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Autore: xbutterflyHaroldx    26/08/2015    1 recensioni
"L'amore è così sopravvalutato: ama insinuarsi nella mente delle persone, nutrirsi delle loro più grandi aspettative e delle peggiori insicurezze, rispetto alla persona amata e a sé stessi, per abbandonarle quasi sempre in un mare infinito di tristezza, disappunto e delusione. Perché lasciarsi coinvolgere in qualcosa di tanto devastante sotto infiniti punti di vista, se si è già consapevoli in partenza della sconfitta?
Lo guardai, e la risposta venne da sé. Lui era la risposta. Il modo in cui l'alba cominciava ad illuminare il suo volto ancora addormentato, i folti e lunghi capelli castani che gli incorniciavano il viso, la sua testa sul mio petto e il suo respiro in perfetta armonia con i battiti del mio cuore. Lui, era tutto ciò per cui avrei sempre rischiato: non il cantante famoso di una band altrettanto famosa; non il ragazzo proveniente dal Cheshire; non il rubacuori in prima pagina sulle riviste di gossip. Lui. Gli occhi che in quel momento riprendevano vita e trasformavano in pienezza e gioia, il sentore di una sconfitta inevitabile."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il tempo è il peggior nemico dell'uomo; è risaputo. Ne sanno qualcosa gli studenti in vista di un esame, presi dall'ansia di non riuscire a portare a termine la propria preparazione entro i tempi prestabiliti; gli atleti, che per una manciata di millesimi di secondo si ritrovano a dover affrontare una sconfitta; ma soprattutto, lo sanno gli amanti. Il loro rapporto con l'inesorabile scorrere del tempo è estremamente complicato: quando sono lontani, i battiti del cuore dell'uno e dell'altro sono in sincrono con i rintocchi delle lancette dell'orologio, e mentre i minuti scorrono lentamente, il desiderio e le aspettative crescono; tutto è immobile e il momento dell'incontro sembra abbastanza vicino da poterne respirare l'euforia, anche se in realtà si avvicina con calma, senza fretta, a piccoli passi. Nella gioia del momento, invece, quando tra baci e carezze, tra parole sussurrate in un orecchio e gambe intrecciate, si consumano le passioni e l'amore; è allora che il ritmo diventa concitato. L'impazienza e la voglia di accelerare lo scorrere dei secondi lasciano il posto ad un nuovo e acceso desiderio di riuscire a fermare il tempo; di poter vivere quel momento per sempre, ritardando il distacco e vivendo della propria felicità in eterno. 
E' questa la condanna degli amanti, e nessuno può sottrarsi.

Gli ultimi giorni della mia esistenza furono i più assurdi, ridicoli, ma allo stesso tempo magnifici che avessi vissuto negli ultimi anni; ero costantemente felice ed iperattiva, e la cosa non solo sembrava sorprendere me, ma anche le persone che mi stavano attorno. Fino ad allora avevo sempre considerato la mia vita abbastanza soddisfacente: avevo un lavoro interessante, la possibilità di studiare qualcosa in grado di appassionarmi, e anche se i momenti di sconforto a causa della malattia sembravano aumentare, duravano sempre relativamente poco, prima che riuscissi a riprendere il pieno controllo della situazione e delle mie emozioni. In sintesi, ero tranquilla. Le uniche cose dalle quali avevo tentato di tenermi alla larga erano le relazioni sentimentali: non perché nutrissi poca fiducia nei confronti dell'amore, ma semplicemente nei confronti degli idioti con cui venivo costantemente a contatto. Non mi bastava trovare qualcuno con cui poter passare i sabato sera in discoteca, avevo bisogno di qualcuno di cui potermi fidare; qualcuno che non mi vedesse come un cucciolo malato da accudire, che non stesse con me soltanto per pietà, o, al contrario, che non mi gettasse via come un giocattolo rotto una volta aperto il pacco contenente la sorpresa Parkinson. Sapevo che una volta trovata la persona giusta, lo avrei capito. E così era accaduto.

