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Autore: Sam27    22/08/2015    6 recensioni
Dal testo:
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
–Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
-
-Mi piaci- sussurra -Da sempre-
-Sei ubriaco, stai delirando-
-Non te l'hanno mai detto che gli ubriachi non mentono mai?-
-Anche tu mi piaci-
-Perchè me lo dici?-
-Forse perchè sono ubriaca anche io-
-
-Sto leggendo-
-Guardami quando ti parlo!- esclama Rebecca alzando la voce.
Io alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene.
-Perchè ti comporti così?- mi chiede -E' perchè sono lesbica? Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Monica ci amiamo e...-
-E' perchè hai tradito papà!- urlo -Ed io ti odio, Rebecca-
Lo schiaffo arriva e lo accolgo quasi con sollievo.
Alla luce degli ultimi avvenimenti Nora può considerarsi una fangirl piuttosto sfigata.
-
In un'epoca in cui la friendzone va quasi di moda ho provato a parlare della vera amicizia.
In un'epoca in cui leggere è passato di moda ho provato a spiegare com'è la vita per chi vive per i libri.
Sequel della storia: "Potremmo volare". Può essere letta singolarmente.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
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2. Un ciccio-panda brufoloso con le dita sporche di Nutella
“Le bugie più crudeli  sono spesso raccontate in silenzio”
Adlai Stevenson
 
Sfoglio ancora l’ultimo libro che ho preso in biblioteca - “Il giovane Holden”- mangiando le parole con gli occhi. Mi mancano cinquanta pagine ed ormai sono completamente persa nella lettura.
Mi aggrappo con forza alla copertina e strappo quasi la pagina nella fretta di voltarla.
-Eleonora!- mi chiama Rebecca dal piano inferiore.
Socchiudo appena gli occhi e serro le labbra: possibile che debba sempre rovinare i momenti migliori? Nella vita come nella lettura.  Mi dirigo lemme lemme e stizzita fuori dalla stanza, una volta sulla soglia inciampo, finendo lungo distesa sulla moquette.
-Eleonora!- mi chiama nuovamente Rebecca.
Sbuffo sonoramente.
-Tua madre ti sta chiamando- dice Filippo facendo capolino dalla sua stanza.
-Non l’avevo notato- dico sospirando ironica.
-Mia madre mi aveva detto che il nuovo pavimento è più comodo di quello vecchio, aveva ragione?- mi chiede sorridendo.
Lo guardo per qualche attimo, arrossendo e per un momento mi sembra di essere tornata alla medie: quando mi rendeva la vita impossibile e non perdeva attimo per canzonarmi. Scuoto la testa: non posso farmi trattare ancora come il fazzoletto smoccololato e nascosto nel pastrano di Hagrid. Apro la bocca per dire non so bene che cosa quando lui, con mia grande sorpresa, viene a sdraiarsi affianco a me.
-In effetti è abbastanza comodo- ammicca girando lentamente il viso verso di me.
La voce di Rebecca mi perfora un altro timpano.
-Sono caduta- mormoro con voce debole.
-Eleonora! Scendi subito!-
A questo punto ho bisogno di un apparecchio acustico ed ho meno voglia di alzarmi di prima.
-Ti aiuto- dice lui con una smorfia.
Filippo si tira su con un rapido colpo di addominali –cosa che non potrei fare neanche se Zeus in persona mi desse la forza- e mi porge la mano, la afferro, mormoro un timido “grazie” e scappo di sotto, senza riuscire ad impedire alle mie stupide guance di arrossire.
-Ce l’hai fatta?- mi domanda guardandomi arcigna.
Ha la mano destra appoggiata sul fianco, il peso sulla gamba sinistra ed il piede destro che batte lentamente per terra, gli occhi ridotti a due fessure.
Oh oh,mi ritrovo a pensare.
-Possibile che tu non riesca ad ascoltare la musica a volume più basso?- mi domanda con uno sguardo inquisitore che mi fa venir voglia di scappare –Sono dieci minuti buoni che ti chiamo!-
Una volta, quando mi sgridava in questo modo, correvo a nascondermi tra le gambe di papà.
