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Autore: LyricalKris    23/08/2015    7 recensioni
Lei gli era costata tutti quelli che avesse mai amato. Di sicuro qualche mese di matrimonio non sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare, per lei, in cambio.
Dal testo: Lei non aveva assolutamente il diritto di essere felice ...
Lasciò che il suo fastidio e la sua rabbia lo guidassero, aggrappandosi a entrambe come se fossero le sue sole ancore di salvataggio, mentre saliva le scale su cui lei era arrancata ...
«Ma stai scherzando», disse Bella, e girò un’altra pagina del contratto, scuotendo la testa mentre continuava a leggere.
«In quale parte?» chiese lui avvicinandosi. Mise i palmi sulla superficie del tavolo, prima di toglierli in fretta e ripulirsi, facendo una smorfia.
Lei lanciò uno sguardo nella sua direzione. «Tutto quanto», disse lei con tono incredulo. «Non penserai onestamente che qualcuno ci crederà.»
Edward la guardò impassibile. «Perché no? Ti credevamo tutti, prima, te lo sei scordato?»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Esme Cullen | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/2/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  2

 

Bella sedeva al suo piccolo tavolo da pranzo, leggendo i moduli per gli alloggi alla U-Dub mentre aspettava Edward. La sua mente, però, mulinava su tutte le ramificazioni del cosiddetto contratto che aveva firmato. Da quello che ricordava, si parlava di sei mesi… dannazione. Non ricordava le parole esatte. Avrebbe dovuto chiedere a Edward una copia del contratto. Per ora, avrebbe tenuto conto di sei mesi, che significava che il semestre autunnale sarebbe stato già cominciato per quando fosse finito il loro “matrimonio”.

La penna che aveva in mano aleggiava sul modulo per gli alloggi. Avrebbe vissuto con Edward fino ad ottobre (rabbrividì al pensiero) quindi non sapeva se l’alloggio per gli studenti sarebbe stata la scelta migliore. Poteva fare la pendolare per il primo mese, e poi, quando tutto fosse finito (si rifiutò di pensare a cosa questo significasse) poteva trasferirsi in un piccolo studio vicino al campus. D’altra parte, non era sicura che il suo vecchio camioncino ce l’avrebbe fatta a fare questo lavoro per un mese. Poteva sempre limitare i suoi corsi a due o tre giorni la settimana, forse trovare qualcosa di più economico per stare lì quei pochi giorni… o forse c’era qualche opzione di insegnamento online o a distanza, così da dover andare al campus solo poche volte durante il semestre; avrebbe comunque dovuto fare i corsi introduttivi, però. C’era poi da considerare il suo contributo finanziario. Non sapeva se aveva ancora i requisiti per le sovvenzioni e i prestiti che aveva ricevuto, dato che il suo reddito stava per schizzare in alto. Ma il divorzio avrebbe cancellato tutto, anche se non in tempo per il semestre autunnale. Da quello che riusciva a capire, c’erano grosse possibilità che dovesse saltare il primo semestre e cominciare col semestre di primavera. Forse.

Dopo parecchio tempo di inutili supposizioni, si rese conto che non aveva idea di cosa fare. Era tutto un gran casino. Questa cosa del matrimonio avrebbe incasinato tutti i suoi piani. Ovviamente, anche se aveva firmato già il contratto, non era davvero obbligata, non ancora. C’era tempo per recedere, se avesse cambiato idea. Forse. Forse sua madre e Edward avevano esagerato, e la cosa non era così grave come credevano. Poteva sperarlo, almeno. Sia per Esme che per se stessa.

Scuotendo la testa, Bella decise che la cosa migliore era parlare con qualcuno dell’ufficio ammissioni. Sapendo che adesso non aveva tempo per quello, buttò i documenti sul tavolo, insieme al catalogo dei corsi del semestre autunnale. Bella guardò l’orologio, anche se sapeva già che Edward stava arrivando.

