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Autore: whitemushroom    22/08/2015    4 recensioni
Un interludio è qualcosa che si trova nel mezzo. Qualcosa di indefinito, specie quando di un'opera si ricordano solo l'inizio e la fine. Ma in questo spazio bianco, avvolto nella nebbia, si muovono i mille tasselli di una storia che cerca solo di portare avanti il mosaico finale. Hilda si trova nel proprio interludio, rapita da un mago che non riesce a comprendere ma che sembra avere per lei molti più progetti per il futuro di quanti la granduchessa ne abbia ella stessa. I sentimenti che prova verso suo marito oscillano, ma forse saranno proprio quelli a tenderle la mano e trarla in salvo quando l'intermezzo rischia di trasformarsi in una tragedia ...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hildagarde Fabool / Lady Hilda, Kuja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Capitolo III - La vendetta è un piatto che va gustato freddo. Specie se ci si trova nel bel mezzo di un deserto

I picchi iniziano a comparire all’orizzonte, segnando la fine del viaggio.
Non c’è molta aria a bordo dell’Invincible: l’enorme vetrata copre l’intera prua e la piattaforma di comando come una cupola. I sistemi di filtraggio e purificazione della nave sono all’opera con il loro ronzio sordo che vibra con un ritmo diverso da quello dei motori, ma questi non riescono del tutto a soffocare il calore che proviene dalla stiva. Kuja mi ha detto chiaramente di non entrare nei livelli inferiori, ma stavolta ho tutta l’intenzione di obbedire: nella spaziosa cabina che mi ha assegnato ho avuto tutto il tempo di portare a compimento il mio piano.
Con il suo benestare, ovviamente.
Per un attimo riesco a vederlo: uno scintillio argentato tra le nuvole, un’ala dai colori indescrivibili, un guizzo che risale verso l’alto. I maghi neri dell’equipaggio non vi fanno caso e continuano il loro lavoro, ma io non posso fare a meno di sentire un tremito lungo la schiena ogni volta che il drago sfiora la fiancata dell’Invincible. Mi ritorna in mente la notte in cui Kuja mi ha portata via da Toleno, ma in questo momento non ci sono né il batticuore, né la curiosità di quel volo a bordo dell’Hilda Garde: adesso per quel mostro c’è soltanto disgusto e la voglia incontrollabile di farlo a pezzi.
“Manca meno di un’ora all’arrivo, mia signora”.
Le due coppie di ali sono richiuse, piegate perfettamente contro la schiena. Il sintetizzatore vocale crea un sibilo al termine di ogni parola, ma nulla riesce a diminuire la grandezza di Walzer N. 1 quando con tre passi attraversa lo spazio che separa il timone dalla vetrata e si ferma alle mie spalle.
Nel laboratorio non sembrava così enorme: potrei raggiungere la sua spalla solo mettendomi in punta di piedi. A bordo dell’Invincible ho trovato le ultime componenti di cui avevo bisogno per completarne la struttura –o meglio, le ha trovate N. 16- e Kuja mi ha gentilmente concesso di sfruttare l’enorme concentrazione magica nei motori della nave per alimentare le celle energetiche primarie di Walzer e ridare la vita a quella creatura. Kuja mi ha parlato di altri due esemplari, ma N.1 è l’unico di cui sia riuscito a recuperare il supporto ottico, il sistema visivo e soprattutto l’impalcatura scheletrica.
Però sono stata io a migliorarlo.
E a renderlo ciò che è adesso.
“Quanti maghi neri sei riuscito a reclutare?”
“Il cargo ne conta duecentotre, mia signora, tutti perfettamente funzionanti. Sono partiti tre ore fa, come su suo ordine”.
“Riesci a controllarli anche a questa distanza?”
Un lieve scintillio gli attraversa gli occhi. In questo momento, quando compie un altro passo in avanti e fissa l’orizzonte, sembra più vivo che mai. “Sono stato creato per questo”.
I diamanti sono stati fondamentali per questo passaggio: da quello che sono riuscita a dedurre dagli scarsi appunti di Kuja sul Progetto Walzer originale, la tecnica di controllo e coordinazione di queste creature si basava su pietre grezze che lui stesso aveva messo a contatto con il proprio potere fino a renderle in grado di rilasciare abbastanza energia magica da permettere ai Walzer di creare una rete tale da essere percepita da tutti i maghi neri presenti nel raggio di qualche miglio. Kuja aveva inserito queste gemme in alcuni strumenti –mi sarebbe piaciuto riuscire a recuperare il bastone di N.3- usando il suo sangue come vincolo e controllo.
