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Autore: pamina71    25/08/2015    13 recensioni
Un prigioniero da recuperare sulle Alpi e ricondurre a Parigi.
Un prigioniero che qualcuno non vuole far testimoniare.
Qualcuno disposto a tutto per eliminarlo.
Una storia di viaggio, letterale e metaforico.
Lungo la Francia, sulle Alpi, dentro se stessi.
Con la copertina disegnata dalla meravigliosa matita di Sabrina Sala.
Genere: Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Soldati della guardia metropolitana di Parigi, Sorelle Jarjeyes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lupi, Giganti ed altre avventure'
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18. Il mio tesoro.

 

Il sonno nella tenda non poteva durare a lungo, il sole che filtrava tra i rami passava facilmente l'esile schermo di stoffa, svegliando i soldati dell'intero accampamento fin dalle prime luci della mattiniera alba estiva.

Andrè si rese conto di essere rimasto tutta la notte nella tenda sbagliata, e che non sarebbe riuscito a passare inosservato, uscendone. E invece, stranamente, nell'andirivieni generale della mattina, con i preparativi per la partenza, lo smontaggio delle tende, i soldati del reggimento intenti alla rasatura d'ordinanza ed a rimettersi in ordine, la sua uscita passò non fu assolutamente notata.

Raggiunse la propria tenda, dove François dormiva ancora, recuperò la giacca, e dopo aver tastato con attenzione la tasca interna dove celava quanto fortunosamente acquisito la sera prima, sorrise al pensiero di quel piccolo tesoro, poi iniziò i preparativi per la partenza.

 

Oscar ed i soldati si recarono di buon'ora da Salis-Samade per congedarsi, dopodiché presero con loro Monsieur 121 e risalirono a cavallo. Si avviarono in direzione di Parigi. La giornata a cavallo fu lunga, tutta tenuta al piccolo trotto. Superarono Moulins, e fecero solo una breve pausa per mangiare. Mentre sbocconcellavano qualcosa con la poca fame lasciata dall'afa opprimente di quello che ormai si era tramutato in un giugno torrido, Oscar decise di dare voce alle sue preoccupazioni ricordando loro che uno dei sicari era ancora in giro.

- E' fuggito, e quasi sicuramente è illeso. Inoltre, se ci sta seguendo, sa che presto giungeremo a Parigi, per cui mi aspetto che colpisca ogni momento, ogni lega di più. Non dimentichiamoci poi che il suo mandante non era quello disposto a far fuggire il prigioniero. A lui basta che non parli. Se questo vuol dire eliminarlo, meglio per lui. E potrebbe andare dal secondo mandante a reclamare la "taglia" per la nostra morte. Quindi, occhi aperti. E direi che vale per tutti, noi soldati, ma anche per voi, Monsieur 121. Siamo nella stessa barca, ora.

- Gustave.

- Come?

- E' il mio nome. Gustave Sylvestre Satie. E' passato del tempo, ho visto come mi avete protetto, e sebbene mi stiate conducendo ad un processo terribile sento che posso fidarmi di voi.

I soldati lo guardarono stupiti da quella affermazione. André riconobbe il nome come firma di qualche veemente articolo letto tempo addietro, ma preferì non farne cenno.

- In questo momento per me siete meno pericolosi di Jean Paul. Vi aiuterò come posso, soprattutto facendo da sentinella.

Fu Oscar a rispondergli.

- Vi ringrazio di aver capito, Monsieur Satie.

Dopo aver bevuto un ultimo sorso d'acqua, ripresero il cammino.

La dichiarazione del proprio nome ebbe il merito di far riconsiderare il prigioniero ai soldati. Il primo a rivolgergli la parola fu il giovane François, ma presto iniziò un lungo scambio nel quale Gustave ebbe modo di raccontare la sua infanzia di figlio illegittimo, ma curato, gli studi, l'avvicinarsi al giornalismo. Raccontò di come si fosse avvicinato ad ambienti prima liberali, poi rivoluzionari.

Infine, di essersi fatto convincere da alcuni aristocratici conosciuti a casa del padre che un complotto per esautorare Luigi XVI sarebbe stato la migliore delle soluzioni. Non disse i nomi dei congiurati. Ma ammise di averci pensato molto, in carcere, e di essersi convinto di essere stato usato, di essere stato una pedina. Non era intenzione di quegli uomini pensare al bene del popolo o della Francia, ora ne era convinto. Sarebbero saliti al potere per comportarsi esattamente come i regnanti attuali.

Non si accorse della smorfia di disappunto di Oscar nel momento in cui udì parlare male della propria amata Regina, e concluse il discorso dicendo che sarebbero stati necessari cambiamenti di altra portata.

 

Tra i discorsi ed il panorama disteso del grande fiume, il pomeriggio trascorse rapidamente. Quando Alain cominciò a reclamare a gran voce la cena, l'orologio del comandante segnava a malapena le sei. Oscar avrebbe voluto superare Nevers e cavalcare sino al tramonto, prima di accamparsi, ma il pranzo frugale stava avendo la meglio sullo stomaco dei soldati.

