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Autore: Mary P_Stark    29/08/2015    2 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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9.
 
 
 
 
Lo sguardo di Rohnyn fu inequivocabile.

Mi stava dando del pazzo furioso pur senza dirlo apertamente; era lampante.

Non che io non mi stessi dando dell'imbecille da solo, ma quello era scontato.

D'altra parte, cosa avrei dovuto fare, di fronte alle domande di Fay?

Aveva visto la mia mano brillare come una lampadina, e niente di umano poteva spiegare un simile evento.

Come dirle, senza neppure mezza spiegazione al riguardo, che era un retaggio del nostro progenitore Freyr1, figlio del sole e del mare?

Non mi avrebbe mai creduto e, anche avendo saputo tutto sulla mia identità, sarebbe potuto apparire comunque assurdo.

Mi avrebbe dato del pazzo, e avrebbe messo nei guai sia me che mio fratello.

Osservai Rohnyn passeggiare nervoso avanti e indietro, le mani tra le onde castano-ramate – che ora portava similmente a Stheta – e, per un attimo, volli morire.

Non avevo avuto intenzione di ferire nessuno, invece avevo scioccato Rachel, messo nei guai Fay e fatto infuriare mio fratello.

Come se, con la moglie incinta e in ansia per il nascituro, non avesse già abbastanza grattacapi per la testa.

«Senti, Rohnyn...»

Lui mi fissò malissimo, azzittendomi con una sola occhiata, e riuscendo così a cucirmi la bocca.

«Perché non ti sei trovato semplicemente una donna da sbatterti, invece di andare a incasinare la vita di una madre e di sua figlia, che di certo non ne avevano bisogno?»

Mi accigliai immediatamente.

«Non mi sono avvicinato a Rachel per sbattermela, come hai così graziosamente detto tu! E non sono diventato amico di Fay per arrivare alla madre!»

Mio fratello mi fissò scettico, dandomi sui nervi.

«Insomma, sulle prime, Rachel mi ha colpito per la sua bellezza, ma poi...»

Mi bloccai, interrompendo la mia difesa, e sospirai.

Ma poi, cosa? Cos'era successo?

Semplicemente, mi ero innamorato di lei.

Guardarla mentre lavorava alacremente per mantenersi, e dare una buona istruzione alla figlia, era corroborante.

Osservarla mentre si occupava amorevolmente di Fay, era rilassante.

Sorridere con lei nel vederla in imbarazzo per il mio interessamento, era poesia pura.

Mi ero sempre avvicinato a donne che, come me, cercavano un momento di pace, un istante di puro piacere nel mezzo di una vita fatta di incubi.

Ma nessuna delle due parti aveva mai preteso niente più di questo.

I fomoriani erano molto liberali, dal punto di vista del sesso, altra caratteristica che avevamo mantenuto dai nostri antenati divini.

Purché esso fosse mantenuto al riparo da sguardi indiscreti e, soprattutto, senza violare il sacro vincolo del matrimonio, ci era consentito praticamente tutto.

Amavamo entrambi i doni che Freya e Freyr ci avevano elargito.

Essi avevano scelto i progenitori mortali della nostra razza, per accoppiarsi e popolare Vanaheimr.

Così facendo, ci avevano reso la razza più forte e longeva di quel pianeta, ora ormai morto e freddo, di cui rimanevano solo i ricordi dei più anziani tra noi.

Sesso e guerra. Due pulsioni di uguale violenza e altrettanta bellezza, per i nostri occhi millenari, e in entrambi i casi avevamo sempre eccelso.

Ma tutto questo non contava nulla, ora che avevo conosciuto Rachel.

Né il piacere in battaglia – ormai perso da millenni – né tantomeno quello provato tra le coltri soffici di un letto.

Rachel rifuggiva dal mio solito schema, era l’incognita impazzita che destabilizzava un equilibrio di secoli raggiunto a fatica.

Oltre a essere stata sposata, aveva avuto una figlia, e si era impegnata anima e corpo per crescerla, nonostante le avversità trovate lungo il cammino.

Aveva sviluppato una scorza dura per difendersi dal mondo, eppure possedeva una dolcezza tutta sua, che esprimeva solo con la figlia.