Non è il tipo di magia a cui sono abituata. Forse mi spaventa, forse mi affascina, forse mi ricorda quei racconti prima di andare a dormire di mio padre, quando narrava di maghi e mostri venuti da un altro mondo in grado di incenerire un villaggio soltanto battendo le mani, oppure di sacerdoti vestiti di rosso che sacrificano esseri umani, persino bambini, per usarne il sangue e richiamare divinità nascoste sul fondo degli abissi. Un po’ come il racconto di Leviatano, a ben vedere.
Fino al giorno in cui ho incontrato Kuja credevo fossero soltanto leggende, o al massimo avvenimenti risalenti a migliaia di anni fa; un retaggio rimasto dentro di me, in grado di aiutarmi a percepire i cambiamenti nella magia, ma niente di più.
Ho avuto bisogno della magia del sangue per animare questo mago nero, sono stata costretta ad unire il mio sapere a quella forma di potere.
E non posso negare che sia stato … inebriante? O quantomeno … strano.
Sgranare i baccelli di artemisia richiede una pazienza infinita: se con le dita si graffia anche di poco la buccia delle bacche queste perdono tutte le loro proprietà. Lo zolfo va misurato con una bilancia particolare, quando l’ho distribuito ad occhio negli impasti per allontanare i topi dalle cantine ho regalato alla mia mano destra un’ustione di tre settimane. Per preparare una fiala di estratto di linfea occorrono sette gocce d’acqua: non sei, non otto, non sette abbondanti. Sette precise, e non devono toccare l’imbocco del contenitore o il tutto si trasformerà in un intruglio appiccicoso ed irreversibile. Bisogna avere gli occhi solo per il contagocce ed osservare l’acqua che scende, tocca le foglie di linfea, si sparge e solo dopo continuare contando in silenzio, pregando che nessuna cameriera idiota bussi alla porta. Bisogna costringere il cuore a rallentare, a battere al tempo delle dita. Invece la magia di Kuja, quella che brucia nel sangue e nella carne … è veloce, è potente.
È seducente.
È fatta di comandi e di volontà. Lascia che sia il cuore a dettare il ritmo, strappa via le briglie a questo chocobo in corsa e lo libera verso un orizzonte che nemmeno si riesce a vedere, un’intuizione che ti pizzica il corpo e ti trascina come una barca nella tempesta. La magia che scorre dentro di me è poca, ma non ho dimenticato la sensazione bruciante di quando essa è entrata in risonanza con quella di Kuja l’ultima notte che ho trascorso a Toleno. È stato da quel momento che ho capito che potevo fare di più.
Il sangue di Kuja è ciò che vincola i Walzer all’obbedienza cieca nei suoi confronti. Bagnando il diamante è possibile generare una rifrazione incantata più pura delle gemme grezze usate nei primi esperimenti, priva di quelle imperfezioni che impedivano ai Walzer di estendere le loro capacità di comunicazione oltre spazi ristretti. Le pietre sono lo strumento, ma è il sangue ciò che dà la spinta. I maghi neri come N. 16 o i prototipi non sono dotati di un simile sistema, il mio adorabile carceriere mi ha spiegato che la loro struttura cerebrale non è abbastanza evoluta da necessitare un sistema di controllo, ma i Walzer sono costrutti di natura superiore.
N.1 ne è la prova. La sua mano enorme preme sul vetro, quasi a cercare di raggiungere la nostra misteriosa meta. Sarà un desiderio infantile, ma in questo istante non posso fare a meno di domandarmi se pensi a qualcosa; o forse è solo l’enorme sforzo di coordinare tutti i suoi fratelli per guidarli al nostro obiettivo. Al mio obiettivo. “Lasci tutto nelle mie mani, mia signora”.
“Certo, N.1. Ma una sola raccomandazione …”
L’unica semplice, strana nota stonata in questo atto. Una voce nell’angolo della mia testa, un tenue lamentarsi seguito dal tonfo di un cappello di paglia che cade a terra nel tentativo di passare attraverso una porta più bassa di lui. “Limita le perdite. Non voglio mandarvi al massacro”.
