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Autore: _browns eyes_    26/08/2015    3 recensioni
E se non ci riuscisse, come diamine facevo a crescerla da solo? E se sbaglio qualcosa, e se non cresce nel modo che desiderava e la deludessi. Chiusi gli occhi per calmarmi, soprattutto per non piangere, ma non funzionò perché appena li riaprii una lacrima sfuggì al mio controllo.
Mi fermai ormai non ero nulla, mi voltai la fissavo vuoto. Lei si avvicinò a me lentamente e mi abbracciò ed io scoppiai a piangere. Come diavolo facevo a crescere una bambina da solo?
Ero semplicemente terrorizzato.
**
“Come? Dammi almeno un motivo!”
“C’è il tuo sposo, fatti aiutare da lui! Io mi tiro fuori”
“Perché? Adesso che eravamo diventati amici”
“è questo il punto! Noi non saremo mai amici!” urlai, facendola sobbalzare
“Perché fai così?”
“Non ti voglio intorno sapendo che non sei più mia. Non ti voglio intorno sapendo che non ti posso baciare e farti diventare mia! Ma soprattutto non ti voglio intorno sapendo che Sheyleen ha intorno sua madre e che non si ricordi di lei. Perché sei tu la madre!” sbraitai in lacrime, lei mi guardò sbalordita.
**
Spero che vi piaccia :)
Enjoy it :)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 24:

Now I’m searching every lonely place
Every corner calling out your name
 Trying to find you but I just don’t know
 Where do broken hearts go?

(Where do broken hearts go by One Direction)

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*Autrice*

Louis venne subito accolto dal suo padre naturale, Troy, eppure la sua titubanza nel aver scelto lui e non Mark rimaneva. Infondo il secondo era molto più rintracciabile e intuibile, al contrario del primo. Nessuno avrebbe mai sospettato che avesse chiesto aiuto a lui, ovviamente non direttamente. Il ragazzo venne indirizzato verso la sua stanza, sistemata accuratamente dalla moglie di lui, Hester, con la quale si era messa d’accordo. Ebbene si, lui aveva cercato l’uomo, però non era a conoscenza del fatto che quel giorno avesse dimenticato il telefono a casa. Perciò la donna senza storie aveva risposto. Ella sapeva quanto Louis fosse importante per il marito e non poteva negargli questo approccio, anche solo per qualche giorno. Così accettò. Forse era la buona volta che lo perdonava.
Louis appoggiò il borsone su una poltrona accanto al letto e osservò un po’ la sua nuova abitazione. Non era male.

-Dovresti essere stanco- constatò Troy con le mani in tasca. Il castano non fece altro che annuire. -Allora, buona notte- gli disse con un ultimo sorriso e, dandogli le spalle, stava per ritornarsene in camera. Fu interrotto subito.
-Grazie- esclamò Louis, imbarazzato. -Per tutto. Siete davvero molto gentili nell’ospitarmi per qualche giorno-
-Sei mio figlio. Questa è anche casa tua- gli annunciò. -Puoi stare per quanto ti pare- aggiunse, concedendogli la sua privacy. L’altro non fece altro che acconsentire e poi chiudere la porta. Era più dolce di quanto si ricordasse. Nonostante questo, si accomodò sul suo letto e si lasciò trasportare dalle cattive emozioni. Era già partito male, eppure due settimane erano lunghe e lui era sicuro di ritrovare se stesso e il suo equilibrio. Afferrò quel cellulare per spegnerlo definitivamente, però la foto di sfondo lo fece ragionare. Doveva mentire anche a lei? Oramai non provava nulla e starci insieme non era una cosa giusta da fare. Prese un sospiro e compose il numero, non importandosi che fosse mezzanotte. Ci impiegò poco a rispondere e questo era un chiaro segno che lei non stava dormendo.
“Hey, Lou” rispose con allegria.
-Ciao, El. Disturbo per caso?- chiese, mentre lei scosse la testa. Infondo era da sola in quella stanza d’albergo nel aspettare che il suo migliore amico ritornasse dalla sua scampagnata amorosa.
“Affatto. Poi volevo sentirti. Mi manchi troppo” ammise lei, giocherellando con le lenzuola. Louis sorrise di poco però poi sospirò pesantemente: era giunta l’ora.
-Ti devo parlare- le disse a bruciapelo, alzandosi e andando in balcone per non disturbare i padroni di casa. Era inutile anche sottolineare la preoccupazione di Eleanor a quel tono serio.
 