Stringo i pugni ed alzo lo sguardo: –Leggevo-
-Ah, ecco! E ti pareva? Fare qualcosa di utile mai?-
Tipo? Rovinarti la vita come tu hai fatto con la mia?
Mi mordo l’interno della guancia per trattenermi dal rispondere.
-Perché mi hai chiamata?- riesco a dire infine con un tono più o meno accettabile.
-Domani mattina pensavamo di andare a fare shopping, che ne dici?- la sua voce si addolcisce appena al contrario del suo sguardo.
-Io e te?- domando dubbiosa.
-Io, te e Michela- mi corregge con sguardo duro.
-Se ti dicessi di no potrei restare a casa?-
-No.
-E allora cosa me lo chiedi a fare?!- esclamo esasperata ma temendo comunque la sua reazione.
-Tengo conto della tua opinione.
Alzo così tanto le sopracciglia da sentirle all’attaccatura dei capelli, forse tra un po’ spariranno e non sarò più costretta a farmi la ceretta. Lei sospira e abbandona la sua posizione d’attacco per venirmi vicina e mettermi le mani sulle spalle.
Un altro sospiro.
-Che c’è?- le chiedo titubante e per niente ammansita.
Lei sospira.
-Sono sicura che, se tu dessi una possibilità a Michela, diventereste ottime amiche.
-Ma io non voglio- mormoro con voce sottile e tremante.
So di farle del male e questo, se è possibile, mi fa stare ancora peggio.
Un sospiro ed un altro ancora, sto quasi per chiederle se si stia trasformando in un aspirapolvere quando riprende a parlare: -Ti prego, Nora.
Mi allontano da lei e le braccia le ricadono lentamente lungo i fianchi.
-Devo studiare- dico lentamente ma senza guardarla negli occhi –Ci sono le ultime verifiche prima delle vacanze di Natale-
Non mi risponde ed io inizio a salire le scale, sono ormai arrivata in cima quando, con voce ferma, dice: -Fatti trovare pronta per le dieci-
Sbuffo sonoramente, sperando che mi senta  e torno in camera.
Chiudo il libro e mi decido a studiare: non le ho mentito, pensavo davvero di farlo domani mattina. Diciamo che ultimamente lo studio non è stato la mia priorità ed ora sono in una situazione alquanto preoccupante.
Studio per un’ora, senza concedermi nemmeno una pausa poi chiudo il libro, sfinita e mi dirigo verso il bagno per lavarmi la faccia. Sono arrivata a metà corridoio quando il telefono, alla mia sinistra, inizia a squillare.
-Rispondo io!- urlo a squarciagola, mentre uno strano presentimento mi attanaglia le viscere.
-Pronto?- domando quasi timorosa.
-Buongiorno, sono la professoressa Barberi, parlo con la signora Rebecca Olga genitore dell’alunna Eleonora Lorenzetti?
Sembra che il mio cuore abbia risalito la cassa toracica e si sia infilato nell’esofago per, infine, raggiungere la gola. Cerco di deglutire e mandarlo al suo posto ma lui continua a battere velocemente, instancabile. Faccio una corsa verso il bagno e mi ci infilo dentro, chiudendo la porta a chiave.
-Certo, sono io, mi dica- rispondo dopo essermi schiarita la gola, tentando di imitare il tono di voce di Rebecca –C’è qualche problema con mia figlia?-
-Veramente sì, signora.
-Ah sì?- chiedo simulando un tono sorpreso –Non mi ha detto nulla-
-E’ normale, probabilmente per i problemi familiari in cui vi ritrovate. Devo essere sincera con lei: Eleonora non è mai stata una studentessa modello ma si è sempre distinta nella media con voti abbastanza buoni e qualche carenza qua e là, ma nulla di troppo pesante e che non si potesse rimediare con un po’ più di impegno. Il suo comportamento è sempre stato ottimo anche se un po’ riservato ma ultimamente le cose non stanno andando bene.