“Sarà mia premura anche di questo, mia signora”.
Kuja ignora che è mia ferma intenzione non farlo tornare più indietro. Dopo quello che ha fatto a Lindblum … non posso continuare a nascondermi. La sua tracotanza lo farà cadere a terra, ed è mia volontà fargli provare più male possibile. Ignora che i maghi neri che tratta in maniera così ignobile saranno la sua fine. Ignora che la fiala di sangue che mi ha lasciato per avere il controllo sulla mente di Walzer ha fatto un lungo salto oltre i portelloni dell’Invincible e adesso probabilmente sarà sotto un tappeto di alghe nel fondo dell’oceano.

Kuja è già a terra quando l’Invincible arresta i motori e si prepara all’attracco; la bestia alata attende con pazienza che la rampa di discesa venga calata, ma non appena io e N. 1 vi poggiamo sopra i nostri piedi essa si alza in volo. Una folata delle sue massicce ali fa vibrare la nave, poi il drago emette un verso acuto e si allontana oltre le montagne.
Il mio viscido rapitore mi porge il braccio in un inchino vomitevolmente perfetto. “Mia bellissima granduchessa, mi auguro tu abbia fatto un buon viaggio”.
“Il volo è stato perfetto, Kuja” rispondo. Le parole vanno dosate come l’acqua nei decotti di linfea. “È il comitato d’accoglienza che lascia un tantino a desiderare”.
“Ancora offesa per quella storia di Lindblum? Cielo, talvolta rendere felici voi donne è un’impresa disperata” si porta una mano alla fronte con fare drammatico, ma la destra è ancora tesa verso di me e non credo che rifiutarla sia tra le opzioni da prendere in considerazione.
Cielo, quanto avrei voglia di sputarci sopra.
Sono queste dita così perfette che hanno liberato la morte sul mio mondo. Sono queste unghie dallo smalto impeccabile quelle che la regina Brahne ha ammirato poco prima di sferrare un attacco, e quando ne sfioro prima le nocche e poi il palo mi volto verso N.1 per soffocare il disgusto e la voglia di staccargli di netto quella mano di cui va tanto orgoglioso. È gelido al tocco. “Certo che lo sono. Sono venuta fin qui per sorvegliare il risveglio di N.1 ed il suo primo impatto operativo, non certo per il piacere della tua compagnia”.
“Questa ostinazione ti farà venire delle rughe precoci, mia cara. Mi si lacererebbe il cuore all’idea di rovinare il volto di una donna tanto bella. E io che pensavo che saresti stata contenta di svagarti un po’, hai trascorso tutto questo tempo nei laboratori!”
“Mi hai fatto uscire da un palazzo nel deserto per condurmi in un altro palazzo nel deserto …” sospiro senza nascondere troppo la mia stizza per questa situazione. Pochi giorni in compagnia di Kuja mi hanno insegnato che è ossessionato dalle maschere, dai trucchi e dalle bugie: le poche volte in cui ho cercato di mentirgli si sono trasformate in enormi buchi nell’acqua, dunque stavolta lascio che il mio reale disprezzo per lui fuoriesca ad ogni passo e si palesi in ogni singola, pungente, velenosa parola “… pensavo che un tipo come te conducesse la propria ospite ad una serata mondana!”
“Mia dolce granduchessa Hildagarde, l’ultima volta che un uomo ti ha accompagnata al teatro dell’opera hai trasformato la preziosissima Rosette Mirage in uno scaraburi e non hai nemmeno atteso che il sipario calasse su tutta l’opera. Perdonami se non sei la fanciulla che trascinerei con me in un minuetto al chiaro di luna”.
Posso ancora considerarmi fortunata, sospiro tra me. Non auguro a nessuna donna di sentire questa mano orribile tra le proprie.
Rimango in silenzio, osservo la forma di Walzer alle nostre spalle e poi lascio che l’aria rovente e satura di sabbia abbia la meglio sui miei polmoni. Gli occhi del mio accompagnatore sono fissi sull’enorme edificio davanti a noi, ignorano la creatura che mi ha chiesto tanto insistentemente di realizzare e per un istante si fermano, come ipnotizzati e rapiti da qualcosa che non riesco a vedere.