Harry Styles, il ragazzo inglese ridicolosamente bello, alto e affascinante che la settimana prima aveva varcato la soglia del negozio del signor Cesare, con la sua camicia stravagante, i capelli lunghi e tatuaggi sulle braccia, era riuscito guadagnarsi il beneficio del dubbio... O forse, più realisticamente, ogni pensiero che il mio cervello riuscisse ad articolare nell'arco delle ventiquattro ore giornaliere. La mia testa sembrava non avere spazio sufficiente per far fronte a qualsiasi altro problema che non fosse ricordare il suo profumo, il suo sguardo, e il suo tocco, e la cosa non passò inosservata: dopo la nostra prima uscita non riuscii ad incontrare Sam a casa sua dopo il fatidico concerto come le avevo promesso, ma le bastarono due minuti di telefonata per fiutare qualcosa di nuovo e la possibilità che ci fosse un ragazzo di mezzo. Cercai di liquidare i suoi gridolini e le sue risatine dando poca importanza a ciò che era successo e fingendo che non mi importasse più di tanto delle sue attenzioni, ma la realtà era ben altra e sia io che lei lo sapevamo.
Così, proprio come ci eravamo promessi alle tre della notte, tra sabato e domenica, i cinque giorni successivi furono oro puro, e in un modo o nell'altro sia io che il ragazzo cercammo di conciliare i nostri impegni e vederci. La domenica mattina mi scrisse per ringraziarmi e per farmi sapere che ero riuscita a regalargli la serata più bella di tutto il suo soggiorno in Italia; che per quel giorno non avrebbe potuto incontrarmi a causa del proprio lavoro e che il giorno successivo non sarei riuscita a sbarazzarmi di lui, e mantenne la promessa. La mia settimana ebbe inizio con una straordinario SUV parcheggiato sotto casa mia alle sette e mezzo del mattino: non appena uscii dal palazzo che ospitava il mio appartamento, un uomo dalla corporatura possente scese dall'auto e mi invitò a salire, consegnandomi un biglietto, un mazzo di violette come quelle che due sere prima avevamo visto nella piazzetta, e dicendomi che Harry mi aspettava in albergo per fare colazione. Nonostante fossi ancora assonnata e confusa, non rifiutai... Decisione di cui mi pentii quasi immediatamente, notando, mentre ormai eravamo già in autostrada, che leggins, t-shirt scolorita con su scritto “Shut up and bring me coffee” a cui avevo tagliato le maniche, e una felpa non erano esattamente l'accostamento migliore per far colpo su qualcuno; così come avrei optato per almeno uno strato di fondotinta di distanza tra il mio pallore post-risveglio-traumatico e lui se avessi saputo che quella mattina non sarei andata a correre ma sarei stata prelevata da uno sconosciuto. Non appena parcheggiammo davanti ad un lussuosissimo albergo a cinque stelle, impallidii, mentre mi rendevo conto di non avere avuto assolutamente idea del fatto che potesse permettersi tanto sfarzo; inconsciamente avevo dato per scontato che fosse come ogni ventenne comune mortale e non potesse permettersi una camera da mille euro a notte, ma evidentemente avevo sottovalutato la sua ricchezza. Da dove prendeva tutti quei soldi? Genitori miliardari? Contrabbando? Non era educato chiedere esplicitamente come facesse ad avere così tante risorse nonostante fosse così giovane, ma la faccia tosta non mi mancava e avrei cercato di indagare. Ovviamente tutti i miei piani andarono in fumo non appena lo raggiunsi nella sua suite e lo ritrovai seduto al bordo della piccola piscina privata di cui la sua terrazza con vista era provvista. Ancora una volta non si accorse subito della mia presenza, e prima di attraversare lo spazio fra noi e raggiungere la portafinestra, mi fermai a guardarlo: cercai di assorbire al meglio la sua immagine, il suo profilo, e tutta la tranquillità e armonia che riusciva ad emanare, consapevole del fatto che mi sarebbero mancato tutto ciò quando sarebbe partito. Quella mattina, con lui, fu surreale, perfetta: mangiammo, ridemmo, parlammo; con lui veniva tutto così naturale, che per le tre ore successive finii per dimenticarmi dei miei vestiti, del mio viso struccato, dei problemi e del mio mondo. Lui mi guardava ed io mi perdevo.
Il giorno seguente e quello dopo non furono molto diversi: venne a prendermi dall'università assieme a quello che dedussi fosse il suo chaffeur, a trovarmi a lavoro; pranzavamo e cenavamo insieme, sballottolati tra il mio appartamento, la libreria e la sua camera d'albergo. Ogni secondo passato con lui mi aiutava a capirlo meglio, ma soprattutto a scoprire nuovi aspetti di me stessa che non avevo idea potessero esistere; scoprii di riuscire a sentire la mancanza di qualcuno tanto da provare quasi dolore fisico, e di poter arrossire più frequentemente di quanto riuscissi ad immaginare.