Si mise le mani in grembo, poi giocherellò con l’orlo del vestito che aveva scelto di indossare. Normalmente girava in jeans e maglietta, ma un vestito le era sembrato più appropriato per quel giorno. Il nodo di senso di colpa allo stomaco si strinse e prese un profondo respiro nella speranza di calmare i suoi nervi, e pregando di essere più pronta a vederlo di quanto non fosse stata qualche giorno prima, che fosse pronta a rivedere i suoi genitori. A rivedere Esme.

Piena di energia nervosa, si alzò e cominciò a fare avanti e indietro nel piccolo appartamento. Finì di fronte allo scaffale dei libri e le dita toccarono le sue due pregiate prime edizioni, “Orgoglio e Pregiudizio” e “Cime Tempestose”. Non li aveva toccati da quando li aveva messi lì, dopo il trasloco. Non li aveva aperti per anni. Troppo doloroso, troppi ricordi. Fece scivolare la Austen un po’ più a sinistra, il cuore che martellava mentre prendeva la foto accuratamente nascosta in mezzo ai due libri.

La famiglia Cullen le sorrideva, il diciottenne Edward nella sua divisa gialla da diploma, il braccio stretto alle spalle di una Bella diciassettenne, la teneva vicino a sé. Esme, Carlisle e Alice erano raccolti intorno a loro, Alice attaccata alla mano libera del suo fratello maggiore. Passò le dita sulla foto, quasi sperando di poter afferrare l’amore, la felicità e l’ottimismo che sembrava circondare tutti loro, e aggrapparsi a quello.

Mentre studiava la foto, Bella inclinò la testa e si chiese come mai fosse andato tutto così storto. Il giorno in cui era stata fatta quella foto, non avrebbe mai immaginato che le cose sarebbero andate così. Gli occhi andarono a Esme. Mai questo.

Ingoiando il dolore, i suoi occhi andarono al sorriso di Edward, la sua espressione illuminata dall’eccitazione per tutte le possibilità della vita, e gli occhi pieni di amore per la sua famiglia… per lei.

Ma ora, invece del ragazzo amorevole e premuroso che aveva conosciuto, c’era un Edward duro e amaro e rabbioso. Vendicativo, perfino.

Non se lo aspettava. A un certo punto, Bella si era convinta che la loro rottura lo avesse lasciato completamente indenne, che lui fosse andato avanti e avesse dimenticato del tutto la ragazza della piccola città che si era lasciato dietro.

Il suono di un clacson interruppe i suoi pensieri, e rimise in fretta via la foto in mezzo ai due libri. Attraversò la strada per dare un’occhiata dalla finestrella e vide la nuova, lucida Volvo ferma nel parcheggio del ristorante. L’auto non le era familiare, ma lo stesso, sapeva che era Edward.

«Potevi solo suonare il clacson», brontolò Bella, roteando gli occhi mentre con Edward andava alla macchina, lui che teneva l’ombrello contro la pioggia scrosciante, il braccio stretto al suo per evitare che scivolasse. «Così non avresti dovuto avere a che fare con mio padre.» Rabbrividì ripensando all’interrogatorio che avevano appena subito.

«Mia madre mi ha cresciuto per essere un gentiluomo», aveva replicato lui, facendole un sorriso storto mentre le apriva la portiera, facendole impennare il ritmo cardiaco. «Io ti amo, Bella. Non ti mancherei mai di rispetto in questo modo.»

Guardando ancora la macchina che aspettava nel parcheggio, Bella sospirò, poi annuì. Edward stava facendo una dichiarazione e lei l’aveva sentita, forte e chiara.

Con un sorriso torvo, afferrò il suo ombrello. Se Edward Cullen pensava di metterle i piedi in testa, aveva capito proprio male.