-Cosa intende?- domando con voce più alta del normale.
-Sua figlia ha quattro materie sotto, signora Rosa.
-Quattro materie! Pensa che riuscirà a recuperarle?
-Certo, siamo solo al primo quadrimestre, ma ho preferito avvisarla di persona.
-Ha fatto benissimo, parlerò con mia figlia al più presto.
-Perfetto. Mi dispiace solo di averla disturbata a quest’ora tarda ma sono appena uscita da scuola ed ho preferito non ritardare oltre questa nostra conversazione. Buona proseguimento di serata.
-Anche a lei, la ringrazio ancora.
-Arrivederci.
-Arrivederci.
Mi lascio scivolare per terra mentre la chiamata giunge al termine. Stringo forte il telefono nella mano destra, quasi fosse colpa sua tutto ciò che è successo. Il cuore sembra essere ritornato al proprio posto ma, in compenso, lo stomaco mi dona un nuovo senso di ansia. Subito vengo colpita da uno spiazzante senso di colpa: che cos’ho fatto? Poi la soddisfazione si fa largo, cauta, nei meandri del mio cuore. Infine mi resta un vago senso di inquietudine.
Tutto questo in una manciata di minuti, dopo esco dal bagno e vado a posare furtiva il telefono.
-Chi era?- domanda Rebecca dal piano di sotto.
-Alessandro- mento.
-Non sapevo che Alessandro ti avvisasse che tua figlia ha quattro materie da recuperare a scuola- dice Filippo apparendo alle mie spalle e spaventandomi.
Sobbalzo ed il mio cuore balza nuovamente su fino alla gola mentre inizio a sudare freddo.
-Non sapevo neanche che avessi una figlia in realtà- dice con un mezzo sorriso sghembo.
Quel sorriso non mi piace per niente.
E poi: chi si crede di essere?
-Non sono affari tuoi- borbotto senza troppa convinzione, guardandomi le ciabatte a forma di gatto unicorno.
-Non ti conviene trattarmi così, potrei dirglielo in qualsiasi momento.
Io lo guardo a bocca aperta, soffermandomi sul suo sorrisetto furbo.
-Non mi fai paura- dico guardandolo negli occhi.
Non più, aggiungo tra me e me cercando di scacciare i brutti ricordi.
-Hai bisogno di ripetizioni?- mi domanda poi facendosi serio.
-No, grazie- dico titubante.
Mi sta prendendo in giro?
-Sicura? Ho due anni in più di te, magari so anche qualcosa in più.
Mi lascio scappare una smorfia.
-Che c’è?- mi chiede confuso.
-Prima mi minacci e poi mi offri il tuo aiuto?- gli domando socchiudendo gli occhi.
La mia espressione vorrebbe essere sexy e sospettosa ma credo che assomigli più ad un gatto stitico  e pigro che osserva la sua pallina rotolare via.
Lui, con mia grande sorpresa, sbuffa:- Senti, ragazzina, sto cercando di essere gentile con te perché me l’ha chiesto mia madre. Ma smettila di pensare che il mondo giri intorno a te perché è una cosa piuttosto infantile.
Rimango nuovamente a bocca aperta mentre lui gira sui tacchi e se ne va.
Okay, ora sono ancora più confusa di prima.
Mentre me ne sto sotto le coperte a rimuginare sulla mia confusione mia madre mi raggiunge, subito faccio finta di dormire, chiudendo gli occhi.
-Ha dimenticato la luce accesa!- esclama in un borbottio confuso –Sempre la solita-
Rimane qualche minuto a guardarmi “dormire”, poi mi rimbocca le coperte e mi scocca un bacio sulla guancia: -Ti voglio bene- dice con gli occhi pieni di lacrime.
Forse per qualcuno sarebbe potuta essere la buonanotte perfetta, quella che ti fa scivolare in un sonno limpido ma a me ha tolto qualsiasi voglia di dormire. Resto a fissare il soffitto, crogiolandomi nel senso di colpa.
