non da maschio, io non posso farlo al posto suo. Non posso prendere per vero ciò che adesso è solo un’ipotesi. Che venga davanti a me, con la sua faccia da cazzo, a dirmelo, se ci tiene tanto che io lo sappia. Che la smetta di mandare avanti te, perché né tu né io siamo responsabili per lui. E comunque siamo stati ai patti tutti e due, io non sono innamorata di lui. Era questo che voleva lui, ed era questo che volevo io. »

La porta d’ingresso si spalancò di botto e il sangue si gelò in corpo ad entrambe alla vista di Mattia, bianco come uno straccio, che entrò a testa bassa e pronunciò «Ho scordato il cellulare.» e mortificato si rintanò nella sua stanza.

 
  
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