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Autore: giambo    19/08/2015    5 recensioni
Sono passati ormai tredici anni dalla fine della grande Era della Pirateria. La Marina ha ormai preso pieno possesso delle acque del Nuovo Mondo, sterminandone la maggior parte dei pirati che lo navigavano. I pochi sopravvissuti si sono riuniti attorno a quattro nuovi imperatori pirata che però, con il passare del tempo, stanno invecchiando senza vedere nuovi eredi all'orizzonte.
Monkey D. Kinji è un ragazzino di dodici anni che trascorre le sue giornate a fantasticare su avventure fantastiche in paesi lontani. Sotto le amorevoli cure di due zie adottive, Kinji cresce felice e spensierato, non conoscendo l'eredità terribile del nome che porta dietro. Tuttavia, ad un tratto, Kinji sarà obbligato ad arruolarsi nell'Armata Rivoluzionaria, il cui comandante lo segue e lo controlla fin da quando è nato. Sotto la supervisione del burbero Johan, della ribelle Neyna e della provocante Fumiko, Kinji cresce forte e testardo. Ma la volontà racchiusa nel suo nome lo porterà presto a fare una scelta: se schierarsi dalla parte della Marina, dei rivoluzionari o dalla parte di un teschio sormontato da un buffo cappello di paglia
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Sabo, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'OPNG: One Piece New Generation'
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Capitolo 29

 

East Blue, isola Dawn, due anni dopo.

 

 

Il mare era calmo, liscio come una patina di olio, ma una leggera brezza muoveva l'aria, evitando di rendere la giornata afosa.

Un ragazzo osservava il mare da un promontorio. Era alto, con le spalle larghe, ed un sorriso allegro ed incosciente sul volto. Aveva i capelli neri come la notte, leggermente lunghi, occhi dello stesso colore, e una rada barba a coprirgli le guance. Indossava una maglietta bianca, a coprire il fisico possente e muscoloso, pantaloni verdi, panciera dello stesso colore alla vita, e stivali di cuoio ai piedi. Una lunga e lucente spada nera gli pendeva dalla schiena, chiusa in un fodero di pelle.

Kinji era emozionato. Il momento tanto atteso era arrivato! Finalmente, dopo due lunghi e faticosi anni di duro allenamento, era pronto a riprendere da dove si era interrotto. Era pronto ad affrontare la Grand Line.

Il sorriso sul suo volto si allargò. Piegò le gambe, facendo un salto in alto di oltre dieci metri. Poi, tramite un'agile capriola in aria, atterrò senza nessun problema, dirigendosi a grande velocità verso il villaggio Foosha. Ormai conosceva la foresta che si estendeva lungo il monte Corbo come le sue tasche, e sapeva esattamente dove mettere i piedi per evitare paludi od altre insidie di questo genere. Quando arrivò al villaggio, il suo cuore era calmo come se avesse solamente passeggiato per una decina di minuti.

Foosha era deserto. Il grande caldo teneva gli abitanti lontano dalle strade, facendo loro preferire le fresche abitazioni. In quei due anni di allenamento, Kinji non era sceso molto spesso al villaggio, per non dire quasi mai. Si era limitato solo un paio di volte per andare a salutare Makino, quando il suo fisico era troppo malconcio per allenarsi. Trovava che spostarsi lungo quel lungo e disagievole percorso nelle sue condizioni fosse comunque un esercizio utile.

Si diresse verso il porto, nient'altro che un paio di moli di legno ed uno di pietra che sfidavano l'immensità dell'oceano, osservando con un pizzico di nostalgia quel luogo che, con molta probabilità, non avrebbe rivisto per molto tempo.

Chissà...forse un giorno tornerò.

Una volta raggiunto il molo, rimase sorpreso di vederci Makino, suo figlio Korimoto e l'intera famiglia Dadan ad attenderlo.

“Come mai siete tutti qui?” chiese perplesso. “Credevo che la nostra partenza fosse segreta.”

“Segreta?! E' un'ora che ti sto aspettando! Ormai lo sapranno tutti gli abitanti di Dawn che salpiamo!” sbottò stizzito un ragazzo, seduto sulla barchetta che avrebbero usato per raggiungere la Grand Line. Anche Kuroc era cambiato in quei due anni: era più muscoloso e largo di spalle, il suo volto era solcato da una lunga cicatrice biancastra, che partiva dalla tempia sinistra, attraversava tutto il lato sinistro del volto, per terminare poco sotto il mento. Si era tagliato il codino, preferendo un taglio militare. I capelli erano diventati grigi, nonostante la giovane età, e gli mancava la prima falange del medio e dell'anulare sulla mano sinistra. Indossava pantaloni mimetici, stivali militari, ed un giubbotto di pelle nero, aperto, che mostrava il fisico muscoloso, dove si poteva notare la cicatrice infertagli da Ryutaro due anni prima. Al fianco sinistro portava, come sempre, la sua fida katana, Doragon no buresu, Alito di drago.

“Sempre di buonumore, eh?” lo prese in giro il compagno, lanciandogli il proprio zaino a bordo. “Dovevo salutare la foresta, non potevo partire senza farci un ultimo giro!”

Kuroc preferì non ribattere, promettendosi di picchiarlo non appena avessero preso il largo.

“Sei proprio uguale a tuo padre.” esclamò Makino. Successivamente, la donna lo abbracciò. “Prenditi cura di te, d'accordo?”

“Ricevuto, Makino-san!” rispose il giovane, esibendo un grande sorriso.

Korimoto si limitò ad una sobria stretta di mano, anche se sorrise con fare fraterno.

“Mi raccomando, campione! Torna un giorno a trovarci!”

“Ci puoi giurare!”

Magura e Dogura, con i volti coperti di lacrime, non riuscirono a spiccare parola, limitandosi ad abbracciarlo con tutta la loro forza.

“Addio ragazzo!” borbottò Dogura. “Ci mancherai!”

“Anche voi!” replicò il moro.

“Dov'è Sabo?” borbottò Magura. “Ero convinto che sarebbe venuto.”

“Se ne è andato alcuni giorni fa.” rispose Kuroc. “Ha detto che non è bravo con gli addii.”

Infine, con un salto, Kinji salì a bordo. Subito dopo, il compagno levò gli ormeggi, innalzando la vela, facendo prendere dolcemente il largo alla loro imbarcazione. Kinji rimase a guardare a terra a lungo, agitando una mano, e sorridendo, fino a quando Dawn non fu che una sottile striscia di terra all'orizzonte.

“E così...siamo tornati ad essere solo noi due.” dichiarò Kuroc.

“Già...” replicò il suo capitano, osservando con sguardo speranzoso l'orizzonte. “Tu dici che un giorno torneremo?”

“Solo il tempo l'ho potrà dire...in fondo, per arrivare al punto di partenza, bisogna prima arrivare alla fine, no?”

I due si guardarono, sorridendo.

Era tempo di riprendere il mare.

 

 

Zoro osservava il mare, seduto sul promontorio di Dawn, mentre finiva l'ennesima bottiglia di sakè. In lontananza, una barchetta si dirigeva verso sud, spinta dalle ali del fato.

Presto toccherà anche a me prendere quella direzione. Zoro era convinto che la pace fosse agli sgoccioli ormai. Nuove forze si stavano formando, ed il campo di battaglia sarebbe stato l'oceano più grande del mondo. Non aveva nessuna intenzione di perdersi la festa.