E, per un attimo, avevo potuto assaporarla anch'io.

Quando mi aveva sfiorato il viso, guardandomi con occhi diversi, occhi che sapevano di desiderio timido, quasi dubbioso, mi ero sentito speciale, veramente desiderato.

Quegli occhi mi avevano guardato come, da anni, non avevano più guardato nessuno, e questo aveva scaldato il mio cuore.

Ma io avevo rovinato tutto e, soprattutto, avevo spezzato quella fragile sicurezza che avevo creato attorno a lei con la mia presenza.

Mi passai le mani sul viso, sfregando i polpastrelli sulla pelle punteggiata di barba – succedeva sempre, quando passavo più di qualche giorno sulla terraferma – e sospirai.

«Non volevo ferirle... o metterle l'una contro l'altra...»

Rohnyn si fermò dinanzi a me e, dopo essersi accucciato, mi diede una pacca su un ginocchio, consolatorio.

«Non è solo una sbandata per una bella donna, eh?»

Scossi il capo, e mi lasciai sfuggire una risatina isterica.

«Rohnyn... le conosco da un mese o poco più, eppure... fa sempre così male?»

«Innamorarsi? Eccome!» ironizzò, ammiccando. «La faccenda, però, è un’altra. Sei sicuro?»

«La parvhein si è manifestata. Per questo, ho dovuto raccontare ogni cosa a Fay. L'ha vista» sospirai, sorprendendolo non poco. «Ma non mi sarebbe comunque importato, se anche non si fosse resa nota. Rachel è speciale, non solo perché è fomoriana.»

«Parlamene» mi incoraggiò a quel punto, sorridendomi comprensivo.

Gli spiegai di come l'avessi conosciuta, di cosa avessi provato la prima volta, di come la sua grazia sottile e il suo essere così semplice, mi avessero incuriosito.

Ma era stato vederla assieme alla figlia, ad avermi colpito. E avvicinato a entrambe.

«Se anche non è forte fisicamente come Ciara o Lithar, lo è di carattere. Poche donne avrebbero potuto uscire indenni da ciò che lei ha passato. Ha grande coraggio, e un amore sconfinato per sua figlia.»

«Non ti facevo così profondo, fratello» ironizzò Rohnyn, rialzandosi dallo sgabello dove si era accomodato per ascoltare la mia storia.

Io lo seguii con lo sguardo, ammiccando, e sospirai.

«Consolati, non mi ci facevo neppure io. Sai bene quanto abbia sempre rifuggito la paternità, o il solo pensiero di mettere incinta una donna. Mi sono sempre preso il mio piacere, e penso di averne elargito molto, ma è sempre stato solo questo. Piacere puro e semplice. Mancava il sentimento. Eppure, guardando Rachel e Fay... provo tutt'altro.»

«E ora ti senti da schifo perché hai ferito la donna che ti interessa, e hai messo la figlia in una scomoda situazione di stallo, vero?»

«Già. E non so come fare per risolvere la situazione.»

«Vai alla nostra casa sul mare. Non è ancora finita, ma un paio di camere sono a posto, e potrai passare un po' di tempo per i fatti tuoi, a pensare sul da farsi. Io, nel frattempo, vedrò di parlare con Rachel. Di farla ragionare.»

Mi sorrise, dandomi una pacca sulla spalla.

«Grazie, fratello» mormorai, annuendo.

Lui scrollò le spalle, noncurante, e aggiunse: «Ho idea di doverti ben più di questo.»

Lo guardai dubbioso, non comprendendo le sue parole e Rohnyn, tornando serio, asserì: «Non può essere un caso se, di punto in bianco, Sheridan ha smesso di domandarmi del mio passato.»

Rise divertito alle sue stesse parole, proseguendo nel dirmi: «Dopo una delle tue visite, si è azzittita di colpo e non mi ha più posto domande. E Sheridan non è una che molla l’osso facilmente.»

Rammentai a quel punto le domande di mia cognata, la sua promessa di non domandare più nulla al marito e, sorridendo contrito a Rohnyn, asserii: «Non volevo ficcare il naso nei tuoi affari, fratello, ma Sheridan desiderava davvero conoscere il tuo passato, così ho pensato di accontentarla. Non c’è nulla che non le darei, pur di farla felice.»

