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Autore: Nana_EvilRegal    27/08/2015    1 recensioni
Nana ha una vita sicuramente non adatta ad una ragazza di sedici anni come lei. Probabilmente sarebbe inadatta per chiunque, a qualsiasi età. Eppure lei è lì.
Vive.
Ci convive.
La accetta.
Combatte. Anche che non sempre sembra che lo faccia.
Nana vorrebbe essere come una ragazza qualsiasi. Come tutte le altre.
O forse no.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~~Violence.

Quella sera alle otto ero davanti all’ingresso di quella sagra. Sapevo che avrei rivisto persone di cui non avrei voluto sapere più nulla. Presi un respiro prima di fare quegli ultimi tre passi per entrare. Pinky era accanto a me. I suoi capelli biondo platino si erano allungati e ora le arrivavano poco sotto le spalle. Diceva sempre che sarebbe andata a tagliarli, ma io sapevo che le piacevano così. Mi accompagnò fino al punto in cui avrei dovuto vedere quella ragazza con cui avrei dovuto passare la serata. Non era ancora arrivata. Ci mettemmo sedute su una panchina. Mano nella mano. I ragazzi lì intorno ci guardavano in modo strano, ma nessuna delle due sembrava farci caso.
- Ti conoscono vero?- mi voltai verso di loro. Conoscevo i loro nomi uno ad uno.
- Sì, non ho mai avuto un buon rapporto con nessuno di loro. No, lui era il mio fidanzato. Una storia strana, ma la conosci già- lei sorrise e annuì.
- E quindi era lui… Hai migliorato i tuoi gusti nel frattempo- non riuscii a soffocare una risata. Non riuscivo a ricordare quando era stata l’ultima volta che avevo riso così.
- Questo lo so- dissi sorridendole e appoggiando le labbra sulle sue. Non mi importava cosa avrebbero detto tutti quelli che avevo davanti. Quella era la mia vita. Non avevano il diritto di dire nulla. Sentii qualcuno toccarmi la spalla. Sobbalzai e la bionda che era ancora appoggiata alle mie labbra si staccò di colpo.
- Che cazzo…?- si fermò vedendo che mi ero immediatamente voltata verso chi mi aveva toccata ed ero rimasta pietrificata. Era mia cugina. Ecco, perfetto. Come le avrei spiegato tutto?
- Ciao- dissi come in un sospiro. Lei continuava a sorridere. Mi salutò e si sedette per terra davanti a noi. Io appoggiai una mano al ginocchio della bionda accanto a me. Avevo bisogno di lei. Non avevo davvero idea di come poter affrontare un qualunque argomento con lei.
- Sei venuta a vederci?-
- Sì, sto aspettando una mia amica…- la parola amica era usata più per comodità che per il vero rapporto che c’era tra me e la ragazza con cui avrei passato la serata.
- Ah bene. Tu sei la sua coinquilina?- disse sempre col sorriso in viso distogliendo l’attenzione da me.
- Sì, cioè, in realtà sono quasi tre mesi che si è stanziata a casa mia. Non so se chiamarla coinquilina, sfruttatrice, ospite o cosa- mia cugina si lasciò sfuggire una risata.
- Se sono tre mesi direi che non ti dà poi così fastidio-
- Non ho mai detto questo- la voce di Pinky fino a qualche secondo prima era dolce. In quella risposta era diventata un po’ più dura. Quella parente che speravo di non incontrare neanche se ne accorse. Ci salutò di fretta e se ne andò. Restammo in silenzio per quel minuto in cui aspettammo Chiara. Mi salutò che era ancora lontana con la mano e un sorriso stampato in faccia, ma appena vide al ragazza che tenevo per mano si incupì. Infantile. Pensai, ma non dissi nulla. Prima di salutarmi la ragazza che mi aveva accompagnato mi tirò da una parte.
- Sei sicura di voler restare? Ti conosco e so che non sei a tuo agio-
- Tranquilla sono sicura. Ti chiamo quando posso o mi faccio portare a lavoro?-
- Chiamami, esco io-
- Va bene allora ci vediamo dopo- nonostante i tacchi dovetti alzarmi ancora un po’ per lasciarle un veloce bacio sulle labbra. La guardai allontanarsi poi andai da quella ragazza leggermente in sovrappeso che mi aspettava.

