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Autore: Canfora     22/08/2015    3 recensioni
"Tutti loro avevano scelto di sacrificarsi per un bene superiore, avevano preferito il bene di molti a quello di pochi, al loro stesso bene…ma ora, da anni in verità, si chiedeva se tutto ciò fosse giusto.
Esisteva veramente un bene superiore?
Blasie volse lo sguardo a contemplare la sedia lasciata vuota. Le donne, pensò, sanno farsi carico di colpe più grandi di loro."
Ci sono mille vite possibili in mille possibili universi. Questa storia parla di una di queste vite concretizzabili, una di quelle in cui i protagonisti non si affidano al caso ed alla fortuna per creare il proprio destino, ma combattono fino a riscrive quella che noi conosciamo come la storia di Harry Potter, che poi solo sua non è. Buona Lettura.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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OTTAVO CAPITOLO
Azione di guerra
 
E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra è insieme un cretino e un bugiardo.
Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura.
Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti."
Oriana Fallaci, La rabbia e L’orgoglio.
 

Il maestoso castello di Hogwars si erigeva in tutta la sua placida magnificenza al di sopra di una altura. Il pigro rossore di un tramonto settembrino riscaldava le antiche mura merlate, fendeva le stanze attraverso le finestre e  cingeva nel suo caldo abbraccio i prati verdeggianti al limitare della foresta proibita.
La superficie del lago nero riluceva di una iridescenza opalina e mielata, l’acqua si tingeva di mille riflessi turchesi, malachite e blu notte. Faceti schizzi dei giallo vermiglione illuminavano la tavolozza lacustre come nella bucolica perfezione di un quadro impressionista.
Tra le gotiche arcate di un finestrone ogivale una cauta osservatrice scrutava l’ambiente circostante dalla sua postazione privilegiata dall’alto di una torre, i capelli le solleticavano le gote offese dal vento.
La bocca morbida e sottile era arrossata, segnata da lievi abrasioni.
La mente meditabonda.
Erano passate poche ore dal colloquio avuto con Blasie e il senso di inquietudine ancora non l’abbandonava. C’era qualcosa di strano nell'aria, lo aveva percepito lei e lo vedeva scritto negli occhi dell’amico spettro.
Si voltò a contemplare il sole morente, non era il tramonto più bello che avesse visto, ma aveva il sentore che sarebbe stato speciale. Unico.
Estrasse un frammento di specchio dalla tasca della giacca, si contemplò in esso e sorrise.
-Estote parati- disse con voce roca e profonda.
-Omnia parati- le rispose una voce al di la dello specchio.
-Mihi Magister- salutò cordiale.
-Oddio mio, non chiamarmi in quel modo, mi fa sentire tremendamente vecchia!-
-Come vuoi che ti chiami allora?- chiese Tia pacata.
-Come credi, solo evita il mio nome, ok?-
-Come desideri Rhenè…-
Un mezzo sorriso incrinò le labbra della sua interlocutrice, una bocca carnosa, avida, una bocca menzognera.
-Perfetto…niente di più ingannevole di una mezza verità…-
Le sopracciglia fini si arcuarono dietro gli occhiali dalla montatura sottile, gli occhi, del color dell’ambra fuso brillarono sinistri, ammalianti come l’oro.
Un volto perfetto, pensava la demone, perfetto e inquietante.
Una cicatrice profonda e trasversale tagliava la guancia destra dallo zigomo al sopracciglio.
-Con un semplice incantesimo potresti farla sparire sai?...la cicatrice intendo…-
La strega nello specchio rise di gusto.
Una mano agile e scheletrica passò tra i capelli ricci e scompigliati che le ricadevano corti sul viso.
-Se tu avessi su di te l'emblema di una vittoria lo elimineresti?-
-Suppongo di si, non intendo essere il vessillo di nessuno…-
-Qui c’è ancora bisogno di vessilli…- la voce si affievolì un poco mentre l’espressione si incupiva leggermente -…non potrò mai prendere il posto di Harry, lo so, ma ora il medesimo destino ci accomuna: sfregiati dallo stesso nemico in modo indelebile, è un marchio che è un simbolo di speranza, di una vittoria…-
Tia sospirò.
