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Autore: Piperilla    20/08/2015    1 recensioni
[Dal Capitolo 3]
«Lei è una Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
«Proprio così. Tuttavia non credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete già» disse Samaah.
«Però lei sa perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere» insisté Giovanni.
«Lo so benissimo, ma voi non comprendete i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti» cantilenò la vecchia.

Dopo la tregua costata tanto sangue, Giovanni e Sofia si ritrovano per un nuovo viaggio: quello che li porterà a scoprire la verità sul quel legame così potente e misterioso che impedisce loro di separarsi.
[Per capire la storia, è necessario leggere "I Testimoni del Fuoco"]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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«Allora, siete tutti pronti?» chiese Sofia alle prese, come due mesi prima, con una distribuzione di buste.
   Un “sì” collettivo fece tremare le pareti.
   «Bene. Dentro quelle buste ognuno di voi troverà un telefono cellulare, soldi, documenti – carta d’identità e passaporto – e informazioni recenti sulle persone che state cercando, compresi gli indirizzi» snocciolò la ragazza, fornendo ai Portatori gli ultimi dettagli prima del viaggio.
   André prese la parola.
   «Ricordate che potrebbero non credervi, quando spiegherete loro la situazione. Se ne avete bisogno, troverete il mio numero e quelli degli altri Maestri memorizzati nei vostri telefoni. Chiamateci e verremo ad aiutarvi. E seguite le indicazioni che troverete nelle buste».
   La folla assentì nuovamente.
   «Perfetto. Se è tutto chiaro, proporrei di avviarci» disse Sofia, facendo strada agli altri e conducendoli sul prato dove l’intera colonia di Fenici era in attesa. A gruppetti di cinque i Portatori svanirono in vampe di Fuoco, diretti in vari aeroporti.
   «Tu non vai, Gregory?» chiese Claudio.
   «No. Qualcuno dovrà pur restare qui, a tenere d’occhio la situazione» rispose l’altro.
   Cornelia guardò prima suo fratello e poi Sofia.
   «Allora noi andiamo. Sei sicura di non voler venire?» domandò alla ragazza, che scosse la testa.
   «No zia, io ho un viaggio diverso da intraprendere» replicò, abbracciando rapidamente la donna e il suo padrino prima che svanissero in un lampo.
   «Dov’è che vai?» le chiese Gregory, una volta rimasti soli.
   «Da Giovanni» disse con noncuranza Sofia prima che l’uomo l’afferrasse e la costringesse a voltarsi con uno strattone.
   «Comincia a darmi fastidio, questo vostro modo di attirare la mia attenzione» notò la ragazza, massaggiandosi il braccio.
   «È l’unico metodo che funzioni, con te» replicò lui. «Si può sapere il perché di questa decisione?»
   «Smetti di preoccuparti, Greg. Ci devo solo parlare» lo blandì.
   «E di cosa?»
   «Te lo dirò al mio ritorno» esclamò Sofia, afferrando la coda di Nabeela e sparendo in una fiamma.

*

Ricomparsa nella pianura ai margini della Valle, a pochi metri dal suo ippocastano, Sofia sorrise.
   «Brava, Nabeela» sussurrò, accarezzandola con affetto sul collo dorato. La Fenice emise un dolce verso tremulo e andò a posarsi su un ramo dell’albero.
   Sofia la seguì e, dopo aver espanso la propria Aura, si appoggiò al tronco, con i palmi delle mani aperti a sfiorare la corteccia e una guancia premuta contro la superficie ruvida. Non percepiva nulla. Così chiuse gli occhi, e aspettò.

