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Autore: Betta7    21/08/2015    3 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5.
DISTRUTTO.

Pov Akito.

Nella mia mente avevo il vuoto. Guidavo, ma non riuscivo a guardare davvero la strada. Sentivo solo un gran vuoto al centro del petto.
Se qualche anno prima mi avessero detto che mi sarei sentito in quel modo per qualcosa successa a Natsumi, avrei riso e negato assolutamente. La odiavo.
Eppure, in quel momento, quando dall'ospedale mi avevano chiamato per dirmi che mia sorella aveva avuto un incidente, mi ero sentito completamente e inesorabilmente vuoto.
Mi voltai a guardare Sana, aveva lo sguardo perso davanti a se' e dall'occhio sinistro le scendeva una lacrima, piccolissima, forse impercettibile ma carica di dolore.
Misi la mano sul cambio, e Sana di scatto pioggiò la sua sulla mia.
Un gesto insignificante, in realtà, non poteva trasmettermi per osmosi alcuna fiducia o positività, eppure non potei fare a meno di trovarlo perfetto, perchè mi calmò.
Almeno fino all'arrivo in ospedale.
I medici ci stavano dicendo quanto la situazione fosse grave, non solo per Natsumi ma anche per la bambina.
«Mi dispiace, signor Hayama.» concluserò così, davanti a mio padre, come se dicessero quella frase milioni di volte.
I medici mi avevano sempre affascinato per quel motivo: riuscivano a staccarsi totalmente dalla loro anima, lasciando che, davanti a un parente, non ci fosse nè pena, nè rammarico... ne dispiacere.
Erano assenti, di pietra. Proprio come mi sentivo io in quel momento.
Sana accompagnò mio padre, anche lui in lacrime, a sedersi, mentre io rimasi esattamente dove il dottore era poco prima. Pensavo che, se non avessi mosso un muscolo, l'orologio sarebbe magicamente andato indietro e le cose sarebbero tornate esattamente come le avevo lasciate. Ma quelli erano pensieri di un ragazzino e io, purtroppo, non lo ero.
Quando realizzai che la situazione di mia sorella non sarebbe migliorata nemmeno se fossi diventato catatonico, mi sedetti anch'io accanto a mio padre, dandogli una pacca sulla spalla.
Sana, dall'altro lato, si teneva la testa tra le mani e non piangeva per non scoraggiare noi, ma anche lei sapeva riconoscere la mancanza di speranza.
Chiesi se era possibile entrare nella stanza di Natsumi ma i dottori ci consigliarono di andare a casa, perchè lì non c'era nulla che potessimo fare per lei. Mio padre non volle sentire ragioni, rimase lì, ma io dovevo portare Sana a casa, era esausta, e anche io avevo bisogno di riposarmi almeno per un'ora.
Guardai l'orologio. Le ore erano passate come se nulla fosse, erano già le sei del mattino, e solo allora mi resi conto della luce del sole che già entrava dalle finestre della sala d'aspetto.
Convinsi i dottori a farmi entrare, anche solo per un secondo, e dopo non poche resistenze cedettero.
Interpretai quel gesto come un favore, perchè neanche loro erano sicuri che Natsumi si sarebbe risvegliata.
Mi stavano dando la possibilità di dirle addio. Ma io non l'avrei fatto.
Quando varcai la soglia della sua stanza e vidi la ragazza che dormiva in quel letto d'ospedale, mi sembrò di non vedere affatto mia sorella. Il suo viso era pieno di lividi, le sanguinava ancora un graffio sulla fronte, e aveva la bocca gonfia. Il braccio destro era ingessato, quello sinistro completamente fasciato. Solo le gambe erano libere.
Le presi la mano e feci attenzione a non stringerla troppo, per paura di farle male.
«Vado a casa per un paio d'ore. Per quando sarò tornato, conto di vederti sveglia, Natsumi. Non permetterti a morire. Hai capito? Se muori, io ti odierò per sempre. Quindi non farlo. Non morire... ti prego, non morire.»
Trattenni le lacrime, ma fu più dura di quanto avessi mai immaginato. Dopo di che le diedi un bacio in fronte e uscii di corsa da quella stanza, presi Sana per mano, feci un cenno a mio padre e mi diressi fuori dall'ospedale.
Non appena misi piede in strada feci un gran respiro.
Se mia sorella fosse morta, se mia nipote fosse morta insieme a lei... avrei potuto distruggere un mondo in quel momento, ma la mia attenzione fu catturata da una cassetta postale, una di quelle rosse che si vedono nei film, e decisi che quello era il mio obiettivo. Corsi in quella direzione e, sotto gli occhi sconvolti di Sana, la presi a pugni fino a farmi sanguinare la mano.
Lei continuava ad urlare, ma io sentivo solo un rumore lontano, e l'unica cosa che avrei voluto era distruggere quell'oggetto come qualunque Dio ci fosse su di noi aveva appena fatto con la vita di mia sorella.

