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Autore: Betta7    29/08/2015    6 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6.
PROPOSTA INDECENTE.

Pov Sana.

Erano ormai tre settimane che Natsumi era costretta in un letto d'ospedale, e i medici ci davano sempre meno speranze sul suo risveglio.
Il signor Hayama e Akito erano distrutti, passavano tutte le giornate in ospedale e non la lasciavano sola nemmeno per un'ora. Io cercavo di fare il più possibile, preparavo loro da mangiare - anche se non promettevo mai nulla sul risultato - e cercavo di convincere entrambi ad andare a casa e riposarsi almeno per un paio d'ore, ma nessuno dei due mi prestava attenzione.
I medici ormai mi trattavano come se fossi stata una parente stretta e, se nè Akito nè suo padre erano presenti, non si preoccupavano di dire a me quello che stava succedendo.
L'ultima volta mi avevano schiettamente comunicato che la situazione di Natsumi si stava aggravando e che avrebbero voluto indurre il parto per evitare che la bambina subisse danni.
Io non ero molto d'accordo inizialmente, Akito neanche a parlarne, ma quando avevamo capito che era l'unico modo per salvare la bambina, avevamo accettato. Il signor Fuyuki fu più complicato da convincere, avevamo dovuto fare ricerche su ricerche per convincerlo che non c'erano rischi per la vita di Natsumi anche se non ne eravamo molto convinti neanche noi.
L'intervento era fissato per la settimana successiva, i dottori volevano attendere ancora per permettere alla bambina di svilupparsi meglio prima di farla nascere, e io speravo solamente che sarebbe andato tutto bene.
Mentre ero seduta nella sala d'aspetto notai che ero da sola, anche se Natsumi non era l'unica persona in terapia intensiva. Accanto a lei c'era un ragazzo, di tredici o quattordici anni, che i medici non facevano altro che rianimare in continuazione. Aveva perso tutta la sua famiglia in un incidente stradale, un po' come Natsumi, e io mi chiesi se fosse giusto combattere quando, al risveglio, si sarebbe ritrovato orfano.
La vita di Natsumi era appesa a un filo, così come quella di sua figlia, e anche lei al risveglio avrebbe potuto ritrovarsi cambiata. In compenso, però, lei aveva ancora una famiglia.
Alzai lo sguardo e un medico mi fece cenno di avvicinarmi, e dal suo sguardo la cosa non era sicuramente qualcosa di buono.
«Signorina Kurata, riferisco a lei visto che i signori Hayama non sono presenti...». Lo guardai, sperando che la notizia che stava per darmi non fosse peggio di ciò che mi aspettavo già. «La bambina, non appena nascerà, sarà immediatamente data in affidamento, viste le disposizioni della madre. Io sono stato contattato dal centro adozioni e, visto che la signorina Hayama aveva già incontrato una serie di coppie per la possibile adozione, bisognerà solo che i servizi sociali scelgano la famiglia adatta per una bambina così piccola e bisognosa di cure.»
«Natsumi si risveglierà e non sarà contenta di sapere che sua figlia è stata messa in un programma di adozioni, senza il suo consenso finale.»
«Non so che dirle, io posso solo riferirle ciò che mi è stato detto, in ogni caso il suo fidanzato e suo padre perderanno tutti i suoi diritti legali.»
Lo bloccai subito, chiarendo che tra me e Akito non c'era nulla, e che il signor Hayama non era sicuramente mio suocero.
«Non è importante la sua relazione in questo momento, l'importante è la bambina e dovete interessarvene voi, viste le condizioni della signorina Hayama.»
Ringraziai il dottore e lasciai l'ospedale, quando vidi che il signor Hayama era arrivato.
Non sapevo cosa fare, se Akito avesse saputo cosa stava succedendo avrebbe pensato di certo a qualcosa, e l'unica cosa che potevo fare io era contattare il mio avvocato.
Lo chiamai strada facendo, mentre andavo a casa di mia madre, avevo bisogno di lei e dei suoi consigli.
L'avvocato mi assicurò che avrebbe fermato il processo per l'adozione, almeno fino a quando Natsumi non si fosse svegliata.  
Quando arrivai a casa di mia madre mi sentii stranamente nervosa, erano giorni ormai che le nostre telefonate erano molto brevi e ci eravamo sentite solamente quando chiedeva notizie sullo stato di Natsumi. Non le avevo raccontato nulla, nè di Akito nè degli ultimi sviluppi tra di noi, prima dell'incidente, quindi sapevo già che avrei subito un interrogatorio non appena avrei varcato la soglia.
E così fu, non ebbi nemmeno il tempo di togliermi le scarpe che mia madre si fiondò su di me e mi accompagnò in salotto. La signora Shimura venne a portarci un tè e, dopo avermi dato un rapido bacio, ci lasciò sole chiudendosi la porta alle spalle.
«Come sta Natsumi?». Mia madre era stranamente calma quel giorno, non sapevo se interpretarlo in modo positivo o negativo. Comunque, le spiegai che la situazione era molto critica, le raccontai anche della bambina e da lì la vidi cambiare espressione.
«Mamma, cosa c'è? So capire quando muori dalla voglia di dirmi qualcosa.».
Mia madre rise sotto i baffi, e allora mi rilassai, pensando che fosse una delle sue stranezze.
«Stavo pensando...»
Già la cosa era un pericolo...
«.. mi hai detto che la bambina ha bisogno di un nucleo familiare stabile.»
Annuii, invitandola a continuare, ma sapevo già dove voleva andare a parare, ma non immaginavo di certo la pazzia del suo discorso.
«Tu e Akito siete molto affiatati. Non pensi che... magari... potreste... darle voi quel nucleo familiare stabile?».
Guardai mia madre, non capendo fino in fondo cosa volesse dire, mi accorsi che aveva detto l'ultima frase tutta d'un fiato e mi venne quasi da ridere.
Capendo di avermi lasciato interdetta continuò senza che io la invitassi a spiegarmi.
«Intendo dire che... potresti accalappiarlo una volta per tutte e farti mettere la fede al dito!!».
Lei scoppiò a ridere e io non riuscii nemmeno a pensare a quell'ipotesi, quindi non ce la facevo neppure a ridere.
Guardai mia madre come se fosse un alieno, e nel frattempo realizzai del tutto la sua proposta.