Sono davvero così egoista come ha detto Filippo?
Cosa ne vuol sapere, poi, quell’idiota?
Okay che è un idiota tremendamente attraente e intelligente ma rimane comunque un idiota.
Quando è ormai chiaro che questa notte non chiuderò occhio mi alzo dal letto  e mi dirigo al piano di sotto in punta di piedi: lo spuntino di mezzanotte è la cura ideale contro l’insonnia.
Prendo il barattolo di Nutella ed un cucchiaino ed inizio a mangiarne un po’, cercando di non fare rumore e di non mettere su troppi chili.
Improvvisamente vedo la figura alta e robusta di Filippo scendere le scale e mi maledico mentalmente per aver lasciato la luce accesa, sto per nascondermi sotto il tavolo quando lui entra in cucina.
-Ciao- dice cauto –Neanche tu riesci a dormire?-
Io mi osservo per qualche istante dal suo punto di vista: un ciccio-panda brufoloso con un cucchiaino in bocca e le dita sporche di Nutella piegato in un’assurda posizione e proteso verso il tavolo.
-Non avevo sonno- dico infine raddrizzandomi e andandomi a sedere sul tavolo.
Lui annuisce: -Ti va un po’ di cioccolata?-
-Okay- dico facendo ciondolare le gambe ed osservandole.
Prende un pentolino, lo riempie di latte, aggiunge  poi il preparato per la cioccolata poco alla volta a fuoco basso. Dal suo modo sicuro di muoversi mi ricorda papà e per qualche attimo la mia mente assonnata viene allagata dai ricordi poi mi porge una tazza fumante e mi riscuoto. Tra poco più di una settimana sarà Natale e fa abbastanza freddo, rabbrividisco mentre cerco di stringermi nel pigiama felpato.
-Scusami per prima- dice infine mentre aggiungo una bustina di zucchero alla mia cioccolata.
Probabilmente, se vivessi in cartone animato, la mia mascella starebbe pulendo il pavimento.
-E’ che mi sono appena lasciato con la mia ragazza e ce l’ho più o meno con il mondo intero.
Qualcuno nella mia testa ha iniziato a ballare il cha cha cha con tanto di maracas in mano e sombrero sulla testa.
-Mi dispiace- dico tentando di tramutare il sorrisino di soddisfazione in un’espressione di amara comprensione. Non mi deve riuscire molto bene perché sento i muscoli facciali doloranti perciò seppellisco il viso nella tazza di cioccolata.
-Stavamo insieme da quattro anni- aggiunge mogio.
No cucciolino, non fare quella faccia triste, ora ci pensa mamma Nora a farti tonare il sorriso
Cerco di scacciare le idee malsane su come potrei distrarlo e mi avvicino di qualche metro a lui.
-Mi tradiva, sai? Nell’ultimo anno e mezzo non ha fatto altro che andare a letto con il mio migliore amico.
-Ah sì? Non lo sapevo.
Affogo di nuovo nella cioccolata per non lasciargli intendere che sto mentendo. Erano la coppia del secolo: Filippo Perfetto Montesanti e Isabella Senonladòalventofalamuffa Cacciatore. Le voci di corridoio sussurravano malefiche che lei lo tradisse ma nessuno aveva mai osato dirlo ad alta voce nonostante fosse di dominio pubblico, solo lui sembrava non essersi accorto di come lei lo aggirasse e si desse alla pazza gioia con chiunque.
Io glielo avrei anche detto, se non fosse stato per il fatto delle prese in giro alle medie e tutto il resto.
Posa la tazza e viene a sedersi affianco a me, poi appoggia i piedi su una sedia ed i gomiti sul tavolo, prendendosi la testa fra le mani.
-Io la amo- mormora con voce strozzata.
-Potremmo fare chiodo scaccia chiodo, ho sentito che aiuta, sai?- dico in tono vagamente ironico.
Non posso credere di averlo detto davvero ed in questo momento il vestito di Babbo Natale è di una tonalità più chiara di quella che ho assunto io. Probabilmente ogni tanto potrei starmene zitta o almeno scegliere qualcuno con un senso dell’umorismo superiore al suo.
