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Autore: kim_kennedy    18/08/2015    3 recensioni
- Gli Shadowhunters non dovrebbero essere così curiosi, sorellina, ricordalo. - l'ammonì il fratello, facendole seccare la gola.
Sapeva che non intendeva la sua passione per i libri, ma qualcosa di più importante... qualcosa a cui lei era stata tenuta all'oscuro.
- Anche nostra madre era curiosa. - le ricordò, con un pizzico di amarezza nella voce, come se ella si fosse cercata il suo destino.
Seraphim gli strinse il colletto della divisa, abbassandolo alla propria altezza - Non parlare di nostra madre, Jonathan. Mai più. - l'avvisò, serrando la mascella.
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E lei... cos'era?
Maledetta?
O era un dono ciò che le avevano concesso?
Non lo sapeva, ma l'unica cosa di cui aveva certezza era che le persone che lo sapevano avevano paura di lei, e non poca.
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- Non sarai mai una vera Shadowhunters. - sputò Jace, facendo luccicare gli occhi della ragazza
- Una persona che non può ricevere i marchi, non è degna di essere chiamata Nephilim. - proseguì, mettendola spalle al muro - Questa è la nostra guerra, non la tua. -
Seraphim gli fece lo sgambetto, facendolo cadere a terra - Una guerra contro mio fratello, Herondale. - i suoi occhi sembravano ardere.
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- Gli Angeli sono innamorati di lei... - sembrava un sussurro, ma tutti compresero.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Jace Lightwood, Raziel, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Valentine Morgenstern
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
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City of blood Capitolo Due - Mia sorella, mia sposa.


Seraphim passò la spazzola sui lunghi capelli neri, allisciandoli per poi ritrovarli arricciati come prima.
Guardò il suo riflesso allo specchio, come se stesse guardando una persona che non fosse lei; si vedeva come una spettatrice passiva della sua vita.
La tenuta bianca da combattimento le fasciava il corpo, rendendola pronta per l’allentamento di quel giorno.
Quella mattina si era risvegliata nel letto di suo padre, ma senza nessuna traccia dell’uomo; si era velocemente intrufolata nel bagno ed ora continuava a guardarsi, senza riconoscersi.
Assomigliava a suo madre, ma non si identificava in lei. Spesso, da adolescenti, le figlie assomigliavano alle loro madri, ma per lei non era così.
Non sapeva a chi somigliasse.
Sussultò non appena il riflesso di Jonathan fece capolinea alle sue spalle; il ragazzo le prese una ciocca di capelli tra le mani, arricciandola con l’indice per poi farla ricadere dolcemente sulle sue spalle.
Le lasciò un bacio sulla nuca, prendendole la spazzola tra le mani – Nostro padre ci aspetta nella biblioteca, sorellina. – disse, poggiandole una mano sulla spalla.
Seraphim annuì appena, lo sguardo perso nel vuoto.
Quel giorno le sembrava così diverso dagli altri, ma allo stesso tempo così monotolo e banale.
Non sapeva cosa non andasse in lei.
Si alzò in piedi, con Jonathan che l’aspettava sull’uscio della porta – C’è qualcosa che non va? – le chiese il fratello, intanto che camminavano svelti verso la biblioteca, situata all’ultimo piano dell’abitazione costruita su tre livelli.
Era così evidente che ci fosse qualcosa di strano in lei, quel giorno?
La ragazza si limitò a scuotere il capo, continuando a percorrere quei corridoi che ormai conosceva a memoria; da piccola, spesso, lei e Jonathan correvano per la casa giocando ad acchiapparella.
Aveva avuto una bella infanzia, doveva ammetterlo, ma aveva sempre notato che ci fosse qualcosa di diverso in lei e suo fratello, qualcosa che preoccupava Valentine dal primo giorno che erano venuti al mondo.
Doveva esserci qualcosa che lei non sapesse, di questo ne era certa, ma non sapeva di cosa potesse trattarsi, né se mai glielo avrebbero detto; era sicura che Jonathan sapesse qualcosa, ma fino ad all’ora non aveva mai proferito parola riguardate qualche segreto di cui lei fosse all’oscuro.
Il fratello le aprì la porta che conduceva alla biblioteca, facendola entrare per prima.
Valentine era seduto dietro alla sua imponente scrivania di ciliegio, intanto che rigirava tra le mani un libro dalla copertina verde e dalle scritte dorate.
Quasi nel centro della biblioteca vi erano due banchi di modeste dimensioni, assegnati ai due fratelli sin dal primo giorno del loro addestramento.
– Col tempo capirete quanto sia vitale la presenza di un fratello o di una sorella. – asserì l’uomo, posando lo sguardo sui suoi due figli; li squadrò per qualche secondo, per poi ritornare con lo sguardo sul libro che teneva in mano – I Morgenstern sono una famiglia molto antica nella storia degli Shadowhunters. – proseguì, alzandosi in piedi e poggiandosi contro la scrivania – Inizialmente, era usanza che fratello e sorella si sposassero, in modo da continuare la dinastia. – Seraphim rabbrividì: in tutte le storie in cui due fratelli si sposavano non vi era mai un dolce lieto fine.