Il sole risplendette su Londra e i suoi raggi fastidiosi accecarono i poveri occhi dei ragazzi e delle due donne, presenti nella casa di Louis. Harry fu il primo a stiracchiarsi per bene e sussultò anche per il viso troppo ravvicinato dell’irlandese. Infatti gli diede un piccolo pugno per svegliarlo. Fu così, accompagnato anche da un insulto da parte di Niall. Si resero conto di essersi addormentati su quel divano scomodo a casa del loro migliore amico, ma la scorsa notte erano troppo stanchi per recarsi nelle proprie abitazioni.
-Buongiorno- esclamarono altre due voci assonnate, dietro di loro.
-Buongiorno- risposero in seguito a un piccolo sorriso. Lottie si avvicinò al fidanzato per dargli un bacio, anzi egli la prese tra le sue braccia per coccolarla un po’. Dopo quei giorni, sembrava essere la cura prescritta dal medico. Così il ricciolino si sdraiò di nuovo con lei al suo fianco. Le accarezzava dolcemente i suoi lunghi capelli biondi arruffati, e poi le diede qualche bacio. Al contrario della bionda, che si strinse e cominciò a giocherellare con la sua maglia. A quella scena diabetica, Niall perse la sua postura comoda e raggiunse Johannah in cucina per sgranocchiare qualcosa. Aveva sempre odiato essere il terzo incomodo in una coppietta. Poi tutto quel romanticismo di prima mattina gli faceva venire solo voglia di vomitare. Così nel giungere il locale desiderato, passò accanto a una mensola, in cui vi erano tutti gli oggetti preziosi di Harry, quale cellulare, orologio, anelli, bracciali, eppure un piccolo foglio a quadretti piegato catturò l’attenzione del ragazzo. Assonnato e con la vista sfocata, lo prese e lo lesse tanto velocemente da non comprendere nulla del contenuto. Tuttavia, non appena vide la firma di Louis, spalancò gli occhi e lo rilesse con più cura. La sua sorpresa fu palese e cacciò un urlo, da allarmare tutti.
-Cazzo!- corse verso la camera dell’amico e vi entrò senza problemi. Gli cedettero le braccia appena la notò vuota e senza la presenza del diretto in questione. Come cavolo era potuto succedere? Erano stati maledettamente attenti!
-Niall- urlò Harry, inseguendolo.
-Chiama gli altri. Abbiamo un problema- lo informò, scuotendo la testa e tirando un pugno sulla porta. Harry non capiva nulla di quello che stava succedendo, ma prima di andarsene il suo amico gli mollò duramente il bigliettino sul petto. Udì solamente i passi pesanti e infuriati scendere e poi le urla al telefono. Non se lo fece ripetere due volte dalla sua coscienza di leggerlo. Voleva essere messo al corrente di ciò che aveva scatenato così tanta ira:

“Ho bisogno di ritrovare il mio equilibrio e, stando in quella casa, non credo che ci riuscirò. So per certo che mi starete odiando, ma tranquilli non lo farete più di quanto lo faccia io in questo momento. Spero che capiate questa fuga improvvisa e mi perdoniate un giorno. Ci si vede in aeroporto il venti. Io ci sarò e sarò di nuovo me stesso. E voi?
Vi voglio bene, il vostro Lou”
 

La parola sgranare in quel momento era poco rappresentativa poiché gli occhi gli uscirono dalle orbite. Nella sua mente si formulavano una serie di insulti e di domande senza una risposta. Quel bigliettino venne stropicciato e buttato a terra. Harry non era mai stato più deluso e infuriato di così. A passi lunghi, andò al pian terreno, in cui Niall stava chiamando gli altri, mentre le due donne lo fissarono senza proferire parole: preferivano non infierire. Lottie si fiondò subito dal lui, appena lo vide e gli posò una mano sul petto.
-Che è successo?- mormorò timorosa e con i suoi occhi chiari lucidi. La guardò in modo cagnesco, eppure la ragazza intese che non era per lei tutta quella rabbia.
-Se n’è andato- le rispose a voce morta, uscendo da quella casa visto che non rispondeva più delle sue ragioni.