«E per te è stato più facile dirle… beh, parlarle di quegli anni» borbottò, passandosi una mano tra le onde castano ramate.

Il dolore gli pesava ancora, ed era come ghiaccio sulla pelle, per me.

«Tethra ha sempre sbagliato, Rohnyn. E io, Stheta e Lithar ti amiamo. Questo lo sai, vero?»

Annuì con vigore, sicuro di quel gesto, e io mi sentii meglio.

Gli diedi una pacca sulla spalla, e aggiunsi: «Non lasciarti condizionare dalle idee di un folle. Cormac ti vuole bene come se fossi suo figlio, e tu ne vuoi a lui. Questa è la tua vera famiglia. Nonna Niamh, Nonno Killian, tua suocera Eileen, Cormac, Fynn e Donna, i loro bambini, Todd e Lynn, coi loro splendidi gemelli, Eithe e Díomán, il branco… i tuoi fratelli. Non hai bisogno dell’approvazione di Tethra e Muath.»

«Hai ragione, fratellone.»

Lo scampanellio leggero della porta del negozio interruppe il nostro dialogo e, scusandosi con me, Ronan si allontanò per uscire dal magazzino.

A quel punto, non mi rimase altro che andarmene e, con calma, pensare a un modo per sistemare tutto.

Mio fratello sarebbe stato bene e, prima o poi, il peso del disprezzo di Tethra sarebbe scemato fino a scomparire.

Non aveva bisogno di lui, non più.

 
***
 
La brezza soffiava leggera mentre, nel cielo, gonfie nuvole di pioggia si intervallavano a sprazzi di cielo limpido.

Era stato così per tutto il pomeriggio, e il mattino seguente l'incidente con Rachel.

Me n'ero stato lì, sdraiato sul pavimento della camera che sarebbe stata di mio nipote, a osservare l'evolversi del tempo attraverso la finestra.

Era piovuto, si era rasserenato e, durante la notte, era tornato a piovere.

Avevo scrutato le stelle fare capolino tra le nubi scure, dato il buongiorno al nuovo sole e, ancora, non mi ero mosso.

Perché la mia mente non era riuscita a partorire niente di importante, o di fattibile, per ricucire lo strappo con Rachel.

Si era limitata a girovagare tra i ricordi, soffermandosi su alcuni particolari del suo volto, o delle sue mani.

Non avevo idea di che ore fossero, ma né la fame né il sonno mi avrebbero smosso da lì.

Potevo resistere per giorni, vegetare senza problemi privandomi di cibo e acqua.

Fu lo scalpiccio di un paio di piedi sulle scale d'ingresso, a smuovermi.

E un dolce profumo di ibisco che conoscevo molto bene.

In fretta, balzai in piedi e, affacciatomi sul corridoio, vidi spuntare Rachel.

Sobbalzò, nel vedermi, e rise imbarazzata.

Io abbozzai un sorriso, ma rimasi fermo dov'ero. Non volevo spaventarla.

Quel giorno, indossava jeans schiariti, dei sandali blu allacciati alla caviglia e una camiciola di lino ricamata con fantasie indiane.

I capelli erano sciolti sulle spalle, morbide onde ramate che le sfioravano la schiena diritta.

«Ronan mi ha detto che ti avrei trovato qui. Mi ha dato le chiavi.»

Lo disse con aria disinvolta, facendo dondolare un mazzo di chiavi tintinnanti, ma notai subito le sue mani tremanti.

La sua mente era un groviglio di pensieri, e mi spiacque ancora una volta di averla messa in una situazione simile.

«Hai parlato con lui? Di tutto

Annuì, torva in volto, e si avvicinò di qualche passo.

Si guardò intorno, sfiorando con una mano le pareti in stucco veneziano color pesca.

«Verranno qui non appena sarà finita. L'appartamento di Sheridan è troppo piccolo per potervi far crescere un figlio. E a entrambi piace vedere il mare» le spiegai, appoggiandomi allo stipite della porta accanto a me.

Lei si volse a scrutarmi, lanciò un'occhiata dubbiosa alla mia rihall, evidente sull'avambraccio libero dalla manica della camicia, e sospirò.