SPOSARMI CON AKITO?

Non potevo.
E c'erano miliardi di motivi per non farlo: litigavamo in continuazione, anche quando si trattava del gusto del gelato - io categoricamente vaniglia e lui categoricamente cioccolato - e non eravamo mai d'accordo su nulla... come potevamo portare avanti un matrimonio, anche se di facciata, con delle basi così disastrose?
E poi, parliamoci chiaro, lui non avrebbe mai acconsentito a sposarmi. Mi aveva sempre visto solo come un'amica e io d'altro canto non riuscivo a capire davvero quali erano i miei sentimenti. L'unica cosa che sapevo era che, ogni volta che l'avevo accanto e che lo sfioravo, il mio stomaco faceva le capriole, ma non ero sicura di poter definire una sensazione del genere.
Nel frattempo mia madre aveva cominciato un discorso su quanto quel matrimonio potesse essere vantaggioso per tutti: per la bambina in primis, che così non avrebbe rischiato di finire in una casa famiglia, ma anche per noi... avremmo potuto dare finalmente un nome al nostro legame.
Ma la cosa importante per me era chiedermi se ero pronta o meno a diventare una moglie e, soprattutto, un genitore.
Volevo pensare che Natsumi si sarebbe risvegliata, che avrebbe finalmente abbracciato la sua bambina, ma non ero più così ottimista come quando ero piccola e le mie speranze si affievolivano ogni giorno di più.
Tornai a casa mia, tranquilla perchè sapevo che in ospedale c'era il signor Fuyuki e mi addormentai profondamente mentre pensavo e ripensavo all'idea di mia madre.
Cosa avrei dovuto fare?
Forse sposarmi era davvero l'unica soluzione.

Pov Akito.