Vicino al cancelletto, scatenò la sua ira: prese a calci quel povero oggetto insieme al bidone del vetro lì vicino. Terminò sedendosi sulle scale con il respiro accelerato e il viso tra le mani, bagnate dalle lacrime, che gocciolavano su di esse. Era stufo di quella maledettissima situazione. Avevano fatto tutto il possibile per svagarlo, tirarlo su di morale e farlo addirittura sfogare e come li aveva ringraziati? Andandosene via! Non gli poteva sembrare vero.
Scosse ripetutamente la testa e non si accorse della presenza della fidanzata distrutta dietro di sé, la quale aveva assistito a tutta la scena. Era la prima volta che lo vedeva in quello stato e la sua preoccupazione s’incrementava progressivamente. E fu un bene che ci fosse perché il respiro di Harry non rallentò affatto, anzi aumentò finendo per bloccargli l’aria alla gola. Sbarrarono gli occhi e tentò di calmarsi, ma fu del tutto inutile.

-Harry!- urlò la bionda, raggiungendolo. Gli posò le mani sulla schiena e si paralizzò. Stava avendo un attacco di panico. Non sapeva e non poteva lasciarlo solo. -Mamma, Niall. Aiuto- strillò più forte per farsi ascoltare. Poi riposò l’attenzione sul riccio, il quale non era in grado di respirare. -Sta calmo. Arrivano, arrivano- ripeté, tentando di convincere se stessa. Finalmente sentì dei passi frettolosi approssimarsi a loro. Doveva agire, se no il ragazzo non ce l’avrebbe fatta. Ma come? Si disperava. Si guardava intorno con gli occhi lucidi prima di arrivare alla soluzione. Si avvicinò a lui e lo baciò intensamente. Portò a termine con successo l’impresa dato che Harry ricominciò a respirare normalmente. Tirarono un sospiro di sollievo entrambi poiché furono i minuti più ardui della loro vita. Il paziente l’abbracciò e la ringraziò di cuore. Lottie, invece, si strinse a lui bisognosa di avere la conferma che tutto fosse finito.
-Che succede?- domandarono allarmati Johannah e Niall dietro di loro. Gli altri si guardarono a vicenda per capire che fare. Lui voleva mentire per non farli preoccupare ulteriormente, al contrario di lei, la quale disse la verità prima che Harry potesse aprire bocca.
-Harry ha avuto un attacco di panico- annunciò, disperata.
-Che?- urlò il biondo scioccato. Era a conoscenza di questa malattia però sapeva anche che l’ultimo attacco di panico avuto fu molti anni orsono, circa quando i genitori si separarono. -Ora stai bene?- s’interessò, avvicinandosi e abbassandosi al suo livello.
-Se n’è andato, Niall. Come ha potuto farlo?- rispose, cambiando completamente discorso e svelando i suoi occhi lucidi e arrossati. -Perché non si poteva confidare invece che abbandonarci-
-Non lo so.. ma.. hey, guardami- gli tirò su quel viso bagnato e triste. Accennò un piccolo sorriso confortatore. -Tornerà. Tra due settimane sarà di nuovo qui con noi. Con la sua famiglia-
-E se non tornerà?- fu pessimista il minore.
-L’ha promesso sul biglietto, no? Può essere depresso quanto vuoi, ma mantiene sempre le sue promesse. Lui tornerà da noi a romperci le scatole come al solito. Con i suoi stupidi giochetti, battute pessime, la sua risata contagiosa e quel sorriso.. oddio.. lo vorrei prendere a calci quando fa quel sorriso- spiegò l’irlandese con una lieve risata infondo. -Sarà di nuovo il nostro Lou- tintinnò poiché non era completamente certo del fatto che s sarebbe rimesso in sesto, però ci sperava davvero. Almeno questa fuga servirebbe a qualcosa, oltre a far saltare i nervi a loro. 
-Come fai a non essere arrabbiato-
-Amico, lo sono. Però non è essere infuriati il modo per aiutarti-
esclamò, ridendo seguito dagli altri. -Ora, andiamo a cercare dov’è andato quell’imbecille. Così appena lo prendo lo uccido con le mie stesse mani- aggiunse, sollevandosi dal terreno e allungando le mani verso il suo migliore amico. Le fissò con titubanza, ma le accettò comunque. Una volta su, lo abbracciò.
-Grazie, Nialler- gli sussurrò, battendogli qualche pacca.
-Non devi neanche dirlo- rispose, sfregandogli la mano sulla schiena. Dovevano stare uniti e aiutarsi a vicenda in quella situazione sgradevole. Infine insieme alle due donne rientrarono per attendere i loro amici, i quali arrivarono una mezzora dopo, e cominciarono il loro giro di ricerche, non tenendo neppure in considerazione Troy e la sua famiglia.
 