«E' tutto vero?»

Non mi chiese altro, ma bastò il suo tono di voce a farmi crollare.

Mi lasciai scivolare lungo lo stipite e, ginocchia contro il petto, mi coprii il viso con le mani.

Scossi il capo, turbato alla sola idea di averla spaventata, e mormorai: «Non avrei voluto, davvero. Ero deciso a non dirvi nulla, ma...»

I suoi passi veloci mi raggiunsero e le sue mani, inaspettatamente forti, afferrarono le mie.

Mi sollevò il viso per guardarmi e, notando la mia sincera contrizione, sorrise appena.

«E' la prima volta che vedo un uomo crollare a questo modo, e solo perché mi ha turbata. In qualche modo, è gratificante. Ma mi spaventa anche un po'.»

Lo disse con onestà, e io le sorrisi sghembo.

«Non volevo metterti in questa situazione assurda, ma Fay aveva visto una cosa che non avrei potuto spiegare in nessun altro modo, se non con la verità. E già troppi uomini vi hanno mentito, in questi anni, perché io mi mettessi in coda a loro.»

Quell'appunto la fece adombrare e, sedendosi di fronte a me a gambe incrociate, annuì.

«La verità è sempre la cosa migliore. Anche se, stavolta, accettarla è stato tremendo.»

«Hai litigato con Fay?» chiesi, timoroso.

Rachel allora scosse il capo, imbarazzata, e negò l'evento.

«Mi ha fatto una lavata di testa, piuttosto. Quando siamo arrivate a casa, me ne ha dette di tutti i colori. Mi ha mostrato la voglia...» e, nel dirlo, indicò la mia. «... e, quando ho visto che era completamente nera, sono quasi impazzita. Assurdamente, pensavo che gliel'avessi tatuata tu!»

Abbozzai una risatina.

«Mi ha parlato del vostro,… del nostro... dono. Della capacità di comprendere subito la buona volontà, o meno, delle persone, e questo mi ha meravigliata. Non avevo mai neppure sospettato che anche Fay ne fosse in grado. Non me ne aveva mai parlato.»

«Ma tu sapevi di esserne capace» le feci notare, vedendola annuire contrita.

«L'ho sempre saputo. Ma, per paura, non l'ho mai accennato a nessuno. Pensavo di essere un fenomeno da baraccone... e ho accusato mia figlia di esserlo...»

Sospirò, scuotendo il capo, e io rammentai il momento in cui, nel magazzino dell'Admiral's Arms, ci eravamo scontrati verbalmente.

Era stato un momento orribile.

«Sono sicuro che non se l'è presa» cercai di consolarla, dandole una pacca sul ginocchio. «Eri solo spaventata. Per te, e per lei.»

«Per la verità, lei era infuriata con me perché avevo ferito te» sottolineò, uscendosene con un sorrisetto sgangherato.

Feci tanto d'occhi, confuso, e il sorriso dolce di Rachel tornò a comparire. Con la sua immancabile fossetta.

«Sapeva, come sapevo io, che non avevi mentito, eppure mi sono rivoltata contro di te, come contro di lei, neanche fossi stata un puma in gabbia.»

Lo disse con estrema contrizione, e mi venne un groppo in gola.

«Non volevo credere a ciò che la mia mente mi diceva, così ti ho aggredito. Inoltre, vedere mia figlia tra le tue braccia, così fiduciosa e tranquilla, mi ha...»

Rise, passandosi una mano tra la folta chioma e ammise: «Ero gelosa.»

«Gelosa? Di me?» gracchiai, trovandolo assurdo.

«Per tantissimo tempo, ci siamo sempre state solo io e lei. E poi, di punto in bianco, arrivi tu, con la tua bella faccia e i tuoi modi eleganti, e scompagini tutto.»

Il suo tono ironico mi permise di non morire d'infarto per lo sgomento.

«Eri carino con Fay e galante con me, senza mai per questo essere assillante o esasperante. E quando sei intervenuto per salvarci, io...»

«Non pensare a questo. Non farlo. Se sei qui per ringraziarmi, l'hai già fatto. E la gratitudine non mi interessa» intervenni, prevenendo qualsiasi sua parola.