Casa mia era vuota senza Natsumi. Mi voltai a guardare la cucina e senza la sua risata, il suo pancione, e i mille manicaretti che mi preparava tutto mi sembrava così... vuoto.
Non sapevo più cosa pensare, il dottore mi aveva contattato per riferirmi ciò che sarebbe successo in merito alla bambina. Non potevo credere che mia nipote sarebbe finita nelle mani di due estranei e, soprattutto, non potevo accettare di non poter fare nulla.
Dovevo fare qualcosa, anche la più estrema.
Mentre mi stavo preparando per andare a letto, il campanello di casa mia suonò improvvisamente. Era mezzanotte passata, mio padre era in ospedale con mia sorella e nessuno dei miei amici mi aveva avvisato di un'ipotetica visita.
Scesi al piano di sotto e, quando aprii la porta, mi ritrovai davanti Sana.
«Cosa ci fai qui?». La invitai ad entrare e chiusi la porta, ma lei non parlava.
«Mi dici che ti è successo?» la incalzai, ma lei sembrava assente.
Dopo almeno due minuti buoni di silenzio finalmente si decise a spiegarmi.
«Oggi sono andata in ospedale, prima di tuo padre...».
Annuii, invitandola a continuare.
«E il dottore mi ha avvertito che, non appena faranno nascere la bambina, verrà introdotta in un programma di adozioni, visto che Natsumi aveva già preso contatti per queste pratiche. Ho chiamato il mio avvocato che mi ha assicurato che avrebbe fermato tutto il processo, ma mi ha anche detto che avremmo dovuto trovare una soluzione, altrimenti anche l'affidamento sarebbe stato difficile.»
Ascoltavo ciò che Sana mi stava dicendo e, anche se comprendevo ogni parola, mi sembrava assurdo anche solo pensare di dover lottare perchè mia nipote non fosse spedita tra le mani di due estranei. Nelle vene di quella bambina scorreva il mio sangue e, avvocati o meno, non avrei mai permesso che la portassero via.
«Poi, nel pomeriggio, sono stata da mia madre e, raccontandole della situazione di Natsumi e della bambina, lei mi ha consigliato una cosa.»
Notai che era in imbarazzo, quindi mi allontanai un po' da lei per evitare di metterla ancora più in difficoltà.
«Avanti Sana, parla!»
«Mi ha detto che, se vogliamo davvero avere una possibilità di tenere la bambina con noi, dobbiamo...»
Non riusciva a parlare, si toccava nervosamente i capelli e aveva le guance rosse. Non avevo mai visto Sana così in imbarazzo e la cosa mi turbava particolarmente, perchè la mia Sana era una ragazza spudorata e spontanea e non ero abituato alla sua versione timida.
«Dobbiamo...?» chiesi, sistemandomi meglio sul divano.
«Dobbiamo... O mio  Dio, ma che mi prende?!».
Cominciò a parlare tra se e se e io non riuscii a capire molto, solo parole indistinte che, messe insieme, non avevano alcun senso. Mi sembrava di impazzire nell'attesa ma volevo aspettare che si calmasse prima di chiederle ancora qualcosa.
Sana, ovviamente, non era della mia stessa opinione e continuò a sbraitare senza un apparente motivo quindi, quando capii che non avrebbe smesso se non l'avessi costretta a farlo, mi alzai e la presi per le braccia, scuotendola.
«Sana la vuoi smettere di blaterare e mi dici cosa diavolo ha proposto tua madre?!»
«Lei mi ha detto che dovremmo sposarci!».
Le parole le uscirono tutte d'un fiato, probabilmente neanche si era resa conto di ciò che stava dicendo ne di cosa significassero davvero quelle parole.
Rimasi interdetto per un po', non potevo credere che la signora Kurata potesse essere così fuori di testa.
Un matrimonio tra me e sua figlia?
Era una pazzia. Non solo perchè non eravamo adatti alla vita di coppia - tutte le relazioni che avevamo provato a portare avanti si erano sbriciolate tutte, una ad una - , ma soprattutto perchè la coppia Sana-Akito non funzionava affatto. Andavamo bene si e no come amici, anche se dovevo ammettere che avrei dato tutto pur di poter dormire nello stesso letto con lei, come marito e moglie.
Avevo fantasticato tante volte su un'ipotetica vita futura insieme a Sana, e ora che poteva concretizzarsi era l'ultima cosa che volevo.