*Brooke*
La serata precedente era stata piacevole. Finalmente dopo tanto tempo eravamo solo io e Dylan in un’atmosfera romantica e leggera. Si era comportato come un vero gentiluomo e ciò gli fece guadagnare più punti. Adoravo i suo lato dolce e rispettoso. Cosa che anche Louis lo era, però aveva un certo fascino sfoggiato dalla figura del mio futuro marito. O almeno così m’imponevo ogni volta che mi veniva in mente il viso, le parole del cantante. La serata continuò al meglio: andammo a fare una passeggiata sotto le luci serali delle strade londinesi e, tornando a casa, ci baciammo con intensità fino ad andare in camera nostra sul letto, oggetto su cui mi risvegliai in quel preciso istante a causa della suoneria del mio cellulare. Mi lamentai e mi portai il cuscino sulla testa per non udirlo più. Tuttavia non funzionò poiché quel coso persistette. Sbuffai e risposi senza neanche vedere chi fosse il destinatario.
-Sarà meglio per te che sia importante perché se no ti uccido con le mie stesse mani chiunque tu sia- lo minacciai, sentendo anche la risata cristallina del mio fidanzato di fianco a me.
“Irascibile come al solito cara sorella” rise Elizabeth al di là del telefono.
-Che c’è?- sbottai, stiracchiandomi e strofinandomi gli occhi con le mani per svegliarmi meglio.
“Ti volevo invitare al barbecue della famiglia Miller” la mise al corrente, urlando a tono teatrale l’ultime due parole.
-Passo- rispose subito, notando il chiaro disaccordo di Dylan.
“Ma, ma.. o andiamo, che hai da fare per saltare questa tradizione?” si lamentò. Avevo mezza intenzione di urlarle in faccia tutta la verità e stavo anche per farlo se non fosse per il ragazzo, che scosse la testa e mi rubò il telefono.
-Ciao Elly, sono Dylan. Diciamo che ci hai preso in un momento per nulla facile: il matrimonio sta arrivando e dobbiamo scegliere ancora tante cose, però la prossima volta accettiamo volentieri- mentì, lanciandomi un’occhiata fugace. Si, va bene, lui era molto più bravo di me a restare calmo, eppure non sopportavo più il fatto che continuassero a mentirmi senza pudore. Perché farlo?  Mi voltai completamente dall’altra parte, coprendomi bene con il lenzuolo blu il mio corpo nudo. -Certo, ci si vede. Ciao- terminò la chiamata, voltandosi verso di me. Mi prese tra le sue braccia, posando il telefono sul mio comodino. -Lo so che non ci vuoi andare, ma trattarla male non ti servirà a nulla-
-Loro mi stanno nascondendo la verità da tre fottuti anni- borbottai, sbattendo un pugno sul materasso.
-Hai completamente ragione e.. o merda!- esclamò, alzandosi di scatto. -Sono le otto- mi annunciò, facendomi spalancare gli occhi in maniera disumana. Dovevo essere al lavoro poiché il mio capo passava per ogni singoli uffici per esaminare i progetti. E dato che il mio era stato approvato, di sicuro non mancherà le sue raccomandazioni e sarà anche uno dei primi che farà. Poi dovevo anche accompagnare Sheyleen all’asilo. Cavolo, quella mattina la mia salute celebrale non ce la faceva.
-Cazzo- imprecai, alzandoci completamente e iniziandoci a preparare in fretta e furia. Con i pantaloni addosso e in reggiseno, andai nella camera della piccola per svegliarla, ma non ce ne fu bisogno visto che era già pronta e stava guardando la tv.
-Ciao Brooke- mi salutò con un piccolo sorriso.
-Come fai.. ok, non importa. Dai, andiamo che è tardissimo-
-L’accompagno io, tu vai tranquilla-
ci fu una voce femminile dietro di me, la quale mi fece sussultare. Mi girai e ci trovai Paige divertita. -Oggi sono a casa e ieri sera le ho detto che l’accompagnavo io-
-Grazie, mi stai salvando- dichiarai, baciandole la guancia e finendo di prepararmi. Ci impiegai cinque minuti e corsi immediatamente verso la macchina, salutando mia figlia con un bacio volante. Dovevo dire che si erano divertite tanto a vedermi scattare da una parte all’altra di quell’appartamento come una squilibrata mentale. In ogni caso, ero riuscita ad arrivare in azienda proprio nell’esatto momento in cui il dirigente dell’azienda stava per dirigersi nel mio ufficio. Sospirai e mi sistemai per bene, anche psicologicamente. Lo salutai cordialmente e quella visita di una quindicina di minuti poteva incominciare.
 