 

***

 

Edward non si preoccupò di andare alla porta; si infilò semplicemente in uno dei due posti auto liberi nel parcheggio dietro il ristorante che erano riservati per il piccolo appartamento e suonò il clacson. Dopo pochi minuti, Bella scendeva le scale, la mano destra stretta all’ombrello e la sinistra al corrimano. Notò che per due volte stava per perdere l’equilibrio ma si era ripresa subito e cercò di non alzare gli occhi al cielo. Quella che una volta trovava una stranezza accattivante della sua personalità, adesso la detestava. Il suo essere impacciata era semplicemente un segno di trascuratezza, se Bella avesse prestato più attenzione a ciò che la circondava, non avrebbe avuto tanti incidenti.

Mentre lui sedeva al caldo e all’asciutto nella macchina, lei cercava di evitare le pozze di fango mentre correva verso di lui sotto la pioggia. Edward rabbrividì quando lei chiuse l’ombrello e mise quella cosa bagnata dentro la sua macchina nuova, ma tenne a freno la lingua, grato che almeno avesse usato quello, piuttosto che salirgli in macchina bagnata come un topo affogato.

Mentre guidava, l’aria era spessa di tensione. L’unico suono che si sentiva era il battere delle grosse gocce di pioggia sul tettuccio e il frusciare dei tergicristalli. Edward non vedeva motivo per cercare di mascherare tutto con la musica. Invece lasciò che il silenzio si ingigantisse, che la tensione suppurasse finché Bella cominciò visibilmente ad agitarsi. Prima si afferrava semplicemente le mani, poi alternava tra stringerle e muovere le dita. Poi la guardò mentre ruotava la spalla, spostandosi sul sedile. Alla fine cominciò a tamburellare il piede.

Quando non ne poté più, lasciò un sospiro esasperato. «Dillo e basta», le disse asciutto.

«Non l’ho più vista.»

Le parole erano dette a voce così bassa, piena di vergogna, che Edward le udì a malapena. Strinse il volante fino a sbiancare le nocche e continuò a guardare la strada in mezzo alla pioggia scrosciante.

«Non vedo come questo sia un mio problema.»

Bella fece un sospiro. «Mamma mi ha detto che è veramente fragile.»

Edward poté solo annuire in risposta; non gli piaceva pensare a come stava Esme… la sua salute fisica era già una causa persa. La sua attenzione adesso era concentrata solo sul suo benessere emotivo, il che significava assicurarsi di farla felice. Ormai solo di quello potevano preoccuparsi. Ma anche così, una piccola parte di lui sperava che se fosse stata abbastanza felice, se lui avesse rimediato al fatto di essere stato via tanto a lungo, forse Dio avrebbe garantito a tutti loro un miracolo.

Svoltò verso una strada di ghiaia seminascosta e notò che il respiro di Bella accelerava mentre si avvicinavano alla casa. «È solo colpa tua se non l’hai vista, lo sai», le disse.

Bella si rifiutò di voltarsi a guardarlo, e dopo un lungo momento, mentre scendevano nel vialetto privato, la sentì dire, «Lo so.»

La soddisfazione che si aspettava di provare alle sue parole, non arrivò, facendolo irritare ancora di più con lei. Infastidito, imprecò sottovoce mentre compariva la casa dei suoi genitori. Accostando nel vialetto, spense il motore e si voltò verso la donna che sedeva vicino a lui.

Vedendo che lui non accennava a scendere, lei si voltò e si guardarono per la prima volta quel giorno. Edward provò a pensare cosa avrebbe dovuto dirle. Da una parte sentiva di doverle dire di comportarsi bene, dall’altra, sapeva che non era affatto necessario. Stava avendo una grande difficoltà a riconciliare questa Bella con quella con cui era cresciuto e con quella che, ammetteva, si era costruito nella sua testa. Prese un respiro e aprì la bocca per dire qualcosa, e poi la richiuse altrettanto in fretta.

Bella lo guardò incuriosita, ma Edward scosse la testa. «Lascia perdere.»

Un attimo dopo aprì la portiera e corse veloce nella pioggia fino a raggiungere il portico coperto. Bella ci mise un po’, prima di uscire dalla macchina. Edward non aveva bisogno di essere un genio per sapere che aveva aspettato che lui le aprisse la portiera. Si fece beffe della sola idea, e la guardò con occhi sottili mentre correva sui gradini scivolosi, tenendosi dritta a malapena, per raggiungerlo.

