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Autore: ChelseaH    25/08/2015    2 recensioni
Dove Harry e Louis pensano di non poter essere più incompatibili di così, finché Louis non riesce a trascinare Harry nei proprio guai.
“Non rispondere. Dimenticati dell’erba. Aspetta, ho un’idea... ricominciamo da capo.”
Così dicendo uscì dal negozio, lasciò passare due minuti esatti di orologio e rientrò.
“Buongiorno, sono Louis Tomlinson, sono qui per un colloquio,” disse allungando una mano verso Harry dall’altra parte del bancone.
“Tu sei pazzo,” disse Harry guardandolo come se fosse un alieno. “E comunque da dove vieni con quell’accento così marcato?”
“Donny.”
Harry lo fissò interrogativo.
“Doncaster,” ripeté usando il nome completo della cittadina dalla quale veniva. “Non l’hai letto sul mio curriculum? Sono abbastanza sicuro di averci scritto ‘Doncaster, patria dei gloriosi Rovers’.”

[Harry/Louis]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you



1. In cui Louis entra di prepotenza nella vita di Harry
Harry era sdraiato sul letto del suo coinquilino che gli stava raccontando l’orribile giornata che aveva avuto al country club. Un manipolo di uomini d’affari aveva deciso di uscire dalla city per un giorno e uno di questi aveva avuto la brillante idea di organizzare una partita a golf senza consultarsi col meteo. Il risultato era stato che a metà percorso si era messo a diluviare e al povero Niall era toccato raccattare mazze e palline di tutti mentre loro correvano ai ripari appropriandosi del golf cart e abbandonandolo lì, in mezzo all’area della sesta buca sotto al diluvio universale.
“Ma questo è niente!” esclamò Niall fuori di sé, mentre si dondolava sulla sedia. “Ho passato sei buche a riempirli di consigli su tipi di mazza, angolazioni, su qualunque cosa!!! E loro? Continuavano a parlottare l’uno con l’altro come se io non esistessi nemmeno!”
Harry represse a stento una risata.
Niall era molto fiero delle sue abilità golfistiche e si sentiva in dovere di condividere la sua conoscenza con il mondo, peccato che al country club nel quale lavorava nessuno lo degnasse mai di attenzione.
“Stai ancora leggendo quel blog?” gli chiese poi indicando l’iPad con il quale Harry stava armeggiando e lui gli fece cenno di sì con la testa. In realtà su The Trend Pear non c’era davvero nulla da leggere a parte i titoli dei vari post, si trattava più che altro di una sequenza di immagini. Era uno dei suoi fashion blog preferiti perché gli outfit proposti erano semplici, classici e particolari allo stesso tempo e i due ragazzi che lo tenevano – Max ed Eleanor - così a occhio avevano più o meno la sua età, il che gli faceva pensare che magari un giorno non lontano anche lui si sarebbe potuto permettere qualcosa del genere. La verità era che lui per primo non aveva idea di cosa aspettarsi o cosa cercare nel suo futuro, la verità era che si trovava lì a Londra perché era letteralmente scappato da una brutta rottura. Fortunatamente sulla sua strada aveva trovato Niall, che proveniva dall’equivalente irlandese di Holmes Chapel, che aveva solo un anno più di lui e che aveva impiegato poche settimane a passare dallo status di coinquilino a quello di amico e ora, a due mesi di distanza, erano diventati praticamente inseparabili.
“Sto pensando di lasciare il corso,” sospirò lasciando scivolare l’iPad sul pavimento.
“Non vorrai mica tornare a casa?” gli chiese allarmato Niall.
“No... per il momento potrei chiedere di farmi passare a full-time in panetteria, tanto hanno bisogno... non sai quanti colloqui stanno facendo, ma non riescono a trovare nessuno.”
E comunque non si sarebbe mai sognato di tornare a casa, non finché Charles abitava a otto minuti a piedi – con passo lento – da detta casa.