*

In piedi tra la folla, André aspettava impaziente il suo turno. Era arrivato all’aeroporto più di un’ora prima, ma come sempre il Roissy-Charles de Gaulle era totalmente congestionato e prendere un taxi era quasi impossibile.
   Dopo aver atteso per altri quindici minuti, finalmente giunse in testa alla fila. Notando un taxi libero afferrò la piccola valigia e fece per scattare ma la mano, che ancora non era tornata alla sua piena funzionalità, non si strinse attorno ai manici e la borsa cadde a terra con un tonfo.
   Una coppia lo superò rapida e prese il suo taxi, mentre il ragazzo si chinava per raccogliere la sacca. Una mano color cioccolato lo precedette.
   «Ecco, tieni» gli disse una donna in inglese, porgendogli la valigia. A occhio e croce aveva una decina di anni più di lui; di media altezza, esile e dai lineamenti delicati sembrava, a un primo sguardo, incredibilmente fragile. Un esame più attento convinse André che la donna che aveva di fronte possedeva una forza insospettabile, che traspariva solo dallo sguardo, fermo e deciso.
   «Grazie» rispose André, stando bene attento ad afferrare saldamente i manici, con la strana sensazione di averla già incontrata. Si guardarono ancora per un attimo, poi il ragazzo si infilò in un taxi e si diresse verso la stazione ferroviaria, sperando di essere ancora in tempo per prendere il treno per Rouen.

*

La donna che aveva aiutato André guardò il giovane biondo sparire. Dopo anni di attesa il suo istinto si era risvegliato e lei aveva capito di dover andare in Francia. Ora che aveva incontrato quel ragazzo, però, sentiva di non avere più un motivo per restare lì. Così si voltò e rientrò nell’aeroporto, verso un altro aereo e un’altra destinazione.

*

Dopo oltre tre ore di attesa, Sofia saltò su. Finalmente l’aveva percepito.
   «Ci siamo Nabeela!» gridò alla Fenice, che volò immediatamente verso di lei. Un istante dopo, erano svanite.

*

«Sofia!».
   «Ciao Giovanni» rispose allegramente la ragazza.
   L’uomo scrutò tutt’intorno, guardingo, aspettandosi di veder comparire qualcun altro.
   «Sta’ tranquillo, sono sola e non sono venuta per combattere. Abbiamo siglato una tregua, no?» continuò Sofia sullo stesso tono, interpretando correttamente l’atteggiamento del suo vecchio insegnante.
   «Come facevi a sapere che ero qui?» chiese Giovanni, ancora poco convinto.
   «Intuito» rispose lei ironica.
   «Be’, siediti» la invitò lui, accomodandosi sull’erba sotto l’ippocastano che si trovava al Centro. Sofia non se lo fece ripetere due volte.
   «Sono venuta qui» esordì, anticipando le domande dell’uomo «per parlare con te».
   Lui annuì. «Me l’aspettavo. Vuoi sapere se ho scoperto cos’è capitato quel giorno, durante la battaglia, quando il nostro potere è esploso».
   La ragazza rimase in attesa, aspettando che l’altro le dicesse se e quali informazioni aveva trovato.
   «Purtroppo non ho scoperto nulla» disse Giovanni. «Ho ricontrollato in biblioteca ma non ho trovato nessun cenno a fenomeni come quello capitato a noi».
   Contrariata e delusa, Sofia poggiò la fronte sulle ginocchia e si afferrò i capelli, borbottando parole incomprensibili.
   «Sofia, mugugnare non ci aiuterà» disse l’italiano, paziente. «Dobbiamo trovare un altro modo per scoprire cos’è accaduto»
