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Autore: Alessia_Way    24/08/2015    0 recensioni
"Come era possibile? Come poteva essere minimamente possibile che lui fosse attratto da quell’uomo? Attratto così tanto da esserne addirittura innamorato… Eppure da tre anni il rito era sempre stato quello, e lo faceva perché il suo carattere capriccioso voleva quel gesto, perché ne era davvero attratto. Ma da quando per il Conte la parola “attrazione” significasse “essere innamorato”? Lui non poteva innamorarsi, non di quell’uomo. Ci stava davvero cadendo, come tutti speravano che succedesse, e di certo non con lui. Eppure era proprio con lui che tutto stava accadendo. E voleva lasciarsi andare a quell’attrazione che stava attraversando il suo corpo e raggiungeva le sue labbra sottili, bramose delle altre. Lo desiderava, desiderava un contatto maggiore del semplice rito alla quale si erano promessi ogni qualvolta che lui riusciva nel suo ordine. E se… Quello che voleva sarebbe diventato un vero e proprio ordine? I suoi ordini facevano solamente muovere l’altro ai propri desideri… Quindi avrebbe potuto piegarlo al suo potere. Ma non sarebbe mai stato lo stesso se solo…" -Estratto
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Lindsey Ann Ballato, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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WriterCorner:Okay, forse sono imperdonabile. Mi son presa due anni sabbatici troppo lunghi ma adesso nessuno mi ferma più (se non l'inizio imminente della scuola), e ne sono felice perchè non è stato per niente un periodo facile questo, e l'ispirazione è giunta a salvarmi. Ma adesso basta parlare, vi introduco in una nuova lettura. Premetto, ha molto a che fare con l'anime Kuroshitsuji - Black Butler, e dal nome potete benissimo capire. Però, ovviamente non sarà tutto completamente uguale, ma ho cercato di avvicinarmi in qualche modo, cambiando le situazioni e tutto il resto. Ho sempre immaginato tutto questo e finalmente mi sono decisa a mettere tutto su carta (se si può dire in questo modo). 
Spero comunque che tutto vi piaccia quanto piaccia a me, perchè sono molto ispirata e credo fra non molto mi cimenterò nel secondo capitolo. Bando alle ciance e...
Arigatou.




 

執事赤 – Akashitsuji – The Red Butler

 

When the taste of revenge is so good…

15 dicembre 1887


Quella mattina, nella magione Phantomhive, si respirava aria di preparativi, fin troppo anticipati. Era la vigilia dell’arrivo di un imprenditore italiano, in visita dal Conte. I camerieri non ne erano assolutamente al corrente, escluso il Maggiordomo. Ovviamente, era lui che doveva preparare ogni cosa e il primo a sapere tutto degli affari del Conte.

Era lui che doveva preparare la colazione al suo padrone, svegliarlo con le più dolci attenzioni e avvisarlo dei programmi da svolgere nella giornata. Era lui che dedicava ogni singolo sguardo premuroso al padrone, quasi come una madre si comporta con il figlio. Ma quelli non erano semplici sguardi, erano troppo possessivi, troppo gelosi, troppo attenti. Sguardi, che al Conte facevano solo piacere.

Infatti, alle ore sei del primo mattino, il Conte si svegliò con i teneri raggi del Sole che colpivano il suo giovane viso. Non erano fastidiosi, ma piacevoli e accoglienti. Il Conte amava le giornate non troppo soleggiate e con l’ombra della pioggia in arrivo. In fondo, erano le tipiche giornate delle periferie di Londra.

“Ohayou Gozaimasu*”, lo salutò il Maggiordomo, con tono tranquillo e un sorriso gli illuminò il volto contornato da capelli lisci e non molto lunghi color rosso cremisi. Dopo aver spalancato le tende color cenere per svegliare completamente il Conte, si avvicinò al comodino dove aveva poggiato il vassoio in argento con il servizio da thè cinese, osservò il Conte stropicciarsi gli occhi e tirarsi su a sedere. “Oggi per colazione abbiamo un thè giapponese, uno dei più pregiati, il Jackson’s Earl Grey, accompagnato da salmone lesso con insalata di menta. Per contorno cosa preferisce? Focaccine, toast o dolci?”, spiegò mentre con cura quasi maniacale versava il thè nella tazzina di vetro cinese. Dopo aver sistemato con attenzione la tazzina sul vassoio vicino all’anello e alla benda del Padroncino, prese i vestiti puliti dall’armadio e ritornò dal Conte che si era appena seduto sul letto in attesa che il suo Maggiordomo iniziasse a vestirlo.