Niall lo fissava pensoso.
“Non mi sei mai sembrato troppo convinto di questo corso, ma ti consiglio comunque di pensarci bene... e se giungi alla conclusione che preferisci mollare be’, fallo. Basta che non mi abbandoni, sei il primo coinquilino civilizzato che sono riuscito a trovare.”
Harry stavolta si lasciò andare a una risata.
 
***
 
Louis non ne poteva più di quel casino assordante, non era abituato a subire il casino perché di solito era lui a crearlo. Era passato un mese da quando aveva perso il lavoro e i suoi due coinquilini l’avevano sbattuto fuori casa perché non poteva più permettersi l’affitto, questo dopo che lui li aveva praticamente mantenuti per mesi, e alla faccia degli amici d’infanzia. Non sapendo cosa fare e rifiutandosi di tornare al nido materno con tutta la scia di guai che si era procurato, aveva deciso di dare una seconda possibilità a Londra e si era messo di buona lena a cercare un nuovo lavoro. Nel mentre scroccava vitto e alloggio a Zayn che si era generosamente offerto di ospitarlo e solo dopo aver accettato ed essersi trasferito, Louis aveva capito che l’offerta dell’amico arrivava dal fatto che una persona in più o in meno non faceva alcuna differenza in quella casa, e che probabilmente perfino i suoi genitori avevano perso il conto di quanta gente ci abitasse. Nell’ordine c’erano: i genitori di Zayn, Zayn, le tre sorelle di Zayn, gli zii di Zayn con i loro altri mille figli fra cui c’era Jawaad e un’altra zia di Zayn, tutti insieme appassionatamente in questa villa alla periferia di Londra che teoricamente era divisa in due – una parte per ogni famiglia – ma che in realtà di diviso non aveva proprio nulla. E poi lui con le sue cinque sorelle, un fratello e i tre mariti di sua madre pensava di avere una famiglia caotica.
Chiuse la porta della sua stanza – che in realtà era la stanza di Zayn che ora condividevano – facendola sbattere nella speranza che chiunque stesse facendo tutto quel casino capisse che doveva smetterla e tornò a posizionarsi davanti allo specchio.
Si schiarì la voce.
“Louis Tomlinson, piacere,” disse allungando una mano verso lo specchio. “Esperienze lavorative? Certo, ho lavorato per circa sei mesi in un negozio di giocattoli per bambini. Come dice? I giocattoli sono tutti per bambini? Mi permetta di dissentire, io ho ancora tutte le mie tartarughe ninja e ci gioco ogni volta che torno a casa.”
Sbuffò contro il suo riflesso nello specchio.
Era la centesima volta che riprovava a simulare un colloquio e la centesima che prendeva una pessima piega per lui, nonostante fosse per l’appunto una simulazione, figurarsi cosa sarebbe successo al colloquio vero e proprio, che per la cronaca si sarebbe tenuto da lì a tre ore.
Aveva rubato a una delle sorelle di Zayn – o di Jawaad per quel che ne sapeva - uno di quei blocchetti fatti apposta per appuntarsi le cose da fare, e sulla carta rosa costellata di fiori e farfalle aveva fatto l’elenco delle cose che assolutamente non doveva fare al colloquio:
  • non menzionare il fatto che era stato cacciato dal precedente posto di lavoro per ripetuti ritardi e possibile possesso di quantità sospettosamente illegali di erba nel suo armadietto;
  • non menzionare il fatto che una volta un suo collega aveva quasi avuto la conferma dell’effettiva esistenza dell’erba di cui sopra;
  • non menzionare il fatto che l’ultimo ritardo, quello che gli era costato definitivamente il posto, era stato dovuto al fatto che doveva andare a ritirare la sua dose mensile di erba;
  • non menzionare del tutto l’erba;
  • non menzionare il fatto che era praticamente un senza tetto, a nessuno piacciono i senza tetto, la gente tende ad assimilarli a degli ubriaconi che si danno alla vita da barboni;
  • non menzionare il fatto che se non otteneva nemmeno questo lavoro, allora probabilmente sarebbe finito a fare davvero il barbone perché non ne poteva più di stare in mezzo al casino che era la casa di Zayn (o magari menzionarlo per fare pena?);
  • non menzionare il fatto che fosse il tredicesimo colloquio in un mese e che il tredici è un numero che porta male e che tutti gli altri colloqui erano andati male perché aveva menzionato una delle cose da non menzionare.