   «Io ce l’ho già, un altro modo» disse lei imbronciata. «È per questo che mugugno» rispose, facendogli il verso.
   «Avanti, sentiamo» la esortò Giovanni.
   «Ho pensato parecchio all’eventualità che non riuscissimo a trovare una spiegazione nelle biblioteche. Evidentemente, quello che ci è capitato è un fenomeno assolutamente unico nel suo genere, perciò non c’è modo di saperne di più cercando dei precedenti» esordì Sofia.
   «E allora non ci resta che rassegnarci al fatto che non riusciremo mai a risolvere il mistero» disse Giovanni con una scrollata di spalle.
   «Non ho finito». Gli occhi di Sofia brillavano di impazienza. «Quando cercavamo informazioni sui Portatori d’Energia, in due o tre villaggi che ho visitato – e in un’occasione c’eri anche tu – alcuni anziani hanno accennato a fenomeni unici, privi di spiegazione. Hanno detto anche che c’è un solo modo per scoprire la verità su questi fatti».
   «Io non ricordo assolutamente nulla al riguardo» disse l’uomo, aggrottando le sopracciglia nello sforzo di far riemergere le memorie di quei lunghi e difficili viaggi.
   «Allora penserò io a rinfrescarti la memoria. Hanno detto che quasi sempre l’accadimento di queste vicende è scritto nel destino delle persone e che non si può fare nulla per evitarle. L’unica possibilità di scoprire come stanno le cose è rivolgersi a un Custode della Verità» esclamò Sofia, immaginando quale sarebbe stata la reazione dell’uomo.
   Dopo un lungo silenzio meditabondo, infatti, Giovanni alzò lo sguardo sulla ragazza e scoppiò in una violenta risata, tanto da cadere disteso a terra.
   «Ho capito... mi stai prendendo in giro! Sì, è sicuramente così» disse infine, rialzandosi e asciugandosi gli occhi mentre tentava di riprendere fiato.
   Sofia scosse la testa. «Sono terribilmente seria, Giovanni. Vedi un altro modo?».
   «Quello che vedo è che hai sviluppato un istinto suicida. Sai che voci circolano sui Custodi della Verità?».
   Lei annuì. «Rarissimi, incredibilmente difficili da rintracciare, sono i depositari delle Profezie sui Portatori degli Elementi. Potentissimi e poco socievoli» sintetizzò la ragazza, glissando sulle innumerevoli storie che parlavano di Portatori uccisi dai Custodi della Verità solo per aver chiesto una spiegazione su fenomeni misteriosi. I più fortunati erano stati ridotti in cenere e di fatto, a memoria d’uomo, non c’era mai stato nessuno che fosse riuscito a farsi consegnare una Profezia da un Custode.
   «Allora è inutile dirti che cercare un Custode della Verità è una pazzia. Meglio restare nell’ignoranza» disse l’uomo.
   «Oh, non m’interessa quello che possono farmi i Custodi. Voglio sapere a ogni costo cos’è successo quel giorno» insisté Sofia. Giovanni la guardò di sbieco.
   «Perché devi essere sempre così ostinata?» le domandò.
   «Perché qualcuno mi ha insegnato a non farmi spaventare dalle difficoltà e a fare tutto il possibile per conoscere gli Elementi e i Portatori» rispose la ragazza, guardandolo con aria di sfida.
   «E va bene, ci andremo» sbuffò l’uomo, cedendo. «Hai almeno una vaga idea di dove potremmo iniziare a cercare?»
   «Ovviamente sì» rispose lei. Chiamò Nabeela e, afferrando l’uomo che aveva di fronte, si aggrappò alla coda della Fenice, trascinandolo con sé nella solita lingua di Fuoco.