Fu quando se la trovò di fianco che le diede un’occhiata più accurata. Diversamente dall’altro giorno, quando si era presentato al suo appartamento, Bella si era sforzata un po’ di migliorare il suo aspetto. Quando se n’era andato, quella sera, era stato tentato di dirle di farsi una doccia prima di andare dai suoi, ma non voleva che pensasse che gliene fregasse qualcosa di come appariva. Perché di certo non era così. Perciò, quando lei alzò il sopracciglio di fronte al suo esame, si ritrovò a dirle, con voce sarcastica, «Spero non pensi di impressionarmi mettendoti in ghingheri.»

Bella guardò giù il suo vestito e si strinse il cardigan che indossava a mo’ di giacca, prima di rialzare lo sguardo su Edward. «Non ti allargare. Volevo solo essere carina per Esme.»

Per qualche ragione che Edward non riusciva a immaginare, la sua rabbia divampò, e non sapeva se per la sua replica sbrigativa o perché i suoi vestiti sembravano comprati al negozio dell’usato. Strinse i pugni diverse volte lungo i fianchi prima di rilasciare un respiro esasperato e voltarsi verso la porta. Non si preoccupò di bussare e, mentre apriva la porta, ricordando che adesso il loro comportamento era importante, fece un cenno con la mano, invitando dentro Bella, come un gentleman, così come gli era stato insegnato. Mentre lei gli passava vicino, le ordinò piano di sorridere e poi la seguì all’interno.

Ovviamente tutti e due avevano un sorriso finto stampato in faccia.

 

***

 

Bella si fermò impacciata nell’atrio della casa in cui ricordava di aver giocato da bambina, sentendosi stranamente fuori posto e decisamente malvestita. Cercò di allisciare delle grinze inesistenti dal suo vestito. Era la cosa più carina che aveva nell’armadio. Non aveva ben capito perché Edward sembrasse irritato da questo ma, del resto, sembrava irritato da qualunque cosa avesse a che fare con lei. Forse doveva solo rassegnarsi a questo fatto e ignorarlo.

Sospirò e provò a buttarsi tutto alle spalle; era il momento di concentrarsi sul motivo per cui erano qui. Erano anni che non veniva in questa casa ed era sorpresa di quanto si sentisse estranea a un ambiente tanto familiare. Sei anni prima, Carlisle e Esme si erano trasferiti a Seattle per lavoro, ma avevano tenuto la casa di Forks per le vacanze estive. La madre di Bella aveva detto che scherzosamente si riferivano a quella casa come “la casetta del weekend”.

Edward la condusse in soggiorno, e il sorriso finto di Bella diventò sincero.

«Oh, Bella, sono così felice di vederti», disse Esme mentre si alzava lentamente dalla sua poltrona e andava verso di lei, stringendola in un abbraccio.

Sciogliendo un po’ l’abbraccio con la donna a cui aveva sempre pensato come a una seconda madre, Bella si trovò a dover trattenere i singhiozzi. Il senso di colpa per essere stata via così a lungo era tangibile, ed era certa che anche Esme potesse sentirlo. Il suo pensiero fu confermato quando Esme le sussurrò all’orecchio, «Va tutto bene, tesoro. Ti perdono. Andrà tutto bene adesso.»

Per un momento, Bella si permise di crederle e prese conforto dall’abbraccio di Esme, ma una vocina nella sua testa le ricordò che era decisamente tutto il contrario. Esme era quella che adesso aveva bisogno di conforto e sostegno e Bella doveva smetterla di essere così egoista.