Okay, non era poi così difficile. Sostanzialmente doveva solo evitare di presentarsi per un tossico, alcolizzato e futuro barbone, poteva farcela no? Continuò a scorrere i punti della lista:
  • non presentarsi con i pantaloni della tutta senza niente sotto perché il niente sotto verrà notato ancor più del fatto che ci si è presentati in tuta a un colloquio;
  • non presentarsi al colloquio completamente rasato, perché un accenno di barbettina gli donava quel pizzico di aria matura di cui sicuramente aveva bisogno.
Si osservò nuovamente allo specchio.
I capelli erano impeccabili.
L’accenno di barbettina era lì pronto a provare che lui fosse un ragazzo maturo.
Niente tuta, un normalissimo e classicissimo paio di jeans neri sotto ai quali aveva un altrettanto normale e classico paio di boxer, il cui bordo spuntava da quello dei jeans giusto quanto serviva a provare di non essere nudo sotto.
  • Tenere monitorati i lavori sulla District per non rischiare di arrivare in ritardo.
Era l’ultimo punto del suo elenco ma era inutile, perché da dove si trovava grazie al cielo non doveva prendere quella stupida linea della metropolitana sulla quale erano iniziati tutti i suoi problemi, compreso il fatto che Jawaad fosse diventato molto restio a passargli roba nonostante ora vivessero sotto lo stesso tetto e fossero diventati praticamente fratelli. Sarebbe stato disposto perfino a mettersi ogni giorno inginocchiato a pregare verso la Mecca per dimostrare a Jawaad che poteva fidarsi di lui, ammesso di aver imbroccato la religione giusta, si era sempre sentito molto confuso riguardo alle religioni diverse dalla sua, ovvero verso tutte le religioni.
Si diede un ‘ultima occhiata nello specchio, infilò il fogliettino con la lista delle cose da non fare nella tasca dei jeans per ripassarlo in metropolitana e decise di uscire di casa anche se mancavano ancora tre ore al colloquio, per evitare qualunque imprevisto.
Da fuori la panetteria gli sembrava una panetteria come tutte le panetterie del mondo e si fece coraggio. Nella sua mente i fornai erano tutti brave persone, come poteva una persona che si svegliava alle tre del mattino per infornare uno stupido pezzo di pane essere cattiva? Del resto il detto buono come il pane doveva venire da qualche parte e lui era sicuro venisse dal fatto che chi faceva il pane fosse buono come il pane. Guardò l’orologio, nonostante fosse rimasto seduto allo Starbucks dall’altra parte della strada a studiare il suo possibile futuro posto di lavoro per un’ora e tre quarti e il tragitto dalla casa sperduta di Zayn a lì gli fosse valso tre quarti d’ora di metropolitana, era comunque in anticipo di mezzora sull’ora del colloquio. Si schiarì la voce e decise di entrare in ogni caso, poteva far finta di essere un cliente e vedere un po’ che aria tirava all’interno. L’unica persona presente nel negozio a parte lui era un ragazzo appoggiato col gomito sul bancone che sembrava assorto nella lettura di qualcosa.
“Posso esserle utile?” gli chiese alzando distrattamente gli occhi da ciò che stava leggendo e sorridendogli leggermente. Nonostante l’area dietro al bancone fosse rialzata rispetto a dove si trovava lui, Louis notò che il ragazzo era piuttosto alto, con una massa di riccioli che uscivano ribelli da sotto la cuffia bianca che cercava di contenerli.