Ragazzino viziato. Aveva ventuno anni da poco compiuti, ma rimaneva il solito ragazzino troppo pieno di attenzioni che gli facevano fin troppo piacere ricevere, soprattutto quando era ora di cambiare i vestiti. Il Conte Frank amava quando il suo caro Maggiordomo copriva il suo esile busto con la solita camicia troppo formale per il suo “spirito immaturo”. Ma da bravo Conte che si rispetti, capo della Phantom Company, grande e rinomata azienda di giocattoli e di dolci, doveva portare quella divisa che non si addiceva al suo istinto. Eppure cambiava completamente atteggiamento quando si trattava di affari, di giochi, di lavoro; non era il solito Frank, il ragazzino che appariva troppo capriccioso e inadatto a situazioni molto importanti, no... Diventava colui che era sopravvissuto nella stirpe dei Phantomhive, vivo per vendicare chi aveva perso, capo di un’azienda, con un obbiettivo da raggiungere. Si faceva odiare abbastanza quando diventava quel Frank, ma l’indole troppo carica di vergogna e odio vinceva e ne era sopraffatto. E questo suo comportamento si notava parecchio in presenza del Maggiordomo.

C’era un forte legame fra di loro. Nessuno riusciva a spiegare come era possibile che due anime così differenti fossero così unite: una sola persona e la sua ombra perenne, anche nell’oscurità, tanto invincibile da incutere paura appena vi si rivolgeva lo sguardo. E a Frank piaceva anche questo; si sentiva protetto, al sicuro, geloso per un malsano bisogno, che neanche la servitù si sarebbe azzardata a chiedere o infierire. Probabilmente il Conte li avrebbe inceneriti con uno sguardo. E visto il suo carattere, era meglio non farlo arrabbiare.

Molte volte il Conte si perdeva ad osservare la sua ombra, con quei occhi gelosi, misti al bisogno di cure, e tutto ciò gli veniva fatto notare, tuttavia sempre negato. Lui si divertiva, apprezzava quei occhi e vi ironizzava abbastanza da infastidirli. Entrambi, però, morivano di quello scambio di battute, che da occhi esterni poteva essere incompreso, o addirittura trovato ambiguo.

E quello era uno di quei momenti. La noncuranza che egli si sforzava di mostrare appena il suo Maggiordomo lo privava della camicia da notte leggera, aveva un dettaglio che non sfuggiva a nessuno dei due; l’attimo in cui Frank si trovava in intimo davanti a lui, bastava per scambiare un occhiata talmente intensa da sembrare interminabile, mostrandosi invece solo qualche secondo, molto, molto lungo. E mentre indossava la camicia bianca e pulita, scelta per quel giorno, si ritrovò ad osservare le mani affusolate e avvolte nei guanti bianchi, troppo superflui per quelle mani perfette, che chiudevano fluide i bottoni ricoperti di tessuto bianco, esageratamente grandi per quelle asole.

“Cos’avete? Si perde nei suoi stessi pensieri come al solito, bocchan**?”, ridacchiò il Maggiordomo, finendo di sistemare la camicia sulle spalle del giovane, che sbuffò in risposta, poggiando le mani sul materasso, il busto inclinato indietro e le gambe presero a dondolare sul lato del letto dove vi era seduto. Tipica posizione di fastidio che lui adorava.

“Cosa abbiamo in programma per oggi, Geràrd?”, pronunciò il suo nome, rimarcandolo con il tono della voce, inchiodando così lo sguardo sul viso pallido e spigoloso dell’altro, contornato da ribelli ciocche rosso acceso e brillante.