Solleva la testa e mi guarda, confuso.
-Scherzavo- aggiungo mesta, prima che possa farsi venire strane idee.
Lui scoppia a ridere poi mette su un sorriso malizioso  e avvicina il suo viso al mio così tanto che il mio cuore sembra implodere, il mio stomaco rivoltarsi e, se non fossi seduta, le mie ginocchia cederebbero facendomi cadere.
-Sicura di voler fare chiodo scaccia chiodo con me?- mi soffia sulle labbra.
-Scherzavo- ripeto così piano che potrebbe far finta di non avermi sentita se fossimo in una Love Story da quattro dollari ma questa è la mia vita sfigata, perciò mi sente eccome e mi lancia una lunga occhiata inquisitoria.
Quando ride e si allontana riprendo a respirare.
-Grazie per avermi risollevato il morale da meno cento a zero - dice con un rapido sorriso –Buonanotte-
-Buonanotte- rispondo, piano.
Le mie viscere hanno un ultimo spasmo prima di riprendere a ballare la salsa.
Se prima pensavo che avrei passato la notte in bianco ora lo so per certo.
 
Il mio aspetto riflesso nella padella esposta è distorto e deformato ma non poi peggiore di quello reale: ho il naso a patatina, gli occhi grandi e troppo vicini, le labbra troppo sottili, più lentiggini di quanti siano gli gnomi presenti a casa Weasley e un insopportabile brufolo sul mento.
Miseriaccia, è davvero enorme! E no, non sto parlando del mio adorabile fondoschiena.
-Guarda!- esclamo interrompendo Rebecca ed il suo interessantissimo monologo sul servizio piatti.
-Cosa?- mi domanda lei seccata, lanciandomi un’occhiata che assomiglia tanto a: “Perché mi hai interrotta? Stavo parlando con il mio amoruccio”.
Io ricambio l’occhiata assottigliando gli occhi quel tanto da intendere: “Potrei vomitare”.
-Questo brufolo- ripeto imperterrita, indicandolo –E’ colpa tua e dello stress-
-Stress?- mi fa eco Michela preoccupata –E’ proprio per questo che siamo venute a fare shopping, tesoro. Rebecca, amore, andiamo. Prenderemo il servizio di piatti un’altra volta-
Potrei vomitare sul serio, penso guardando le loro mani allacciate. Lei e papà non si prendevano mai per mano.
-Cosa preferisci comprare?- mi domanda Michela mentre entriamo nel negozio d’abbigliamento.
-Del veleno- mormoro sconsolata.
-Non credo che lo vendano qui- mi risponde seria.
E’ scema o cosa?
-Guarda che bello questo!- esclama indicando un vestitino rosa a pois che mi piacerebbe se avessi dieci anni di meno.
Cosa, decisamente cosa, mi rispondo mentre spero che uno gnomo su un fantastico unicorno venga da Narnia per portarmi con sé.
-Dai, Nora, ti servirà un vestito per Natale- insiste Rebecca.
-Perché? Che succede a Natale?-
-Nulla- mi risponde vaga –Ma scegli un bel vestito-
-Puoi provare questo!- esclama Michela lanciandomene uno.
Devo tuffarmi a sinistra e fare una rovinosa scivolata per riuscire a prenderlo.
-E questo!- continua convinta, avanzando e lanciando vestiti all’indietro come il peggiore giocatore di pallavolo.
Quando entro finalmente in camerino ho tra le mani almeno venti capi da provare. Inizio a credere che Michela non sia la santerellina che vuole dare a vedere quando devo spostare le tende e chiedere loro di prendere l’ennesima taglia in più. Potrò anche sembrare più magra dentro questo maglione ma pensare che io porti una S mi sembra abbastanza esagerato.
Ne esco -più o meno viva- solo un’ora dopo, stringendo una busta contenente l’unico vestito che sono riuscita a guardare senza che mi procurasse un attacco di dissenteria acuta: una tuta intera blu ed elegante con la parta più alta in pizzo.