Mia sorella era in coma, mia nipote rischiava di finire in adozione e io pensavo all'amore che provavo per quella ragazzina... mi aveva monopolizzato, quella era la verità. Ero un povero illuso, convinto di poterla cacciare dalla mia mente quando volevo ma ogni volta che ci provavo tutto mi si rivoltava contro.
Sana continuava a guardarmi come se aspettasse una risposta da me, come se mi avesse fatto una maledetta proposta di matrimonio e io potessi distruggere tutto.
Ma lei era d'accordo? Non capivo se la pensava come sua madre o se la considerasse un'idea folle.
E lo era, in realtà. Ma più ci pensavo, più mi sembrava l'unica soluzione possibile.
«E tu cosa ne pensi?» le chiesi, cercando di mascherare il mio nervosismo, dote ormai affinata negli anni.
«Non lo so, tu cosa ne pensi?».
Sorrisi, esasperato dalla bambina che c'era in lei, ma poi capii che con Sana non si poteva pretendere di capire i suoi sentimenti, quando lei stessa era la prima a non comprenderli.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. Comunque... sarebbe solo per l'affidamento, no?».
Non sapevo come comportarmi, non sapevo se lei volesse farlo solo per aiutarmi a non perdere la bambina o se, dentro di lei, ci fosse una motivazione ben diversa.
Dovevo ammetterlo a me stesso, appena Sana aveva proposto la cosa il mio cuore mi aveva tradito cominciando a battere all'impazzata: avevo considerato la proposta, perchè mentire? Mi piaceva l'idea di un vincolo così grande che ci teneva legati e poter dire che Sana era mia moglie mi avrebbe riempito di gioia, ma mi rendevo anche conto che non potevo costringerla a fare qualcosa solo per aiutarmi.
Vidi nei suoi occhi una punta di fastidio, ma cercai di non dargli peso.
«Si, solo per l'affidamento. Prima di venire qui ho pensato ad altri mille modi per evitare la cosa ma anche l'avvocato mi ha detto che sarebbe stata un'ottima idea. Ma, ovviamente, prima dovevo parlarne con te.».
Tornai a sedermi dal divano, allontanandomi da lei per paura di fare qualche gesto di cui mi sarei pentito. Tutto il mio corpo mi urlava di prenderla, abbracciarla e poi baciarla, ma sapevo benissimo che non era una buona idea perchè avrei oltrepassato un confine ancora ben delineato tra noi.
«E ora che me ne hai parlato, pensi che accetterò o no?».
Non sapevo perchè, ma volevo stuzzicarla un po', prenderla in giro, ma non volevo nemmeno tirare troppo la corda perchè con Sana era semplice spezzarla.
Sentivo i suoi pensieri, anche se non diceva nulla, li percepivo dal suo sguardo. Era confusa, infastidita soprattutto, e non sapeva cosa dirmi ma, dopo poco, finalmente si decise a rispondermi.
«Se stai cercando di scherzare anche sul futuro di tua nipote, allora non ho tempo da perdere con te.»
Fece per andarsene ma la afferrai prontamente per la mano.
«Ferma... scusami, hai ragione. Non lo so... un matrimonio? Temo di rovinare tutto.»
Parlai sinceramente, ma mi resi anche conto di essermi esposto troppo, quando lei non mi permetteva mai di leggerla.
«Non c'è niente da rovinare, perchè continueremo ad essere amici come sempre, solo con le fedi al dito.»
Quella frase mi spiazzò e cercai di evitare che mi entrasse dentro ma era ormai troppo tardi.
Sana mi considerava un amico e niente più.
Con la consapevolezza che avrei avuto un matrimonio assolutamente finto, lasciai che Sana tornasse a casa sua mentre riflettevo sul nostro futuro, dicendole che ci avrei pensato.
Ci saremmo ritrovati improvvisamente in tre, e non sarebbe stato facile, ma non potevo permettere che la mia vita venisse rovinata.
E, anche se sapevo benissimo che avrei sofferto da pazzi,
la mattina dopo le mandai un semplice e breve messaggio.

Vada per il matrimonio...
Quindi posso cominciare a chiamarti Signora Hayama?

Il messaggio di risposta arrivò quasi subito.

Penso che manterrò il mio cognome, ti ringrazio...
Ne riparliamo in settimana, intanto chiamo il mio avvocato per i documenti.

Bene, sto per sposarmi... 
   
 
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