Non avrei mai accettato che lei si avvicinasse a me per quel motivo.

«Non intendevo dire questo, Kris... Krilash» si corresse, fissandomi con aria accigliata. «Volevo solo dire che, quando sei stato lì con noi, senza neanche tentare minimamente un approccio, limitandoti a proteggerci, ho capito che quello che avvertivo per te non era semplice... attrazione. E che potevo arrischiarmi a… ad aprirmi a te. A farti avvicinare a me, a lei.»

Fui io, a quel punto, ad aggrottare la fronte.

Gesticolò con le mani, dandomi l'idea di quanto fosse nervosa, ma la lasciai dire. Era vitale che mi dicesse perché si trovava lì, quel giorno.

«Sia Fay che Ronan mi hanno detto che... che i fomoriani vivono migliaia di anni, quindi do per scontato che tu abbia conosciuto un sacco di donne...» iniziò col dire lei, ridendo nervosamente. «... ma, stando a quello che mi ha detto tuo fratello, non ti sei mai comportato così.»

«Quel chiacchierone» brontolai, ghignando.

Rachel arrossì e, timida, allungò una mano per sfiorare la mia rihall.

Come per Fay, anche lei non avvertì nulla, al tocco.

«Sembra un semplice tatuaggio. E' così strano pensare che non lo sia. Lo avete tutti?»

«Ogni fomoriano ne ha uno. In caso di morte in guerra, è più facile sapere a chi mandare i cadaveri» mormorai senza pensarci, e lei trasalì.

Mi diedi dell'idiota per aver detto proprio quello e, sbuffando, aggiunsi: «Non so quanto sai delle leggende sui fomoíre, i fomoriani, ma alcune cose si discostano molto dalla realtà. Altre, molto meno.»

Lei annuì, fissandomi con occhi enormi e timorosi.

«I fomoriani sono da sempre un popolo guerriero, da ben prima di giungere qui da... beh...»

Storsi il naso, bloccandomi a metà della frase, e le domandai: «Quanto ti ha detto Fay?»

«Ogni cosa. Mi sono pure andata a rileggere le sue favole della buonanotte, per vedere se avevo compreso bene quello che mi aveva detto» sospirò, scuotendo il capo incredula. «Ma, naturalmente, alcune cose proprio non c’erano!»

In che diavolo di situazione l'avevo messa!

«Scusami, Rachel. Il mio primo intento era proprio quello di evitarti una simile confusione in testa.»

«Allora, Krilash, sei stato una frana» mi fece notare, accennando un sorrisino.

«Verissimo. Mi sono comportato da autentico imbranato. Quindi, dando per scontato che sai da dove veniamo, ti dirò soltanto che fummo noi a insegnare agli spartani le regole dell'agōgē. Questo, per farti capire come siamo cresciuti a Mag Mell, il luogo da cui provengo.»

«Le tue ferite, allora...» esalò, spiacente.

«In parte, retaggio di quel lungo addestramento. In parte, gentile dono delle guerre contro i Tuatha, che perdurarono per quasi duemila anni. Resistemmo anni senza dichiararci guerra, ma alla fine successe. Noi fomoriani siamo un po'...»

«Guerrafondai?» ipotizzò lei, scrollando le spalle.

«Siamo addestrati per questo.»

«Parli sempre di addestramento... ma non vivete che per questo?» si informò, dubbiosa.

Parlarle delle senturion sarebbe stato giusto? O l'avrebbe fatta preoccupare inutilmente?

«La verità, Krilash» mi ricordò lei, forse percependo la mia indecisione.

Ora che sapeva di poterlo fare, stava utilizzando al meglio il suo potere.

Annuii, e dissi: «I bambini vengono cresciuti lontano dalla famiglia, perché i genitori non vengano mossi a pietà nei confronti dei propri pargoli. Questi campi in cui veniamo istruiti si chiamano senturion, e si rimane lì per circa una ventina d'anni. Ma se consideri che, la  vita media di un fomoriano, si aggira intorno ai quindicimila anni, non è molto.»

La cosa non la rassicurò per nulla. I suoi occhi continuarono a rimanere sbarrati, increduli e sconcertati.