-Non vorrai per caso fare la martire?- aggiunse con un mezzo sogghigno conoscendo perfettamente la risposta a quella provocazione.
La mora scosse la testa.
-Non una martire. Io sono un’eroina, quella di cui la resistenza ha bisogno-
Lei non era un’eroina, lei era la machiavellica regina degli inganni.
-Com’è li la situazione?- si ritrovò a chiedere.
-Delle migliori, i Mangiamorte senza il loro capo sono una masse di amebe senza midollo spinale… - la voce era ferma e sicura, era la sua voce -Ora siamo in tanti a combattere…la gente non ha più paura di insorgere, il governo è già stato ribaltato…bisogna solo estirpare le ultime erbacce…ma il grosso è stato fatto. E’ necessario impedire che l’edera cresca di nuovo…- le ultime parole suonarono vagamente inquietanti ma Tia soprassedette.
-Come farai con Draco?-
-Lui è mio. Nessuno oserà toccarlo finché è al mio fianco- sorrise -E’comunque in gado di cavarsela da solo…-
-Sei troppo sicura di te Rhenè…sii più cauta…-
-Io non ho paura e non posso permettermi di averla…- la voce era un poco incrinata, una debolezza che si concedeva di rado, e solo difronte a pochi.
-Sto cercando di essere forte…perché cerchi sempre di distruggere le barrire che mi erigo intorno?!- si vedeva attraverso le occhiaie che le cerchiavano gli occhi che era stanca, forse adesso anche lievemente alterata.
-Non per fare al guasta feste ma ritengo controproducente murarsi nella menzogna, non serve a nulla…Devi rimanere lucida…le cose stanno procedendo per il verso giusto, non perdiamo di vista l’obbiettivo. Non dovrei essere io a dirtelo, Magister-
Fu in quel momento che la lieve falla che aveva solcato il viso di Rhenè si rimarginò ed un ghigno furbesco e irridente comparve su quel viso stanco e vigile.
-La mia furbizia non potrà mai sopperire la tua esperienza Tia cara…Come procede li da te?- aggiunse poi -Siete pronte?-
-Non sanno nemmeno di essere sotto assedio, figuriamoci se sono pronte al contrattacco…- fu la caustica risposta.
-Già…-stava riflettendo, cercando di valutare i pro e i contro che avrebbero comportato l’una o un’altra scelta.
Tia osservava al di là dello specchio quella donna, così gracile e smilza nell’aspetto, che teneva tra le sue dita i fili delle parche, il destino del mondo. Fu in quel momento che si chiese, istigata dalla saggezza dell’esperienza, quanto questo potesse essere saggio. Aveva visto uomini e donne illustri, buoni di cuore e di figli di Adamo dall’inesauribile carisma cedere al fascino delle potere, cosa avrebbe impedito a lei di cedere?
La osservò con distacco, dimentica del grande affetto che provava per lei, e fu allora che all’immagine di una donna savia si sovrappose quella di una ragazzina ormai esausta, depauperata da infiniti anni di guerra, il cui unico desiderio era quello di mettere la parola fine ed un’esistenza di terrore e di morte.
Non sarebbe stata un buon giudice, era troppo immischiata in quel dolore, aveva conosciuto troppe morti.
La storia era un scienza quasi esatta, come erano prevedibili gli uomini: dopo avere a lungo vissuto in catene, repressi ed allontanati dalla possibilità di vivere dignitosamente, disimparavano la civiltà.
Vide nei suoi occhi, dietro la sua carismatica intelligenza, dietro il suo buon cuore, al di là di ciò che si era imposta di apparire, una rabbia ceca e inarrestabile.
Aveva la bocca riarsa di sangue.
Ma come poterla biasimare?
C’è un limite in cui il dolore sfocia nella pazzia.

 
-Xander mi passi la boccetta di arsenico?- Spostò con una mano la frangia che le impediva la visuale degli scaffali -Alex?-
La domanda rimase in sospeso nell’aria, gli occhi si fissarono su di una ampolla dalla forma cubica e perfetta. Mosse un piede su di uno dei pioli della scala, poi mosse l’altro verso il basso.