*Autrice*
I ragazzi avevano provato in quelle ore a informarsi su ogni possibile hotel nelle vicinanze di Londra. Avevano anche azzardato a chiamare Mark e tutti i suoi amici di Doncaster, facendoli allarmare di poco. Soprattutto Stan. Egli non si capacitava di quella fuga. Era anche vero che in quei mesi aveva ricevuto di rado sue notizie e venire adesso a conoscenza del malessere del suo migliore amico non lo calmava affatto. Così cominciò anche lui le sue ricerche.
I quattro cantanti con le quattro donne provarono di tutto, ma fu del tutto inutile: Louis pareva essere stato inghiottito dalla terra.

-Nulla- sbuffò Zayn, sedendosi sul divano. -Abbiamo passato le ultime due ore a chiamare ogni singolo hotel e tutti i suoi amici per nulla- aggiunse sconfortato.
-Ci sono ancora due possibilità- azzardò Liam all’estremo delle forze.
-Brooke ed Eleanor- capì Megan, guardandolo e mordendosi la guancia interne indecisa sul che fare. Non era completamente sicura che fosse da loro, eppure tentare non costava nulla.
-Io provo Brooke- si offrì Perrie, munendosi del suo iphone.
-Ed io, Eleanor- annunciò Lottie. Fu lei la prima a chiamare, azionando il vivavoce. -Ciao, El. Sono Lottie-
“Ciao” mormorò la castana, soffiandosi il naso. Non stava affatto bene. Era seduta su quel divano dell’hotel norvegese con lo sguardo del tutto assente e stanco. Aveva speso la notte a piangere e ora era stremata.
-Tutto ok?- tentò di chiedere, però il risultato non fu quello voluto perché ricominciò a piangere e la cornetta fu presa dal suo migliore amico Max, che era abbastanza infuriato con Louis per averla lasciata su due piedi senza uno straccio di spiegazione.
“Lottie, sono io Max. Sappi che io ti voglio bene, ma non appena trovo tuo fratello lo uccido! Come ha potuto lasciarla in quella maniera?” urlò il ragazzo, facendo spalancare gli occhi a tutti.
-Lasciarla? Max, che dici?-
“Si, l’ha mollata. Ora Eleanor è qui distrutta. Non poteva che tornasse a Londra? E che diamine”
esplose, concedendo uno sguardo malinconico alla ragazza.
-Max.. io non ne sapevo proprio nulla. Infatti l’ho chiamata per chiederle se Lou fosse lì con lei..- la sua voce si spense, rassegnandosi al fatto che non era neanche il quel posto. E allora dove, maledizione? S’infuriò di nuovo. -Mi dispiace ancora, Max. Salutami Eleanor- terminò la chiamata, mollando il suo corpo esausto sul divano.
-Perfetto. Opzione due, tocca a te- esclamò ironicamente Harry, indicando Perrie, la quale acconsentì, seguendo la stessa procedura. Appoggiò il telefono con l’autoparlante sul tavolino e attesero pazientemente. Ci dovette provare anche una seconda volta a causa della segreteria telefonica.