“Do un’occhiata, grazie,” rispose Louis e l’altro lo guardò confuso, probabilmente chiedendosi cosa ci fosse da guardare in un negozio che vendeva essenzialmente pane, poi sgranò gli occhi guardandolo fisso.
“Louis Tomlinson?”
“Ehm...”
Il ragazzo sollevò i fogli che stava leggendo, rivelando il curriculum di Louis con annessa fotografia.
“Sei in anticipo,” dichiarò guardando l’orologio sul registro di cassa.
“Volevo evitare imprevisti lungo la strada, sai, tredicesimo colloquio e tutto il resto.”
Louis si morse la lingua, era dentro da meno di un minuto ed era già andato contro a una delle voci della sua preziosa lista. Si mise una mano in tasca per sincerarsi che fosse ancora lì, come una specie di amuleto.
“Vado a chiamarti il capo,” gli disse il ragazzo guardandolo stranito e sparendo in quello che doveva essere il retrobottega.
“Styles è l’ultimo colloquio, pensaci tu. Se non ritiro quel dannato vestito entro fine giornata mia moglie chiederà il divorzio,” stava dicendo un uomo piuttosto tozzo al ricciolino, dandogli delle sonore pacche sulla spalla.
“Ma io-“
“Niente ma Harry, Hai visto gli altri candidati, vedrai questo e poi mi dirai,” così dicendo si dileguò oltre la porta d’ingresso della panetteria.
Louis e il ragazzo, Harry Styles, si fissarono imbarazzati.
“Io ho visto gli altri candidati, nel senso che li ho visti passare di qui mentre andavano nell’ufficio di Alfred. Lui era Alfred. Non posso farti il colloquio!”
Louis percepì il panico nascente nel ragazzo, che era più o meno lo stesso tipo di panico che stava assalendo lui all’idea che il suo tredicesimo colloquio fosse finito ancora prima di iniziare.
“Harry Styles giusto? Senti Harold, non per farti pena o altro ma io ho davvero bisogno di questo lavoro e non so quanti altri candidati ci fossero o che faccia avessero ma guardami. Mi sono perfino fatto crescere i millimetri giusti di barba pur di avere una chance di andarmene da casa di Zayn, io devo andarmente da casa di Zayn, c’è sempre questo brusio di sottofondo e tutta questa gente, e tutto questo casino, sto impazzendo!”
Louis si fermò a riprendere fiato, stava straparlando e ne era completamente consapevole, straparlare era la sua specialità, soprattutto quando era nervoso e ora era incredibilmente nervoso e il ragazzo di fronte lui non lo aiutava certo a calmarsi, non fissandolo con quella faccia da pesce lesso come se lui fosse un pazzo.
“Giuro solennemente di non portare mai erba o altre sostanze strane al lavoro, lo giuro. E di tenere monitorati i lavori sulla District anche se indovina? Finché abito a Zaynland non mi servirà mai la District, e solo il cielo sa quanto mi manchi quella dannatissima linea della metropolitana, la cara vecchia District.”
Fece un’altra pausa per respirare e una vecchietta entrò nel negozio.
“Il solito litro di latte, Harry caro,” disse posando una banconota da cinque sterline sul bancone di fronte a Harry e servendosi da sola al piccolo banco frigo antistante. Harry le fece lo scontrino e le allungò il resto senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo da Louis.
“Allora?” lo incalzò una volta che la vecchietta se ne fu andata.
“Fumi erba?” chiese Harry sconvolto.
“È l’unica cosa che ti è rimasta impressa del mio discorso?” Louis era indignato. “Come dire che tu non ti sei mai fatto uno spinello in vita tua,” bofonchiò, poi si soffermò a fare una radiografia completa a Harry. Ovvio che non si era mai fatto uno spinello, con quegli ingenui occhioni verdi probabilmente non sapeva nemmeno cosa fosse uno spinello.