Esme la strinse un po’ più forte prima di lasciarla andare, Bella notò come era diventata sottile. Era sempre stata piccolina e magra, ma adesso era solo pelle e ossa. Bella studiò il suo viso. A un osservatore casuale, Esme poteva sembrare solo un po’ stanca, ma c’era qualcosa in lei che decisamente non andava, anche senza le guance scavate, il pallore della pelle e le labbra screpolate. I suoi capelli erano sempre stati di un bel color caramello e corposi, mai uno fuori posto. Adesso erano smorti e senza vita, con più grigio che quel bruno dorato che Bella ricordava. Ma il cambiamento più allarmante era nei suoi occhi. Aveva sempre amato gli occhi di Esme. Erano sempre vibranti ed espressivi, dello stesso colore di quelli di suo figlio; ora apparivano spenti, tristi e pieni di sfinimento.

Come sapendo quello che Bella stava pensando, Esme disse, «Sto bene. Non preoccuparti per me, oggi.»

Era un chiaro avvertimento che non era il momento di parlare della sua salute, che era un argomento per un altro giorno.

«Mi sei mancata.»

Alzando la mano e dandole un buffetto sulla guancia, Esme disse, «Anche tu mi sei mancata, tesoro.»

Ospite affabile, come sempre, Esme portò suo figlio e Bella in soggiorno dove avrebbero potuto parlare confortevolmente, informandoli che Carlisle, anche se molto emozionato di rivedere Bella, era occupato in cucina a finire di preparare la cena. I due si sedettero insieme sul sofà, vicini il tanto che bastava a non far apparire che volessero evitarsi. Esme si accomodò su una poltrona imbottita con un pouf e Edward immediatamente saltò su a coprirle le gambe con una coperta mentre lei appoggiava la testa e chiudeva gli occhi per un momento. Poi Edward si rimise seduto sul divano vicino a Bella.

«Allora, Bella, Edward non mi ha detto come vi siete ritrovati», disse Esme dopo aver ripreso fiato ed essersi ricomposta.

Dopo aver guardato Edward pregandolo silenziosamente di aiutarla e aver trovato solo scherno appena velato, scoccò a Esme il più sincero dei sorrisi e cominciò a raccontare la storia che Edward le aveva brevemente accennato quando era andato nel suo appartamento la prima volta.

Sentiva su di sé gli occhi di Edward mentre lei tirava fuori la storia di cui avevano parlato, pronto a saltare su e aggiungere dettagli dove necessario. La voce di lei tremava un po’ e teneva le mani strette in grembo, ma a dispetto dei suoi nervi, si stava attenendo al piano. Non che avesse scelta. Fare diversamente avrebbe ferito Esme e questa era l’ultima cosa che voleva. Il viso di Esme si illuminò quando Bella disse che si erano incontrati al ristorante quando lui era appena tornato per riunirsi alla famiglia a Forks. Un brillio ritornò negli occhi di Esme mentre Bella farfugliava di come da allora avessero passato del tempo insieme e di come fosse felice di avere di nuovo Edward nella sua vita.

Quel brillio valeva ogni doloroso, detestabile momento dovette passare seduta vicino a Edward Cullen.

Lui mise le mani sopra le sue e strinse leggermente, un unico sguardo al suo viso le disse che la stava facendo troppo lunga. «Siamo fortunati ad esserci ritrovati», disse lui, dando di fatto un taglio a tutte le sue balbettanti spiegazioni.

Bella ingoiò un ringhio; lui sapeva che era orribile quando si trattava di mentire. Se voleva essere sicuro che tutto andasse come doveva andare, avrebbe dovuto essere lui a parlare. Ma del resto, conoscendo Esme, era probabile che a Edward avesse già fatto il terzo grado prima dell’arrivo di Bella. Bella si morse l’interno della guancia per evitare di scattare contro il suo cosiddetto ragazzo; Edward avrebbe dovuto passare il tempo che erano stati in macchina preparandola sulle risposte corrette, invece che limitarsi a guardarla in cagnesco.

«Cena!» chiamò Carlisle dalla cucina.