Sorrise, mentre si toccava il cappello che portava. Il suo era un sorriso strano, quasi simile ad una smorfia, dettato dai ricordi. Il ricordo di quando aveva accettato quella missione, poche settimane dopo aver perso il proprio mondo, ormai più di diciotto anni prima.

 

Zoro si strinse la benda, soffocando in gola l'urlo di dolore che premeva per uscire. Quelle ferite sembravano non voler guarire mai. Se solo ci fosse stato Chopper lì con lui.

Non so neanche se sia vivo o morto...”

Il pensiero dell'amico lo fece, se possibile, incupire ulteriormente. Si cambiò velocemente il resto delle garze, cercando di non pensare troppo ai suoi amici, dispersi chissà dove. Avrebbe voluto mettersi a cercarli, ma sapeva che abbandonare quel luogo significava la morte. La Marina stava perlustrando palmo a palmo ogni isola di tutta la Grand Line, in cerca dei compagni del defunto Re dei Pirati. Per il momento, gli altri avrebbero dovuto cavarsela da soli.

Una volta sistemata anche l'ultima benda, lo spadaccino si stracchiò, constatando che non aveva troppi problemi ad alzarsi in piedi. La febbre era sparita da qualche giorno ormai, e si sentiva, tutto sommato, abbastanza in forze.

Il rifugio di Zoro non era nient'altro che un sotterraneo di una casa, in un villaggio sperduto. La nazione in cui si era rifugiato non era membro del Governo Mondiale. Pertanto non correva rischi eccessivi, anche se preferiva evitare di andare in giro, almeno fino a quando non si fosse ristabilito.

Ma quel giorno stava particolarmente bene. Le ferite dolevano, ma niente di terribile. Desiderioso di rivedere il sole, il pirata uscì dal proprio nascondiglio, sorridendo non appena si sentì addosso il calore dell'astro infuocato.

Il villaggio era in piena attività, essendo pomeriggio inoltrato. Quando si era rifiugiato lassù, alle pendici di quel vulcano spento, Zoro aveva visto molto poco di quel posto. Si era limitato a pagare, in preda ai deliri della febbre, il primo uomo che gli era parso abbastanza onesto da non tradirlo, per chiedergli ospitalità. La fortuna era stata dalla sua. Taleh era un giovane onesto e pacifico, e l'aveva accudito al massimo delle sue possibilità. Senza il suo aiuto, Zoro dubitava che sarebbe sopravvissuto.

Cominciò a camminare per le vie, osservando incuriositò le abitazioni di pietra della gente del luogo. Le case sembravano un tutt'uno con la roccia, come se fossero state costruite direttamente dai basamenti di pietra che sporgevano ovunque. La roccia era stata lavorata in mille modi diversi, in base alle esigenze della gente. In alcuni casi, sembrava addirittura vetro, da quanto era stata compressa e modellata. Il pirata ne rimase affascinato.

L'abitato era piccolo, non più di un centinaio di costruzioni. Una volta fuori, Zoro si accorse che il sentiero scendeva verso la pianura dove, a mezza giornata di cammino, si trovava il mare. Scosse le spalle, deciso a sgranchire i muscoli delle gambe

Perché no?”

In mezz'ora fu ai piedi del vulcano. Qui si accorse che le abitazioni erano costruite in modo tradizionale, con pietre e legno, e che le fattorie abbondavano, così come i pascoli, dove ruminavano pacifici numerosi bovini. Era un regno pacifico e sufficientemente prospero da definirsi agiato. La gente sembrava ben nutrita, e gli abiti, seppur usurati, erano di buona qualità. Il pirata suscitava la curiosità dei passanti, a causa delle sue bende e delle tre spade che portava alla vita. Tuttavia Zoro li ignorò, impegnato a godersi una passeggiata sotto il sole dopo tanto, troppo tempo dall'ultima. Quando aveva ancora uno scopo ed un capitano.

Una volta arrivato alla costa, si mise a seguirla con fare annoiato. La dolce campagna aveva lasciato lo spazio ad ampie scogliere, ripide ed insidiose, dove il rumore della risacca era fortissimo. Gabbiani e pulcinella volavano in circolo attorno ai loro nidi, mentre alcune capre selvatiche erano in cerca di erba in cima. In lontananza, quasi invisibile ad occhio nudo, veleggiava un grosso vascello, la cui bandiera non era identificabile a quella distanza. Lo spadaccino si mise a vagare, osservando la natura del posto con fare distaccato, fino a quando non trovò una radura soleggiata, a picco sul mare, dove decise di riposarsi.

Era uno splendido pomeriggio di primavera, il sole gli baciava il volto, mentre il vento gli sussurrava nelle orecchie parole lontane e sconosciute. In lontananza, i versi striduli dei gabbiani lo cullarono verso il sonno.

 

Si svegliò di soprassalto, avendo la netta sensazione di essere osservato. Si alzò velocemente, mettendo mano ad una delle sue katane, mentre osservava il paesaggio intorno a lui, apparentemente privo di pericoli.

Vedo che i tuoi sensi non hanno perso smalto.”

Zoro si accorse, con un secondi di ritardo, che la voce proveniva dal suo angolo cielo. Si girò di scattò, solo per trovarsi davanti il viso stanco e sorridente di Shanks. Non appena lo vide, il pirata si rilassò.

Non ti avevo sentito.” spiegò al nuovo arrivato, risedendosi sull'erba. “Non amo essere preso di sorpresa.”

Il rosso annuì, facendo compagnia allo spadaccino per terra. Una volta seduto, Zoro constatò come sembrasse invecchiato moltissimo dall'ultima volta che l'aveva visto, circa un paio di anni prima. Rughe profonde erano presenti sotto gli occhi del pirata, e la sua mano tremava impercettibilmente.

Come mai sei qui?” gli chiese.

Ti stavo cercando.” rispose Shanks, sorridendogli con fare stanco. “Volevo parlarti.”

Come hai fatto a trovarmi? Credevo che qui nessuno mi avrebbe rintracciato.”

Non è stato difficile, ma non devi preoccuparti. La Marina non possiede i miei contatti, e pertanto non corri rischi.”

Zoro si limitò ad annuire.

Di cosa volevi parlarmi?”

Senza dire nulla, il rosso prese da una piega del suo mantello un oggetto, e lo diede in mano allo spadaccino, il quale, non appena comprese cos'era, impallidì, intuendo il motivo di quel gesto.

Perché?” domandò. “Credevo che spettasse a te, ora che Rufy non c'è più.”

Ho fatto il mio tempo.” rispose il pirata, senza smettere di sorridere. “Il mio corpo soffre, molto più di quanto voglia far vedere. Presto arriverà anche la mia ora, è solo questione di tempo.”

Ma perché darlo a me? Perché non darlo a Sabo?”

Perché tu sei la persona più adatta a questo scopo, a questa missione. Quello non è un oggetto comune. Se dovessi dargli un nome, lo chiamerei 'vincolo dei sogni'. È tramite quell'oggetto, il suo uso continuo, che rimembriamo i nostri sogni, ricordiamo il perché abbiamo preso la via del mare.”

Zoro guardò a lungo il logoro cappello di paglia che teneva in mano, ricordando ogni singolo giorno che l'aveva visto addosso al suo amato capitano.

Shanks, io...”

Non devi per forza portarlo.” lo interruppe l'altro. “Mi basta che lo custodisci. Quando un giorno arriverà qualcuno adatto ad ereditare la volontà di Rufy e del capitano Roger, allora toccherà a te vincolarlo al cappello.”