- Allora ti diverti?- una mano mi chiuse la bocca e mi sentii tirare indietro. Sbattei la testa contro il muro e per un attimo tutto intorno a me diventò nero. Ero appena uscita dal bagno per la mia dose di cocaina di tutte le sere. Ero intontita da tutto e non mi rendevo bene conto di quello che stava succedendo. Mi sembrava che le sue mani fossero ovunque. Mi sentii scivolare di dosso i pantaloni e il perizoma li seguì poco dopo. Quello che sentii dopo fu solo dolore. Un dolore così forte da farmi urlare, ma una mano sulla mia bocca me lo impedì. Mi estraniai completamente da quella scena. Chiusi gli occhi e portai la mia coscienza e con lei ogni sensazione fuori dal mio corpo.
- Vedi di non dirlo a nessuno o dovrai vedertela con me- quelle parole segnarono la fine di quella violenza sul mio corpo. Lo vidi allontanarsi. Mi rivestii e me ne andai.

Dovetti aspettare qualche settimana per scoprire cosa intendeva quella voce con “o dovrai vedertela con me”. Io non ne avevo parlato. Avevo passato i giorni successivi chiusa nel bagno con una lametta in mano a tagliarmi nella zona dell’inguine continuando a ripetermi come un mantra le parole di Tommi “ogni taglio ti rende più bella, ti rende più umana”. Umana o no tutto quel sangue che mi scorreva nella zona del mio sesso mi sembrava l’unica cosa che poteva lavar via quell’orribile sensazione che dal 7 luglio non mi abbandonava. Pinky non riusciva più a guardarmi senza provare un velo di compassione e io non sapevo più come fare. Odiavo quegli sguardi. Non riusciva nemmeno più a sfiorarmi. Qualunque cosa ci fosse stata prima di tutto quello era completamente svanita. Stavo camminando vicino alla strada dove lavorava mio padre. A volte mi piaceva passare di lì. Restavo qualche minuto a guardare la finestra del suo ufficio poi me ne andavo. Di solito lo facevo verso l’ora di pranzo dopo la scuola in modo da essere sicura di non incontrarlo neanche per sbaglio. La scuola sarebbe iniziata nel giro di un paio di giorni. Avevo bisogno di schiarirmi le idee sia per quello che nell’ultimo periodo ero tornata a sentire per la mia coinquilina sia per quello che iniziavo a provare per una ragazza molto più piccola di me. Mi sentivo confusa e le mie gambe camminavano da sole. Mi portarono in quella strada. Lo vidi da lontano e pensai di scappare. Andarmene e non voltarmi indietro. In fondo in quello ero brava.
Era più o meno la storia della mia vita: scappa e non guardare il passato.
Era così che avevo affrontato ogni cosa. Spesso, però, il passato bussava alla mia porta e quando non potevo proprio più evitare di lasciargli l’ingresso sbarrato mi buttavo su ogni dipendenza che avevo rischiando tutto.
Rischiando la mia vita.
Lo vidi sorridere e camminare verso di me. Per quanto il mio cervello mi dicesse di andarmene le mie gambe non collaborarono e mi trovai di fronte a lui.
- Allora, l’hai detto a qualcuno?- pensai a Pinky. Non glielo avevo detto, ma lo sapeva. L’aveva capito dal mio comportamento sia in casa, ma, soprattutto, al lavoro. Ero diventata più schiva e se qualcuno alzava una mano per toccarmi facevo sempre uno scatto indietro anche se non avrei dovuto.
- No- sussurrai.
- Non mi mentire- il primo pugno dritto nello stomaco. Sentii i conati di vomito salirmi lungo la gola. Li buttai indietro. Mi rialzai e lo guardai. Cercai di nascondere la mia sofferenza fisica e la mia insicurezza. Mi prese per una spalla così forte da farmi piegare di lato poi mi diede un altro pugno nel fianco.
- Che cazzo vuoi? Ti ho detto che sono stata zitta. Vaffanculo…- mi bloccò dandomi un ultimo pugno sul viso. Se ne andò e io tornai a casa come se niente fosse successo.