*

In piedi di fronte al portone d’ingresso, Laurence bussava inutilmente. La persona che cercava abitava ancora là – la targhetta sul citofono glielo aveva confermato – ma evidentemente in casa non c’era nessuno.
   Si calò la visiera del cappellino sugli occhi, prese un mazzo di fiori da un venditore ambulante e tornò indietro.
   Salì le scale della casa accanto e suonò il campanello.
   «Chi è?» gracchiò una voce femminile dall’altoparlante.
   «Devo consegnare dei fiori alla signora Seamons» disse Laurence con disinvoltura.
   «Ha sbagliato, la signora Seamons abita nella casa accanto. Ma in ogni caso è partita» gracchiò di nuovo la voce.
   «Partita? E dov’è andata?» domandò l’uomo preoccupato.
   «Non ne ho idea. E comunque, a lei cosa importa?» chiese la voce, divenuta improvvisamente sospettosa, prima di chiudere la comunicazione.
   Perplesso, Laurence attraversò la strada e se ne andò, abbandonando i fiori su un muretto.

*

Passeggiando per Staten Island Blaze osservava con attenzione le villette in stile coloniale che si succedevano una dopo l’altra. Il caldo era soffocante; si fermò a riposare su una panchina, all’ombra degli alberi, ascoltando un gruppetto di ragazzi schiamazzare allegramente.
   «Allora ci vediamo stasera!».
   Una ragazza di circa sedici anni passò accanto a Blaze senza notarlo; al grido di saluto dei suoi amici si voltò per rispondere. Sotto una zazzera di corti capelli neri e scompigliati, il ragazzo scorse un volto familiare.
   Mentre la giovane gli dava nuovamente le spalle e si allontanava, lui scattò in piedi.
   «Kaitlin!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
   La ragazza si voltò, con gli occhi sbarrati.
   «Blaze?» disse sconvolta, prima di corrergli incontro e saltargli in braccio. «Non ci credo, non ci posso credere, sei tornato!» esclamò scoppiando in lacrime.
   «Sorellina, sorellina mia...» disse Blaze, accarezzandole i capelli e singhiozzando più forte di lei.
   «Ma dove sei stato in tutti questi anni... perché, perché te ne sei andato?» gli domandò Kaitlin, staccandosi dall’abbraccio per guardarlo negli occhi.
   «Non ho deciso io di andarmene... è una storia lunga e complicata. Prometto che ti racconterò tutto» rispose lui con un sorriso.
   «Ma... mamma e papà! Ancora non sanno che sei tornato, vero?» disse la ragazza, battendosi una mano sulla fronte.
   «No, non sono ancora andato da loro».
   «E allora muoviamoci!». Così dicendo, Kaitlin afferrò suo fratello per un braccio e correndo lo trascinò verso la casa in cui erano cresciuti.

*

Sbuffando, André imboccò Rue Grand Pont. Il caldo a Rouen era insopportabile.  
   «Ma dove accidenti era...» borbottò tra sé e sé, cercando la Cattedrale di Notre-Dame. Alla fine intravide l’imponente edificio alla sua sinistra. Superò la piazzetta che si apriva davanti alla facciata della Cattedrale e si fermò pochi metri più avanti, di fronte a un portone. Frugò un po’ goffamente nella borsa con la mano sinistra, cercando il mazzo di chiavi che sapeva d’aver messo lì dentro.
   «Oh, non è possibile...» si lamentò ad alta voce. Un uomo gli passò davanti e aprì il portone del palazzo.
   «Deve salire?» chiese gentilmente ad André, che sussultò e non osò alzare gli occhi.
   «Io... no, grazie» rispose con voce flebile.
   L’uomo alzò le spalle, entrò e il portone si richiuse.
   André tirò fuori la mano dalla sacca stringendo nel pugno il mazzo di chiavi e si lasciò andare contro il muro, mentre con gli occhi chiusi prendeva dei respiri profondi. Mezz’ora dopo si decise a entrare.
   Salì le scale fino all’ultimo piano, cercando la porta giusta. Alla fine la individuò, ma non ebbe il coraggio di aprirla. Così si limitò a bussare.
   L’uomo che poco prima gli aveva rivolto la parola aprì la porta.
   «Sì?» domandò perplesso, osservando la testa bionda del giovane, che tentennò prima di alzare gli occhi.
   L’uomo rimase ammutolito per qualche istante e il suo volto perse ogni colore, come se avesse visto un fantasma. Poi scattò in avanti e abbracciò il ragazzo, che si strinse alla sua camicia come a un’ancora di salvezza.
   «Liliane!» gridò l’uomo, chiamando sua moglie. Lei arrivò di corsa.
   «Maurice ma cosa...» iniziò, notando solo di sfuggita la figura che suo marito stringeva tra le braccia. Un momento dopo, il suo istinto di madre ebbe il sopravvento. «André!» singhiozzò, facendosi avanti e abbracciando a sua volta il figlio che aveva perso nove anni prima. Maurice afferrò entrambi e li trascinò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