“Oggi è in visita l’imprenditore italiano di un’azienda Indiana, si ricorda? Ha intenzione di trattare con lei per lavorare insieme. Ovviamente la servitù sarà avvisata di questo per far si che l’ospitalità sia impeccabile per il suo breve soggiorno”, spiegò con voce pacata e tranquilla il programma giornaliero, aiutandolo ad allacciarsi la cravatta –perché il ventunenne non riusciva ancora a fare il nodo-, allontanandosi per sistemare la giacca ai piedi del letto, che presto sarebbe stato velocemente sistemato. “L’aspetto in sala da pranzo per la colazione, signorino”, concluse il Maggiordomo, allontanandosi appena ma rimanendo comunque davanti il Conte per abbassarsi appena in un piccolo inchino, allontanandosi poi poco dopo per raggiungere la porta. Frank non lo fermò, anzi si avvicinò al comodino con la colazione e indossò con attenzione la benda sull’occhio destro, per coprirlo, e prese una tazzina riempita di thè caldo per iniziare a sorseggiarlo. Ottimo, come sempre. Era uno dei suoi preferiti, come aveva detto lui, perché era anche amante di tutti gli infusi ed essenze diverse, ogni specie, dallo “scadente” al più pregiato. Era quasi convinto di conoscerli tutti. Spesso era capace di indovinarli, ma qualche volta gli veniva detto, come quella mattina… Era una delle altre cose che lo infastidiva, lui lo sapeva.

Dopo aver bevuto il suo thè, si diresse con attenzione fuori dalla grande camera, indossando la giacca lunga e blu scuro, per raggiungere la sala da pranzo, dove lo stavano aspettando tutti. Calorosamente salutato con un piccolo inchino, sorrise ai presenti, la sua servitù, e si accomodò a tavola per consumare la colazione preparata impeccabilmente dal suo Maggiordomo.

“Ha dormito bene, signorino?”, la vocina timida della cameriera, Lizzie, mentre sistemava i grossi occhiali rotondi sul piccolo nasino, accompagnando lo sguardo con un enorme sorriso. Il Conte sorrise cordiale, annuendo con un debole cenno del capo e ricevette in risposta un altro sorriso da Mikey e Raymond, altri due membri della servitù. Potevano sembrare pochi, per una magione molto grande e che si rispetti, deve almeno ospitare una somma un po’ più alta di tre semplici addetti alla servitù, più un maggiordomo. Ma erano stati accuratamente scelti per svolgere un ruolo più importante, tanto nascosto da sembrare assurdo.

Frank, una volta accomodatosi a tavola, iniziò a consumare il suo pasto con tutta tranquillità, lasciato solo per far si che la giornata cominciasse per tutti. Ognuno doveva sbrigare un suo lavoro: Mikey era addetto al giardino, Lizzie alle camere e alla pulizia generale della casa, Raymond era lo chef. Ma nessuno dei tre era bravo nei… loro normali lavori quotidiani. Per qualche oscuro motivo, combinavano guai che solo il Maggiordomo riusciva a risolvere prima che il Conte ne fosse al corrente. Era consapevole del fatto che non erano molto capaci in quello che gli era chiesto di fare nella magione, non scendeva mai nei dettagli più sconcertanti. Ed era un altro dei lavori del Maggiordomo: non dare preoccupazioni inutili al padrone. Lui doveva essere certo di una cosa, che la servitù compiesse alla perfezione ciò che gli era chiesto di fare per la magione. Un ordine, che doveva essere necessariamente eseguito. E così era per tutti gli ordini.

Il Maggiordomo quella mattina, dopo aver svegliato il Conte, aveva il compito di preparare l’accoglienza per l’imprenditore in arrivo: impartiti i primi ordini alla servitù, si occupò delle decorazioni in casa, la pulizia dell’argenteria, la scelta della tovaglia e delle stoviglie e successivamente del pranzo. Non poteva però svolgere il tutto in assoluta tranquillità.

“Jerāru***!”, lo chiamò Lizzie dal fondo del corridoio, esattamente da dentro la lavanderia, con fare allarmato. Si sentì uno sbuffo che riempì la cucina, tanto che dovette lasciare il coltello sul tagliere della carne e uscire dalla cucina per raggiungere la ragazza. Quello che si trovò davanti avrebbe dovuto farlo infuriare all’istante: Lizzie a terra, fra la schiuma di sapone che straripava dalla lavatrice, mentre cercava di leggere la confezione di detersivo senza i suoi occhiali.

“Lizzie… Cosa diavolo combini?”, la sua voce non era alterata, solo esasperata per l’ennesimo ‘problema’ che quella cameriera aveva combinato, davanti a lui a qualche metro di distanza, impaurita.