Lo spadaccino non replicò. Si limitò ad indossarlo, sentendosi incredibilmente ridicolo, ma la cosa non lo toccava. Era il cappello di Rufy, e non avrebbe permesso a nessuno di prenderlo senza il suo consenso.

Che cosa farai, ora?” domandò il rosso.

Credo che seguirò il tuo consiglio.” rispose Zoro, tornando ad osservare il mare. “Mi hai dato una missione da compiere, e ho tutta l'intenzione di portarla a termine.”

Ne sono felice.”

Tu, invece? Cosa farai, Shanks? La Marina ti sta dando la caccia, come a me del resto.”

Il sorriso del rosso diventò enigmatico.

Io? Beh...penso che mi troverò un posto accogliente, dove prepararmi al mio ultimo viaggio.”

Non ci fu bisogno di dire altro.

Questo è un addio, Zoro.” dichiarò il pirata più anziano, alzandosi. “Sono felice di averti rivisto. Abbi cura di te stesso.”

Poi, prima che lo spadaccino potesse dire qualcosa, Shanks scomparve, quasi fosse stato solamente un sogno.

Ma quel cappello stava ad indicare che, in quel discorso, in quella visione, qualcosa di reale c'era stato. E che Shanks il rosso, scomparso misteriosamente poche settimane dopo, gli aveva dato una missione da compiere. Un compito per impedire che la volontà di Rufy andasse smarrita per sempre.

Grazie...”

 

Terminò la propria bottiglia con un ultimo, lungo sorso, mentre rifletteva sul rifiuto datogli da Kinji. Il figlio di Rufy non aveva voluto l'eredità del padre, e la cosa l'aveva in parte sorpreso: onestamente, credeva che fosse la persona migliore per ripercorrere le orme del suo capitano. Ma era anche vero che Kinji era troppo simile a Rufy per farlo. Entrambi odiavano sottostare a qualcuno, ed era possibile che il ragazzo avesse rifiutato per non avere l'ombra ingombrante del defunto Re dei Pirati addosso. Come aveva detto, quella era la sua avventura, da vivere in libertà, e senza alcun rimpianto.

Troverò qualcun'altro...forse Kinji riuscirà veramente a cambiare il mondo senza l'eredità di suo padre. In quel caso, sarò felice di essere presente, quando dovrà portare a termine lo One Piece.

Un rumore alle sue spalle lo distrasse dai suoi pensieri. Senza dire nulla, posò una mano su una katana, preparandosi a difendersi da qualsiasi minaccia ci fosse. Tutto quello che udì però fu una risata gutturale, come quella di un uccello, risuonare nella foresta dietro di sé.

Da non credere quanto è cambiata. Non sembra neanche più lei.

“Sai, non pensavo che ti fossi affezionato così tanto a quel ragazzo. Posso capire volerlo salvare da morte certa...ma addirittura osservarlo partire per la Grand Line...non credevo fossi cambiato così tanto...Zoro.”

Il volto del pirata si incupì nell'udire quella voce.

“Non dovresti parlare di cambiamenti, Nico Robin. Ormai, della donna con cui ho viaggiato per tanto tempo, porti solo il nome.”

“Che romantico.” osservò con sarcasmo la donna, uscendo alla scoperto. “Potrei quasi mettermi a piangere.”

Il suo vecchio compagno non rispose subito, osservando il mare con fare preoccupato.

“Perché l'hai fatto, Robin? Perchè non hai permesso che uccidesse l'assassina di suo fratello?”

Nico Robin rimase sorpresa che sapesse di quell'aneddoto.

“Tu sai?”

“Sì, io so.” fu la secca replica. “Ma non comprendo.”

“Nessuno può farlo!” rispose lei, con voce fredda. “La Hōken non può morire. Non potevo permettere che quel moccioso intralciasse l'unica salvezza di questo mondo.”

“La Hōken?” lo spadaccino sembrava perplesso. “Di cosa stai parlando?”

Nico Robin scoppiò a ridere con lo stesso fare gutturale di prima.

“Nessuno può capire. Io ho squarciato i veli del tempo, ed ho visto cosa ci attende. Hōken ci salverà dall'oscurità che emerge dalle profondità del passato.”

“Smettila di parlarmi per enigmi!” replicò il guerriero.

Il sorriso freddo della donna lo spaventò.

“Vuoi la verità, spadaccino?” domandò con voce melliflua. “Allora dovrai sopravvivere. Sta arrivando una tempesta, Zoro. Una tempesta che solo i più forti potranno affrontare.”

E senza aggiungere altro se ne andò, scomparendo nella vegetazione di Dawn. Lasciando il pirata confuso, perplesso, ma anche deciso a scoprire di cosa stesse parlando Nico Robin.

La risposta è in un luogo solo...

Anche per lui era tempo di tornare a navigare nell'oceano più selvaggio e grande del mondo.

Era tempo di tornare nel Nuovo Mondo.

 

 

Isola Kusho, East Blue, tre settimane dopo.

 

La locanda principale del villaggio Issan, situato lungo la costa orientale dell'isola Kusho, negli ultimi tempi era sempre più affollata. Pirati, vagabondi, truffatori, semplici passanti o abitanti del villaggio si riunivano durante le ore più calde della giornata, in cerca di refrigerio sul fondo di una bottiglia, e la sera, per cercare di dimenticare i problemi del giorno. Essendo visitata da ogni tipo di gente, non erano insolite le risse o i battibecchi, magari tra bande rivali o ciurme opposte. La gente del luogo invece preferiva badare ai propri affari, lasciando che i tagliagole si eliminassero a vicenda. Del resto, gli arredamenti si potevano riparare o ricomprare, la vita no.

Era una sera particolarmente calda ed afosa, la locanda era piena di gente di ogni dove, in particolare, un gruppo di banditi che da alcuni mesi proliferava in zona, facendo il bello ed il cattivo tempo con i contadini e pescatori dell'isola. Gli abitandi di Issan preferivano tenersi alla larga, badando ai loro affari, e sperando di ottenere una sbronza in santa pace. In un angolo, ad osservare il tramonto da una finestra, stava una figura avvolta in un mantello nero, nonostante il caldo presente all'interno della stanza.

“Hai saputo di quell'incursione di pirati sull'isola Golo?” dichiarò ad un tavolo vicino a quello dove era seduto il misterioso viaggiatore. “Pare che abbiano fatto incetta di soldi e donne, e che adesso stiano cercando di svenderle nei regni più ricchi di questo oceano.”

“Chi comandava l'incursione?”

“Un certo Richard. Pare che ultimamente si sia fatto una certa fama, e sulla sua testa penda una taglia di ben quindici milioni di berry.”

“Richard eh? L'ho già sentito nominare. Di sicuro, se ha una taglia così alta, deve essere un tipo in gamba.”

“Ma non farmi ridere!” esclamò una terza voce, più roca ed arrogante. “Le taglie sui pirati il più delle volte sono gonfiate da racconti e storielle per idioti! Non ci vuole niente a prendersela con qualche straccione come fanno loro. Sono come i cani: abbiano molto, ma quando vedono un lupo, scappano a gambe levate.”

“Non ti sembra di star esagerando, Mordul? In fondo, se quel tizio ha una taglia così alta, qualche danno lo deve pur aver fatto.”

“Puah! Il più delle volte quegli avvisi di taglia sono falsi, ma quegli incapaci riescono a proliferare perché la gente è inetta e credulona come voi due! Un tipo sparge in giro la voce di aver combinato chissà che orribili crimini, distribuisce qualche manifesto fasullo con una taglia altissima, e subito si crea una fama da temibile fuorilegge, grazie alla quale potrà vivere di rendità per il resto dei suoi giorni.”