«E voi? Quanto siete rimasti, voi? Tu, tuo fratello, tua sorella?»

«Siamo in quattro. Non hai ancora conosciuto il maggiore tra noi. Stheta. Comunque, restammo cento anni. Pur essendo nati in momenti diversi, i nostri genitori attesero che l’ultimo di noi fosse pronto per entrarvi, e ci inviarono assieme nei campi di addestramento. Tra me e i miei fratelli, ci sono poco più di cento anni di differenza, più o meno, tenendo conto di tutti noi messi assieme. Bazzecole, in termini di tempo relativo.»

«Oddio!» esalò, coprendosi il viso con le mani, sconvolta.

Un attimo dopo, le scostò per fissarmi e, rabbiosa, esclamò: «Ma come hanno potuto farvi questo?!»

Le sorrisi, grato per il suo interessamento, e ammirato dalla sua tenacia e dal suo spirito di adattamento.

Poche persone, avrebbero affrontato quelle sconcertanti verità con così tanto coraggio.

Ma, come nel caso di Fay, era il suo stesso sangue a dirle di credere, di ascoltare con avidità le mie parole.

«E' la nostra cultura, Rachel. Ma Stheta è intenzionato a cambiare un po' le cose, quando assurgerà al trono.»

Quel particolare la fece sobbalzare e, con un lungo sospiro, borbottò: «Oh, già... la faccenda del principe. E' vero anche questo, eh?»

Risi sommessamente, di fronte alla sua aria scocciata.

«Di tutto quello che ti ho detto, ti angoscia solo l'idea che io sia un principe?»

«No, beh... insomma...» brontolò lei, prima di sbuffare e ammettere: «Sì, mi da un po' noia.»

A quel punto, non ce la feci più.

Scoppiai a ridere di gusto e, afferrate le sue mani, me le portai alle labbra per baciarne i dorsi.

«Oh, dio, Rachel! Sei davvero unica!»

Lei mi fissò malissimo ma, alla fine, si unì alla risata.

Passò parecchio tempo prima di riuscire a tornare alla normalità ma, alla fine, entrambi smettemmo di ridere.

Fuori, il tempo si era finalmente messo al bello, e un fresco profumo di fiori di campo penetrava dalla finestra lasciata aperta.

«Facciamo una passeggiata sulla spiaggia?» le proposi a quel punto, e lei annuì.

Mi levai in piedi e, dopo un attimo, le allungai una mano per aiutarla.

Rachel la accettò e, assieme, discendemmo le scale per uscire.

Forse, non avevo bruciato tutto con la mia idiozia.

 
***

La brezza si era rafforzata, schiaffeggiando i capelli di Rachel, che svolazzavano liberi e fieri nell'aria salmastra.

Una fomoriana non li avrebbe mai portati così, in pubblico, ma era anche questo a piacermi, della terraferma.

Meno restrizioni assurde, meno costrizioni sul modo di comportarsi, di vivere la vita, di rapportarsi agli altri.

I piedi nudi infilati nella sabbia fredda e umida, camminavamo tranquilli, tenendo le scarpe in una mano e l'altra allacciata tra noi.

Era stata Rachel a volere così, e io mi ero ben guardato dal rifiutare.

Il contatto umano, puro e semplice, era sempre stato relegato nelle camere da letto, e mal visto in pubblico.

Ma, grazie a Stheta e al suo cambio di visione, anche i fomoriani avrebbero appreso l'arte dello stare bene con se stessi.

Perché, in fondo, il problema era solo questo.

Tutti noi reprimevamo noi stessi, per conformarci a uno stile di vita severo e marziale.

La dolcezza, la gentilezza e l'affetto espresso in modo evidente, erano visti come limiti, come debolezze.

Potevano essere espressi solo con la propria moglie – o compagna di una notte – nell’oscurità di un’alcova, dove era lecito e gradito.

Potevano essere messi in luce all’ombra delle mura delle proprie abitazioni, lontani da sguardi pronti a giudicare.

Potevano essere mostrati solo in rare occasioni con i figli e le figlie, e sempre e solo ben lontani da sguardi curiosi.