Nella mia mente si è già formato il miraggio del Giovane Holden su un oasi circondata da cammelli e beduini quando Michela esclama entusiasta: -Ed ora dobbiamo pensare alle calzature perfette per quel vestito perfetto!-
 Non appena si allontanano per cercare il numero di un paio di scarpe con il tacco orridamente alto ne approfitto per chiamare Alessandro.
-Pronto?-
-Sandro muovi quel tuo deretano fastidiosamente perfetto sul tuo motorino e vieni a Tacco Dodici a salvarmi-
-Hai detto che ho un sedere perfetto?!-
-Muoviti- sibilo sempre più nervosa.
-Non è detto che i miei mi diano il permesso- borbotta mentre chiudo la chiamata.
Quando Alessandro arriva tutto trafelato Rebecca sta pagando con un largo sorriso, come se le avessero annunciato che è arrivata la sua lettera per Hogwarts o io e lei fossimo diventate amiche per la pelle.
-Alessandro!- esclama tutta contenta.
-Noi andiamo a prendere il coso della cosa- borbotto prendendo Alessandro per mano ed andandomene.
-Dobbiamo ancora prendere i gioielli e il trucco!- esclama Rebecca indispettita –E dovresti presentare il tuo migliore amico a…-
-Mi fido di voi!- dico di rimando, mogia.
-Torna per pranzo!- mi urla dietro Michela.
-Ci manca solo che mi comprino un braccialetto con scritto “Best Friends Forever” e passerei il resto della mia vita a vomitare arcobaleni- dico quando mi sono stancata di correre.
-Si può sapere che succede?- mi domanda Alessandro senza riuscire a reprimere un sorriso.
-Shopping in vista di un qualche evento a Natale di cui io, ovviamente, non sono stata informata.
-Ovviamente- mi concede lui con ironia –Ma non era quello che intendevo, hai in faccia un  sorriso così ampio che sembra ti sia fatta una paralisi facciale-
Non posso fare a meno di sorridere ancora di più ed iniziare a raccontare.
-Sono felice che tu sia felice- inizia lui.
Improvvisamente mi viene in mente una vecchissima canzone, perciò inizio a cantarla: -Se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
-Se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
-Se sei felice e tu lo sai dimostrarmelo potrai, se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
Alessandro scoppia a ridere incurante di tutti gli sguardi attoniti che si sono posati su di noi; ormai, viaggiando in mia compagnia, ha dovuto farci l’abitudine, povera stella.
-Cos’è quell’espressione?- gli domando andandogli così vicino che probabilmente potrebbe contarmi le lentiggini, cosa che ha già fatto circa un anno fa.
-Ti stai innamorando di lui- dice con un sorrisino malizioso.
-Io… sì- dico arrendendomi subito.
-Forse- aggiungo poco dopo –E’ troppo presto per dirlo-
Lui rotea gli occhi, poi sbuffa e mi guarda esasperato: -Sono due anni che gli vai dietro, senza contare la cotta stratosferica che avevi per lui alle medie e mi vieni a dire che è troppo presto per dirlo?
Io apro la bocca per ribattere poi la chiudo e, semplicemente, gli sorrido in risposta.
-Stai attenta, Nora, lo sai che quel tipo non mi è mai piaciuto e non mi convince neppure ora- dice lui facendosi serio e guardandomi negli occhi.
-Stai tranquillo, starò attenta a non innamorarmi troppo e comunque, mal che vada, ci sarai sempre tu a ricucire i cocci infranti del mio cuore.
-Ora stai facendo la melodrammatica- ridacchia lui.
Io alzo gli occhi al cielo.
-Quasi dimenticavo!
-Cosa? Hai iniziato a scrivere una tragedia? Ti verrebbe bene-
Gli tiro uno schiaffo sul braccio prima di rispondere: -Nel prossimo weekend andremo a Torino con i due sposini
Lui spalanca gli occhi entusiasta, proprio come farebbe un bambino.