Valentine passò la punta dello stilo sulla liscia superficie del banco di Jonathan, tracciando una runa che non avevano mai utilizzato – Riconoscete questa runa? – gli domandò, picchiettando con un dito sulla runa appena incisa – La runa del matrimonio. – mormorò appena Seraphim, facendo scintillare gli occhi dell’uomo.
– Esatto, molto bene. – si complimentò, tornando verso la propria scrivania. – Essendo vostro padre e vostro tutore ho la facoltà di decidere per voi, nonstante Jonathan abbia venti anni e tu, Seraphim, a breve diciotto. – gli ricordò, facendo torcere lo stomaco della ragazza.
Odiava quando glielo rammentava.
Sembrava che fossero le sue marionette.
L’uomo si voltò, con la punta dello stilo premuta sul polpastrello dell’indice – Ho deciso di riprendere questa tradizione. Jonathan, sposerai tua sorella; Seraphim, sposerai tuo fratello. – dichiarò Valentine, facendole seccare la gola.
Non poteva dire sul serio.
Seraphim rivolse uno sguardo a Jonathan, trovandolo immobile al proprio posto.
Era questo il segreto...
Un mix di sentimenti contrastanti la colpì in pieno volto, facendole offuscare la vista. Non riusciva a credere che la sua famiglia, le persone di cui si fidava ciecamente l’avessero tenuta all’oscuro di tutto ciò.
Il suo sguardo era immbile, fisso sul suo banco.
Voleva alzarsi, urlargli contro che erano degli ipocriti fasulli e che non meritavano il suo affetto e la sua bontà; sua madre avrebbe impedito tutto ciò, era questo il suo unico pensiero.
Perché non riusciva a ribellarsi?
Strinse i pugni, mordendosi la lingua: odiava non poter controbattere. Perché lo sapeva che, se solo avesse aperto bocca, Valentine le avrebbe ribadito la sua supremazia su di lei, facendola sentire più inferiore di un chicco di riso.
Batté un pugno sul banco, non contenendo la rabbia – Siete degli stronzi! – urlò la ragazza, alzandosi in piedi.
I due uomini la guardarono, con la bocca dischiusa e gli occhi sgranati – Io... vi giuro sull’Angelo che ve ne pentirete di avermi fatto questo! Lo giuro! – le sue guance erano arrossate, il respiro affannato.
Non aveva mai alzato la voce prima d’ora.
Lanciò un urlo liberatorio,  per poi correre via dalla biblioteca.
Avrebbe trovato un modo per vendicarsi, per fargli vedere che non era fragile come credevano.
Doveva farlo.
Sentì dei passi alle sue spalle, facendole intuire che o suo padre o Jonathan la stessero seguendo per, molto probabilmente, farle cambiare idea e cercare di calmarla.
Strinse i pugni, voltandosi di scatto.
Suo fratello le distava pochi centimetri, sovrastandola con il suo metro e ottanta di altezza.
Seraphim sapeva che i suoi occhi erano gelidi, fissi sul fratello che in quel momento odiava più di chiunque al mondo; avrebbe potuto anche perdonare Valentine per averle nascosto ciò, ma non Jonathan. Non il bambino che la sosteneva sempre e che l’ascoltava quando era triste.
Erano più che fratelli, ed entrambi avvertivano il filo che li connetteva; quando Seraphim era triste Jonathan l’avvertiva, quando il ragazzo era frustato la sorella lo sapeva.
Se mai la ragazza avesse ricevuto una runa sapeva che sarebbe stata quella che li univa come più che fratelli, come parabatai. Perché sì, doveva ammetterlo, aveva sempre voluto che Jonathan, la persona di cui si fidava più al mondo, fosse suo per sempre.
Il fratello allungò una mano, sfiorandole il polso – Seraphim... – mormorò, sospirando.
Era pentito.
La ragazza scosse il capo, allontanandosi – Non toccarmi. – sibilò, ghiacciandolo con lo sguardo al suo posto quando Jonathan provò ad avanzare di qualche passo, probabilmente per accarezzarle una guancia.
Seraphim strinse i pugni – Tu... eri l’unica persona di cui mi fidavo. – egli scosse lievemente il capo, come per cancellare il passato che la ragazza aveva usato.
La sorella lo spinse indietro, frustata – Anche senza la runa io ti ho sempre percepito come il mio parabatai, Jonathan! – gridò, battendo un pugno contro il petto del ragazzo.
Jonathan le fermò il polso, impedendole di ripetere l’azione – Seraphim, nostro padre mi aveva fatto giurare sull’Angelo di non rivelartelo mai. – le spiegò, cercando, in qualche modo, di poterla calmare.
La strinse in un abbraccio, non curandosi dei graffi che Seraphim gli stesse procurando con le unghie e dei suoi numerosi calci e pugni.
Le baciò i capelli, accarezzandole la schiena dolcemente – Anch’io ti ho sempre percepita come mia parabatai, Seraphim. – confessò – Sei l’unica persona di cui mi fidi; sei l’unica a cui mi lascerei cadere tra le braccia con la consapevolezza di non cadere. –
Le baciò la fronte, trovando la sorellina con le lacrime che le rigavano le bianche guance.