Cassandra continuava a fissare gli alambicchi davanti a se in bilico tra il tedio e la rabbia. Odiava essere ignorata.
-Alex!?Vuoi farmi il santo piacere di darmi una mano?-
Silenzio, puro e assoluto silenzio.
Regola numero uno del manuale “ Come sopravvivere a Hogwars”: mai far arrabbiare un caposcuola.
Regola numero due: mai incombere nelle ire di un Black. Pena: la pubblica gogna.
In ultima analisi Alexander era un uomo morto.
Cassandra si voltò quel che bastava per vedere il suo degenerato compagno di punizione sonnecchiare vicino ad un calderone con delle cuffiette babbane nell’orecchio.
Fu allora che un guizzo felino le illuminò gli occhi, con un salto fulmineo balzò a terra, i capelli castani costretti in un’alta coda di cavallo le pizzicarono le spalle, la folta frangia le ricadde sugli occhi a celare uno sguardo tediato, la mascella era rigida e contratta. L’espressione infastidita e divertita.  
Cassandra Black era minuta ed elise, ma il suo fisico snello come un giunco sapeva essere sorprendentemente pericoloso ed inquietante.
Osservò il  Corvonero con disgusto, poi ghignando roteo le pupille ed improvvisamente la musica che Alex stava ascoltando moderatamente alta raggiunse decibel indicibili.
-MA CHE CAZZ…- ma non riuscì a terminare la frase. Provò a parlare ma dalla sua bocca non usciva alcun suono.
-Ora, mio caro, guardami ed ascoltami bene- disse Cassandra con tono perentorio -Capisco che tu sia uno sfaticato cronico, capisco che tu sia un emerito incapace, capisco tutto. Ma ciò non ti esima dall’aiutarmi-
La ragazza lo fissò con serietà -Sono stata chiara?-
Alex indicò la sua bocca come ad evidenziare che non poteva rispondere, lei mosse un braccio e la gola gli bruciò leggermente.
-Cristallino- rispose finalmente -ma ciò non significa che ti aiuterò…-
Sfrontato e insopportabilmente prevedibile un sorrisetto beffardo comparve sulle labbra del ragazzo. Strafottente.
-Che essere infinitamente stupido- Il tono risultò essere lapidario, una condanna inamovibile –Se tu possedessi un minimo di senso pratico ti renderesti conto che abbiamo un intero scaffale pieno di inutili alambicchi ricolmi di sostanze schifose da sistemare ed io non ho nessunissima intenzione di restare qui tutta la notte. Quindi vedi di alzare quel tuo pigro deretano e di venirmi a dare una mano-
Detto questo spostò la frangia che le era caduta per l’ennesima volta sugli occhi.
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Ti vuoi alzare o no?-
-Assolutamente no…-
-Bene-
Cazzo. Aveva detto “bene”: il classico preludio alla tempesta. Cazzo.
-Si vede che oggi senti particolarmente caldo, non è vero?-
Cassandra gli si avvicinò lentamente, la braccia lunghe distese sui fianchi ed uno sguardo… terrificante.
Alexander deglutì, ma cercò di nascondere l’inquietudine che gli attanagliava le viscere.
-Vuoi andare a far compagnia a Tobhias  per caso?-
Tobhias, povero Tobhias. Che stolto quel ragazzo, pensò Xander.
In seguito ad una diatriba con la capo scuola Black si era misteriosamente ritrovato nel lago nero a fare “ciao ciao”
con la manina assiderata alla piovre gigante. Madama Chips aveva impiegato circa una settimana per al riabilitazione…Era incredibile quanto quella ragazza sapesse essere orgogliosa. [vendicativa]
-Tesoro mio, non c’è bisogno che tu mi minacci. Io ho già rispetto di te…- si alzò lentamente dalla sedia sorridente -Dovresti però migliorare il tono di voce, risulti essere leggermente acida-
Cassandra gli sorrise bonaria e avvicinò le labbra al suo orecchio.
-Te la stai facendo sotto non è vero?- un pausa -Mio pesciolino senza pinne…-
Lui deglutì a vuoto.