“Effettivamente...di questo Richard se ne parla tanto...ma, in realtà, non l'ho mai visto.”

“Già...e neanche io, forse hai ragione Mordul.” dichiarò la prima voce.

“Certo che ho ragione, razza di babbei!” proseguì Mordul. “Prendete ad esempio anche quei due mocciosi, quelli di cui si parlava parecchio un paio di anni fa. Chi diavolo li ha mai visti? Pensate che sia possibile che due marmocchi come quelli possano avere delle taglie così elevate? Se tutto va bene, saranno due ladri di polli!”

“Effettivamente, io prima di allora non avevo mai sentito nominare questo Kinji...e neanche Kuroc.”

“Già...Mordul ha ragione. Probabilmente sono solo due mocciosi da quattro soldi, che cercano fama sparando balle sul fatto di avere delle taglie elevatissime!”

“Li odio!” borbottò il tizio di nome Mordul. “Infangare così la nomea di veri fuorilegge come noi! Questi bastardi dal sangue annacquato andrebbero scuoiati vivi, e poi dati in pasto ai maiali! Sarebbe una lezione dimostrativa per tutti quei dannati bugiardi che vogliono usare la nostra fama per prendersi la gl...” non terminò la frase.

In quel momento, infatti, il misterioso figuro si alzò e, con un movimento troppo veloce per essere visto da occhio umano, afferrò due dei tre uomini che parlavano per la nuca, schiantandoli al suolo, e rompendo il pavimento di legno. Il terzo, incapace di capire cosa era capitato, tentò goffamente di alzarsi, ma il suo avversario, con un calcio in pieno petto, lo spedì contro la finestra, facendolo volare in strada, dove rimase privo di sensi.

Nel locale calò il silenzio. Banditi, pirati e tagliagole osservavano ciò che restava della finestra con macabra eccitazione, mentre gli abitanti locali cominciavano lentamente ad alzarsi dalle sedie per uscire, desideriosi di evitare problemi.

L'aggressore mise un piede sul volto di una delle sue vittime, in segno di disprezzo.

“Inutili idioti!” dichiarò con una voce roca, fredda ma dal chiaro timbro femminile. “Nessuno minaccia...le mie prede.

Un uomo si alzò, avvicinandosi a quest'ultima. Era alto, e molto largo di spalle, i muscoli delle braccia sembravano fasci di corde arrotolate, mentre metà della sua faccia era ricoperta da un bizzarro tatuaggio, formato da fiamme nere, che gli donava un aspetto inquietante.

“Ehi, tu!” dichiarò con voce rauca. “Si può sapere perché li hai colpiti?”

“Fatti gli affari tuoi, ciccione.” replicò lei. “Questa discussione non ti riguarda, e neanche gli altri vermi che sono qui presenti.” di fronte a quell'insulto, anche gli altri avventori presero ad alzarsi. Pugnali e spade cominciarono a luccicare, mentre il barista, saggiamente, decise di nascondersi sul retrobottega.

Dall'oscurità del cappuccio emerse un sorriso freddo come la morte.

“Bene bene...qui abbiamo qualcuno che vuole giocare...” la sua voce era diventata dura come l'acciaio. “Vediamo se avete le palle...”

Accadde tutto molto in fretta.

Il primo a farsi avanti fu il colosso di prima, mulinando un'enorme ascia sbeccata, nel tentativo di tagliare di netto la testa alla sua avversaria. Quest'ultima rimase immobile fino all'ultimo, per poi colpire. Rapida come un serpente, mosse la mano sinistra, chiusa a pugno, colpendo con tutta la propria forza il nemico allo sterno, facendolo volare contro la parete, in un frastuono di ossa spezzate.

A quel punto si fecero avanti in quattro, agitando ognuno goffamente una spada. Con un balzo, la donna colpì con entrambi i piedi in pieno petto quello di fronte a se, mandandolo a schiantarsi contro il bancone. Una volta caduta a terra, tramite una abile rotazione di polso, roteò su sé stessa, facendo perdere l'equilibrio agli altri tre. Una volta tornata in piedi, fu facile per lei metterli definitivamente fuorigioco.

I restanti banditi si fecero più titubanti, indecisi su come muoversi. Il sorriso sotto il cappuccio si fece più vivido.

“A quanto pare siete timidi...” nella voce della donna adesso era presente un pizzico di macabra ironia. “Beh, vorrà dire che mi farò avanti io.”

Il suo sorriso, colmo di rabbia, furore e sete di sangue, non si spense mai, mentre compiva quell'empio massacro.

Ci mise poco a terminare l'opera. Quando nel grande salone scese il silenzio, rotto solamente dal gocciolio del sangue dalle sue mani, il suo sorriso si spense.

Quel sangue era stato un diversivo, un piacevole diversivo, ma non bastava. Niente era sufficiente per colmare la sua sete. Un desiderio così intenso da mandarla, certe volte, fuori di senno.

Voglio la mia vendetta.

 

Il calore afoso del tramonto l'accolse quando uscì, facendo dirigere i suoi passi verso il porto del villaggio, mentre cercava di trattenere la rabbia e la frustazione.

Due mesi. Erano ormai due mesi che si trovava in quel mare, in quelle acque maledette che aveva sperato con tutta se stessa di non vedere mai più. Eppure era la sua unica traccia, il suo unico indizio per ritrovarlo.

Erano passati due anni da quando era diventata una fuggitiva, due anni da quando aveva subito l'umiliazione più grande della sua vita. In quel periodo di tempo si era allenata senza darsi pace, notte e giorno, alla disperata ricerca di superare i propri limiti, di poterlo raggiungere, ed ora che ormai si sentiva pronta, non riusciva a trovarlo.

Era terribilmente frustrante.

Da quando era ritornata dalla Grand Line non aveva fatto altro che cercare notizie su di lui. Inutilmente. Sembrava sparito nel nulla. Nessuno l'aveva visto, da nessuna parte. La donna cominciava a credere che fosse già partito per la Rotta Maggiore. Se fosse vero, le sue speranze di trovarlo erano minime, in quel mare immenso e selvaggio. In ogni caso, si sarebbe data ancora tre settimane di ricerca nell'East Blue, poi sarebbe tornata nella Grand Line, setacciando ogni isola, anche a costo di mettere a ferro e fuoco quell'oceano, e l'avrebbe trovato.

Non puoi sfuggirmi per sempre, piccolo stupido...

Una volta arrivata al porto, la donna si diresse verso una via laterale, muovendosi senza il minimo rumore. Compì numerose divagazioni, immergendosi nel dedalo di viuzze che sorgeva dietro al porto del villaggio. Quando infine giunse davanti ad una logora porta, alzò un pugno guantato, colpendo con tre colpi secchi, uno lieve, per poi chiudere la sequenza con due più forti.

Subito dopo si aprì di qualche centimetro la porta, avvolgendo le narici di lei di un tanfo di pesce.

“Chi è?” domandò una voce untuosa.

Senza perdere tempo, la ragazza aprì il resto della porta con una violenta spallata. Una volta dentro, afferrò per la gola l'uomo che aveva appena parlato, stringendolo abbastanza da renderlo inoffensivo.

“Ascoltami bene, razza di topo di fogna!” dichiarò con voce bassa e minacciosa. Era di pessimo umore, e non aveva intenzione di farsi prendere in giro. “Ti ho pagato lautamente per avere informazioni, ed ormai mi sto stufando di aspettare. Dove sono? Li hai trovati?”

“Mph!...Asp...”