“Pezz, ho da fare” rispose Brooke, allontanandosi da quella sala poiché aveva attirato fin troppi sguardi su di sé.
-Un secondo, Bis- la pregò, cinghiando le gambe del fidanzato istintivamente. L’altra ragazza a quel tono disperato sospirò e concesse uno sguardo ai suoi assistenti, che stavano parlottando tra di loro.
“Non puoi proprio aspettare fino a questo pomeriggio. Facciamo così vieni da me e me lo dici diret..”
-Riguarda Louis-
l’interruppe, seminando silenzio tra tutti. Brooke si immobilizzò sul posto e il suo cuore perse addirittura un battito a quel tono serio e cupo.
“Che è successo?” bisbigliò. “Pezz, che gli è successo?” ripeté con più coraggio, allarmandosi. A quella preoccupazione tutti compresero che non si nascondeva neppure da lei.
-Nulla- sussurrò delusa
“Mi hai lanciato una bomba simile e mi dici nulla? Perrie che diamine sta succedendo?” s’arrabbiò.
-è scappato e pensavamo che fosse da te- confessò, scuotendo la testa sconsolata.
“Perché?” balbettò, imponente. Provava un rimorso interno, tanto da incolparsi di quell’azione sconsiderata. Si sentiva colpevole.
-Non lo sappiamo- le affermò.
“Hai provato a chiedere a sua madre?” tentò.
-è qui con noi- replicò la bionda, fissando la donna incinta, seduta alla poltrona con le braccia sulle ginocchia e le labbra, posate sulle dita, racchiuse a pugno. I suoi occhi studiavano quel telefono speranzosa.
“Oh.. aspetta non sono in vivavoce, vero?”
-No, tranquilla-
la ingannò e si beccò anche una piccola sberla da parte di Megan per quella menzogna.
“O gra.. aspetta, i ragazzi non hanno un tour questo mese?”
-Si, il venti partono. Perché?-
confermò Perrie, annuendo.
“Ragiona con me: se hai un importante lavoro per cui hai bisogno di provare e stai male, per esonerarti, a chi lo devi chiedere?” la spronò, incamminandosi verso il suo ufficio.
-Al capo- rispose immediatamente.
“Esatto! Se Louis vuole allontanarsi, deve per forza chiedere a Simon giorni di riposo. Soprattutto se hanno un importante tour tra qualche giorno. Perciò rintraccia lui” le spiegò, sentendosi più leggera e orgogliosa di quella deduzione corretta.
-Bis, sei un fottuto genio- urlò Niall, scattando in piedi. Anche gli altri tre copiarono e non appena ne recuperarono un mazzo, si fiondarono in casa discografica in un batter di ciglia.
“Grazie.. aspetta.. era Niall.. Perrie!” le urlò contro, realizzando che la bionda le aveva mentito. La diretta in questione assunse una faccia colpevole e rise leggermente. Si scusò e terminò quella chiamata. In quella casa regnavano solo le donne e confidavano specialmente in buone notizie.
 