-Ringrazia che mi servi vivo, altrimenti staresti già annaspando ….-
Detto questo si allontanò ma quando vide il suo sorriso trionfante le si annodarono le viscere.
-Stronzo-
Alex pensò che l’inventore del detto “le parole sanno far più male delle botte” non avesse mai ricevuto un destro di Cassandra Black.
-Ahi- disse massaggiando la spalla -Mi hai fatto male!-
-L’intenzione era quella…ora passami l’arsenico e vediamo di fare in fretta…-
  
-Tia ma mi stai ascoltando?-
-No- la donna al di la dello specchio sorrise.
-A cosa stai pensando?-
-Ragionavo- disse sottovoce -Cosa debbo fare?-
-Devi dichiarare guerra-
Per un momento la demone pensò di aver mal compreso le parole da lei udite.
Dichiarare guerra. A chi, a cosa e come? Poi osservando la sua interlocutrice accendersi una sigaretta in tutta serietà comprese con la lucidità dei grandi generali che il momento era giunto.
E lei non aspettava altro. Dichiarare guerra per lei significava una sola cosa: vedetta.
-E’ rimasto poco tempo Tia, abbiamo rimandato anche più del necessario. E’ giunto il momento che le Ancillae siano messe a conoscenza del motivo della loro fondazione.-
Un silenzio tombale saturò la stanza, un sottile strato di incredulità brillava negli occhi rossi e selvaggi di colei per cui la guerra non era mai finita.
Era circa un secolo che aspettava, che aspettava quieta nell’ombra. Ed ora, così dal nulla, l’incubo le veniva rigettato addosso.
- Tia? Mi ascolti?-
- Ti ascolto- le disse quieta.
- Te la ricordi la Guerra Tia?-
Sorrise benevola alla di la dello specchio. Quale Guerra? Quale delle tante? Per Renhè German Janerion la guerra era e sarebbe sempre stata la Guerra di Harry Potter. Per lei invece le guerre erano tante, troppe.
-La ricordo- disse piano -la ricordo talmente tanto bene che vorrei non doverla più combattere. Ma come fai? Come fai a non sentirti spezzata tra tutti questi mondi? Salti da una dimensione all’altra all’inseguimento delle battaglie come una belva inferocita. A volte mi chiedo perché tu non riesca a goderti la tua pace-
Un nuovo silenzio riecheggiò nella torre, questa volta fu Renhè a tacere, meditabonda.
-Sai, forse questo non è il momento per discutere di tali questioni amica mia. Ma d’altronde non abbiamo così poco tempo…-
Parlava incerta e sceglieva le parole con straordinaria cura. -…tu meglio di tutti dovresti sapere che il tempo non è lineare…come dire?.....E’ una “cosa” ammatassata, ingarbugliata e ruvida come un gomitolo di lana….- si fermò brevemente, le sopracciglia corrugate, come a riflettere intensamente -Anzi no…è la nostra vita ad essere come un gomitolo di lana. Io mi sono ritrovata a cercare un capo ed una fine del mio personalissimo gomitolo, credevo di essere tanto furba da poter tracciare con esso la mia personale versione dell’arazzo della storia, della mia storia a lieto fine…-
Era in evidente difficoltà, Tia questo poteva leggerlo nel moto stizzoso con cui buttava fuori il fumo dalle narici, decise quindi di non interrompere quel discorso già di suo frammentario e complicato.
-Ero così arrabbiata Tia, arrabbiata e ferita quando incontrai Dike, e così giovane…io…- sospirò, lasciando il discorso a metà.
-Spiegare è così difficile. Quando ho attraversato per la prima volta il portale mi sentivo il cervello scoppiare. Vedere la verità sulle trame del tempo ha lasciato in me una tale…come dire…voracità…e rabbia. Si, tanta rabbia…Vi erano stati futuri possibili in cui Harry sconfiggeva Voldemort. Io l’ho visto quel possibile Futuro, Tia. So che esiste da qualche parte ed ero così arrabbiata, così frustrata che quello non fosse il mio arazzo. Mi vedevo così ingenua e felice. Harry e Ron erano vivi, mi sono vista diventare madre, una madre amorevole e presente…
Ho tanto desiderato essere quella ragazza ma ho compreso allo stesso tempo che non sarei mai potuta diventarlo. Noi quella battaglia ad Hogwars non l’abbiamo mai vinta. Narcissa Malfoy non ha mai tradito la causa e nel mio arazzo, nella mia dimensione, ho conosciuto solo la rabbia e l’orgoglio di una sconfitta amara. 