Ero così coinvolta nel nostro piano di passare quanto più tempo possibile insieme, che non mi resi conto di non aver visto quasi per niente la luce del sole negli ultimi giorni: la maggior parte delle volte in cui ci eravamo visti, era successo in luoghi privati, chiusi, in ci fossimo solo noi e potessimo dedicarci completamente l'uno all'altro, ma nei giorni successivi la cosa cominciò a pesarmi. Cercai di convincerlo ad uscire, prendere una boccata d'aria, fare una passeggiata: ogni volta che riportavo a galla l'argomento, la cosa sembrava renderlo improvvisamente teso e finivo per abbandonare ogni tentativo.
Nella mia testa si susseguivano ininterrottamente domande riguardo le sue infinite risorse economiche, il suo astio nei confronti degli spazi aperti, il perché ogni chiamata fosse così importante da costringerlo ad allontanarsi o perché ogni volta che facevo domande riguardanti il suo lavoro, riuscisse sempre a trovare un modo per sviarle. Decisi di pensare che fosse agorafobico e che non andasse particolarmente d'accordo con gli spazi aperti, e che il suo lavoro non gli piacesse abbastanza da volerne parlare, ma per quanto provassi a convincere me stessa di tutto ciò, non facevo altro che alimentare i miei stessi dubbi.

Così venerdì mattina, esattamente sette giorni dopo il nostro primo incontro, passai dal negozio per informare il signor Cesare del fatto che mi sarei assentata per il fine settimana, e fortunatamente la cosa non sembrò disturbarlo: ero decisa a passare i miei ultimi giorni a stretto contatto con Harry e a cercare di capire cosa tentasse così disperatamente di tenere fuori dalla mia portata.
Tornando a casa, la vista dell'enorme SUV nero parcheggiato davanti al palazzo in cui abitavo non mi sorprese e vi entrai prima ancora che l'autista potesse scendere per aprirmi lo sportello. Durante il tragitto preparai il mio discorso, programmai il modo in cui avrei cercato di essere schietta e diretta, e pensai ad ogni parola nel dettaglio, decisa a non lasciarmi incantare dal verde dei suoi occhi o dalle sue lunghe ciglia, prima di aver scoperto cosa fosse ciò che sembrava creare l'unica barriera fra noi.
Una volta nella sua camera, mi bastò muovere un paio di passi prima di notare che fosse ancora a letto, completamente addormentato: lo raggiunsi, cercando di non fare troppo rumore, e mi stesi accanto a lui, tra le lenzuola. Indossava soltanto un paio di boxer, e per la prima volta vidi i tatuaggi che solitamente nascondeva sotto le magliette: quelli che sembravano due colibrì, una farfalla nel bel mezzo del suo addome e due foglie di palma sui fianchi. Dormiva così profondamente che svegliarlo mi sembrò la peggiore atrocità immaginabile; era così alto che la sua testa toccava la testiera del letto e i piedi erano a mezz'aria, tagliati fuori per una ventina di centimetri.
Era bello da impazzire.
Non riuscivo ad evitare che tale consapevolezza prendesse il controllo del mio corpo e della mia mente, e me ne rendevo conto: reggendomi su di un gomito, gli accarezzai il viso, spostando alcune ciocche ribelli dai suoi occhi chiusi, e poggiai il palmo della mia mano sulla sua guancia. L'improvviso contatto con una nuova fonte di calore lo fece mugugnare leggermente, ma non si mosse: presa dal momento di adorazione in cui ero immersa, mi sporsi verso di lui, premendo le labbra sulle sue. Quello fu il nostro primo bacio. Staccandomi lo vidi sorridere e aprire di un millimetro gli occhi, ancora avvolto nella nube sognante del dormiveglia.