*

Con gli occhi chiusi, Giovanni prese un respiro profondo.
   «Riconoscerei l’aria di casa ovunque» disse sorridendo.
   «Ma come siamo sentimentali! Andiamo che è meglio» disse Sofia, prendendolo per un braccio e tirandoselo dietro.
   Roma li accolse, splendida sotto il sole d’agosto.
   «Perché mi hai portato qui?» chiese Giovanni, procedendo a passo lento e godendosi il panorama – pur conoscendolo a memoria – incurante dell’impazienza di Sofia.
   «Dobbiamo vederci con alcune persone» rispose lei, afferrando il cellulare e digitando rapidamente un numero di telefono. Dopo un paio di squilli, la persona all’altro capo rispose.
   «Sono a Roma. Riusciamo a vederci tra mezz’ora a Piazza Venezia?» disse Sofia immediatamente. La risposta che ricevette la fece sorridere soddisfatta. «Ovvio che devono esserci anche loro!» aggiunse in tono incredulo, prima di riagganciare.
   «Chi era?» domandò Giovanni, incuriosito.
   «Un’amica» rispose vaga la ragazza, conducendolo di fronte all’Altare della Patria.
   Esattamente mezz’ora dopo, un gruppetto di tre ragazze li raggiunse.
   «Sofi!» gridarono in coro, abbracciandola. Lei rispose con pari entusiasmo.
   «Martina... Aleja... Claire...» disse, nominandole a mano a mano che le abbracciava.
   «Sì può sapere dov’eri sparita? Ti sei persa il mio compleanno!» disse Aleja, osservandola con aria di rimprovero attraverso la frangetta bionda.
    «E anche gli ultimi cambiamenti dei tuoi capelli. Ormai sono quasi bianchi... quando smetterai di decolorarli?» chiese Sofia, indicandole la testa.
   Gli occhi azzurri dell’altra scintillarono divertiti. «Mai, è ovvio!».
   Martina si rivolse a Sofia. «Aleja ha ragione... dove accidenti eri finita? Sono mesi che non ti fai vedere né sentire!»
   «Oh... be’, ho avuto qualche problemino. Grazie a lui» rispose, indicando Giovanni.
   Le occhiate che le tre ragazze gli avevano rivolto di nascosto divennero esplicite.
   «Finalmente! Volevo proprio chiederti chi fosse questo tuo amico...» disse Claire, osservandoli con aria maliziosa.
   «Aha! Ecco perché eri sparita... eri con lui! Brava, brava» rincarò la dose Martina.
   L’oggetto delle loro insinuazioni divenne scarlatta, pur essendo abituata a quegli scherzi: se li facevano l’un l’altra da quando si erano conosciute.
   «Volete smetterla? Avete capito male, non ero con lui...» iniziò. Aleja la interruppe.
   «Be’, Michele sarà felice di saperlo!» sghignazzò.
   Sofia le rivolse uno sguardo assassino e l’altra tacque immediatamente.
   Giovanni si girò verso di lei.
   «E questo Michele chi sarebbe?» chiese con aria minacciosa. Sofia non si scompose.
   «Nessuno, e in ogni caso non ti riguarda» rispose, simulando indifferenza.
   «Nessuno?» le fece eco Aleja, incredula. Sofia decise di distogliere l’attenzione generale.
   «Lasciate che proceda alle presentazioni... Giovanni, loro, come avrai già capito, sono tre mie carissime amiche: Aleja, Claire e Martina. Ragazze, lui è Giovanni».
   «Quel Giovanni?» chiesero in coro, mentre il sorriso spariva dai loro volti. Le loro Aure esplosero, investendo in pieno Sofia e Giovanni: la prima, che se lo aspettava, si protesse quel tanto che bastava per non esserne colpita; il secondo, invece, fu sospinto indietro di alcuni passi.
   «Ma... sono delle Portatrici!» disse incredulo.
   «E sono arrabbiate. Ti consiglio di stare attento» precisò Sofia, divertita.
   Le tre ragazze continuarono a scrutarlo con aria torva. Lo misuravano con lo sguardo, come se stessero decidendo in quale punto fosse meglio colpirlo.
   «Lasciatelo stare, abbiamo cose più importanti di cui occuparci... a questo proposito, mi servirebbe un’informazione» disse Sofia, osservando le altre tre ragazze. «Claire, come va il corso di fotografia?» domandò in tono leggero.
   «Benissimo, perché?» ribatté l’altra, perplessa. Sapeva che la sua amica voleva chiederle qualcos’altro.
   «Mi domandavo... ricordi quegli strani cerchi di luce che hai fotografato un anno e mezzo fa?»
   «Certo che me li ricordo... sto ancora cercando di scoprire cosa fossero».
   Giovanni s’intromise nella conversazione.
   «Oh, sicuramente erano degli UFO» disse in tono di scherno e guadagnando immediatamente quattro occhiatacce.