Giunsero alla mediazione di accamparsi appena attraversato il borgo, che si stendeva di fronte a loro. Un ponte di mattoni dalla ampie arcate superava la Loira, e dall'altro lato svettava il campanile della Cattedrale di Saint-Cyr- et Sainte-Juliette, mentre ad Oscar pareva persino di intravvedere alcune delle guglie del Palazzo Ducale1 ove risedeva la sorella, una bianca costruzione rinascimentale, con piccole torrette poligonali, forse un poco eccessive per il suo gusto sobrio.

Si avviarono lungo il solido ponte, con ampi contrafforti a reggere le arcate, le spallette che raggiungevano appena il ginocchio dei cavalli. Rimanevano ormai pochi passanti, che si affrettavano verso la casa o le locande per la cena.

Gustave non notò nulla, gli altri non si avvidero di nulla di particolare, ma l'occhio da soldato di Alain percepì una incongruenza ce sul momento non seppe decifrare. Ma abbastanza vivida da informarne il Comandante:

- Qualcosa è stonato, ma non saprei cosa.

Oscar si guardò attorno allarmata, gli altri fecero altrettanto. Tutto pareva tranquillo ed a posto. Eppure...eppure...

Eppure il vagabondo accasciato sulle pietre all'altezza dell'ultimo pilone, al sole nonostante il caldo, con un mantello addosso in quella calura opprimente, ora che lo vedevano da vicino appariva decisamente fuori contesto.

Oscar si slanciò improvvisamente spronando César nella direzione dell'uomo.

Questi si alzò in piedi rapidamente, effettuando nello stesso tempo un movimento col braccio destro che altro non poteva essere se non un segnale. Oscar si fermò di colpo, quasi facendo impennare César. L'uomo si liberò dal mantello, mostrando una spada già sguainata nella destra. Repentinamente, apparvero altri quattro uomini alle sue spalle, che si disposero perpendicolarmente alla campata del ponte. I soldati arrestarono a loro volta le cavalcature. Osservarono un attimo i loro avversari. Poi tutti scesero, predisponendosi allo scontro. Non ebbero il tempo di mettersi in guardia, che un tremendo boato arrivò dalla loro sinistra.

Non fu una nube, quella che li raggiuse e li coprì, leggera ed impalpabile. Ma una nuvola di polvere, sassi, mattoni, schegge e rumore, violenta onda di dolore e di sangue.

Per alcuni istanti non videro nulla, la polvere rossa dei mattoni offuscava il cielo ed irritava le cornee. Il fragore aveva colpito le orecchie ed i suoni apparivano ora ovattati e lontani. Stentavano a riconoscere amici e nemici. Quando finalmente la polvere si diradò, poterono guardarsi attorno.

Uno squarcio si apriva ora nella spalletta, e parecchi mattoni avevano colpito alcuni dei soldati, e persino alcuni assalitori, evidente mente un gruppo raffazzonato e poco avvezzo a simili assalti.

Difatti, due di loro giacevano sul selciato colpiti al capo, e chiaramente in fin di vita.

Ma anche Oscar, la più vicina all'esplosione, non era uscita illesa. Una grossa scia di sangue le scendeva dalla tempia sinistra, scavando un solco brillante nell'ocra che le copriva le gote. Ed un grosso frammento di pietra del parapetto le stava conficcato nel bicipite, bloccandole i movimenti ed infliggendole un dolore acuto e pulsante.

Gli altri erano malconci, ma in grado di combattere, e si lanciarono addosso ai due superstiti, uno dei quali si rivelò essere Jean Paul. Quattro contro due, i soldati ebbero facilmente la meglio, lasciando sul terreno gli avversari feriti forse non a morte ma in maniera decisamente grave.

André corse verso Oscar, che si era accasciata sulle ginocchia, raccogliendola tra le braccia.

Aiutato dagli altri, la issò sul proprio cavallo, tenendo César al passo.

Gérard e François lo guardavano disperati. Erano in una città sconosciuta, con il comandante ferito, ed un prigioniero. Lasciavano morti e feriti sul ponte. Cosa avrebbero fatto?

- Dove andiamo? - Chiese Alain.

- Da Louise Héléne. - Rispose André e si incamminò deciso oltre il ponte.

 

- Madame, Madame!

La Duchessa sollevò lo guardo dal ricamo che stava eseguendo, osservando con malcelata irritazione la cameriera che aveva fatto irruzione nel suo salottino con tanta foga.

- Ci sono dei soldati, davanti all'ingresso, tutti sporchi di polvere rossa, e... e... uno di loro è ferito, e dicono che si tratta di Vostra sorella! - Concluse agitatissima la ragazza.

- Come?

Louise Héléne De Norpois, moglie dell'Intendente di Nevers, si alzò trattenendo un sospiro nervoso. Cosa diamine ci fa qui quella testa matta di Oscar? Sa che odio le visite improvvise, sa che non sopporto la sua folle esistenza, ed ora di presenta senza preavviso? Ah, ma mi sentirà, oh, se mi sentirà!