«Ah, che bello...» sussurrò, con voce roca a causa del sonno. Non potetti fare a meno di sorridere, ancora sospesa su di lui, senza smettere di accarezzargli la faccia.
«Sorgi e risplendi, bell' addormentato.»
«Sto sognando. Lascia che ti sogni ancora un po'... Voglio baciarti. Baciarti per sempre...»

Se possibile, le sue parole alimentarono ulteriormente il groviglio di emozioni che mi attanagliava lo stomaco, in un misto tra adorazione e nervosismo causato dallo scopo della mia visita, ormai sempre più lontano. Modellai nuovamente le labbra sulle sue, più a lungo questa volta, e percorsi il suo zigomo, ricoprendolo di piccoli baci, prima di sussurrare vicino al suo orecchio:

«Sono qui con te. Svegliati, Harry.»

Lentamente aprì gli occhi, sbattendo languidamente le palpebre, e allunganò una mano verso il mio viso, quasi per accertarsi che fossi reale; in risposta, gli sorrisi, poggiando una guancia sul suo palmo e voltandomi per baciare quest'ultimo un attimo dopo.

«Buongiorno.»
«Ciao... Vieni qui.»

Mi attirò a sé, facendomi poggiare la testa sul suo petto, e cominciò ad accarezzarmi i capelli, mentre con la punta delle dita sfioravo i tratti della farfalla tatuata sul suo addome; il suo profumo era inebriante, fresco e straordinario.

«Non mi avevi parlato di questi...» biascicai, accennando una lieve risata e riferendomi ai tatuaggi di cui avevo ignorato l'esistenza fino ad una ventina di minuti prima, ma lui non sembrò prestarmi particolare attenzione.

«Mi hai baciato davvero o l'ho solo sognato?»
Sorrisi, scostandomi leggermente per guardarlo negli occhi, ancora avvolta nel suo abbraccio. «Ti ho baciato davvero.»

Un ampio sorriso si dipinse sul suo viso, illuminando completamente la sua espressione nonostante gli occhi ancora gonfi, reduci dalla dormita; mi strinse ulteriormente a sé, e si mise su di un lato, senza staccarsi, divincolandosi tra le lenzuola, in modo che i nostri petti fossero ancora incollati l'uno all'altro e avessimo entrambi una guancia poggiata sul suo cuscino. Mi baciò lo spazio tra le sopracciglia, scendendo lungo il naso, fino a raggiungere le labbra: fu un bacio lento, delicato, di due persone che cominciavano a conoscersi realmente e ad apprezzarsi; con il passare dei secondi, tuttavia, prese intensità, sotto il ritmo incalzante dei nostri respiri. Portai una mano fra i suoi capelli, intrecciando le gambe con le sue e stringendomi ulteriormente a lui, come se non fossimo ancora abbastanza vicini. La sua bocca era in totale sintonia con la mia, come se fossero fatte per baciarsi: bramavo ogni singolo centimetro di lui, ogni aspetto di lui, anche il più imperfetto. Lo volevo, con ogni cellula della mia persona. 
Ad un tratto, premette una mano sulla base della mia schiena e in un attimo mi ritrovai a cavalcioni su di lui: stava succedendo tutto così velocemente da confondermi e stordirmi. Avrei voluto abbandonarmi completamente al suo tocco e lasciare che i miei vestiti giacessero per terra, per passare l'intera giornata nuda, a fare l'amore... Ma non potevo. In un angolo remoto del mio cervello risuonavano ancora le parole che mi ero ripetuta durante il tragitto in macchina; i dubbi e la voglia di scoprire cosa continuasse a mettersi tra noi.