-Strastico!
Io annuisco, passiamo un’altra oretta a chiacchierare del più e del meno poi mi riporta a casa.
-Ah: questa sera sei invitata a cena da noi. Sempre che Rebecca ti dia il permesso di uscita per buona condotta- dice poco prima di salutarmi.
-Credo che se laverò i piatti riuscirò a strapparglielo- lo rassicuro con una smorfia.
-Allora passo a prenderti alle sette e mezza.
-Sii puntuale!- esclamo lasciandogli un bacio sulla guancia.
Lui mi fa la linguaccia subito prima di mettere in moto e partire.
 
-Allora: che succede a Natale?- chiedo rompendo il fastidioso silenzio che avvolge la sala da pranzo.
-Perché dovrebbe succedere qualcosa?- chiede Michela sorridente.
Questa volta non me lo bevo il suo stupido ed incantevole sorriso.
-Non sono stupida- dico con una smorfia –Oggi avete detto che dovevo comprare tutta quella roba per Natale. Perciò: cosa succederà a Natale?-
Adesso anche Filippo si è fatto attento, alzando gli occhi dalla sua bistecca.
-Glielo dici tu?- domanda Michela guardando Rebecca con gli occhi così tanto pieni di dolcezza che credo mi siano appena venute due carie ed un principio di diabete.
-Una riunione di famiglia- dice Rebecca guardandomi negli occhi e pregandomi di non fare scenate.
Probabilmente, oltre questa donna malata che è la mia genitrice, anche il pezzo di maiale che stavo ingerendo decide di prendersi gioco di me e di infilarsi nelle vie respiratorie piuttosto che nell’esofago, rischiando di soffocarmi. Sputacchio pezzettini di carne un po’ ovunque prima che Filippo mi batta qualche pacca sulla schiena e il colpevole del tentato omicidio atterri sul piatto ricoperto di saliva bianca.
Reprimo un debole conato di vomito e riprendo a guardare Rebecca esterrefatta e bordeaux.
-Cosa intendi?- le chiedo con voce flebile.
-Il fratello di Michela, i suoi genitori e la nostra famiglia al completo.
Questa volta impallidisco tanto da assomigliare ad un fantasma.
-Cosa intendi con “al completo”?-
-Beh, sai, mia madre, mia sorella, suo marito, i loro figli, tuo padre, i suoi genitori, suo fratello, la moglie di questo e Aurora.
Forse mi sbagliavo, forse Rebecca non vuole rovinare la mia vita, forse medita solo istinti omicidi.
-Papà?- riesco solo a chiedere con un filo di voce.
-Gli daranno un permesso per Natale in caso che fino ad allora le cose andassero per il meglio.
-Ti senti bene?- mi domanda Michela premurosa.
-No- rispondo flebile –Avrei bisogno di un cuore nuovo, un altro cervello e un kilo di gelato per metabolizzare la cosa-
-Nora…- mi ammonisce Rebecca con voce lievemente alterata.
-Ah ed un’ultima cosa: il permesso di andare a cena dalla famiglia Sinistro.
-Okay- risponde Rebecca cauta riprendendo a mangiare.
-Cosa? Mi compri il kilo di gelato?
-No- dice lanciandomi un’occhiataccia –Puoi andare a cena dai Sinistro-
Cerco di reprimere il sorrisino soddisfatto giù per la gola ma lui continua a risalire perciò mi butto a capofitto sui piselli, abbassando lo sguardo.
-E così vai a cena dal tuo ragazzo?- mi domanda Filippo circa mezz’ora dopo mentre lavo i piatti.
-Non è il mio ragazzo- mormoro arrossendo leggermente.
-Meglio- dice sorridendo.
-Perché?- chiedo mentre nascondo le mani nella schiuma per non fargli vedere che stanno tremando.
-Così- dice facendo spallucce ed abbandonando la cucina.
Sento il cuore battere impazzito e penso che, prima o poi, quel ragazzo mi farà morire di crepacuore.
  
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