La donna lasciò leggermente la presa, permettendo al malcapitato, un uomo minuto, con una gran massa di capelli neri ed unti, di prendere fiato.

“Parla!” lo incalzò lei.

“H-ho trovato...quello che cercavi!” dichiarò l'uomo, sempre respirando a fatica. “Ho mandato i manifesti che mi hai dato a tutti i miei contatti, e ieri mi è arrivata una risposta.”

“Dove?!” ringhiò lei.

Il suo interlocutore sorrise.

“Qui, sull'isola Kusho. Dovrebbero sbarcare in questi giorni sulla costa occidentale.”

Nel sentire quelle parole, la donna ebbe una scarica di adrenalina pura scorrergli nelle vene, facendola vibrare per l'eccitazione.

Finalmente!

Scaraventò a terra la sua vittima, dirigendosi con calma verso l'uscita.

“Ehi, aspetta!” le urlò dietro lui. “Mi avevi promesso una ricompensa!”

Lei si fermò.

“Ti ho lasciato in vita...” mormorò con tono minaccioso. “Direi che può bastare.”

“Ma...maledizione!” prima che potesse dire altro, la misteriosa donna, incappucciata di nero, era sparita dalla sua vita.

 

Correva. Con tutta la sua forza, la sua rabbia ed il suo odio.

È qui, lo sento!

Aveva sperato tanto che quel momento arrivasse, e finalmente era lì, pronto ad essere afferrato. Poteva finalmente sentirlo vivo, pulsante, come una bestia. Una bestia pronta ad essere afferrata e saziata.

Il suo odio, la sua rabbia, urlavano.

E lei li avrebbe placati.

Aspettami Boa D. Kinji! Pensò furiosa Kita Hirati, mentre correva a perdifiato attraverso l'isola Rusho. Sto venendo da te...

Per vendetta!

 

Kinji osservava l'isola dove erano approdati con sguardo perplesso. Davanti ai suoi occhi si estendeva una brulla spiaggia a perdità d'occhio, con sterpaglie ed altre erbaccie a rompere la monotonia del paesaggio. In lontananza, il moro poteva vedere alcune piccole alture, probabilmente delle dune. Il rosso del tramonto ricopriva di un colore sanguigno ogni cosa, rendendo il luogo una piccola perla selvaggia.

“Sai dove ci troviamo?” domandò al compagno al suo fianco.

“Dovrebbe essere un'isola di nome...Kusho...” borbottò Kuroc, grattandosi la nuca. “Abbiamo navigato verso sud-est per una settimana da quando abbiamo lasciato l'ultima isola che abbiamo visitato, quindi in teoria questo posto si chiama così.”

“Ci sono villaggi? Io ho una gran fame...” si lamentò il capitano.

“Che strano...” dichiarò con tono sarcastico il samurai. “Comunque, secondo le mie informazioni, dovrebbe esserci un villaggio dall'altra parte dell'isola.”

“Allora cosa stiamo aspettando? Andiamo a mangiare!” Kinji fece per mettersi in viaggio, quando un pugno dell'amico lo stese al suolo.

“Ti ricordo che siamo ricercati, quindi è meglio muoversi con prudenza. Tra poco sarà notte, ne approfitteremo per raggiungere il villaggio senza essere visti.”

“Uff...” il pirata, mentre si rialzava, fece per lamentarsi, quando, osservando l'espressione sul volto di Kuroc, diventò serio.

“Che succede?”

“Qualcuno ci osserva.” replicò pacatamente l'altro, mettendo mano alla sua katana. “E si sta avvicinando.”

Il capitano si spazzolò con tutta calma la sabbia dai pantaloni.

“Bene.” osservò, altrettanto tranquillo. “Allora aspettiamolo.”

 

Quando lo vide, il suo cuore perse un battito.

Finalmente!

Era cambiato. Il suo volto era diventato più duro, marcato, adulto. Il suo fisico era più possente, ed anche il suo modo di muoversi, di osservare il mondo tradiva una maggiore fiducia nei propri mezzi, rispetto a due anni prima. Le bastò un'occhiata per compredere che, il divario tra loro, era aumentato, invece che diminuito.

Non è un problema...anche io sono cambiata.

Era vero. Nonostante i suoi incubi, le sue paure, il suo odio ed il suo dolore fossero rimasti intatti, l'avere un obbiettivo, uno scopo dopo anni l'aveva fatta rinascere. Aveva smesso di usare la morfina, di cercare nel vuoto artificiale un rifugio ai suoi demoni. Ora c'era solamente lui. Lo voleva con tutta se stessa. Ed adesso, dopo anni di spasmodica bramosia, lui era lì, davanti a lei, a portata di mano.

Si avvicinò lentamente, il ghigno freddo di nuovo stampato in volto. Poteva finalmente vederlo con i suoi occhi. Il ragazzo della D., colui che l'aveva umiliata come mai nessuno aveva osato fare. Se si concentrava, riusciva ancora a ricordare ogni singolo colpo, ogni ferita, con la quale quel moccioso aveva frantumato il suo orgoglio.

Non sai quanto ho desiderato questo incontro...Boa D. Kinji.

Il cappuccio impediva ai due giovani pirati di riconoscerla per il momento, e forse era meglio così.

“Bene bene...” dichiarò infine, una volta arrivata loro di fronte. “E' parecchio che non ci vediamo...”

“Ci conosciamo?” le chiese Kinji, perplesso.

“Ma come? Mi hai già dimenticata? Potrei sentirmi offesa...Boa D. Kinji.”

“Come fai a conoscere il suo nome? E chi sei tu?” si intromise Kuroc, mantenendo la posizione di guardia.

Senza aggiungere altro, Kita sciolse i legacci del mantello, gettandolo via. Non appena il suo volto fu visibile, Kuroc liberò dal fodero alcuni pollici della lama, mentre Kinji contrasse impercettibilmente il volto.

Anche Kita era cresciuta, cambiando aspetto. I capelli non erano più neri, ma biondi. Di un biondo chiarissimo, quasi bianco. Completamente rasati sul lato sinistro, ricadevano con un ciuffo ribelle sopra l'occhio destro, come sempre di un azzurro glaciale. Indossava un paio di pantaloni di pelle nera, con lacci laterali, stivali militari dello stesso colore, guanti di pelle scuri, con le dita libere dalla copertura, ed una maglietta bianca, senza maniche, che metteva in risalto il suo seno abbondante ed il suo fisico muscoloso e sexy. Le braccia erano ricoperte da due strani tatuaggi. Un drago nero si arrotolava sul braccio sinistro, uno bianco su quello destro. Ricoprivano tutti e due gli arti, oltre alle spalle muscolose, intrecciandosi tra di loro attorno al collo, per poi scendere sul petto, dove, si poteva desumere, coprivano di fiamme il solco dei seni. Legato alla schiena, c'era un fodero dove all'interno era presente il suo fido spadone.

“E tu chi saresti?” dichiarò perplesso il giovane pirata, grattandosi la testa. “Non ti ho mai visto prima.”

Il sorriso della ragazza si incrinò appena.

“Sono Kita Hirati...” mormorò, lievemente irritata per non essere stata riconosciuta. “Colei che un tempo veniva chiamata Full Metal Bitch.”

“Che cosa?! Sei davvero tu?! Sei cambiata tantissimo in questi due anni!” esclamò il moro, con gli occhi grandi come piattini da thè.

Kuroc sospirò, chiedendosi per la milionesima volta cosa l'aveva indotto ad unirsi a quel folle idiota.