«Aspetta...» biascicai, ancora con le labbra sulle sue, divincolandomi dai suoi baci due secondi dopo, ma non abbastanza da impedirgli di spostare le proprie attenzioni sul mio collo. «Harry, aspetta, ti prego...» piagnucolai, facendolo bloccare immediatamente, e mi spostai di nuovo al suo fianco, sul letto. Guardai il soffitto, ancora con i battiti accelerati, il respiro irregolare e la pelle d'oca, e percepii il suo sguardo su di me: nonostante non lo vedessi direttamente, riuscivo a percepire i suoi sensi di colpa e il timore di essersi spinto troppo oltre. Voltai il capo, per guardarlo negli occhi e vi lessi tutta la frustrazione del mondo.

«Mi... Mi dispiace, io non volevo... Non voglio che pensi che io voglia quello a tutti i costi. Non lo voglio; non se non lo vuoi anche tu, ed è totalmente lecito e normale che tu possa non volerlo, e io... Rispetto le tue decisioni e non mi permetterei mai di forzarti e farti fare qualcosa che non vuoi fare... Insomma, io...»

Le parole gli scivolarono dalle labbra come un fiume in piena, tanto che dovetti reggermi su di un gomito e coprirgli la bocca con una mano per porvi fine.

«Sshhh... Harry, sta' zitto.» Una serie di emozioni gli oltrepassarono il volto, passando dal sollievo alla confusione, e mi affrettai a spiegarmi. «Io vorrei farlo, è solo che... C'è qualcosa che continua a tormentarmi, non riesco a smettere di pensarci e ho davvero bisogno di parlartene, o potrei impazzire.»

Lo liberai dalla presa della mia mano e a quel punto la sua espressione si fece preoccupata; si mise seduto, poco prima che anch'io mi mettessi nella stessa posizione, proprio di fronte a lui.

«Di che cosa si tratta?»

Eravamo arrivati ad un punto di non ritorno: non mi restava altro che spiegargli ogni dubbio, parlargli di ciò che mi turbava, eppure sembrava più difficile di quanto fosse. Notando il mio evidente sconforto, mi prese una mano, intrecciandola con la propria, e baciò delicatamente la mia fronte, rivolgendomi uno sguardo rassicurante. Deglutii, sforzandomi di mantenere gli occhi fissi nei suoi; mai nella vita avevo avuto tanta paura di parlare come in quel momento.

«Perché hai così paura di uscire?» pronunciai quelle parole tutte in un fiato e lo vidi impietrirsi. Avevo fatto centro. «Ogni volta che cerco di convincerti a cambiare aria, o ad andare in qualsiasi luogo che non sia il mio appartamento o questa camera d'albergo, cambi espressione, proprio come stai facendo in questo momento. Perché?»
«Io non...» balbettò appena, lasciando le mie mani e abbassando lo sguardo.

Ed eccolo di nuovo: l'infinito oceano tra noi. Ogni volta mi scivolava via dalle dita, ma questa volta non lo avrei permesso; mi misi in ginocchio davanti a lui e presi il suo viso fra le mani, costringendolo a guardarmi. Non proferì parola, così continuai.

«Ho bisogno di sapere cosa c'è che non va. La mia vita è molto più di queste quattro mura, e sono convinta che anche la tua lo sia; perché abbandonarle ti mette così a disagio? Potremmo condividere molto più di questo se solo lo volessimo; perché non lasci che io capisca?»

La mia voce era flebile, quasi rotta, ma non lasciai che la cosa mi fermasse.