Il primo giorno di scuola la mia sveglia suonò alle sei di mattina. La bionda era già sveglia. Entrò nella mia camera meno di dieci minuti dopo e mi trovò con indosso solo un paio di mutande di pizzo.
- Nana io li vedo- mi voltai di scatto. Non mi ero nemmeno accorta che fosse sulla porta.
- Cosa?-
- Tutti quei tagli. So che cerchi di nasconderti, ma conosco e te conosco il tuo corpo. Li vedo e sono aumentati in maniera spaventosa. Inoltre ora non puoi dirmi che tutti quel lividi te li sei fatta per caso. Io ti aiuto tutti i giorni a nascondere quello sull’occhio, ma viviamo insieme e anche se ti sei presa una settimana di vacanza dal lavoro per l’inizio della scuola io in intimo ti vedo comunque e vedo che ne hai uno sulla spalla e uno nel fianco. Vuoi dirmi che succede?-
- Non posso- sbuffò, ma non disse nulla. Prese i soliti trucchi e aspettò che fossi pronta per farmi coprire quel livido che mi teneva una parte della guancia sinistra.
- Grazie- le dissi dandole un piccolo bacio sulle labbra prima di uscire. Nonostante avessi iniziato ad uscire con Giulia e mi stessi innamorando pian piano di lei quell’abitudine con la mia coinquilina non riuscivo a cambiarla. Sapevo che per nessuna delle due significava più nulla, ma anche lei quando usciva mi salutava così. Nessuna delle due avrebbe davvero saputo spiegare il motivo. Era così e basta. Mi incamminai verso la scuola. Un altro anno lì dentro. La mia voglia di stare lì era diminuita sempre di più inoltre non mi interessava più davvero di niente da qualche mese. Sapevo che era cambiato tutto dopo quel fottutissimo 7 luglio, ma fingevo di non accorgermene. Entrai in classe e mi infilai nell’unico banco libero. In prima fila. Accanto ad una persona che detestavo. Poco male, tanto non ero lì per fare amicizia con lei. Le poche persone con cui avevo stretto amicizia mi salutarono, ma io, come se non me ne fossi accorta, andai direttamente in bagno.
Uno, due, tre tagli.
Lo sguardo su quel sangue che mi macchiava l’inguine mi rilassò più di qualsiasi altra cosa. Uscii dal bagno e mi diressi verso l’uscita d’emergenza. Mi ritrovai nel cortile interno sotto la scala d’emergenza per il piano superiore. Accesi quella canna a cui pensavo ormai da una decina di minuti. Una volta finita rientrai in classe. La prof non era ancora arrivata. Presi posto e con il cellulare in mano iniziai a scrivere a quelle poche persone a cui sarebbe importato sentirmi. Quando tutti andarono a sedersi la mia vicina di banco mi toccò il braccio per salutarmi. La fulminai con lo sguardo poi tornai al mio cellulare. Giulia era l’unica con cui riuscivo a parlare intere giornate ormai e mi trovavo ad aspettare i suoi messaggi con sempre più ansia. La professoressa entrò e io finsi di non accorgermene. Non cercai di nascondermi. Sul banco di tutti c’erano diario e astuccio. Sul mio un foglio, una penna, il cellulare, le cuffie, la lametta nel suo solito sacchetto di plastica trasparente, un paio di cerotti, i fazzoletti. Le parole della donna che era entrata mi scivolavano addosso. Nessuno mi disse nulla e io continuai a fare quello che volevo. A fine ora, però, me la trovai dietro.
- Avrei piacere di parlarti- era già arrivato il momento? Sbuffai, ma mi alzai dalla sedia. Che altro potevo fare? La seguii in corridoio. In mano stringevo la lametta. Ero riuscita a sfilarla dal sacchetto e sentivo la sua lama tagliarmi il palmo. Era una sensazione che mi dava un’assuefazione tale da farmi pensare che non potesse esistere nulla di più bello. Ci fermammo davanti alla cattedra dai bidelli. Senza farmi troppi problemi mi ci sedetti sopra. Lei sorrise scuotendo la testa.
- Allora?- strinsi ancora di più la lama.
- Lo scorso anno non ci hai detto nulla, ma… oh per la miseria apri quella mano che stai gocciolando il pavimento- guardai per terra e vidi un paio di gocce del mio sangue. Mi guardai la mano. Era più di quando pensassi. Scivolava tra le mie dita. Risi. Mi alzai e andai in bagno sapendo di essere seguita da una professoressa. Non potei fare a meno di ridere di quella situazione.
- Allora, stava dicendo? E beh… non le conviene guardare- la fissai per qualche istante poi, constatando che non aveva assolutamente intenzione di distogliere lo sguardo, spostai gli occhi sul quel pugno da cui continuava a gocciolare sangue e lo aprii. Il lavandino si macchiò del mio sangue. La sentii fare una smorfia vedendo che la lametta restava lì conficcata.
- Dicevo… l’anno scorso non ci hai detto nulla e io, personalmente, non avevo idea di cosa fosse successo. Ne abbiamo parlato e possiamo anche tenere un occhio di riguardo, ma non possiamo chiudere completamente gli occhi e…-
- Non mi aspetto che lo facciate- mentre lo dissi misi due dita attorno sul pezzo di ferro piantato nel mio palmo e tirai. Feci una smorfia appena la sentii uscire. Un altro “fiume” di sangue mi scorse lungo le dita. Il suo viso si dipinse quasi di stupore.
- Quello che mi risulta un po’ strano è che sono passati mesi e…-
- Dio è successo il 15 aprile. Basta con questa storia- aprii l’acqua e passai la mano sotto il getto. Un’altra smorfia mi dipinse il viso e aspettai che la ferita si pulisse.
- E allora dimmi: cosa è successo?-
- Ma porca puttana non sono mai stata bene. Mi avete mai visto “normale”? Vi rendete conto che ho trovato il cadavere del mio fidanzato quasi un anno dopo e fingete di non vedere tutto il resto. Prendete tutti i provvedimenti che vi pare io quest’anno sono così- rimase interdetta. Io presi la garza e il cerotto a nastro che tenevo in tasca e iniziai a fasciarmi la mano.
- Attrezzata quindi...- non risposi continuando il mio lavoro. Strappai il cerotto coi denti poi uscii lasciandola sola con le parole che le avevo detto.