Ho desiderato la pace a lungo, ma non penso di poterla avere. Io sono frutto della guerra…Aprire quel portale ha cambiato tutto…io ho mentito così tanto Tia…Tutte quelle ragazze che hanno sacrificato la loro vita per mantenere intatto il mio personalissimo arazzo della storia…Ogni giorno mi sveglio e mi ripeto…era necessario….- scosse la testa frastornata.
 -Che stupida che sono, è Tia?- chiese ma non attese risposta -Io non posso non dividermi tra queste dimensioni, non posso sfuggire alla guerra…Non fino al Giorno che deve venire, quando si aprirà quella maledetta crepa…Io non so quello che succederà. Ma in ogni caso ne sarò responsabile. Capisci perché non posso restarmene in pace a ricostruire questa parte di mondo? Io non merito la pace Tia.-
La rabbia e l’orgoglio.
Questo era ciò che le si leggeva negli occhi.
- Convoca le Ancillae Tia, è ora.-
La rabbia e l’orgoglio.
  
Erano ormai passate delle ore dal suo risveglio in infermeria e di quelle disgraziate non si era vista l’ombra.
Maledette donne.
Sono proprio un seduttore dei miei stivali, pensò, se non riesco a portare al mio capezzale nemmeno mia moglie e mia figlia. Con Cassandra era una battaglia persa, le voleva un bene dell’anima ma forse complice l’adolescenza non riuscivano ad avere una conversazione civile da…bhe da sei anni. Dal quando era ancora una matricola ed aveva incontrato quello scapestrato di Xander. Maledetto corvaccio dei suoi stivali, se solo avesse provato a sfiorare la sua bambina lo avrebbe castrato.
Era tutta colpa sua se lui e la sua piccola bisticciavano.
No, pensò. Quel ragazzino se la stava cavando fin troppo bene considerata la situazione.
Era colpa di Jane.
Pensarlo e maledirsi furono un tutt’uno. Aveva perso il conto di quante volte si era ritrovato ad odiarla dal più profondo del suo cuore ma in fin dei conti poteva essere considerata una colpa aver scelto la morte?
In tutta coscienza non sentiva di poterla giudicare, al contrario di Hermione, conosceva fin troppo bene a che atti ignobili poteva spingerti l’amore coniugale. Non condivideva la scelta ma di certo comprendeva cosa avesse spinto Jane a suicidarsi dopo la morte del marito.
Era quindi colpa di Hermione? Alla fine era lei che aveva ucciso il padre.
No, neanche lei aveva colpa. Essere maledetti non è una colpa. Forse tra tutti era quella che aveva perso di più.
Anche Alex era rimasto orfano ma almeno non aveva avuto sulle spalle il peso della colpa di una maledizione sbagliata. Nel bene e nel male Hermione aveva fatto il massimo per farlo crescere nel miglior modo possibile e, se tutto ciò non bastasse, aveva avuto così tante aspettative da rispettare che ancora riteneva impossibile che fosse sopravvissuta a tutta quella pressione. Essere la strega più brillante della sua generazione aveva avuto il suo prezzo.
No, non era colpa di Hermione. Lei aveva fatto del suo meglio e negli anni aveva più volte rimpianto di non essere stato in grado di sostenerla nelle difficoltà con più convinzione e trasporto.
Se solo Melody…
No, non era colpa nemmeno di Melody. Quella dannata donnaccia, lei e le sue beghe con mia suocera.
Era possibile che quella screanzata ignobile della sua consorte non si degnasse nemmeno di controllare il suo stato di salute dopo che era stato schiantato per colpa sua?
Sospirò pesantemente, passandosi le mani sugli occhi.