   «Sei un idiota» disse Sofia, calmissima. «I cerchi di luce di cui parliamo non si trovavano in cielo. Comparivano a mezz’aria e poi si schiantavano a terra, allargandosi per una ventina di metri, prima di svanire».
   Ignorandolo, le quattro ragazze si immersero di nuovo nella conversazione.
   «Perché ti interessano tanto quei cerchi?» chiese Martina.
   «Forse ho capito da cosa sono prodotti» replicò Sofia. «Però per averne la certezza voglio recarmi lì e controllare... c’erano insediamenti, nei paraggi?» disse, rivolgendosi di nuovo a Claire.
   «Sì, c’era un villaggio a qualche chilometro, verso Sud-Est... Akasha» la informò.
   «Hai intenzione di andare là?» le domandò Aleja in tono preoccupato.
   Sofia annuì.
   «Be’, sta’ attenta. Non vedono di buon occhio gli stranieri, laggiù» si raccomandò Claire.
   «Sarò prudente» promise l’altra, sorridendo. «Ah, quando tornerò dovete assolutamente venire a trovarmi... voglio presentarvi un po’ di persone».
   Le altre tre assentirono entusiaste.
   «Allora ci sentiamo tra qualche giorno» disse Sofia mentre si salutavano.
   «Vedi di tornare in tempo per il mio compleanno, sai bene che è tra due settimane!» le gridò dietro Martina.
   Sofia le fece cenno di averla sentita e sghignazzò. Mentre cercava un posto abbastanza riparato per chiamare Nabeela, Giovanni la bombardò di domande sulle tre ragazze che avevano appena incontrato.
   «Si può sapere quando le hai conosciute?» le stava appunto chiedendo. La ragazza sbuffò.
   «Pensavi davvero che durante i miei viaggi non parlassi con nessuno?» disse sarcastica, controllando l’angolo in cui si trovavano, riflettendo. Non era il massimo, ma poteva andare... o almeno era quello che aveva pensato fino a quando un gruppo di turisti chiassosi passò loro davanti. «Qui non va bene» annunciò, riprendendo a camminare.
   «E come vi siete incontrate?»
   «Ascoltando una radio sul web... c’era una chat annessa e quando potevo mi collegavo. Abbiamo iniziato a chiacchierare e abbiamo fatto amicizia» rispose distrattamente.
   «Ma non sono italiane, almeno a giudicare dai nomi di Aleja e Claire» notò Giovanni.
   «No infatti, la prima è spagnola e la seconda francese. Martina invece, a dispetto del nome, è irlandese, ma tutte e tre hanno ascendenze italiane... ecco perché si sono trasferite a Roma»
   «E sono delle Portatrici. Interessante» disse l’uomo tra sé e sé. Sofia lo guardò male.
   «Non pensarci neanche. Loro restano qui» lo avvertì. Poi si guardò intorno, aggrottando la fronte. «Non senti qualcosa di strano?» chiese, voltandosi verso Giovanni.
   «Veramente no, ma sto trattenendo l’Aura» replicò lui. Poi assunse un’aria perplessa. «Hai ragione, c’è qualcosa di strano. Percepisco qualcosa di simile a un’Aura Sensibile»
   «Hai detto bene. Qualcosa simile a un’Aura Sensibile... ma è inconsistente. Troppo. Non credo che chi emani questa... cosa... riesca a percepirci» replicò la ragazza. Ruotò su se stessa, osservando il vicolo in cui si erano infilati e controllando le mura verso l’alto. Poi Giovanni le diede una bottarella sulla schiena.
   «Guarda lì» le bisbigliò, accennando con la testa all’imboccatura del vicolo.
   Sofia seguì il suo sguardo. Alcuni metri più avanti, un occhio scuro e lucente li osservava nel piccolo spazio tra il muro e il palo di un lampione.
   «Ti abbiamo visto. Che cosa vuoi?» disse con calma, pur tenendosi pronta a combattere. Sentì Giovanni, accanto a sé, tendersi, pronto a scattare. Come lei, era preoccupato dall’improvvisa comparsa di quell’entità che non riuscivano a identificare, anche se a Sofia comunicava uno strano senso di familiarità.
   Contrariamente a quanto si erano aspettati, l’occhio si affacciò nel vicolo, seguito da un volto e da un corpo.
   «Non lo so. Sapevo solo di doverti seguire» disse a una Sofia più che mai sbalordita.
   Giovanni la fissò preoccupato. «Sofi cos’hai? La conosci?».
   «No, ma credo proprio di conoscere suo marito» rispose con voce strozzata. Poi fissò intensamente la donna che aveva di fronte. «Ambrosine?»
   Il sorriso che l’altra le rivolse fu una conferma sufficiente.
   Facendosi avanti, Sofia chiamò Nabeela. «Dobbiamo andare, e di corsa» disse, afferrando la donna e aggrappandosi con Giovanni alla coda della Fenice.