Nonostante i mesi passassero tranquilli e fossi tornata alla mia routine sveglia-scuola-compiti-fidanzata-lavoro-letto continuavo a girare per strada sempre timorosa e avevo ancora una certa quantità di paura ad uscire da sola. Da luglio non avevo più visto nessuno della mia famiglia ed era quasi gennaio. Mancavano, in realtà, pochissimi giorni a Natale. Con Giulia le cose andavano sempre peggio e sapevo che prima della fine dell’anno si sarebbe definitivamente trasferita a Milano. Non c’era bisogno di parole. Sapevamo entrambe che in quel momento sarebbe finita. Avevo promesso a mia sorella, mentre eravamo ancora in vacanza, che avrei passato quel Natale in famiglia. Non avevo nessuna voglia di fare la solita lunghissima cena con lo scambio di regali finale, ma anche mia cugina continuava ad assillarmi. I miei diciassette anni erano passati da più di un mese, ma non avevo festeggiato con loro e si erano tutti un po’ offesi. Il 20 dicembre alla fine mi decisi a fare quell’indecente proposta alla ragazza che, una volta, era stata bionda con cui vivevo.
- Senti per Natale tu hai dei progetti?- i suoi occhi azzurri si fissarono sul mio viso, ma senza mai incrociare il mio sguardo. Era abituata al mio rifiuto di un contatto visivo e non la infastidiva più. Le mie pupille erano fisse su quei capelli dal rinnovato taglio carré. Poche settimane prima aveva deciso che il biondo platino quasi bianco dei suoi capelli non le piaceva più così era passata ad un rosa chiarissimo. Le donavano molto.
- Immagino che tu ne abbia e che non voglia andare sola- abbassai lo sguardo. Aveva colpito nel segno.
- Ti avevo già detto che il 23 sono a casa di un’amica, ma la sera di Natale mi avrebbero chiesto di andare alla solita cena di famiglia. Hai ragione a dire che non voglio andare sola, ma se mia cugina porta il suo fidanzato perché io non dovrei portare te?-
- Perché noi non siamo fidanzate-
- Sei la cosa più vicina ad una fidanzata che io abbia- rimase immobile.
- Scusa e Giulia dove la metti?- alzai le spalle come se di lei non mi importasse nulla. Non era così, lo sapevamo entrambe, ma non avrei sopportato di passare del tempo a parlare di quella ragazzina di cui ero mortalmente innamorata. Almeno quello era il sentimento che mi sembrava di provare.
- Con lei è finita e non voglio portarmi dietro una bambina dell’età di mia sorella. Poi, comunque, cosa ti costa accompagnarmi?- sbuffò poi accettò. Quello stesso pomeriggio andai, in autobus, fino al centro commerciale. Visto che sarei andata avrei dovuto trovare regali per me stessa da spacciare per comprati da qualcun altro. Lo sapevamo tutti come funzionava eppure quella facciata di falso buonismo permeava così tanto la mia famiglia che tutti fingevano di credere che fosse davvero un regalo da parte di qualcun altro.