“I-io… Jerāru, perdonami ma sono scivolata fra le lenzuola e ho perso gli occhiali. P-poi credevo di aver messo il detersivo giusto ma tutto è andato storto e-e… E s-sono qui”, la vocina stridula e spaventata che fece quasi intenerire il Maggiordomo, riuscì a farlo avvicinare per aiutarla ad alzarsi. Gli bastò uno sguardo ed un cenno del capo verso la ragazza, per capire come risolvere la situazione. Velocemente ripulì tutto il pavimento della lavanderia dal sapone e trasferì le lenzuola in una lavatrice accanto, nuova, sistemò gli occhiali ben puliti sul naso della ragazza e le ordinò di occuparsi delle stanze. Tutto questo in tre battiti di ciglia, e Lizzie dovette sforzarsi un attimo per capire prima di recarsi ai piani superiori per riordinare le camere. Un ringraziamento, fece sorridere il Maggiordomo e ritornò al proprio lavoro.

In cucina, il Maggiordomo trovò Raymond intento a tagliare la carne al suo posto, ma quando quest’ultimo si accorse di essere scoperto, capì di star sbagliando parecchie cose; infatti le piccole fettine di carne erano state tagliate in malo modo e per il pranzo di quel giorno, non si poteva sbagliare ancora.

“Raymond… Ti avevo chiesto solo di tagliare le verdure”, ancora una volta, la sua voce esasperata risuonò in quella stanza. Raymond in cucina, non era granché bravo, forse neanche nelle cose più semplici. Raymond si scusò con un profondo inchino, mortificato per l’errore commesso e si mise al lavoro, che svolse alla perfezione –chissà quale stregoneria l’aveva colpito-.

Una volta finito di preparare il pranzo, il Maggiordomo si congedò dalle cucine per avvisare il Conte e prepararsi anche lui, dopo aver ovviamente stirato accuratamente i vestiti del suo padrone. Aveva la mania di far trovare i vestiti appena puliti e stirati ai piedi del suo letto, ma si sapeva che quel ragazzo volesse l’aiuto per vestirsi. Il Maggiordomo lo accontentava, come sempre. Non gli dispiaceva, sentiva di essere ‘nato’ per servire in tutto e per tutto il suo padrone, accontentarlo, rispettarlo, nonostante fosse interessato in modo malsano ad una cosa. Stupida indole da diavolo di Maggiordomo.

“Quanto manca all’arrivo?”, chiede Frank, lasciandosi sfilare la cravatta per cambiarla con una blu scura, in tono con la giacca leggermente più chiara, che riportava rifiniture più scure, e i pantaloncini fino al ginocchio. Alzò così lo sguardo sul Maggiordomo davanti a sé ed ecco di nuovo quello sguardo, pieno di intesa, quei occhi infuocati che si incrociavano a quello del padroncino, verde chiaro ma intenso, come se lo diventasse quando il fuoco dei suoi occhi arrivavano a lui.

Il Maggiordomo controllò l’ora nel suo orologio da taschino d’argento pregiato, pigiando sul piccolo pulsante per aprire il coperchio e vedere che mancavano esattamente cinque minuti all’arrivo dell’imprenditore. Lo fece notare al padroncino con la fretta che impiegò nel chiudergli la giacca e di tirarsi in piedi. Il giovane capì e lo seguì fuori dalla stanza, assicurandosi però di aver l’occhio destro coperto dalla benda nera. In poco tempo si ritrovò nella sala centrale della magione, attorniato dalla sua servitù, mentre il Maggiordomo dava il benvenuto all’imprenditore, inconsapevole cosa gli sarebbe potuto succedere nell’arco di quella giornata così apparentemente tranquilla quanto… Mortale.
 

 

 

Come il Conte aveva insistito terribilmente affinché la sua richiesta fosse ascoltata, egli e l’imprenditore Bonelli erano nella sala da gioco, impegnati ad una partita a scacchi. Chi aveva la vincita in pugno? Ovviamente il Conte, che infastidito osservava l’avversario distrarsi ad ogni turno, cercando in tutti i modi possibili di prendere il discorso di affari. Ma era quello l’affare, la partita a scacchi che determinava il loro incontro. Ma di ciò, l’uomo non ne era al corrente.