Tutte quelle donne erano una fonte infinita ed inesauribile di gratta capi, l’avrebbero portato nella tomba.
Era così frustrato ed immerso nei suoi pensieri che non si accorse della nuova presenza nella stanza finché non lo udì parlare.
- Possibile che dove ci sia tu ci siano problemi?-
Sirius Black alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi verdi del suo interlocutore, la mezzaluna degli occhiali a celare un poco lo sguardo irridente.
-Magnus vai ad infastidire qualcun altro, oggi non è proprio giornata-
Il professore di pozioni lo ignorò deliberatamente e si sedette in tutta tranquillità sul bordo del letto.
-Ho poco interesse nelle tue beghe coniugali, se vuoi evitare che mi intrometta la prossima volta evita di farti schiantare da tua suocera nel bel mezzo delle serre di erbologia schiacciando di conseguenza le mie preziose mandragole.-
-Ora vuoi farmi credere che si qui per un mucchietto di mandragole e non per segarmi le palle come fai da qui a vent’anni or sono?- lo ribeccò Sirius con la pazienza e l’umore di un becchino.
-Diciamo che le mandragole sono un buon punto di partenza, per poi arrivare alla scenata di oggi in classe e per finire con un anno di completo silenzio stampa da parte tua e di Melody. Devo aggiungere altro? -
-Ehi, hai iniziato tu in classe! Io me ne stavo tranquillo nel mio angolo!- si difese il moro –Non è colpa mia poi se non riesci a gestire dei ragazzi di 17 anni.- aggiunse con un mezzo sorriso.
-Noto con piacere che ti senti meglio, la tua linguaccia da orgoglioso Grifondoro è più affilata che mai.-
 
  
-Quante boccette mancano?-
-Troppe- fu la laconica risposta di Cassandra. Prese un alambicco di Essenza di Dittamo e la soppesò tra le mani.
-Vuoi il cambio sulle scale?- chiese allungando un braccio verso lui.
Alexander la guardò dall’alto, arrampicato su gli ultimi scalini, da quando avevano ripreso a lavorare un silenzio rilassante era calato nel stanza e nessuno aveva osato interrompere i pensieri dell’altro.
Cassandra se ne stava appoggiata con la schiena alla cattedra del prof. Coldgrave e lo guardava con quegli occhi grigi e limpidi che lui tanto ammirava.
Indossava una sformata maglia di lanina color carta da zucchero su una canotta bianca. I pantaloni neri la facevano sembrare ancora più minuta di quanto in realtà fosse.
-Tranquilla, lo sai che non sarei in grado di passarti le boccette nell’ordine giusto. Sono una frana in queste cose…- le rispose sorridendo tranquillo.
-Ma finiscila di fare il cretino, pensi ancora che ci creda?-
-Scusa?- ribatte lui, fingendo di non capire cosa volesse dire.
-Xander credi che non sappia che sei il migliore della classe? E non guardarmi con quella faccia. Per quanto tu sia incredibilmente bravo a far saltare le coronarie a tutti i professori della scuola credi che non abbia notato il fatto che rispondi sempre correttamente alle domande? O che aiuti Edward con i compiti dal primo anno? Non hai mai sbagliato una pozione e l’unico motivo per cui non sei mai promosso durante i compiti in classe e che non ti presenti.
Pensi che sia così idiota a non notarlo? Dopo sette anni che mi strapazzi i nervi?-
Vide Alex alzare gli occhi al cielo e sorridere con quella bocca menzognera che si ritrovava.
-Sei un idiota- lo redarguì.
-Grazie nanerottola, detto da te è un complimento! Ma fino ad un secondo fa non stavi esaltando la mia presunta intelligenza? ed ora sono già tornato ad essere un idiota?-
Scese con un balzo dalla scale e si butto di peso su una delle poltroncine su cui si erano seduti i genitori poche ore prima.
-Dove credi di andare? Sali su quella scala, non abbiamo finito di sistemare!-
-Cissy dammi pace, sono stanco. Una pausa di cinque minuti non ci salverà dalla nottata in bianco, rilassati e vieni a sederti-
Lei soffiò la frangia via dagli occhi ma si convinse che non aveva poi tutti torti. Erano quasi due ore che lavoravano senza sosta e iniziava ad accusare una certa stanchezza.