“E sentiamo, che cosa sei venuta a fare? Perché sei qui?” domandò il giovane capitano.

“Ti stavo cercando.” dichiarò l'ex marine, sguainando lo spadone. Nel vederla compiere quel gesto, Kuroc fece un passo in avanti.

“Posso occuparmene io.” si offrì, con tono calmo e sicuro di sé.

“Aspetta!” lo richiamò l'altro. “E' una mia faccenda.”

“Ma...Kinji...”

“E'. Una. Mia. Faccenda.” ripetè con tono fermo. Il compagno lo guardò, severo in volto. Poi, una volta riposta definitivamente la katana, indietreggiò.

“Come desideri.” fece con voce monocorde.

Kinji tornò a rivolgere la sua attenzione a Kita che, dal canto suo, era rimasta immobile, lo spadone con la punta rivolta verso il basso, come se stesse attendendo qualcosa.

“Perché mi stavi cercando? Vuoi la rivincita?”

“Ovviamente.” replicò lei. “Ma affrontarti ora non avrebbe senso.”

“E perché?”

“Perché ora tu sei più forte di me.” spiegò lei, riprendendo a avvicinarsi. “Senza contare che, in questo momento, sei solo un ragazzino come tanti altri, che danno la caccia al Grande Tesoro. Ma io non ti voglio così...desidero una preda più succulenta.”

Una volta arrivata ad un paio di metri da lui, Kita fece una cosa che sbalordì entrambi: buttò lo spadone a terra, e si inginocchiò di fronte a Kinji, toccando la sabbia sotto di se con la fronte.

“Ma cosa...”

“Voglio entrare a far parte del tuo equipaggio!” la sua voce era ferma e sicura. “Portami con te attraversi gli oceani, ti supplico!”

Kuroc spalancò gli occhi, incredulo, mentre il suo capitano rimase immobile, apparentemente indifferente a quella richiesta.

“Perché?” domandò infine.

“Tu vuoi diventare Re dei pirati.” rispose lei, alzando lo sguardo. Dentro i suoi lapislazzuli era contenuta tutta la determinazione del mondo. “Io voglio diventare colei che ne prese la testa.”

Per alcuni secondi sulla spiaggia l'unico rumore presente fu quello della risacca del mare. Poi, all'improvviso, Kinji reclinò la testa all'indietro, scoppiando a ridere.

“Quindi tu vorresti aiutarmi a diventare il Re dei pirati, solamente per potermi uccidere?” il suo tono era canzonatorio, ma non offensivo. “Pensi veramente di potermi battere?”

“Sì!” rispose con veemenza la bionda.

“Bene!” il giovane pirata sorrise. “Sei la benvenuta, Kita Hirati!”

“Ma...Kinji!” Kuroc non riuscì a trattenersi. “Hai dimenticato cosa ti ha fatto questa donna? Di quale dolore ti ha inferto?”

Kinji guardò il compagno con sguardo perplesso.

“Di cosa stai parlando?”

“Mi stai prendendo in giro?” proseguì con rabbia lo spadaccino. “Lei ha ucciso tuo fratello!”

“Stai farneticando, Kuroc.” rispose sorridendo il moro. “Quella donna non esiste più.”

“Ma...” Kuroc stava per controbattere quando comprese ciò che voleva dire l'amico. Tacque, osservando con diffidenza la ragazza alzarsi e riprendersi lo spadone. Sì, forse Kita non era cambiata solo nell'aspetto, forse la sconfitta di due anni prima l'aveva mutata, spinta a cercare qualcosa di più profondo ed intimo di una semplice e mera vendetta.

Un contatto con il mondo.

Anche se fosse vero, mi riesce inconcepibile che abbia accolto senza alcun problema nella sua ciurma colei che gli ha assassinato il fratello di fronte ai suoi occhi...come può considerarsi vendicato solo con quella vittoria?

Forse Kinji puntava a qualcosa di più di una semplice morte, forse credeva che 'redimere' l'assassina di Eiji sarebbe stato più soddisfacente di mille morti.

Io non sarei mai in grado di accettare un simile compromesso con coloro che hanno ucciso la mia famiglia...lui ne è stato capace.

Quel ragazzo lo stupiva sempre di più.

Forse anche io sbaglio a cercare la vendetta...

Forse.

 

Quella notte, la luna era scura ed illuminava fiocamente la selvatica spiaggia.

Kinji, Kuroc e Kita si erano accampati, dopo aver tirato a riva la barca con la quale i due ragazzi avevano raggiunto Kusho. La ragazza aveva delle provviste con sé, e visto che le loro facce erano conosciute, avevano deciso di riprendere il mare la mattina dopo, verso la Grand Line. Si sarebbero fermati in un posto meno popolato per fare scorte adatte al viaggio che gli aspettava. Kinji sembrava eccitatissimo al solo pensiero di tornare in quell'oceano, e non fece altro che parlare di quante avventure avrebbero affrontato, durante tutta la cena. Kuroc si limitava a rispondergli a monosillabi, mentre Kita preferiva perdere il proprio sguardo tra le fiamme del bivacco.

“Non possiamo partire per la Grand Line con quel guscio.” esordì, ad un tratto la ragazza, smorzando l'entusiasmo del capitano. “E non possiamo neppure partire in tre: ci serve una ciurma!”

“Io ho navigato da solo per la Grand Line.” replicò Kuroc.

“Anche io, e per due anni.” fu la secca risposta della bionda. “Ma come pensi di poter raggiungere il Nuovo Mondo con una bagnarola come questa? Come possiamo fare se non abbiamo un medico, un cannoniere, un navigatore? La Rotta Maggiore non è impossibile da navigare da soli, ma non puoi sperare di vincerla senza qualcuno che ti dia una mano laddove tu non hai le competenze necessarie.”

“Ci serve un cuoco!” esordì Kinji, addentando un cosciotto di carne abrustolito. “Ed un musicista! E poi voglio un altro cuoco!”

“Cosa te ne fai di due cuochi?” domandò perplesso lo spadaccino.

“Semplice! Uno per cucinare di giorno ed uno per cucinare la notte!”

“Smettila con queste idiozie!” lo interruppe la Full Metal Bitch. “Non stavo scherzando quando dicevo che ci serve una nave ed un equipaggio. Senza queste cose, non abbiamo la benche minima chance di arrivare nel Nuovo Mondo.”

“Li troveremo!” dichiarò con fare sicuro il moro. “Per ora siamo in tre, ma sono certo che, mentre viaggiamo verso la Grand Line, troveremo tutto quello che ci serve!”

“Sei sicuro di te, ragazzino.” osservò con tono sarcastico lei. “Spero che tu abbia ragione.”

Stabilirono i turni per la notte, ed il primo toccò a Kuroc. Fu con sorpresa che quest'ultimo si accorse che Kita non sembrava voler dormire. Si mise poco distante dal falò, con la schiena appoggiata alla barca, passando la cote sulla lama del suo spadone. Lo stridore creato da quel gesto era sgradevole, ma nonostante tutto Kinji, felice di aver trovato un nuovo nakama e di essersi riempito lo stomaco di carne, si addormentò subito, cominciando a russare beato.

La notte invecchiò. Lo spadaccino osservava l'oscurità attorno a loro, lasciando che il fuoco morisse lentamente. Gli unici suoni che udiva era l'infrangersi delle onde sulla battigia, lo stridore della cote passata sulla lama da Kita, ed il rumore del vento che sollevava la sabbia.