«Ogni volta che il tuo cellulare squilla, l'atmosfera si raggela: corri via, lontano da me, quasi timoroso che io possa cogliere anche solo una parola delle tue preziose telefonate, e quando torni sembri sempre preoccupato, nonostante cerchi di nasconderlo. Cosa c'è di tanto sconvolgente da farti pensare che io non possa sopportarlo? »

Solo in quel momento mi resi conto di avere gli occhi pieni di lacrime: era assurdo come tutto fosse cambiato nell'arco di soli pochi minuti. Un attimo prima eravamo intrecciati, legati inesorabilmente l'uno all'altro con il corpo e con la mente, mentre quello dopo eravamo distanti, come se ci fossero chilometri a separarci. Una goccia salata varcò la mia guancia, fino a percepirla sulle labbra, mentre lui si portava entrambe le mani tra i capelli, prima di tornare a guardarmi negli occhi: lo sguardo che mi rivolse era stanco, amareggiato, quasi sconfitto, e scalfì leggermente la mia sicurezza.

«Non posso permettere che qualcuno mi veda con te» furono le sue uniche parole o spiegazioni, se così le si potevano chiamare, e riuscii quasi a percepire il sangue fluire via dal mio viso.

Lo guardavo, senza vederlo. Non riuscivo neanche a sbattere le palpebre; ero totalmente impietrita, proprio come lo era stato lui fino a poco prima.
Il problema, dunque, non era uscire, ma uscire CON ME. Questo era tutto ciò a cui riuscivo a pensare, mentre l'adorazione che avevo provato per la persona di fronte a me si trasformava in ribrezzo. Continuò a parlare, cominciando a dire qualcos'altro, ma ormai non lo sentivo. Non riuscii neanche a domandarmi chi avrebbe potuto vederci, dato che questo non era il suo paese e nessuno lo conosceva; mi alzai di scatto e mi avviai verso la porta, decisa a non dargli la soddisfazione di vedermi piangere.

«Hey, hey... Aspetta. Miranda, lasciami spiegare...» sentii i suoi passi sul pavimento, mentre si avviava verso di me per fermarmi, e fu allora che tutta la tensione e la rabbia che provavo emersero come lava durante un'eruzione.

«Spiegare cosa?! Che sei un viscido bastardo? Che mi hai abbindolata con le tue stronzate, semplicemente per avere qualcuno che ti facesse compagnia e riempisse il tuo letto? No, grazie. Mi fai schifo!» urlai, con la vista appannata dalle lacrime, spintonandolo. «Credevo di aver visto qualcosa di diverso in te; qualcosa di bello...»
«Faccio parte di un gruppo musicale!» urlò a sua volta, allargando le braccia in segno di resa, e quello fu l'unico modo per zittirmi. «Intrattenere la gente mi rende felice. Quel brivido che si prova due secondi prima di salire sul palco, l'adrenalina che ti pervade quando compari e il pubblico ti acclama... Pensavo fosse tutto ciò di cui avessi bisogno; ma poi sei arrivata tu. Sei sbucata dal nulla, non avevi idea di chi fossi, ne da dove venissi, e mi sono reso conto che per la prima volta negli ultimi cinque anni non ero “Harry degli One Direction”, ma semplicemente Harry... E la cosa mi faceva stare incredibilmente bene. Con te potevo costruire qualcosa di vero, e prima che potessi rendermene conto, cercare di nasconderti dal mio mondo è diventato un obbiettivo: volevo vivere in una bolla con te, proprio come è successo la prima volta che siamo usciti, e tenerti lontana dalla merda in cui avrei potuto trascinarti se solo avessimo messo piede fuori di casa. Volevo proteggerti e non lasciare che la tv, i paparazzi e i giornali si impadronissero della tua vita, soltanto perché pensano di avere il monopolio sulla mia.»

Con due ampie falcate azzerò lo spazio fra noi, prese una delle mie mani e se la portò sul cuore, poggiandovi su la propria.

«Tu riesci ad arrivare qui. Con te non ho paura di parlare liberamente, e non devo prestare attenzione ad ogni movimento, perchè so che non mi giudicherai; ogni volta che mi sorridi, il mondo sparisce.»

Fece una breve pausa, cercando di studiare la mia espressione e capire cosa mi passasse per la testa, ma la realtà era che neanch'io lo sapevo. Tutto ciò che sapevo era che eravamo in piedi, al centro della stanza, e che i miei occhi erano sempre più rossi e pieni di lacrime.