E tutto perché l’amore e l’affetto, così come ogni altra emozione troppo veemente, veniva vista come una pecca nel mondo marziale in cui vivevamo.

Qualcosa si era perso, nei millenni; la gaia beltà del sorriso di Freya era stata divorata dal suo lato più oscuro, dalla sua sete di guerra e sangue.

Sia Stheta che Rohnyn avevano ampiamente dimostrato quanto, invece, rendesse forti e quanto, quel sorriso, potesse tornare a brillare senza danneggiare la nostra forza.

Anch'io cominciavo a comprendere quanto potesse rendere coraggiosi l'amore, e quanto forti rendesse, ammetterlo ad alta voce.

Sorrisi, quando Rachel iniziò a giocherellare con le mie dita ruvide.

Sollevai entrambe le nostre mani per vedere meglio e lei, con un risolino, mi chiese: «Cosa c'è? Ti da fastidio?»

«No, è piacevole. Ma non ho mai tenuto per mano una donna, perciò comprenderai la mia curiosità.»

Lei si bloccò a metà di un passo, alle mie parole, e scoppiò a ridere di gusto.

Io mi limitai a guardarla, ammirando la sua bellezza e il suono celestiale della sua voce.

Tergendosi una lacrima di ilarità, mi domandò: «Ma davvero non hai mai tenuto per mano una donna? E come fate per... beh, per frequentarvi? Per uscire assieme?»

Mi lappai le labbra, pensieroso e, insieme, riprendemmo a camminare.

«Volendo essere del tutto onesti, non 'usciamo insieme' come lo intendete voi. Ci si incontra nei circoli, si parla, ci si allena assieme. Non esistono bar, o gelaterie, o cose simili, a Mag Mell.»

Rachel storse il naso, replicando: «E' una noia mortale.»

Risi, annuendo.

«E ti chiedi perché sia un divoratore seriale di gelato? Pensa di passare più di quattromila anni della tua vita in un posto simile!» risi nel dirlo, ma non potei fare a meno di rabbrividire per un istante.

Erano ben altri i motivi che mi avevano spinto sulla terraferma.

Rachel parve intendere qualcosa, ma si limitò a sorridermi, lasciando che il dubbio rimanesse insoluto.

Per contro, mi domandò confusa: «Come fai, allora, ad approcciare una donna? Con una spada in mano?»

Mi sentii profondamente stupido, in quel momento.

Ma era chiaro quanto, il mondo dei fomoriani e quello degli umani, fossero diversi.

Per noi, era normale parlare di guerra anche con una donna, o del modo migliore per affilare una lama.

Ci si poteva perdere anche per giorni interi in discorsi simili e, molte volte, si finiva anche a letto insieme, se l'alchimia era buona.

Altri, parlavano di filosofia e storia, altri ancora di magia e letteratura, ma la faccenda rimaneva. Eravamo un popolo maledettamente serioso.

E glielo dissi.

Lei rimase basita e, dubbiosa, mi chiese: «Quindi... se ti chiedessi di declamarmi la Divina Commedia in lingua originale, tu lo faresti?»

Scrollai le spalle, annuendo.

«Quasi ogni fomoriano conosce praticamente tutta la letteratura umana, oltre che quella fomoriana. Abbiamo migliaia di anni per studiare, e ci piace tenerci aggiornati. Io, personalmente, vengo additato come una persona svogliata, da questo punto di vista. Ronan è molto più erudito di me, posso assicurartelo.»

Risi, nel dirlo, ma Rachel non credé alle mie parole neppure per un istante.

«Perciò... siete un popolo che investe molto sulla cultura e l’addestramento fisico e mentale, tenendo in minore considerazione l'aspetto ludico ed emozionale delle cose» ipotizzò a quel punto, guardandomi con occhi indagatori.

«Se la vuoi vedere così, sì. Non scegliamo compagni necessariamente belli, per esempio. Anzi, per la verità, la bellezza viene quasi vista come un difetto, perché tende a distrarre dal reale valore di una persona. Ecco perché le donne portano i capelli sempre legati. Non solo perché, in battaglia, sono un impedimento. Non vogliono essere avvicinate solo per la loro avvenenza.»