*

Mentre camminava distrattamente per le strade di Londra, Laurence sentì qualcosa di strano. Si guardò intorno, scosse la testa e mosse qualche altro passo. Poi lo sentì di nuovo.
   Pochi metri più avanti, un vicolo si apriva alla sua destra. Vi si infilò velocemente e subito qualcosa di setoso lo sfiorò.
   «Nabeela, sei proprio tu allora!» disse stupefatto. Poi la preoccupazione ebbe il sopravvento; sapeva che la Fenice poteva essere stata mandata a lui solo da Sofia. Chiedendosi cosa potesse essere successo di tanto grave, sparì insieme a Nabeela.

*

Senza fiato, Laurence riapparve sul prato che ormai conosceva bene. Mentre Nabeela volava via, scorse Gregory e Giovanni comodamente seduti sull’erba che parlavano.
   «Razza di...!» esclamò, fissando il primo. I due non si scomposero.
   «Sofi, è arrivato!» gridò Gregory voltandosi verso la porta.
   Sofia uscì come una furia.
   «Sofi, cos’è successo?» chiese Laurence, avvicinandosi alla ragazza. «E cosa ci fa lui qui?» aggiunse, indicando Giovanni.
   «Oh, non ti preoccupare di lui. L’ho chiamato io, dobbiamo cercare una cosa... infatti eravamo a Roma quando abbiamo trovato qualcosa che ti appartiene» rispose lei con un sorriso. Si sporse oltre l’angolo e fece un cenno.
   «Cos’è che avreste trov...» iniziò Laurence. La comparsa della donna che aveva seguito prima André e poi Sofia lo interruppe.
   Senza dire una parola, i due si avvicinarono e si strinsero. In silenzio, Gregory, Giovanni e Sofia se ne andarono, lasciandoli soli. Molto tempo dopo, Laurence lasciò andare Ambrosine e le afferrò le mani.
   «Mi dispiace così tanto, Ambrosine» disse in tono stanco, tenendo lo sguardo fisso a terra. Lei sembrò non capire.
   «Non capisco di cosa ti stai scusando» disse dolcemente, accarezzandogli una guancia.
   «Di essere sparito, quasi dieci anni fa. Non fui io a deciderlo, ma non posso comunque perdonarmi di non essere riuscito a tornare da te molto prima. Le cose sarebbero andate diversamente... saremmo rimasti insieme, avremmo vissuto la vita che avevamo sempre desiderato... mi avrai odiato, per tutto questo» disse; la sua voce si spezzò.
   Ambrosine lo guardò, sorpresa dalle sue parole.
   «Ma, Laurence» iniziò «come potrei odiarti? Ti ho amato dalla prima volta che ti ho visto, e poi sapevo che non te ne eri andato di tua volontà, così come sapevo che non eri morto!»
   «Morto? Che significa?» domandò lui, non capendo a cosa sua moglie si riferisse. Non aveva mai saputo in che modo i Maestri del Centro avevano coperto la sua sparizione.
   «Sì... dissero che eri caduto fuoribordo, durante la tempesta, e che nessuno se n’era accorto fino all’arrivo della nave» lo informò Ambrosine. «Tutti la considerarono una terribile disgrazia, ma io non ci ho mai creduto» aggiunse.
   «Ma che razza di...» ruggì lui, prima di interrompersi. «Aspetta un momento...perché tu non ci hai creduto?»
   «Non lo so. La spiegazione dei fatti era logica, e convincente, ma sapevo che non era la verità. Sapevo anche che eri vivo e stavi bene... in alcuni momenti potevo quasi sentirti come se fossi stato fisicamente accanto a me, spesso intuivo i tuoi stati d’animo... specialmente quando soffiava il vento» rispose la donna, come se nulla fosse.
   Laurence la guardò con gli occhi fuori dalle orbite. Ambrosine sembrò perplessa.