“Non rispondere. Dimenticati dell’erba. Aspetta, ho un’idea... ricominciamo da capo.”
Così dicendo uscì dal negozio, lasciò passare due minuti esatti di orologio e rientrò.
“Buongiorno, sono Louis Tomlinson, sono qui per un colloquio,” disse allungando una mano verso Harry dall’altra parte del bancone.
“Tu sei pazzo,” disse Harry guardandolo come se fosse un alieno. “E comunque da dove vieni con quell’accento così marcato?”
“Donny.”
Harry lo fissò interrogativo.
Doncaster,” ripeté usando il nome completo della cittadina dalla quale veniva. “Non l’hai letto sul mio curriculum? Sono abbastanza sicuro di averci scritto ‘Doncaster, patria dei gloriosi Rovers’.”
“Patria di che?” Harry sembrava perso, iniziava a pensare di averlo perso a metà del suo primo monologo.
“I Rovers! Santo cielo, si può sapere tu da dove vieni?”
“Holmes Chapel.”
Louis aggrottò la fronte scuotendo la testa, non poteva avergli seriamente risposto a quella domanda retorica.
“Lasciamo perdere, è tempo perso,” sospirò Louis ricordandosi del motivo per il quale era lì.
Il tredicesimo colloquio era stato il peggiore di tutti, non avrebbe mai trovato un lavoro e alla fine se ne sarebbe tornato a Doncaster dalla mamma pur di non vivere più da Zayn.
“Mi dispiace che tu debba vivere con questo Zayn, io sono stato fortunato con il mio coinquilino.”
Fu il turno di Louis di fissare Harry come se venisse dall’altro mondo. Stavano facendo un colloquio o una sessione per conoscersi meglio?
“Mi fa piacere per te,” gli rispose sarcastico.
“Quello che voglio dire è che metterò una buona parola per te con Al, spero almeno che tu sappia servire il pane.”
“Oh Harold, cosa ci vorrà mai a dare cinque michette alla signora Smith?” domandò Louis con la sua aria sbruffona.
Chi? Okay, non lo voglio sapere. Ti faremo sapere, ora vattene.”
Harry lanciò uno sguardo disperato al soffitto, quasi stesse pregando il cielo sopra di esso di non prendersela con lui per aver praticamente appena assunto un pazzo per pietà. Louis aprì la bocca per fare una battuta sul fatto che stesse effettivamente pregando, poi decise di non sfidare la sorte e se ne andò. Mentre camminava verso la metropolitana gli tornò alla mente ciò che aveva detto Harry su quanto fosse stato fortunato con il suo coinquilino e gli venne un’illuminazione molto malsana. Tornò sui suoi passi e decise di sfidare nuovamente la sorte.
 
***
 
Quando Harry tirò giù la saracinesca del negozio era ormai buio, ma questo non fermava i londinesi dal correre frenetici verso la metropolitana o qualunque altra meta, niente e nessuno fermava mai i londinesi e lui non ci aveva ancora fatto l’abitudine. Si assicurò di aver chiuso bene e poi si avviò verso la fermata dell’autobus, ma non fece a tempo a fare due passi che una figura gli si parò davanti.
“Harold, amico mio!”
Riconobbe la parlata ancora prima di riconoscerne il volto e si rese conto che quello di fronte a lui era Louis, il ragazzo a cui aveva fatto quel bizzarro colloquio un paio di ore prima.
“Louis?” chiese inebetito.
“In carne e ossa! Sai, sono andato a prendermi qualcosa da Starbucks e poi ho pensato, ‘perché non aspettare il mio amico Harold e scortarlo a casa?’ Non lo sai che Londra è piena di tipi loschi? Soprattutto a quest’ora di sera... mai andare in giro col buio a Londra, Harold.”