La rocca davanti a noi sembra una fortezza di pietra, costruita su fondamenta di roccia che sporgono dalle montagne stesse e dalla terra rossastra come un pugno levato; la gola in cui è costruita non è praticamente visibile dall’alto, eppure ora che la trovo davanti a me sembra quasi impossibile che una simile struttura possa essere invisibile anche dal cielo. Il suo ingresso sorge al di sotto di una specie di pinnacolo che si alza per diverse decine di braccia, inclinato in avanti quasi a ricordare il muso di una creatura pronta a chiudere le zanne su chiunque osi violare l’ingresso, una porta ogivale a cui si può accedere mediante una polverosa ma breve scala di pietra su cui Kuja poggia il piede senza alcuna esitazione. A destra ed a sinistra dei gradini vi sono … non saprei definirli. Piccole e medie cupole di metallo arrugginito, decorazioni lineari e senza forma che si stagliano anche sul pinnacolo coperte dalla sabbia rossa. Qualunque cosa fossero il tempo ha giocato con loro, ma nulla riesce a coprire l’impressione che la città misteriosa di cui il mio rapitore ha sentito nei libri nasconda qualcosa di … strano.
Un sottile filo di vento saturo di sabbia scivola lungo questo ingresso monumentale e stagna nelle poche ombre concesse dal sole agli angoli della scala, dove il calore del deserto non ha ancora bruciato la pietra scura. Delle sottili venature ricoprono la pietra antistante l’ingresso, disegnando qualcosa che potrebbe ricordare un fiore consumato dal sole.
Quella davanti ai nostri occhi sembra essere l’unica porta. Lungo la parete vi sono altre volte, altre enormi arcate scolpite nella pietra ma tutte sigillate con lastre di marmo più chiare di quelle di quelle dell’intero edificio. Su di esse, così come sul portone, un triangolo capovolto ci dà il benvenuto.
Senza abbandonare la presa sulla mia mano, Kuja raggiunge il portale. “Cinquemila anni” mormora. “Questo luogo sta dormendo da cinquemila anni”.
“Molto improbabile. L’edificio più antico del Continente della Nebbia sono le rovine del tempio di Scorpio, nel cuore delle paludi dei Qu. E senza dubbio non ha nemmeno quattromila anni, lo sanno anche i bambini. Ah, già, dimenticavo … questo nei versi di Lord Avon non è scritto, come posso pretendere che tu ne abbia sentito parlare?”
“Oh, avrai tempo per illuminarmi. Ho fatto proprio bene a chiedere la tua collaborazione, una Strega esperta di storia non si trova tutti i giorni! Magari ne potremmo discutere stasera a cena, cosa ne pensi?”
Contaci …
La sua mano corre lungo il portone. Ignora l’enorme forma triangolare, quasi ne avesse timore, e con una lentezza a dir poco esasperante inizia a far scivolare i polpastrelli in alto ed in basso, a destra ed a sinistra seguendo qualche strano percorso guidato dalla sua mente malata. La sabbia che da anni riposa sui battenti di pietra obbedisce al suo comando e si sposta, ma il vento caldo raccoglie tutti i granelli prima che possano cadere al suolo. Sento il rumore dei portelli secondari dell’Invincible aprirsi per far uscire i pochi maghi neri dell’equipaggio, ma la stretta di Kuja mi impone di non voltarmi, di seguire la danza ipnotica delle sue dita. “Hilda, sai perché Gaya ha due lune?”
Ancora quella domanda.
“È così importante?”
“Dipende …”
Il tono di voce si fa dolce. Ho l’impressione che anche rimanendo centinaia di anni al suo fianco non riuscirei mai ad abituarmi ai suoi costanti sbalzi d’umore, agli occhi che un istante ti scherniscono e ti considerano una bambina capricciosa e l’attimo dopo sono immersi in pensieri che potrei definire soltanto “tristi”. Grazie al cielo conto di liberare Gaya da questo mago lunatico ben prima di marcire nell’animo ed abituarmi alle sue follie. Anche entro il calare della sera, se il mio piano andrà in porto.