Gli si avvicinò guardinga e si sdraiò su di un piccolo sofà posto di fianco alla poltrona, la testa era adagiata sul bracciolo e i lunghi capelli castani cadevano a cascata fino a sfiorare le dita di Alex.
Senza pensarci lui prese a passarseli tra le mani con fare carezzevole, in silenzio. Era tutta la sera che entrambi erano pensosi e distratti.
Alexander era ancora assorto nel ricordo delle parole di Silente ed altri mille interrogativi gli toglievano la concentrazione, molti dei quali riguardanti la persona sdraiata al suo fianco.
Cassandra aveva ragione quando affermava che lui non era affatto stupido come voleva far credere. Era inoltre vero che fosse stato fornito da madre natura di un ottima memoria. Per questo non poteva non rammentare che lui delle Ancillae Sagittea aveva già sentito parlare un anno prima, durante una serata spesa davanti il camino nella sala comune Corvonero passata a carezzare i capelli mori di lei. In special modo non poteva scordare che proprio Cassandra era stata la messaggera di quel quesito che ora gli ronzava nella testa come una sciame d’api.
 
-Alexander posso farti una domanda?-
-La stai già facendo se non sbaglio…-
-Una domanda seria dico-
 
Quanto era facile non dare peso alle parole degli altri. Erano bastate poche moine a fargli dimenticare perché quella domanda dovesse essere così importante.
 
-Cosa devi chiedermi Cass?-
-Ecco…Alex, tu hai mai sentito parlare delle Ancillae Sagittae?-
-Di chi? Che roba sarebbe?-
-Nulla, nulla. Lasciamo stare…-
 
E lui aveva lasciato stare sul serio.
Ora invece quella domanda sollevava una questione non meno grave. Come poteva sapere lei dell’esistenza di una confraternita super segreta? Verosimilmente non avrebbe dovuto e quella coincidenza lo eccitava di curiosità e di preoccupazione insieme.
Era tutto il pomeriggio che rimuginava sulla possibilità di chiederle chiarimenti ma poi la punizione, il litigio dei suoi ed il resto lo avevano fatto desistere dall’intento.
Ora però, nel silenzio di quella stanza, rinchiusi nella placida tranquillità che regnava sulle loro teste, non vedeva come potesse esistere un momento più propizio per chiederle chiarimenti.
-Cassy posso farti una domanda?-
-La stai già facendo se non sbaglio…-
-Una domanda seria dico-
-Cosa devi chiedermi Alex?- lei si rigirò supina sul divano e ora lo guardava con fare interessato.
-Ecco…Cass, tu hai mai sentito parlare delle...-
Purtroppo non riuscì mai a terminare la frase, Cassandra si era mossa repentina e gli aveva poggiato un dito sulle labbra.
-Taci un attimo, per piacere-
Si era alzata con uno scatto improvviso e la faccia era inquieta.
-Cass, ma che diavolo ti prende?-
Non ebbe il tempo di aggiungere altro che la vide muoversi veloce verso l’ingresso. Cassandra si voltò a guardarlo in viso brevemente poi mugugno un “devo andare” appena udibile scomparendo dietro l’uscio.
Alexander rimase per un momento basito. Fino ad un attimo prima erano distesi a parlare in tranquillità e l’attimo dopo si era ritrovato da solo a fissare l’uscio.
-Cassandra? Ehi nanerottola, dove pensi di andare?!-
Aveva parlato a tono di voce più tosto alto ma quando si affacciò sul corridoio questo era già vuoto.
Note a fondo pagina:

Volevo scrivere questa breve nota a fondo pagina per ringraziare Pomodori_rossi per le meravigliose parole spese sul racconto. Spero vivamente che anche quelli di voi che leggono senza aver commentato si stiano godendo la storia. 
A questo punto della narrazione alcuni nodi fondamentali iniziano ad essere trattati con più chiarezza. Spero che non ci sia solo confusione nelle vostre menti ma anche tanta curiosità.
Sinceramente vostra.
Canfora
 
  
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