«La prima sera, quando ho ricevuto quella chiamata all'improvviso, dall'altra parte del telefono c'era Josh, il mio bodyguard, l'uomo che ti ha accompagnata qui stamattina: qualcuno sui social media aveva pubblicato una foto di noi due mentre passeggiavamo e nell'arco di mezz'ora aveva fatto più o meno il giro del globo. Fortunatamente l'immagine ci ritraeva di spalle ed era abbastanza sfocata da rendere a malapena possibile riconoscere anche solo la mia figura, ma il punto è che dal momento in cui quella fotografia è stata caricata, il mondo intero ha cominciato a fare speculazioni e ad ipotizzare la tua identità. Nessuno ti conosceva, o sapeva chi fossi, eppure ti avevano già privata della possibilità di essere una persona con dei valori e dei sentimenti: ai loro occhi eri “la ragazza misteriosa”, un nuovo giocattolo su cui valeva la pena avanzare delle pretese o scommettere, soltanto a causa del tuo legame con me. Ecco perchè ho mentito; ecco perché ho cercato di tenerti nascosta e al di fuori di tutto questo: perché tu sei la persona più pura che io abbia mai incontrato fino a questo momento, e anche solo l'idea che qualcuno possa manipolarti o renderti schiava di tutto lo schifo di cui le correnti mediatiche sono capaci, mi fa odiare me stesso per averti trascinata in tutto questo.»

Le lacrime ormai avevano inondato anche i suoi occhi. Mentre parlava e cercava di spiegare il perché di ogni sua azione, finalmente riuscivo a vederlo completamente per ciò che era; riuscivo a capire, ancora una volta, quanto nobile fosse il suo animo. Le sue parole, se possibile, mi scaldarono il cuore più di ogni altro sorriso o sussurro che ci eravamo scambiati fino a quel momento, alimentando ulteriormente i sentimenti che provavo nei suoi confronti e scacciando ogni residuo di rabbia.
Era tutto così assurdo e privo di senso, ma l'intensità della sua preoccupazione bastava a convincermi che fosse reale: per quanto amasse il proprio lavoro, detestava il titolo di “persona famosa” e non voleva che il vortice mediatico che aveva inghiottito la sua vita facesse lo stesso con la mia.
Fu allora che una nuova consapevolezza cominciò a farsi strada nella mia testa, appesantendo il mio cuore: lui aveva cercato di proteggermi da qualcosa di più grande di lui e su cui non aveva il controllo, ma anch'io gli avevo nascosto la verità su di me, sulla malattia, e una volta al corrente della verità su di lui, confessare sembrava ancora più difficile.

Lo guardai per dei minuti che parvero interminabili: meritava di sapere; meritava di poter scegliere se valesse la pena combattere per una persona che avrebbe inevitabilmente continuato a cambiare, in maniera irreversibile; ma soprattutto, meritava la possibilità di capire se fosse abbastanza forte da sopportare tutto ciò che il Parkinson implicava.
Guardai la mia mano, ancora poggiata sul suo cuore, e provai a parlare, tra le lacrime: per quanto mi sforzassi, le parole non riuscivano ad uscire, e non fu difficile capirne il perché. La mascella aveva cominciato a tremare, precludendo ogni possibilità di comunicazione, mentre sia il tronco che gli arti iniziavano a sussultare, scossi da vigorosi spasmi, e le gambe cedevano, ormai completamente atrofizzate.
Stava succedendo. Una crisi. Il mio peggiore incubo si stava realizzando, e la cosa peggiore, ancora una volta, fu essere cosciente ma totalmente impotente per qualche minuto; temere per me stessa, ma ancora di più per la persona che mi era accanto. Gli occhi carichi di terrore di Harry furono l'ultima cosa che riuscii a cogliere, prima che le sensazioni si facessero più miti e il buio si impadronisse della mia vista. 











[NOTA DELL'AUTORE: per il prossimo mese la fanfiction non verrà aggiornata, a causa della sessione d'esami autunnale che per tutto settembre graverà sulla vita della povera autrice di questa storia. Il caro Harold e Miranda torneranno ad ottobre! All the love xx ] 

   
 
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