Kuja continua a non accorgersi di nulla. “… dipende tutto dal punto di vista. Credo che non vi siano cose importanti e cose che non lo siano, ma tutto ruoti intorno alle nostre necessità. E per me … sì, è una questione davvero molto, molto importante. Per te certamente no, mia cara, dunque è per questo che desidero illuminarti e renderti partecipe delle mie necessità”.
“Come hai detto prima, Kuja, potremmo discuterne a cena” rispondo, cercando di far trasparire soltanto parte del mio nervosismo per quell’attesa snervante davanti ad un portone.
Il secondo cargo contenente maghi neri dovrebbe arrivare a breve: sono salpati con diverse ore di ritardo, ma sono partiti dalle coste occidentali del Continente della Nebbia, quindi il loro tragitto sarà comunque più rapido del nostro e, se Walzer ha calcolato correttamente i tempi, atterreranno ai margini di questa gola tra meno di un’ora. E persino un essere frivolo e superficiale come Kuja potrebbe avere dei sospetti ritrovandosi un esercito di maghi neri da lui non autorizzato. “Come si apre questo portone?”
“Con i giusti requisiti, ovviamente”.
Sorride. “E, per nostra incredibile fortuna, io possiedo questi requisiti”.
Si solleva leggermente in punta di piedi; l’indice smette di vagare lungo il portone, e dopo un istante carico di mille incertezze si appoggia proprio al centro di triangolo con un unico, lunghissimo movimento. Qualcosa da dentro la fortezza si muove, come se un gigante avesse iniziato a trascinare delle pesanti catene lungo una scala: mi ricordano degli ingranaggi molto potenti, ma i suoni bassi, simili a tamburi dalla membrana consunta dal tempo, mi riecheggiano nella testa anche dopo che i battenti del portone hanno smesso di muoversi e sono spalancati davanti a noi. Adesso più che mai il pinnacolo inclinato sembra il muso di una bestia e questo ingresso la gola pronta a portarci nelle profondità di questo luogo. Ed entrarci con una mano nella stretta del mio rapitore può solo che peggiorare il senso di inquietudine che mi stringe lo stomaco non appena i primi raggi di luce fendono quel posto dove chiaramente nessun essere vivente è mai entrato da centinaia di anni. “Mia cara Hilda, hai l’onore di essere la prima umana a mettere piede nella fortezza di Oeilvert”.
Vorrei poter dire di trovarmi in un palazzo incantato, con fontane la cui acqua scorre dal basso verso l’alto, cori angelici ed un piacevole senso di ebbrezza che pizzica la mia magia dal cuore fino alla testa; vorrei aprire la bocca e lanciare un gridolino di meraviglia per il posto incantato in cui il mio rapitore mi ha portata, ma la verità è che, quando apro la bocca, una sensazione di calore e secchezza mi entra fin dentro le guance. L’odore di chiuso scivola nella nostra direzione disperdendosi oltre l’ingresso, e la sensazione è che tutta la polvere accumulatasi negli ultimi millenni abbia deciso di scendermi in gola fino a farmi soffocare. La poca luce passa attraverso un’enorme vetrata rotonda, i cui vetri un tempo gialli sono coperti da sabbia, polvere e solo il cielo sa cosa altro ancora: la forma della vetrata ricorda una spirale stilizzata, ma persino i raggi del sole sembrano aver paura di passare da quella finestra. Kuja avanza verso il centro del salone senza prestare attenzione alla vetrata. I suoi occhi attraversano la stanza e si soffermano sulle diverse rampe di scale che si diramano dal punto in cui ci troviamo. Mi lascia la mano in maniera brusca, quasi fossi una bambola di cui si sia stancato.
L’unica cosa che desidero è uscire subito da qui. “Questa Pietra Gulug … hai idea di dove sia? Potrebbe essere dappertutto!”
“Conoscendo i terani non si troverà di certo all’ingresso pronta ed impacchettata per farsi prendere da noi. Iniziamo a cercarla!”
“I … terani?”
Lui si china a terra e soffia sul pavimento. Uno strato di polvere si solleva, rivelando l’immagine di un triangolo in rilievo: l’interno della figura è a sua volta scomposto in figure regolari e sfaccettate, praticamente identico a quello che ci ha dato il benvenuto all’ingresso. “Coloro che hanno costruito questo posto” risponde mentre la mano corre sul pavimento. È solo un istante, ma mi sembra che le sue dita siano state scosse da un tremito.