Guardavo tutte quelle cose inutili che mi sarei fatta regalare. Non potevo farmi dare in regalo ciò di cui avevo davvero bisogno: una parrucca bionda, una blu, un completo intimo di pizzo nero, uno dorato e corsetto nero. Avrei avuto bisogno anche di un paio di scarpe col tacco alto argentate, ma quelle me le sarei fatta prestare. No, con la mia famiglia dovevo sembrare una qualunque diciassettenne. Mi ero fatta consigliare da quelle poche mie compagne di classe che ancora mi sopportavano. Alla fine ne ero uscita con dei cd e dei libri. Meglio di niente. Posai di nuovo tutto nella sporta. Feci per alzarmi dalla panchina, ma una mano sulla spalla mi bloccò. Mi voltai di scatto.
Lui.
- Io te l’avevo detto di stare zitta- un brivido mi percorse la schiena.
- Così è stato- risposi con voce ferma. Qualcosa in me era più calmo di quanto pensassi e quel qualcosa mi diede la forza di alzarmi in piedi e mettermi a un paio di passi da lui.
- Sempre con queste bugie-
- Cosa vorresti farmi? Anche se avessi parlato, e così non è, cosa pensi di potermi fare? Vuoi menarmi di nuovo? Qui? Davanti a tutti? Non credo che ti convenga sai?- il mio tono era così fermo da farmi quasi spaventare. Tornai col pensiero a quello che avevo fatto poco prima. Eroina. Ecco cos’era. La sentivo quasi muoversi nelle mie vene. Sorrisi al pensiero di quella sostanza e alla calma che mi stava dando in quel momento di panico.
- Non ho bisogno di menarti. Posso fare molto peggio. Io so cose di te che non vorresti che si sapessero in giro- il sangue mi si gelò nelle vene e con lui anche quella sostanza che ci avevo iniettato una decina di minuti prima. Come potessi essere in grado di parlare e di reagire così dopo che era passato così poco tempo dal momento in cui lo stantuffo era sceso lungo la siringa restava, per me, un mistero. Cosa poteva sapere quel ragazzo di me? Ok, sapeva tante cose, ma tutte di un passato che, se all’epoca mi aveva fatto soffrire, ora mi sembrava un quadretto idilliaco della mia vita.
- Tu non sai proprio niente. Se pensi che queste minacce funzionino con me ti sbagli- solo in quel momento mi resi conto che vicino a noi si erano fermate due donne. Mi guardavano. Le guardai. Le conoscevo. Due professoresse che non sarebbero dovute essere lì. Cercai di scacciare l’ulteriore panico che mi attanagliò il cuore. Niente attacchi di panico. Non in quel momento. Dovevo restare il più concentrata possibile su quello che sarebbe uscito dalla bocca del ragazzo.
- Ti sei dimenticata di tutto quello che facevi alle medie? Andare a casa prima fingendoti malata, le risse…- risi.
Una risata che spaventò persino me.
Una risata di cui avevo estremamente bisogno.
Una risata che mi graffiò la gola.
Tornai a guardarlo. Era interdetto. Non si aspettava di certo una reazione simile. Mi dimenticai delle persone che si erano fermate intorno a noi.
- E a chi pensi di dirlo? Ai miei genitori? Sai che paura. Neanche vivo più con loro- presi tutta la mia roba e me ne andai di corsa lasciando tutti lì con quella verità sospesa davanti ai loro volti.

Mi bastò aspettare la fine della prima ora il giorno successivo per sentirmi ripetere quelle parole che sapevo sarebbero arrivate di nuovo: avrei piacere di parlarti. Di nuovo con la lametta in mano e una siringa sempre pronta nella tasca della felpa. Ne avrei avuto bisogno dopo aver parlato. Lo sapevo. Uscii dalla classe mentre gli occhi di tutti tornarono a posarsi su di me. Sapevo di non poter tener nascosto quello che era successo anche se ci avrei provato.
- So che non dovrei entrare nella tua vita, ma vedo quanto influisca qui quindi non posso nemmeno restare zitta. Cosa è successo?- sbuffai.
- Niente- davanti alla mia voce dura in molti si sarebbero arresi soprattutto conoscendomi e sapendo che non cambiavo facilmente idea.
- Ti ho vista ieri- non aveva bisogno di altre parole per farmi capire che non avrebbe accettato un altro no come risposta.
- Beh ho avuto dei problemi con quel ragazzo ok?-
- Sì questo l’ho notato, ma cos’è successo e davvero non vivi con i tuoi genitori?-
- Ma porca Madonna perché nessuno si fa mai i cazzi suoi? Mi ha violentato ok? E sì, non vivo con i miei genitori da aprile dell’anno scorso. Sempre in ritardo, buongiorno- strinsi la lametta nella mano e sentii la pelle lacerarsi, ma allentai subito la presa per non ripetere la scena di qualche mese prima.

NdA: facendo qualche corsa e tardando a qualche appuntamento sono puntuale a pubblicare anche questo capitolo. Non è stato un capitolo facile da scrivere, ma, in fondo, quale lo è? Grazie per la pazienza e per aver avuto la pazienza di leggere. Grazie a chi mi fa la recensione e a chi legge e basta. Insomma, grazie a tutti.
Per qualsiasi cosa, o anche solo per vedermi fangirlizzare come una matta mi trovate su twitter come @Nana_Fangirl.

   
 
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