Ogni volta che tentava di aprire il discorso sul denaro da dividere, Frank lo zittiva con un cenno delle dita per fargli capire che era il suo turno, con fare infastidito, mentre il Maggiordomo alle sue spalle osservava la scena con aria compiaciuta, fiera e anche molto divertita. Scenario inquietante, se si metteva in chiaro la pioggia scrosciante e i fulmini improvvisi.

“Mi dica, signor Conte…”, tentò ancora Bonelli ad aprire il discorso, ma Frank con un brusco cenno della mano, gli indicò la sua posizione di gioco, in netto svantaggio rispetto alla propria.

“Voglia continuare a giocare, signore? La vedo ben lontano dalla vincita”, e Bonelli si chiese dove volesse mai arrivare quel ragazzino viziato e amante spudorato per il gioco.

Se fosse stato accuratamente furbo, non si sarebbe mai lasciato distrarre dal ragazzino che cercava di incastrarlo nel modo più abile possibile che solo lui conosceva. E truffare il Conte, non era per nulla facile come l’ingenuo ospite era convinto di poter fare.

Quindi quale miglior modo di far finire in trappola un bastardo che per anni aveva perseguitato la sua famiglia a costo di avere tutto il denaro che possedeva? E che era arrivato il momento di fargliela pagare e di metterlo a tacere una volta per tutte? Infondo, la vendetta aveva un sapore così buono…

“So che lei intende lavorare con me, e dividere il guadagno, caro Bonelli”, dovette accontentare l’imprenditore, assumendo così un tono di voce serio, austero, tipico del suo lato che riguardava il lavoro, inspiegabile se si conosceva l’altra metà che lo caratterizzava. Teneva tra le dita una pedina nera, nera come l’abito del Maggiordomo che lo aveva precedentemente affiancato e poggiato una mano avvolta nel guanto bianco sulla spalla. La pedina in questione era la regina e il suo sguardo era fisso sulla tavola quadrettata di nero e bianco, dove le pedine stremate stavano ad osservare di lato, e le superstiti tentavano di vincere la lunga battaglia. Eppure quelle nere mostravano quasi fierezza, convinzione, splendevano sul piano di guerra, puntavano contro il nemico con sguardo severo, malizioso. O forse era solo il sorriso sadico sul viso del giovane che dava tutta quell’impressione che le pedine avessero parlato abbastanza.

“I-intendo sì, guadagneremo così tanto, che non immagina neanche, carissimo Conte”, ed eccola la voce intimidita al quale sin dal primo momento il Conte aveva puntato. Il suo sorriso si accentuò ancora di più, gli occhi nascosti dal ciuffo di capelli scuri, le dita che sfioravano la pedina della regina nera, più splendente delle altre. E quella regina nera, era lei.

“So che la sua azienda lavora parecchio bene, so che è un abile imprenditore, so che il denaro è l’unica cosa che serve nella vita, ma impari ad usare bene i suoi trucchi, qualcuno potrebbe scoprirla”, e con testuali parole, il Conte dettò fine alla partita, poggiando sul campo la Regina, accompagnato da un tenebroso e risonante tuono, dopo che la stanza venne illuminata da un veloce fulmine che sembrò passare sul sorriso compiaciuto del giovane. Scacco matto.

Il Maggiordomo sorrise nel notare l’imprenditore sussultare sulla propria poltrona in pelle marrone scuro, alzando lo sguardo terrorizzato sui presenti prima di scappare a gambe levate fuori dalla stanza.

Fu così che venne inseguito dall’uomo rosso cremisi di capelli, per tutta la magione, venendo incastrato ancora una volta dalle abili azioni di quell’uomo spaventoso ma dannatamente silenzioso.
 

 

 

“Gli ordini sono stati eseguiti, Geràrd?”, risuonò la voce di Frank una volta che il Maggiordomo fu dentro il proprio ufficio, mentre stava impazientemente osservando all’esterno dall’ampia finestra, che veniva ripetutamente bagnata da una serie infinita di gocce d’acqua piovana. La posizione eretta, con le braccia incrociate dietro la schiena, illuminato dalla pochissima luce che proveniva da fuori, aiutato da qualche fulmine, rendeva l’atmosfera più seria, placata, carica di una sete di vittoria, non del tutto sazia.

“Assolutamente, come aveva richiesto”, concluse il Maggiordomo, avvicinandosi un po’di più alle spalle del Conte, mantenendo però una certa distanza.