“Quello l’avevo capito anche da sola, grazie …” sospiro nella vaga speranza di una risponda più approfondita. “Ma sarebbe carino se tu mi spieg …”
“PRENDI QUELL’INUTILISSIMO WALZER E VAI A CERCARE LA PIETRA! ORA!”
L’urlo rimbomba per tutta la stanza, così improvviso che sobbalzo e i miei piedi si portano automaticamente a diversi metri da lui; probabilmente cadrei per le scale se la tunica ingombrante di N.1 non occupasse tutto lo spazio sulla rampa. Kuja si è alzato di scatto, e adesso mi dà le spalle. Con soli tre passi si porta su una rampa di pietra sulla nostra sinistra, una scala che si stacca dal pavimento e verosimilmente conduce ad un livello superiore. “CHE STAI ASPETTANDO?”
Suppongo non sia il caso di mettersi a discutere.
Sulla mia destra, in un punto poco illuminato dalla fioca luce della vetrata, una piccola porta semisocchiusa sembra condurre ad un’altra stanza. Considerato il fatto che mi trovo in una fortezza nel deserto in compagnia di un mago sempre più pazzo, di un manipolo di maghi neri ed in un posto potenzialmente con trappole mortali che non saprei evitare nemmeno avendo tutta la magia del mondo, quella porticina coperta di polvere e con una grottesca statua su un lato sembra la cosa meno terribile di tutto il quadro generale. E, per quanto questo posto non mi ispiri alcuna fiducia, non dover più sentire la mano di Kuja sulla mia mi dona più coraggio di quanto avrei pensato. Mi limito a mugugnargli un “Va bene, va bene …” che lo placherà per qualche minuto, il tempo necessario per trascinarmi dietro Walzer e mettere in atto il nostro piano. In questo posto non ci sono draghi né artefatti incantati di cui il palazzo nel deserto ne è pieno. È un luogo che nemmeno lui conosce, e che tra poco sarà talmente pieno di maghi neri che non riuscirà nemmeno a scorgere una mattonella del pavimento.
Maghi neri coordinati da Walzer e pensati per agire come un’unica creatura.
E, quando Kuja penserà di dar loro ordini, avrà una splendida sorpresa che mi auguro gli farà cacciare quel sorrisetto in gola una volta per tutte.
Forse non ho potuto salvare Lindblum, ma non permetterò a questo pazzo di versare un’altra goccia di sangue.
La statua davanti alla porta è ancora più grottesca di quanto immaginassi. Riesce quasi a far sembrare la regina Brahne una bella donna: sembra la parodia grottesca di un gigante dai lineamenti mostruosi che stringe tra le mani un’enorme lastra di pietra. Più per curiosità che per altro mi avvicino e soffio su di essa, ma vi sono dei caratteri che non so leggere. È chiaramente un tipo di scrittura, ma non mi ricorda né il burmesiano né altre forme di alfabeto di mia conoscenza.
Lascio perdere e vado avanti, ma prima di aprire i battenti il necessario per far passare me ed il mio ingombrante accompagnatore mi volto un istante verso l’atrio.
Kuja non è ancora arrivato in cima alle scale.
Anzi, ad essere sincera sarà salito sì e no un paio di gradini.
La mano sinistra è aggrappata alla ringhiera, quasi vi stesse poggiando sopra tutto il suo peso. Ha le ginocchia leggermente piegate e, anche a questa distanza, non c’è dubbio che abbia il fiato corto. Potrei persino giurare che stia tremando.
Trattengo io stessa il fiato, cercando di capire se quello che sta succedendo è un miracolo, un sogno o un incredibile colpo di fortuna. Ma forse, e sottolineo forse, vale la pensa aspettare un istante e vedere cosa sta succedendo: perché potrei persino non avere bisogno di altri duecento maghi neri se Walzer mi assiste.
Ordino al gigantesco mago di venire al mio fianco.
Glielo ordino una seconda volta, con voce più alta, cercando di scandire il comando attraverso il suono che so che per lui è assoluto.
Ma non si muove.
Lo ripeto ancora, ma quando provo a muovermi verso di lui per capire cosa diamine sia andato storto qualcosa mi afferra il polso, qualcosa che ha tutta l’aria di essere una mano. Mi volto e non trattengo un grido.
  
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