La ragazza trovava rilassante quell'azione. Era un compito meccanico, che le permetteva di calmare la mente. La scelta che aveva compiuto quel giorno era qualcosa che le avrebbe cambiato la vita, lo sapeva, eppure non riusciva a pentirsene. Aveva di nuovo uno scopo, e lo trovava confortante.

“Perché?”

La Full Metal Bitch alzò lo sguardo dal proprio lavoro, vedendo il samurai sedersi affianco a lei.

“Perché l'hai fatto?” ripetè lui, fissandola con severità.

“Non sono affari tuoi.” rispose lei, posando di nuovo gli occhi sulla lama.

“Ora siamo compagni. Penso che dovremmo essere sinceri tra di noi, per quanto non mi piaccia la cosa.”

Le labbra della ragazza si distesero in un sorriso macabro.

“Sono d'accordo.” osservò. “Ma, in fondo, hai ragione: ora che siamo compagni, dobbiamo essere sinceri.”

“E quindi?” la incalzò il pirata.

“E' una cosa che riguarda il mio passato.” gli occhi di lei, fissi sulla lama che stava affilando, divennero improvvisamente torbidi, come se stesse provando dolore. “Di più non posso dirti.”

Con sua sorpresa, Kuroc non insistette. Di fronte alla sua perplessità, quest'ultimo scrollò le spalle.

“Ognuno di noi ha i suoi segreti. Non ho motivo nè l'autorità di chiederti qualcosa che non ti senti di dire. Mi fido, anche se lo faccio a malincuore.”

“E' per via di lui?” la bionda indicò il loro capitano, intento a sbavare nel sonno, con un cenno del capo.

“In parte.” nel pensare agli ultimi due anni, lo spadaccino non trattenne un sorriso. “E' molto più di quanto sembri. Ogni volta che penso di conoscerlo, lui mi sorprende...come oggi.”

“Tu al suo posto mi avresti uccisa due anni fa.” quella di lei non era una domanda.

“Sì.” confermò il pirata. “Dubito che ti avrei risparmiato, ma è la sua vita, e lui è il mio capitano. Non sta a me decidere per lui, posso solo cercare di rimediare ad eventuali suoi errori.”

Kita osservò le stelle in cielo, constatando che in quel mare c'è ne erano moltissime che non riconosceva.

“E credi che ci sia anch'io tra quegli errori?”

“Spetta a te dirmelo.” rispose lui. “Sappi questo Kita Hirati: non ho idea del perché tu abbia voluto questo, e non so neanche perché lui ha acconsentito. Io ti aiuterò e ti proteggerò in quanto ora sei una mia compagna, ed il mio onore mi obbliga a farlo.” il suo sguardo diventò duro. “Ma non avrò pieta, se dietro a tutto questo c'è qualcosa che lo danneggerà.”

“E' una minaccia?”

“E' un avvertimento. Sei stata sincera con me, e pertanto ho voluto fare altrettanto.” lo spadaccino si alzò, tornando a montare la guardia vicino al falò morente. “Ti conviene riposare. Domani partiremo all'alba, e tra poco è il tuo turno.”

Kita mise via il proprio spadone, avvolgendosi nel suo mantello per dormire. Non aveva sonno, ma magari chiudere gli occhi l'avrebbe aiutata a distendersi. Sorprendentemente, cadde nell'oblio in pochi istanti.

Ronac...

 

Era l'alba. Un vento freddo soffiava da nord, portando cumulonembi neri verso di loro. Era probabile che, in giornata, sarebbe scoppiato un fortunale.

“Non mi sembra un buon giorno per prendere il largo.” osservò Kuroc, riparandosi dal vento con una mano.

“Non sarà un problema!” esclamò Kinji, già pronto con Kita a spingere la barca in acqua. “Con questo vento fileremo verso sud-est come saette! Sarà una passeggiata arrivare alla Grand Line!”

“Veramente manca ancora parecchio a Reverse Mountain.” borbottò Kita, mentre cominciava a spingere. “Ci bagneremo fino all'osso.”

“Basta scuse!” dichiarò sorridendo il giovane capitano. “In acqua!”

Cooperando, i tre misero in acqua la barca, issando l'albero maestro per sfruttare la forza del vento. Ben presto cominciarono ad arrivare le prime raffiche, spingendoli veloci verso sud, verso la loro meta.

“Molto bene ragazzi!” Kinji sguainò la propria lama nera, cui aveva dato il nome di Eiji, in memoria del sua adorato fratello. “E' ora di partire!”

Puntò la lama verso il cielo scuro.

“Diventerò il re di tutti i pirati!”

Sorridendo, Kuroc lo imitò, appoggiando la sua fida katana, Doragon no buresu, affianco a quella dell'amico.

“Diventerò lo spadaccino più forte del mondo!”

A quel punto Kita, con un ghigno mefistofelico stampato sul volto, sguainò il proprio spadone, mettendolo vicino alle altre due lame, in direzione del cielo.

“Diventerò colei che otterrà la testa del Re dei Pirati!”

I giuramenti erano stati compiuti, in nome del loro onore e degli dei. Ora, niente e nessuno li avrebbe fermati, mentre andavano a caccia dei loro sogni.

“Alla Grand Line!”

 

 

Grand Line, tre giorni dopo.

 

Risa era preoccupata, anche se non riusciva a comprenderne il motivo. Da quando avevano cominciato a scavare, tre giorni fa, in quelle antiche rovine, una strana inquietitudine le era venuta, anche se, per ora, gli unici problemi che avevano avuto era stata la durezza del terreno.

Sentò una presenza qui intorno...ci osserva...e mi fa paura.

“Risa!” una voce la scuotè dalle sue riflessioni, facendola tornare alla realtà. Poco più avanti, un ragazzo biondo, dal fisico muscoloso, stava richiamando la sua attenzione.

“Risa! Forza, vieni qui!”

“Arrivo Sozui!”

Una volta avvicinatasi, il fratello mostrò lei una coppa d'oro massiccio, sporca di fango e terra, emergere dal fondo della galleria.

“Hai visto? È oro puro! È il terzo cimelio prezioso che troviamo in pochi giorni! Ormai sono convinto che siamo vicini al tempio di cui parlavano giù al villaggio.”

“Sozui...io non credo che sia una buona idea proseguire...” osservò la ragazza con fare titubante. “Questo posto mi mette i brividi!”

Il biondo scoppiò a ridere.

“Davvero credi a quelle storielle del tempio maledetto che abbiamo ascoltato giù al villaggio? Non ti facevo così impressionabile, sorellina!”

“Non si tratta delle storie!” fece lei, mentre Sozui ritornava a picconare il terreno di fronte a loro. “E' questo posto...queste rovine. Mi sembrano...malvagie. Oltre che troppo antiche per avere solo 2000 anni come dicono i testi archeologici.”

“Se è per questo, quei dannati libri non parlavano di un tesoro, mentre noi tra poco saremo ricchi sfondati! Chissa che faccia faranno Eiji e Kinji quando vedranno tutto l'oro che stiamo recuperando. Sono sicuro che...”

“Attento!”

L'ultima picconata di Sozui aveva infatti toccato una colonna di granito, spezzandola. Il terreno di fronte a loro cominciò a cedere, e fu solamente grazie alla sorella se il biondo evitò di rimanere sotto le macerie.

Per circa un minuto, la polvere all'interno della galleria fu troppo spessa per osservare cosa era accaduto. Ma quando i due ragazzi si alzarono, videro che, al posto di un cumulo di detriti, c'era una specie di tunnel, che aveva risucchiato tutta la terra.

I due si guardarono in faccia, sapevano già come muoversi.