I quattro ragazzi arrivarono davanti l’edificio della SYCO e non si fecero problemi a raggiungere l’ufficio del loro capo. Bussarono parecchie volte e vennero accolti con un leggero fastidio. Simon ritornò alla sua scrivania, intendo di programmare i suoi impegni in modo perfetto e coinciso.
-Tu lo sapevi- lo accusò Harry, intimato dagli altri tre a stare calmo.
-Sapere cosa, di preciso?- s’informò dubbioso l’uomo, smettendo di lavorare. Li fissò con le sopracciglia incurvate, anche se era a conoscenza di dove stavano andando a parare.
-Louis se n’è andato- gli annunciò Liam con più tranquillità, eppure la parola non si addiceva a nessuno dei quattro in quella situazione. -Volevamo sapere dove, ovviamente se lo sai- gli richiese, gentile. L’uomo annuì, comprendendo lo stato d’animo dei suoi ragazzi, ma aveva promesso all’altro di non proferire parola e preferiva eseguire.
-Lo so- rispose, lasciando la frase in sospeso.
-Ma?- chiese per l’appunto Niall, comprendendo quel proseguimento.
-Venite a sedervi- li propose, indicando le sedie di fronte a lui. I diretti in questione rifiutarono quell’invito e stavano leggermente perdendo la pazienza. Di questo, Simon lo constatava dai pugni chiusi lungo le braccia di Harry. Così sospirò e si recò da loro. -So, dov’è, ma mi ha chiesto di non dirvelo-
-Simon, siamo preoccupati-
-Lo so-
lo interruppe bruscamente. -Lo so, ragazzi, eppure dovete mettervi anche nei suoi panni. Lui vuole davvero essere trovato?- rigirò la domanda, facendoli riflettere. La risposta era chiara a tutti, ma ciononostante non ammettevano la cruda realtà. -Sentite, Louis in questi anni ha passato di tutto e voi ne siete a conoscenza meglio di chiunque.. Anche in questi giorni, in cui ha perso il suo mondo- fece una piccola pausa. -Perché non cominciate a riflettere che questa “fuga”, chiamiamola così, possa avere un aspetto positivo? Si è allontanato da quel clima teso e oppressivo. Da quella malinconia che si è portato dietro per fin troppo tempo. Aggiungiamo anche che non voleva più farvi preoccupare. Perciò, ragazzi, io non vi sto dicendo di non cercarlo e trovarlo, anzi sto chiedendo di rispettare questa decisione improvvisa e sperare come me che non appena tornerà, sarà il vecchio Louis, che conosciamo tutti- concluse con un tono bonario. I quattro rimasero stupiti da quel discorso profondo e cominciarono a ragionare. Guardandosi tra di loro, intesero che non potevano fare nulla, che accettarla e aspettare come tutti.
-Sei sicuro che tornerà come prima?- boccheggiò Zayn, indeciso.
-Dobbiamo confidare in questa probabilità- rispose Simon, riappropriandosi del suo posto. Egli prese un pezzetto di carta e ci scrisse qualcosa sopra. In un secondo momento lo passò a Zayn. -Se volete aiutarlo e fargli del bene, sono sicuro che lo butterete in quel cestino raggrinzito là, senza neppure leggerlo- li mise alla prova. Il moro lo accettò e se lo passò tra le mani. Si voltò verso i suoi amici, titubanti anche loro. Cosa dovevano fare? Si interpellarono tutti. Loro erano in cerca di una risposta per essere utili in una situazione completamente opposta. Ringraziandolo, se ne andarono lentamente e con la medesima decisione, Zayn buttò il foglietto dentro il cestino, proprio come era stato predetto. Avevano voglia di aiutarlo? Allora avevano svolto il loro compito. Simon sorrise soddisfatto e si riconcentrò sul suo lavoro. Invece i tre ragazzi con un piccolo rimorso, si avviarono verso casa per informare le donne.  

 