Rachel si portò immediatamente le mani alle chiome ribelli, e io risi.

«Non è vietato, Rachel, e le donne sposate non vi badano minimamente. Loro hanno già un uomo, perciò non devono più pensare a cose simili.»

«Già... come se fosse garanzia di...» iniziò col dire lei, sprezzante, prima di notare il  mio sguardo adamantino.

Sbatté le palpebre, confusa, prima di esalare: «Conta così tanto

«Per un fomoriano, il matrimonio è sacro» asserii, lapidario.

«Wow...» esalò, ancora sconcertata.

Le sorrisi, preferendo non dire altro per non causare ulteriore confusione.

«Quindi, se ho capito bene, non esprimete liberamente ciò che pensate, ma ponderate sempre le parole, le azioni e i gesti» mormorò a quel punto lei, vedendomi annuire. «La passione, la lasciate per l’alcova.»

«E per la guerra. Non dimenticare la duplice natura di Freya e Freyr. Oltre a essere amanti appassionati, erano anche dediti alla guerra» le feci rammentare, accennando un sorrisino.

Lei rise sommessamente, annuendo. «Faccio ancora fatica a venire a patti con quella parte della storia. E dire che non è neppure la più strana! Ma… dèi di altri pianeti? Sembra tutto così folle! E dici che io… io e Fay abbiamo a nostra volta il loro sangue?»

Assentii, ben comprendendo quanto si sentisse spaesata e confusa. Le mie prime volte sulla terraferma, mi avevano lasciato pieno di dubbi e confusione.

«Solo perché sei abituata a pensare a un dio puramente spirituale. Noi, invece, abbiamo avuto modo di testare sulla pelle la loro fisicità. Se non io personalmente, ma i miei antenati poterono.»

Non ritenni necessario dirle di Fenrir, poiché mi sembrava ancora troppo presto parlare delle altre creature mistiche presenti sulla Terra.

Per ora, bastavamo noi.

Lei si fermò per scrutare l’orizzonte, le nubi che danzavano arricciandosi, ripiegandosi su loro stesse, assumendo sempre forme nuove.

Anche lei era così. Stava assumendo una nuova identità, una nuova realtà, una forma più completa.

Si volse a fissarmi e, a quel punto, le domandai: «Vuoi... vuoi che richiami anche la tua rihall

Lei seguì il mio sguardo, che era scivolato verso il basso, osservò la caviglia – aveva sollevato l'orlo dei jeans per camminare vicino all'acqua – e, alla fine, annuì.

«E' ciò che sono, dopotutto. Non devo averne paura.»

«Il risveglio non ti porterà alcun cambiamento. Saprai solo di essere anche qualcos'altro, oltre che una donna bellissima e intelligente» le sorrisi, piegandomi su un ginocchio.

Rachel fece lo stesso e, ammirata, seguì il percorso delle mie dita, lappandosi le labbra distrattamente.

Quel gesto mi fece desiderare di baciarla ancora, ma era troppo presto. Troppe cose dovevano ancora essere dette.

Ripetei ciò che avevo già detto a Fay e, quando le chiesi di dire il suo nome, Rachel assentì.

«Sono Rachel Bryoni O'Rourke, fomoriana di Mag Mell.»
 






Note:

1. Freyr: dio della fertilità dei Vani. Amante della sorella Freya, dea della fertilità, della guerra e della magia.
Possiede una collana di nome Brisingamen, forgiata dai nani di Svartalfheimr, che le dona il potere di governare sulle menti. E’ a questo che si deve il potere mentale dei miei fomoriani.
Freyr è figlio del dio del mare, da qui il legame con l’acqua e con i ‘miei’ fomoriani. E’ inoltre dio legato al sole, e questo legame con la luce viene messo in evidenza con la parvhein. Essendo anche dio della fertilità, la parvhein è simbolo di questo suo retaggio.

Direi che, a questo punto, ho spiegato più o meno tutto, sui misteri mistici legati ai fomoriani. Se, comunque, vi fosse rimasto qualche dubbio, sarò ben lieta di rispondere alle vostre domande.
Per ora, vi ringrazio di avermi seguita fino a qui e mi auguro vorrete proseguire con me in quest'avventura! A presto!
  
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