Gliele asciugò con i pollici, facendo scontrare le loro fronti.
Rimasero in silenzio, entrambi con gli sguardi abbassati e i cuori che battevano all’impazzata.
Seraphim alzò gli occhi, facendo strusciare il suo naso contro quello di Jonathan; non sapeva come reagire, non sapeva più cosa fare.
Schiuse le labbra, catturando l’attenzione dei profondi occhi del ragazzo – Sei l’unica donna che potrò mai amare in vita mia, Seraphim. – sussurrò, stringendole le guance tra le mani.
Le baciò la fronte, con fare premuroso – Mia sorella, mia sposa. – mormorò, provocando un’ondata di pelle d’oca lungo la colonna vertebrale della ragazza.
– Portami al lago, ti prego. – lo supplicò ella, sospirando pesantemente, come se si fosse tenuta quella frase dentro da anni.
Jonathan annuì solamente, prendendole una mano e conducendola fuori l’abitazione.

Seraphim tracciò una linea sulla piatta superficie del lago con il polpastrello dell’indice, sentendo la magnifica sensazione di fresco fare capolinea sulla sua pelle.
Jonathan era in piedi, dandole le spalle – Valentine sa di cosa sei capace, Seraphim. – esordì, facendo irrigidire i muscoli della ragazza; le mancò il fiato, tanto da farla tossire quando si sforzò di non dare troppo nell’occhio.
Si schiarì numerose volte la voce, riprendendosi – Io... non so di cosa tu stia parlando. – disse innocentemente, continuando a tracciare linee invisibili sulla superficice del lago cristallino.
Quando era piccola sua madre la portava sempre al lago; passeggiavano per ore e spesso Jocelyn le raccontava delle storie sugli Shadowhunters, oppure le leggeva qualche pagina di un libro.
Aveva sempre passato dei momenti magnifici con sua madre, e le mancavano follemente.
Il fratello le accarezzò una spalla, facendola tornare alla realtà – Non sono stupido, sorellina. – le ricordò, sedendosi accanto a lei sull’erba del prato.
Seraphim ritrasse la mano dall’acqua, portandosela in grembo.
Non poteva averlo scoperto, era impossibile.
Sua madre non aveva mai raccontanto a Valentine di cosa lei fosse in grado di fare.
– Mamma è sempre stata molto furba e attenta a nascondere le vostre passeggiate qui al lago, Seraphim. – esordì, prendendole con due dita il mento – Ma papà non è uno stupido, e sapeva che stavate nascondendo qualcosa. Sei stata davvero brava a non farti sfuggire nulla, ma voglio ricordarti che abbiamo dormito insieme, sorellina, e quando dormi parli nel sonno. – Seraphim deglutì, in trappola.
Non le aveva mai detto che quando dormiva parlava nel sonno.
Jonathan le strinse le guance con forza, facendole male – Dimmi perché non me lo hai detto, Seraphim. – ringhiò – Dimmi perché non hai detto a tuo fratello che sei in grado di parlare con gli Angeli! – gridò, con il petto che si alzava e abbassava a ritmo irregolare.
La ragazza cercò di alzarsi, ma inutilmente; il fratello la costrinse a terra, tenendole una mano sulla gola.
Si guardarono negli occhi, e Jonathan poté percepire nello sguardo della sorella a cosa stesse pensando in quel momento: voleva dimostrargli che era alla sua altezza.
Il ragazzo ghignò – Potrai anche avere dalla tua parte la benedizione del Paradiso, sorellina – le sussurrò, avvicinandosi al suo viso – Ma non puoi lottare da sola contro l’Inferno. –
Gli occhi di Seraphim si spalancarono, intanto che cercava inutilmente di liberarsi dalla presa strangolatrice di Jonathan.
Doveva sopravvivere.
Lo colpì al naso con un pugno, facendo capovolgere le situazioni; lo immobilizzò per terra, tenendogli le braccia sopra alla testa – Io non sono da sola, Jonathan. – sussurrò, ringhiando.
Una scintilla illuminò gli occhi del fratello, facendolo sorridere – Quando saremo all’Inferno, nessuno potrà aiutarti, sorellina. – si alzò appena col busto, facendo scontrare i loro nasi – E allora tu sarai mia, sorellina. Mia sorella, mia sposa.
Le lasciò un bacio sulla guancia, ritraendosi quasi immediatamente; una scossa elettrica l’aveva fatto fremere, facendogli avvertire il sapore amaro del sangue in bocca.
Ghignò, divertito – Un giorno cambierai idea, sorellina. Riceverai una proposta che non potrai rifiutare. – predisse, facendo seccare la gola della sorella.
 
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Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori presenti nel testo.
Buonasera :)
Spero che la storia vi stia piacendo, anche se sono consapevole dell'immensità
di tempo che ho impiegato per aggiornare.
Prometto che sarò molto più svelta!
Detto questo, voglio ringraziare le persone che hanno recensito il primo
capitolo e spero di ricevere altrettante splendide recensioni anche per
questo capitolo :)
Alla prossima :*
 
  
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