Edward e Bella si alzarono dal divano e lui si spostò in fretta per aiutare sua madre. Esme si appoggiò a lui mentre la aiutava a mettersi in piedi. Bella notò che la sua faccia si tese leggermente quando ebbe Esme tra le braccia, immaginò che lo stomaco gli si fosse annodato come era successo a lei di fronte al corpo troppo leggero della donna. Soffocò una risata quando Esme diede uno schiaffo sulla mano a Edward, comunque, quando lui provò a prenderle il braccio e portarla in cucina appoggiata a sé. Esme Cullen era sempre stata indipendente, e neanche il suo stato attuale aveva cambiato le cose.

«Mi rende così felice sapere che siete felici», disse piano Esme a entrambi mentre camminava tra Edward e Bella. «Era ora che tu mettessi da parte il dolore e la rabbia, così da poter finalmente parlare e andare avanti. So che siete stati tutti e due infelici in questi ultimi anni, ma io sapevo che eravate l’uno dell’altra e che alla fine vi sareste ritrovati. Ho sempre pensato che il dolore che proviamo nella vita renda la gioia e l’amore ancora più dolci. Non sei d’accordo, Edward?»

Alle parole di sua madre, il piede di Edward colpì l’angolo del tavolo da caffè e lui barcollò un attimo prima di riprendersi.

«Naturalmente, mamma», disse non appena riconquistato l’equilibrio.

Mordendosi il labbro per nascondere il proprio divertimento, Bella li accompagnò in sala da pranzo per salutare il resto della famiglia.

 

***

 

Tre ore più tardi, cena finita, piatti lavati e stomaci riempiti con dolce e caffè, Edward e Bella finalmente se ne andarono. Carlisle e Esme rimasero sul portico, le braccia di lui avvolte protettivamente su sua moglie, mentre Edward scortava Bella alla macchina. Questa volta aprì educatamente lo sportello per lei, uno show per i suoi genitori, lo sapeva.

Il silenzio in auto fu subito soffocante, ma Bella tenne a freno la lingua finché non furono sulla strada di ghiaia, prima di chiedere, «Quanto tempo?»

«Per cosa?»

Lei tenne gli occhi bassi e prese tra le dita un immaginario pelucco dalla gonna. «Quanto tempo le resta?»

«Pensavo tua madre te l’avesse detto.»

Senza neanche guardarlo, sapeva che la stava guardando storto da come aveva detto quelle parole. Ignorando il suo ovvio fastidio, insisté. «Avevo paura di chiedere, non volevo insistere con lei per avere informazioni. La mamma è sconvolta.»

«Lo siamo tutti, noi», replicò con un tono che chiaramente diceva che Bella non era ovviamente tra quei ‘noi’ a cui importava di Esme.

Le parole di Edward rimasero nell’aria e solo dopo aver raggiunto la strada principale si voltò di nuovo a guardare Bella. Con quello che sembrava quasi un sospiro rassegnato, disse, «Meno di sei mesi. Anche se papà ha detto, dopo le ultime analisi, che saremo fortunati se arriverà a quattro.»

Quattro mesi. Lo stomaco di Bella si annodò, e il suo cuore si sentì come se Edward lo stesse schiacciando tra le mani. Una parte di lei si rifiutava di credere che Esme fosse così malata, ma adesso, avendola vista, non poteva più prendere in giro se stessa. Bella appoggiò il gomito alla portiera e cominciò a mangiarsi le unghie guardando fuori dal finestrino. Stava lentamente trovando la determinazione mentre digeriva lentamente le sue parole. Dalla prima volta che aveva sentito sua madre pronunciare le parole “cancro al pancreas” meno di due mesi prima, aveva saputo che l’esito non sarebbe stato nulla di buono. Ma aveva evitato di chiedere cose tipo a quale stadio fosse il cancro o quale fosse la prognosi. La verità della risposta di Edward la vedeva in tutto, dal modo lento e attento in cui Esme si muoveva al modo in cui semplicemente spingeva il cibo di lato al piatto, mangiando a malapena al suo respiro affannoso quando il dolore aumentava.

Ora che sapeva, avrebbe voluto prendere quelle informazioni e nasconderle di nuovo sotto chiave. L’ignoranza era davvero beatitudine.