   «Perché mi guardi in questo modo?» gli domandò.
   Rapidamente, Laurence le spiegò il motivo per cui era stato rapito e cosa era in grado di fare, dandogliene una dimostrazione pratica.
   «Per questo sono rimasto tanto stupito quando hai detto che mi sentivi, in particolar modo durante le giornate ventose» concluse. Poi la guardò preoccupato. «Temo che tu abbia delle particolari capacità, differenti rispetto a quelle di noi Portatori...»
   «Ed è un male?» chiese lei.
   «No, certo che no... ho solo paura che qualcuno possa tentare di portarti via per sfruttare questa tua dote. Finché sei qui non dovresti correre rischi... in ogni caso, guardati da Giovanni» la ammonì.
   «Giovanni? L’uomo che era con quella ragazza bassa a Roma?»
   «Proprio lui. È a causa sua se sono sparito per tutti questi anni»
   «Oh, non devi preoccuparti di quell’uomo. Non è una minaccia... sta cercando di scoprire la verità riguardo alla strana manifestazione di un potere e ora la sua mente è totalmente concentrata su questo. Inoltre è troppo preso dalla curiosità... vuole cercare una persona» replicò Ambrosine.
   «E tu come lo sai? Te lo ha detto lui?» chiese Laurence, incredulo. Era certo che Ambrosine non sapesse nulla su quanto era accaduto tra Sofia e Giovanni durante la battaglia di un mese prima, e ancor meno su chi o cosa Giovanni progettasse di trovare.
   La donna aggrottò la fronte, riflettendo.
   «No, non mi ha rivolto neanche una parola. Ma nel momento in cui mi sono avvicinata a lui... queste cose, e molte altre, mi sono saltate alla mente. Come se le avessi sempre sapute, ma mi fossero sfuggite dalla memoria» rispose, tentando di spiegarsi.
   A ogni parola, Laurence assumeva un’aria sempre più terrorizzata. Il potere che stava sgorgando da Ambrosine era di un tipo a lui totalmente sconosciuto, e temeva le conseguenze che avrebbe potuto produrre – direttamente o indirettamente – sulla sua amata moglie.
   «E ti è capitato anche con gli altri?» le domandò.
   Lei annuì.
   «Sì... con te, con la ragazza... Sofia, giusto? E anche con l’altro uomo... l’americano, con gli occhi azzurri. Ah, ed è stato lo stesso con il ragazzo biondo» disse, ricordando i Portatori che aveva incrociato quel giorno.
   «Ragazzo biondo? Chi, dove?» chiese ancora Laurence. Invece di chiarirsi, la situazione si complicava sempre più.
   «Oh, quello che ho seguito a Parigi, all’aeroporto...» rispose vaga Ambrosine.
   «Alto, con una grande cicatrice intorno al polso destro?» indagò lui.
   «Sì, proprio così. Non riusciva ad afferrare la valigia» confermò la donna. «Avevo capito di dover andare al Roissy-Charles de Gaulle, ma dopo aver incontrato quel ragazzo ho avuto una strana sensazione... come se non avesse più senso stare lì. Ero indecisa tra andare a New York o a Roma ma alla fine ho optato per la seconda, visto che era più vicina» aggiunse.
   «New York...da Blaze» disse tra sé e sé Laurence, guardando oltre la testa di Ambrosine con gli occhi vitrei. Dopo aver riflettuto per un minuto, si scosse.
   «Andiamo da Sofia. Dobbiamo assolutamente scoprire la natura di questo tuo potere, e se c’è qualcuno che può avere qualche informazione, è di certo lei» decise, prendendola per mano e conducendola all’interno dell’edificio.
   
 
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