Ed uscì a passo di marcia, senza rendersi conto di riprodurre la camminata di suo padre quando era furioso.

Percorse il grande atrio, ed arrivò all'ingresso. Suo malgrado, dovette fermarsi sui gradini del perron poiché la vista che le si parò dinanzi ebbe il potere di smorzare la sua ira.

Sei figure a cavallo, coperte di polvere di mattoni, con evidenti ferite da taglio e tracce di esplosioni. Su un cavallo scuro, due cavalieri, uno dei quali più sporco degli altri, tentava con uno sforzo immane di rimanere ritto e persino di sorridere, con un oggetto che sporgeva da una spalla sanguinante.

- Buongiorno, Louise. - disse il ferito con una voce che era indubitabilmente quella di Oscar.

- Siamo costretti a chiederti aiuto.

La dama si riscosse, si volse verso l'interno del Palazzo, nel cui atrio si erano radunati numerosi domestici.

- Preparate sei stanze da letto, cinque nel lato sinistro dell'ala ovest, ed una nel lato destro, dove porterete mia sorella. Jacques, vai a cercare il medico di famiglia, e fallo giungere qui più rapidamente possibile. Pierre, tu e gli altri occupatevi dei cavalli. Preparate bagni per i cinque feriti meno gravi, e cercate abiti per tutti, mentre porterete a pulire e rammendare le divise. Maire, aiuta mia sorella a liberarsi di quegli abiti ed a ripulirsi prima che giunga il medico.

La servitù si mosse rapida per obbedire agli ordini, nei quali i soldati riconobbero un tono "di famiglia", pronunciati con razionalità ed una certa quale freddezza.

Presero in consegna Oscar, mentre alcune ragazze raccolsero le loro sacche, ed altre sparirono verso le stanze interne. Un compassato valletto si rivolse ai soldati, dicendo loro di seguirlo.

Sfilarono dinanzi alla Duchessa, cui André rivolse un:

- Buongiorno Madame - ed un lieve inchino, seguito dagli altri. Louise Héléne fu stupita nel riconoscerlo dalla voce, troppo tempo era passato da quando lo aveva visto per l'ultima volta, con i capelli ancora lunghi, nessuna ferita in volto ed un differente mestiere sulle spalle.

I soldati entrarono con gli occhi sgranati nel grande palazzo, stupiti ed intimoriti dagli affreschi, dai marmi, dai mobili laccati e dorati. Furono ancora più stupiti dalle loro stanze, con letti morbidi dalle trapuntine di piume, con piccoli baldacchini e lenzuola bianche e ricamate.

Solo André mantenne la sua calma abituale. Era già stato nel Palazzo, anni prima, e aveva frequentato troppe altre dimore nobiliari per stupirsene. Sapeva anche che il Duca, uomo previdente ed avvezzo a trattare col mondo, aveva parecchie stanze da mettere a disposizione degli ospiti. Alcune mediamente belle, destinate alla borghesia, come quelle in cui Madame aveva deciso di alloggiarli, ed altre decisamente lussuose, come quella destinata ad Oscar. Fu lui a spiegare che il prigioniero avrebbe dovuto rimanere ammanettato, che forse sarebbe stato importante recuperare i feriti al ponte per scoprire qualcosa di più, e contattare il Duca, in quanto Intendente.

Poi si rivolse ad una cameriera dall'aria giovane e sveglia.

- Io vado a ripulirmi, non si può entrare in questo stato da un ferito. Quando il medico avrà terminato con il Comandante, avvisami, per cortesia. E nel frattempo, aiutatela come meglio potete a liberarsi dalla polvere.

Sorrise alla ragazza ed entrò rapido nella stanza assegnatagli lasciando una lieve scia color mattone.

Buttò gli abiti a terra ed iniziò a lavarsi nella tinozza che già si trovava nella camera. Evidentemente, le abitudini di Palazzo Jarjayes si erano radicante anche a Nevers. Si sentì meglio, più lucido ed ottimista, sebbene ancora molto preoccupato.

Asciugò sommariamente i capelli, giusto perché non gocciolassero.

Si rivestì con gli abiti che gli vennero consegnati, ovviamente d ottima fattura, anche se un tantino larghi per il suo fisico asciutto.

Stava per uscire e disporsi ad attendere nel corridoio l'arrivo del medico, non sopportando più l'inazione, quando si ricordò improvvisamente di qualcosa. Si chinò sul fagotto dei propri indumenti sporchi, estrasse un minuscolo pacchetto dalla giacca, e lo pose nella tasca destra.

Poi uscì e si dispose in attesa di fronte alla porta della stanza in cui stavano provvedendo ad Oscar.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Il rinascimentale Palazzo ducale di Nevers esiste; licenza poetica che all'epoca l'Intendente fosse Norpois, cognato di Oscar.

   
 
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