Harry si guardò intorno.
Erano appena le otto di sera, le strade erano affollatissime e l’unico tipo losco che vedeva in giro era proprio Louis. Stava per aprire bocca per esprimere ad alta voce quel pensiero, quando Louis lo prese sottobraccio e lo fece girare su se stesso di 360 gradi.
“La metropolitana è da quella parte, Harold. A meno che tu non abiti così vicino da poterci andare a piedi!” disse con entusiasmo.
“P-preferisco prendere l’autobus,” disse Harry cercando di divincolarsi.
“Scherzi, vero?”
“No.”
“Harold, Harold, Harold. E autobus sia!”
Louis non sembrava convinto, anzi pareva piuttosto contrariato, ma allo stesso tempo sembrava anche intenzionato a compiacerlo a tutti i costi.
“Senti, non devi scortarmi a casa o qualunque altra cosa tu voglia fare... ti ho già detto che parlerò ad Alfred e-“
“Harold, non è per quello che ti voglio scortare, chiunque potrebbe approfittarsi della tua bontà, con quegli occhioni che ti ritrovi.”
L’esuberanza di Louis iniziava a metterlo a disagio.
“Mi chiamo Harry,” decise di precisare.
“Harold, no?”
“No, Harry. Harold mi chiamano solo mamma e Gemma quando sono arrabbiate con me,” bofonchiò irritato.
“Harold ha la ragazza!” lo prese in giro Louis.
Iniziava a pensare di aver decisamente sbagliato a dargli corda e non si premurò nemmeno di specificare che Gemma fosse sua sorella. Senza che se ne accorgesse erano arrivati alla fermata dell’autobus e Louis si era acceso una sigaretta.
“Vuoi fare un tiro?”
“No, grazie.”
“Ovviamente.”
Sì, Louis iniziava decisamente a dargli suoi nervi.
Decise di ignorarlo.
Lo ignorò mentre salivano sull’autobus e Louis gli chiedeva come fosse possibile che non conoscesse i Rovers.
Lo ignorò lungo tutto il tragitto mentre Louis gli spiegava i mille motivi per i quali pensava che prendere l’autobus fosse solo uno spreco di tempo e di come gli autobus fossero solo delle trappole infernali travestite da scatole rosse, nate apposta per farlo arrivare tardi ovunque dovesse andare.
Lo ignorò mentre lo seguiva giù dall’autobus e commentava che Shoreditch era proprio un bel quartiere nel quale abitare, non c’era anche uno skate park lì da qualche parte e cavoli! ci passava perfino la District.
Louis parlava, e parlava, e parlava, e sembrava non essere mai a corto di argomenti e del tutto in grado di portare avanti una conversazione tutto da solo.
“Ecco, sono arrivato. Sano e salvo. Nessun tipo losco mi ha aggredito. Contento?” gli disse fermandosi di scatto davanti al suo condominio.
“Ottimo, Harold. Saliamo?”
Prego?
“Non mi avrai fatto venire fin qui per liquidarmi senza nemmeno offrirmi la cena?”
 
Harry sapeva benissimo cosa stava pensando Niall del fatto che Louis si fosse messo a frugare nel loro frigorifero come se fosse a casa sua e che ora si stesse facendo un toast. Stava pensando che Harry era uno psicolabile, il peggiore dei suoi coinquilini perché – Harry ne era sicuro – nessuno dei precedenti aveva mai portato uno sconosciuto in casa e l’aveva lasciato prepararsi un toast con agio.
“Dove l’hai trovato?” gli bisbigliò all’orecchio senza togliere gli occhi di dosso a Louis e come se stesse parlando di un cane randagio trovato abbandonato nella metropolitana.
“È una lunga storia,” sospirò Harry.