“E' meglio che vada io.” osservò la mora. “Sono più leggera.”

Il fratello annuì.

“Preparo la corda!” dichiarò.

Dieci minuti dopo, con un'imbracatura che le permetteva di scendere senza troppi pericoli, Risa si immerse nell'oscurità del tunnel, portando con se un coltello ed una lanterna. La discesa si preannunciava ripida e verso il basso. Dopo un po' il terreno cominciò a diventare caldo, così come l'aria, dando l'impressione alla ragazza di stare scendendo nel centro della terra.

“Risa! Tutto bene?” la voce di suo fratello le giunse ovattata.

“Sì!” urlò con tutto il fiato che aveva. “Per ora niente di strano. Scendo un altro po'.”

“Ok!”

Poco dopo, Risa, quando ormai si stava decidendo a tornare indietro, osservò in lontananza un bagliore, come se ci fosse una luce di fronte a lei. Incuriosita, la ragazza avanzò, tenendosi pronta ad ogni evenienza.

Quello che vide, quando arrivò in fondo, la lasciò senza fiato. Era dentro un'immensa stanza ricoperta interamente d'oro. Il pavimento, il soffitto, le colonne, le statue di antiche divinità. Davanti a lei si snodava un lungo corridoio, circondato da colonne immense di metallo aureo. Affianco ad ogni colonna era scolpita una statua, raffigurante delle divinità a lei sconosciute, in oro ed argento purissimo. Negli angoli del salone poteva vedere mucchi di lingotti d'argento ed oro. La quantità di metallo prezioso presente era da far girare la testa.

“Risa! Cosa succede? Va tutto bene?”

“Sozui! Vieni presto! Muoviti!” gli urlò euforica. “Ho trovato il tesoro, sbrigati!”

Quando Sozui emerse dal tunnel, spalancò la bocca, incredulo di quello che i suoi occhi stavano osservando.

“Risa...ma...è...tutto vero?” balbettò.

Per tutta risposta la sorella gli fece l'occhiolino.

“Risa...ci pensi...se riuscissimo a portare con noi anche solo una minima parte di questo tesoro...”

“Potremmo vivere meglio dei Draghi Celesti per il resto della nostra vita.” concluse al suo posto la mora. “Lo so, ma non sarà facile. Il tunnel è ripido, e le statue e le colonne non riusciremo mai a trasportarle.”

“Lascia perdere le statue!” la voce del biondo divenne all'improvviso dura e fredda, gli occhi pieni di desiderio. “Vediamo cosa possiamo prendere. Dividiamoci!”

I due ragazzi cominciarono ad esplorare il salone, osservando meglio i gioielli, di splendida fattura, e i lingotti purissimi di oro. Erano posti affianco ad ogni statua, quasi come un'offerta alle divinità raffigurate.

“Perché qualcuno ha voluto nascondere questo tesoro qua sotto?” mormorò perplessa Risa, soppesando uno dei lingotti. “E' come se fossero qui per attirarci...come un'esca!”

Un dubbio cominciava a roderle il cervello, mentre la sensazione di paura, prima scomparsa, ritornò, centuplicata, facendola rabbrividire.

Questo posto non mi piace!

“Sozui?” cominciò a chiamare il fratello, tornando sui suoi passi. “Sozui, dove sei?”

Lo vide immobile, le braccia rigide lungo i fianchi, a fissare l'altare in fondo al salone, quasi fosse attratto da quell'oggetto.

“Sozui?”

Lui non rispose. L'altare era un grande pozzo, da cui usciva una luce azzurra, posto in cima ad una scalinata. Sopra ogni scalino erano posti mucchi di gioielli, uno più grande dell'altro, facendo diventare il dubbio di Risa più forte.

E' come se volessero tenerci lontano dal pozzo...

Fu con orrore che vide il fratello cominciare a salire gli scalini, ignorando completamente i tesori che lo circondavano.

“Sozui fermati!” esclamò la ragazza, mentre sentiva che la propria paura aveva origine da quell'inquietante luce azzurra. “Lascia perdere quello stupido pozzo! Prendiamo qualche lingotto ed andiamocene.”

Lui non rispose, apparentemente sordo ai suoi richiami, arrivando lentamente in cima della scalinata.

“Sozui!”

“Zitta!” fece lui, la voce fredda ed inumana. “Mi sta chiamando...tu non lo senti?”

“Chiamando? Io non sento niente! Ti prego Sozui, ti scongiuro, andiamocene via da questo posto.”

Lui la ignorò, per l'ennesima volta. Si avvicinò al pozzo, la fonte di quell'energia oscura che lo stava richiamando. Accarezzò i muri di oro che lo componevano, affacciandosi lentamente. Quando guardò giù, infine, Risa sentì il proprio cuore perdere un battito.

“Sozui...” mormorò, sentendo lacrime di disperazione premere per uscire. “Ti prego...”

Fu allora che accadde.

Gli occhi di Sozui divennerò blu, di un blu inumano, mentre la luce da azzurra passò a diventare bianca. Un bianco accecante, che tolse la vista a Risa. La ragazza provò a raggiungere il fratello, avanzando a tentoni, ma si accorse, con orrore, di stare scivolando nell'incoscienza. Tentò disperatamente di rimanere lucida, ma prima che potesse ancorarsi alla realtà, la sua mente era già stata vinta, piegata ed infine sconfitta.

Sozui...Eiji...Kinji...

Qualcuno mi aiuti!

Infine dopo il bianco vuoto, ebbe inizio l'oscurità, senza fine e terribile.

E tutto divenne buio.

 

 

FINE

 

Fine della prima parte.

 

La storia continuerà con “Sfida agli dei” la seconda parte

 

Infine, con questo lunghissimo epilogo, dichiaro chiusa la prima parte della storia.

Spero che vi sia piaciuta, e ringrazio chiunque l'abbia letta, apprezzata, aperta o recensita. Grazie, grazie mille, davvero.

E' stato un anno e mezzo piuttosto lungo. Quando iniziai questa storia non aveva idea di quanto lunga sarebbe stata, è stato come scoprire una vera e propria miniera di idee dentro di me, che non mi hanno mai abbandonato in tutti questi mesi.

Vorrei in particolare ringraziare Ika19, King Kurama, Boss_Oda, andreailnarratore, Mad_Dragon, dayly, General_Winter, rosela_17_04, Nami_san, Ram92 e mary1112 per le loro recensioni, grazie alle quali è stato molto più facile arrivare fino in fondo divertendomi!

Non ho idea di quando la seconda parte inizierà. Posso dire che le idee e la trama a grandi tratti è fatta, devo solamente trovare il tempo di scrivere. Pertanto spero il prima possibile.

Ed ora vi saluto con una lista delle taglie dei protagonisti principali di questa storia.

A presto!

Giambo

 

Lista dei ricercati:

 

Taglia di Sabo: 890 milioni di berry;

 

Taglia di Johan: 720 milioni di berry;

 

Taglia di Trafalgar Law: 850 milioni di berry;

 

Taglia di Neyna: 33 milioni di berry (prima del time-skip), attuale: sconosciuta;

 

Taglia di Kita: 40,5 milioni di berry;

 

Taglia di Kinji: 43 milioni di berry;

 

Taglia di Kuroc: 36,5 milioni di berry;

 

Taglia di Fumiko: 85 milioni di berry;

 

Taglia di Koala: 420 milioni di berry;

 

Taglia di Isao: 52 milioni di berry;

 

Taglia di Belllamy: 283 milioni di berry;

 

 

  
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