*Brooke*
Ero ancora allarmata per la questione di Louis, nonostante Perrie mi avesse calmata, affermandomi di averlo ritrovato. Il suo tono mi infondeva una sensazione di menzogna, però lasciai perdere. Così, quel pomeriggio, dopo aver terminato il mio compito lì in azienda, uscii in tempo per recarmi a prendere mia figlia. La caricai sulla macchina e ce ne ritornammo a casa, in cui per mia sorpresa vi erano il mio fidanzato e la mia amica Queen sul divano a chiacchierare allegramente.
-Buon pomeriggio a tutti- salutai con enorme sorriso, concedendo un bacio a fior di labbra a Dylan, che ricambiò molto volentieri, e uno sulla guancia alla mia amica. Mi stravaccai sulla poltrona e la piccola Sheyleen mi raggiunse poco dopo, sedendosi sulle mie gambe con il suo pupazzo bianco, intenta a vedere i cartoni animati. Accennammo una piccola risata e l’accontentammo.
-Glielo diciamo?- mormorò la bionda, catturando la mia attenzione. Inarcai un sopracciglio.
-Dirmi cosa?- domandai, leggermente confusa. I due si scambiarono un’ennesima occhiata loquace e sospirarono.
-Tua sorella ha richiamato e ha chiesto se volevi andare li- m’informò timorosa la mia amica.
-Non si è rassegnata- commentai infastidita, pizzicandomi il naso.
-Amore- mi richiamò dolcemente Dylan, avvicinandosi e impossessandosi della mia mano. Constatai in un primo momento lo sguardo seccato di Queen tanto che distolse lo sguardo in pochi istanti. Forse era solo una mia immaginazione. -Dovresti andarci e chiarire una volta per tutte- mi consigliò. -è pur sempre la tua famiglia-
-Che mi ha mentito. Non riesco più nemmeno considerarla tale-
-Ma comunque devono avere la possibilità di giustificarsi, no?-
rigirò la domanda, facendomi riflettere. Infondo aveva ragione, io non sapevo il motivo per cui mi avevano ingannata in questi tre anni. Sbuffai e portai lo sguardo su Sheyleen, la quale era concentrata sulla televisione. Mi morsi la lingua e appoggiai il viso sopra la spalla della piccola.
-Odio quando hai ragione- commentai, facendolo ridere. -Tesoro, ti va di venire con me?- mi rivolsi a mia figlia.
-Dove?- mi chiese ingenuamente.
-Intenti portartela seriamente?- mi domandò invece Queen, alzando un sopracciglio. Riportai lo sguardo a lei, confusa.
-Perché no? Almeno non possono scappare di fronte alla realtà- mi giustificai, alzandomi. Dovevo partire subito se volevo arrivare presto a Broomfields. -Shey, vieni- ordinai gentilmente alla piccola, rifugiandoci un attimo in camera per riempire una borsa, la quale conteneva il cambio di un giorno, e poi ci dirigemmo alla porta. Lei l’aprì e ne uscì, contenta; al contrario di me, che mi fermai a salutare il mio futuro marito. -Tornerò presto- gli annunciai, tra le sue braccia muscolose.

-Io sarò qui- mi rispose tranquillamente, concedendomi un bacio sulla nuca. Annuii e, salutando anche la mia amica, raggiunsi Sheyleen in ascensore. Dentro, premetti il pulsante del piano terra e sbuffai leggermente. Ci impiegò un breve istante e in seguito ci dirigemmo in macchina. Eravamo pronte a partire.
 

Il viaggio comprese quelle due solite ore abbondanti visto che non vi era coda. E quando fui all’inizio del paese, le mie mani cominciarono a sudare sul volante e il cuore accelererò di qualche battito. Sospirai, rilassandomi, e concessi qualche sguardo alla bambina, che osservava il panorama affascinata.
-Louis non ti aveva mai portata da queste parti?- domandai curiosa. La piccola mi degnò immediatamente di uno sguardo triste e negò con la testa, scompigliandosi i capelli biondi. -Beh, non ti sei persa nulla- commentai con un piccolo sorriso. Lei acconsentii e ritornò ad affascinarsi del panorama. Svoltai in una piccola strada e una serie di casette conosciutissime si pararono davanti ai nostri occhi. La tensione e l’ansia stavano crescendo sempre di più, in particolar modo quando parcheggiai davanti alla mia villetta. Spensi il motore e sbuffai. Prima si affrontavano le cose e prima sarei stata meglio, ottenendo anche le risposte. A questo proposito anche un senso di rabbia si aggiunse al mio stato d’animo. Afferrata la borsa, scesi dal veicolo insieme alla piccola e, prendendola per mano, giungemmo alla porta. Bussai un paio di volte, perlustrando il territorio. C’erano delle macchine, probabilmente dei miei soliti parenti per quel famoso avvenimento. Passi frettolosi si udirono approssimare sempre di più finché la figura di mia sorella non spalancò la porta e il suo sorriso si spense non appena mi vide con la bimba. Non pareva più cosi entusiasmata di vedermi. In quell’esatto momento capii l’immensa delusione inflitta da mia sorella: l’unica persona di cui mi fidavo ciecamente.

Ciaoo :)
Eccovi dopo secoli il 24esimo capitolo di Remember When.
Non mi fermerò tanto su questo spazio autrice perché i compiti delle vacanze mi stanno chiamando disperatamente D:
Comunque, vorrei ringraziare le solite persone: chi la legge, recensisce; chi l'ha messa tra preferite/seguite/ricordate e a Sara_Scrive per il meraviglioso banner.
Spero che vi sia piaciuto e se è così me lo fareste sapere attraverso una piccolissima recensione? Così da sapere le vostre opinioni u.u
Ci si vede :D
Ciaooo xx

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