Dopo essersi gustato il toast – si era perfino offerto di cucinare anche per loro due, sempre un toast ovviamente – Louis iniziò a vagare per il piccolo appartamento emettendo mugolii di approvazione per ogni cosa che vedeva. Ciò che lo fece entusiasmare più di tutto però, fu scoprire che nella camera di Harry invece di un semplice letto ce n’era uno a castello, evidentemente abitato solo nella parte superiore.
“Avete un letto libero!” esclamò al settimo cielo.
“No,” disse fermamente Niall capendo finalmente dove volesse andare a parare il nuovo ‘amico’ di Harry.
“E quello cos’è?” Louis aveva il tono di un bambino che si era ritrovato davanti due adulti stupidi. O di un adulto che stava tentando di far ragionare due bambini stupidi. “Harold, diglielo anche tu... è un letto in più.”
“È una scoperta già fatta, quella di affittare quella camera a due persone... sono finite a botte e non sto scherzando, da allora il padrone di casa affitta l’appartamento a due sole persone, stanze separate,” sciorinò Niall come se stesse ripetendo il testo di una brochure.
“Be’, allora facciamo in modo che il padrone di casa non lo scopra,” disse semplicemente Louis. “Dai, Harold, non dirmi che non ti farebbe piacere dividere ulteriormente l’affitto a metà.”
Harry ci penso su un attimo, per lo sgomento di Niall, ed effettivamente gli avrebbe fatto molto comodo, magari finalmente sarebbe riuscito a tenersi almeno dieci sterline in tasca a fine mese. C’era però da considerare il fatto che Louis non sembrava esattamente sano di mente, aveva candidamente ammesso di fumare di tutto, e che Niall non approvasse per niente e che avesse ragione a non approvare.
“Eddai, Harry,” lo supplicò Louis strattonandogli il braccio. “Vuoi davvero farmi tornare da Zayn, farmi perdere il senno e farmi fare tre quarti d’ora di strada tutti i giorni per andare al lavoro?”
Harry sospirò lanciando un’occhiata a Niall.
“Fai come vuoi Harry, ma se decidi di tenerlo sappi che diventa una tua responsabilità.”
Non è che Harry volesse ‘tenere’ Louis, non era nemmeno sicuro che Louis gli piacesse o ispirasse anche solo lontanamente simpatia, il fatto era che aveva il cuore decisamente troppo tenero. E che Louis l’aveva completamente intontito con tutte le sue chiacchiere.
“Okay, puoi restare,” concesse alla fine. “Ma ci sono delle regole.”
“Prendo il letto di sopra!” esclamò Louis contento correndo ad appropriarsi di quello che fino a un secondo prima era stato il letto di Harry, e ignorando completamente le parole del ragazzo.
“Stai dicendo che ti trasferisci ora?” Harry riuscì a sentire forte e chiaro il rumore della mascella di Niall che cadeva a terra.
“Certo, non mi farete tornare a casa solo a quest’ora?! Non sapete che Londra è piena di tipi loschi, soprattutto di notte? Domani vado a prendere le mie cose.”
Harry era abbastanza sicuro che Londra quella notte sarebbe stata al sicuro dai tipi loschi, visto che l’unico che aveva incontrato fino a quel momento gli aveva appena rubato il letto. Era anche abbastanza sicuro che se mai Louis ne avesse incrociato uno, questi l’avrebbe lasciato andare per esaurimento non appena lui avesse attaccato con la sua parlantina.

NOTE.
Sono entusiasta perché anche se qui non c'è ancora, al punto in cui sono arrivata a scrivere è finalmente entrato in scena Liam, perché no... non mi sono dimenticata della sua esistenza proprio per niente!
Btw, eccovi il nuovo capitolo e vi comunico che ho deciso di postarne uno a settimana ogni martedì, in modo da renderla una cosa regolare. Spero che questa storia partorita dai miei deliri insonni possa piacervi, fatemi sapere cosa ne pensate ^_^
xxx
 
   
 
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