*

Non ricordo molto dal momento in cui Sana mi aveva fermato dal rompermi la mano contro la cassetta postale a quando ero entrato nella doccia di casa sua. L'acqua scorreva lentamente sul mio viso e rimetteva a posto la mia mente, anche se non poteva far nulla per la mia mano.
La guardai, ero un incosciente, ma per fortuna non avevo nessun osso rotto, in ospedale mi avevano messo una fasciatura e imbottito di antidolorifici.
Chiusi gli occhi per un attimo, e mi sentii come se il peso del mondo ricadesse sulle mie spalle.
I dottori avevano detto che Natsumi era in un momento in cui la medicina poteva fare ben poco. Potevano tenerla in vita, alimentarla, alimentare la bambina fino a portarla al parto, ma stava a lei, alla sua volontà, decidere se svegliarsi o no. Se combattere o no.
Natsumi non era mai stata una ragazza coraggiosa e, nell'ultimo periodo, era molto depressa per via di quel bastardo e della gravidanza inaspettata. Ero sicuro che, se avesse dovuto scegliere, nel limbo o in qualunque posto la sua anima si trovasse, se vivere o lasciarsi andare, avrebbe scelto la seconda.
Decisi di non pensarci, o almeno provare a farlo, e uscii dalla doccia. Sana era in cucina a prepararmi una camomilla. Avevo cercato di dirle che la camomilla mi faceva schifo, ma non aveva voluto sentire ragioni e mi aveva praticamente buttato in bagno prima che potessi dire nulla. Indossai i pantaloncini e la maglia che Sana mi aveva comprato per quando avrei dormito da lei, e scesi in cucina, sperando che vederla mi avrebbe calmato di nuovo, come quando mi aveva sfiorato in macchina.
Ormai ero diventato bravo nell'origliare quindi, quando sentii che stava parlando al telefono, aspettai ad entrare in cucina.
«Mamma... ciao. Si, sto bene. So che è molto presto, anzi scusa se ti ho svegliato ma...». La sua voce venne rotta dalle lacrime. «No, mamma io sto bene... è Natsumi, la sorella di Akito. Ha avuto un incidente, è in coma e non si sa... non si sa quando e se si risveglierà.».
Sentire quelle parole rese la cosa ancora più reale, e il piantlo di Sana la rese insopportabile.
«No, non c'è bisogno che tu venga. Passami Rei per favore, devo parlargli.».
Passarono diversi minuti prima che Occhialidasole rispondesse, probabilmente dormiva ancora vista l'ora.
«Ciao Rei. Si, volevo solo dirti di cancellare tutti i miei impegni da oggi fino a data da stabilirsi. No, non so se potrò partecipare all'incontro con Miyazaki, la situazione qui è critica e Akito ha bisogno di me. Vedrò cosa posso fare, tu intanto chiama il suo segretario e digli che ho avuto un problema familiare e che non assicuro la mia presenza per il film, chiedigli scusa da parte mia e digli che spero che avrà la pazienza di aspettare, perchè ci tengo a questo film.»
Un film? Sana non me ne aveva parlato, ma l'ultima cosa che volevo in quel momento era litigare a causa di un film. Appena sentii che aveva chiuso la chiamata, entrai in cucina. Lei abbozzò un sorriso e, un secondo dopo, era già accoccolata sul mio petto, abbracciandomi.
Per un attimo dimenticai tutta l'infernale nottata, e pensai solo alle braccia di Sana strette attorno alla mia schiena.
Mi sentii persino in colpa. Avevo desiderato tante volte un contato come quello e ottenerlo mentre mia sorella era probabilmente in fin di vita non era affatto giusto.
Senza dire nulla, come se avesse capito che non ero in vena di abbracci, Sana si staccò da me e mi offrì la mia camomilla. Feci una smorfia ma la presi ugualmente, per non offenderla.
«Come ti senti?» chiese, sedendosi sullo sgabello della cucina, accanto a me.
«Come se fossi stato investito insieme a Natsumi.»
«Non è divertente... io.. non potrei pensare a te...».
Ormai piangere era diventato normale per Sana e, anche stavolta, una lacrima le attraversò la guancia. Io l'asciugai e, in silenzio, la presi per mano e la condussi in camera.
Ci coricammo, abbracciati, e quando io mi accorsi che stava dormendo mi avvicinai al suo orecchio.
«Io non ti lascerò mai...» sussurrai, poi sprofondai in un sonno inquieto. 
   
 
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