«Siete sicuri che non si possa fare nulla?»

L’auto sterzò bruscamente e Bella si voltò di scatto guardando Edward spaventata. «Ma che diavolo, Edward!»

«Come puoi anche solo chiedere una cosa del genere?» gridò inchiodando l’auto di lato alla strada e poi voltandosi completamente verso di lei.

«Mi biasimi per aver chiesto? Di sicuro tu hai fatto la stessa domanda. Almeno, l’Edward Cullen che conoscevo l’avrebbe fatto. Lui non prendeva mai nulla per oro colato. Non accettava mai una semplice risposta e poi si metteva seduto ad aspettare un risultato.» Chiuse gli occhi con forza per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire e voltò il viso appoggiando la fronte contro il finestrino. «Ovviamente sei cambiato molto più di quanto pensassi.»

«Tu non sai assolutamente niente di me», lo sentì dire. Un attimo dopo sentì che la macchina tornava sulla strada. Non aprì gli occhi finché non sentì che girava e vide che erano a un paio di isolati dal ristorante. Bella pensò di nuovo al catalogo dei corsi e le informazioni sugli alloggi che stavano sul tavolo del suo appartamento, ma anche se la mente si era spostata in quella direzione, immediatamente cambiò corso, lasciando i suoi pensieri completamente consumati da Esme.

«Edward, c’è qualcosa nel tuo contratto a proposito della durata…» Lasciò che le parole si spegnessero, invitandolo a riempire i vuoti per lei. C’era una qualche condizione, ma lei non aveva fatto molto caso a niente altro che alla parte dei “sei mesi”.

«Sei mesi o due mesi dopo il funerale della mamma, a seconda di cosa dura di più», disse, e stavolta la voce era priva di qualunque emozione, mentre entrava nel parcheggio del ristorante.

Sembrava che sarebbero stati sposati per sei mesi, come aveva pensato in origine. Era un fatto che l’avrebbe resa felice solo poche ore prima, ma per la prima volta da quando aveva firmato il contratto, Bella si rese conto di tutte le implicazioni del limite di tempo del matrimonio. In qualche modo lo sapeva, ovviamente, ma solo adesso, mentre considerava insieme i due eventi, capiva come fossero intrecciati, il suo matrimonio e la salute di Esme.

Sarebbe stata la morte di Esme a mettere in moto il loro divorzio. Come la caduta della prima tessera di un domino o il colpo di pistola che segnalava l’inizio di una corsa.

La visione del viso sorridente di Esme dopo che aveva abbracciato lei e Edward, meno di venti minuti prima, le danzava davanti agli occhi.

Meno di sei mesi.

Lo stomaco le si annodò e il suo cuore sembrò infinitamente più pesante al pensiero.

Un attimo dopo, Edward parcheggiò la macchina e Bella si chinò, prese il suo ombrello dal pavimento dell’auto e si sforzò di tenere a bada le lacrime per quegli ultimi minuti che passava in presenza di Edward. «Grazie per…» cominciò, ma si bloccò immediatamente quando vide il suo sguardo gelido. Bella sbuffò infastidita e aprì lo sportello della macchina. «Avvertimi solo se c’è qualcos’altro che devo sapere sul tuo piano brillante.»

«Mi vedrai in abbondanza.»

Bella lo guardò e annuì, il piombo che sentiva nello stomaco le impedì una replica arguta. «Okay.»

Poi, senza un’altra parola, chiuse la portiera un po’ più forte di come avrebbe dovuto, probabilmente, e corse su per le scale verso il suo appartamento, senza neanche preoccuparsi di aprire l’ombrello, stavolta. Non aveva più nessuno da impressionare. Senza un attimo di esitazione, Bella marciò direttamente verso il tavolo, raccolse tutti i fogli che vi erano disseminati e li buttò immediatamente nel cestino della carta straccia.

Decisione presa. Non sarebbe tornata indietro adesso.

 

   
 
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