“Ottimo”, aggiunse il Conte, voltandosi verso l’altro, sorridendogli soddisfatto, abbandonando quella serietà che fino a quel momento gli era appartenuta. Sapeva che il suo obiettivo era un po’ lontano da come sperava, ma era sempre più vicino. E tutto grazie a quella figura coperta di nero e definita dalla chioma di capelli rossi.

“Ha bisogno di altro, signorino?”, chiese poco dopo il Maggiordomo, vedendo il proprio padrone avvicinarsi a lui per sistemargli il colletto della giacca nera, cosa alquanto strana da vedere eppure il Conte amava che il suo Maggiordomo fosse sempre in ordine e quel gesto lo metteva in chiaro. Eppure si nascondeva dell’altro

“No, per oggi va bene così. Posso congedarti…”, sussurrò appena Frank, guardando l’altro dal basso, mettendo in chiaro quanto fosse più piccolo di statura rispetto all’uomo che continuava ad avere di fronte e che stringeva per il colletto della giacca. Geràrd non lo sfiorò, non si mosse, né gli impedì di stringerlo. Lo osservò con i suoi occhi rosso fuoco, ardenti e gli sorrise. Infondo, quell’intimità potevano permettersela dopo tutti quei anni passati l’uno al fianco dell’altro. Anche se la sua indole non lo permetteva, a Geràrd non dispiaceva affatto avere quel po’di intimità con il suo padrone, eppure cercava sempre di non darlo a vedere. Invece Frank, per quanto il lavoro richiedeva assoluta serietà, la reclamava più volte durante il giorno, ma mai esaudita, severamente vietata. E si sapeva, che la notte era fatta per esaudire ogni desiderio vietato…

“Ma prima…”, continuò ancora il Conte, alzandosi appena sulle punte per raggiungere quanto più poteva il viso dell’altro, quel che bastava affinché i loro respiri si incrociassero e si mescolassero, socchiuse gli occhi per poter poggiare le labbra su quelle fredde dell’uomo, lasciandovi un bacio. Una sorta di ringraziamento, un rito che ogni sera da oramai da tre anni era stato aggiunto al loro stretto rapporto, a quello che già li legava. Non aveva nulla di malizioso, di volgare, o di ambiguo. Era così che doveva essere, solo un ringraziamento, voluto da entrambi, coscienti delle loro azioni e nient’altro. Un ringraziamento per quella vendetta che man mano si saziava, si colmava come era giusto da fare, come era stato ordinato. Bisognava anche ammettere che quel gesto piaceva ad entrambi, soprattutto a Frank, che trovava le labbra del suo Maggiordomo tanto fredde quanto morbide e ottime da baciare. Ma da parte del Maggiordomo c’era anche dell’interesse, che Frank capiva ma non voleva neanche pensarci. Un anima così bella non poteva rovinarsi in tale modo…

“Vuole che l’accompagni in camera?”, chiese dopo svariati minuti al proprio padrone, poco lontano da quelle labbra che anche quella sera aveva incontrato, puntando lo sguardo rosso fuoco su di lui e sfiorandogli appena la guancia rosea e delicata, coperta ancora dal guanto bianco.

“No, faccio da solo, hai fatto abbastanza”, concluse benevolo il Conte, allontanandosi poco dopo dal suo viso e, con un sorriso tranquillo, seguito da un cenno della mano, lo fece uscire. E Geràrd non se lo fece ripetere; con un inchino lasciò la stanza, sorridendogli ancora una volta e augurandogli un sonno ristoratore, sapendo quanto l’altro ne avesse bisogno.

Soddisfatto come ogni giorno del suo operato, si allontanò verso i piani inferiori, sapendo che per lui la giornata non era ancora terminata, differentemente ad una persona che si era lasciato alle spalle, che si stava abbandonando tra le braccia di Morfeo, compiaciuto e sorridente.
 
 



 



And if you get to heaven 
I'll be here waiting, babe 
Did you get what you deserve? 
The end, and if your life won't wait 
Then your heart can't take this 

 
 
 
 
 
*:In Giapponese “おはよう ございます”significa “Buongiorno”
**:Sempre in Giapponese “ぼっちゃん”significa “Signorino, Padroncino”
***: Ancora, in Giapponese “ジェラル” significa “Geràrd”

 

   
 
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