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Autore: KikiWhiteFly    03/02/2009    10 recensioni
"Va bene", cercai di calmarmi. "Rimediamo subito: io non ti ho mai conosciuto, chiaro?"
Dissi, avvolgendomi il lenzuolo attorno al corpo e scattando in piedi. Eravamo l'uno di fronte all'altra... Solo quel letto ci separava, custode delle nostre reminiscenze più segrete. Mi sentii nervosa, poi, serrando i pugni, afferrai i miei abiti, sparsi qua e là per la camera. "Chiarissimo"
[Completa][Long fic; AU; AkitoSana]
Genere: Romantico, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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V Capitolo - A ritmo di baciata









Sentii il suono del campanello, il cuore mi salì a mille. A passi lenti e misurati andai verso la porta poi, prendendo un gran respiro, aprii.


Ciao, bentornato!”



Mormorai, cercando di non essere troppo scortese. Akito mi guardava in modo strano, piuttosto scettico invero, sembrava quasi che non mi avesse mai vista prima.

In fondo, era solo un'altra parte di me. Indossavo un grembiule da cucina, i miei capelli erano legati con un'alta crocchia, indossavo un vestitino che mi sfiorava il ginocchio, né troppo scollato né troppo succinto.

Cercavo di sorridere, la cosa non mi riusciva poi così difficile. Se avrei dovuto vivere insieme a lui per sette giorni, tanto valeva che me ne facessi una ragione. Dal momento che indietro non si poteva tornare, non mi restava che guardare avanti.

Akito affinò maggiormente i sensi, in particolare l'olfatto, riuscì a cogliere un sapore abitudinario come quello del sugo: corse ad assaggiarlo, probabilmente aveva parecchio appetito.

Normalmente, quando cucinavo, ero solita mettere la musica, mi metteva allegria. Sentivo lo sguardo di Hayama addosso, una certa soggezione mi tingeva le gote, ma avrei fatto bene a non voltarmi, non avrei voluto sentire le sue battutine in merito.

Senza accorgermene, i piedi iniziarono a muoversi. Akito allora ghignò, da quel poco che avevo capito di lui un gesto come quello equivaleva ad un sorriso, indi non chiesi spiegazioni.


- Vuoi assaggiare? - dissi, allungandogli il mestolo.


Stavolta, avevo modificato il sugo. Sentii la mano di Akito sulla mia, il suo tocco freddo raggelò la mia mano.


- Piccante -


Annuì, dopo aver detto quella semplice parola.

- Ci vuole sempre un po' - ripreso il mestolo di legno tra le mie mani, modificai leggermente il timbro di voce - Come in tutte le cose della vita, no? -


Akito mi fissò per un buon minuto,


- Dipende -


Posai l'oggetto sul mobile e presi un'altra pentola, probabilmente pronta a scolare la pasta. Akito si fermò ad osservare l'arredo della casa, piuttosto spartano. 

Nulla di sfarzoso, né di troppo esagerato. Probabilmente si soffermò su pochi dettagli: la cucina, l'immenso regno ove vi era cibo dovunque, il grande tavolo con almeno dieci sedie - probabilmente aveva pensato che avessi sempre molti ospiti - e, poi, l'immensa vetrata che si scorgeva all'orizzonte. Il panorama, visto da un occhio sconosciuto, era qualcosa di magnifico – dovevo ammettere che la scelta della casa, a suo tempo, era ricaduta in quella zona soprattutto per il panorama.

Le luci colorate, come dei puntini scintillanti, inghiottivano l'oscurità. Tutto appariva in miniatura, ci palesava la realtà per com'era: noi esseri umani non siamo altro che formiche, in confronto al resto.


- Bella vista eh? - dissi, mentre una nuvola condensata di vapore mi appariva davanti gli occhi. Mi dovette aiutare con lo scolapasta e quasi mormorai un flebile grazie.


- Senti un po'... - probabilmente aveva eluso completamente la mia domanda, oltre al fatto che aveva modificato il timbro di voce - ... Come mai stasera tutta quest'allegria? Cos'è... Avevi le tue cose? -


Arcuai un sopracciglio. I miei buoni propositi erano andati vanificandosi, tanto valeva rispondergli nel modo più appropriato, in quel momento.


- No. Semplicemente, sono così! -

Esclamai, mettendo la pasta in due piatti fondi.


- Eri così anche stamattina? Aggressiva e noiosa e adesso solare e allegra... E poi l'altra notte... – lo fulminai con lo sguardo, quindi si tolse immediatamente le parole di bocca, per evitare stupidi e insensati litigi - … Il punto è: chi sei tu veramente? -


Sorrisi, in modo diabolico. Lo tartagliai con una sola battuta: - Dovrai scoprirmi tu, allora -


Gli diedi il suo piatto fumante, Akito non sembrava abbandonare nemmeno un momento la presa dai miei occhi, quasi volesse esplorarli. Chissà cosa tentava di decifrare, in quel momento.


- Sei un attrice vero? -


- Grossomodo - risposi.


- Quindi sarai sicuramente una persona espressiva. Adesso capisco il perché di quella euforia. E chi mi dice che tu non finga anche con me? -


Posai la forchetta. Portai il tovagliolo di stoffa alle labbra, premendo con due dita. Lo squadrai, poi dissi: - Sei troppo critico. Io sono così, non fingo. Non ci vuole certo un lavoro come il mio per recitare una parte. Tutti abbiamo una maschera -


- E dove finisce la maschera e inizia la persona? -

Risi, in modo un po' isterico.

- Scusa - mi ricomposi, tossicchiando – E' che sono quelle domande che ti lasciano spiazzata. Ti conosco da due giorni e già so che non ti avrei mai sposato. Insomma immagina... Divorziati dopo nemmeno ventiquattr'ore, ne sono certa – risi ancora – Ero proprio ubriaca, eh? - lasciai cadere una mano, facendola cozzare contro il tavolo.


- Eravamo – s'affrettò a precisare lui.


- Giusto. È incredibile, non riesco a ricordarmi nulla. Se non alcool, musica, balli – Mi portai una mano alla tempia, sforzandomi. Ma più tentavo di ricordare, più la testa mi sembrava pesante.


-Non tentare di ricordare. Tanto sarà solo uno dei momenti esilaranti della tua vita–

Sbuffò Akito, guardando in modo torvo quella cosa luccicante al suo anulare. D'altronde, potevo comprenderlo: faceva un certo effetto, positivo e negativo, ma ambedue non riuscivamo a vederci un anello cucito addosso.


- Giusto. Allora brindiamo a questa follia! -

Alzai il calice di spumante in alto, facendogli cenno di fare altrettanto. Molto 

svogliatamente lasciò toccare il vetro col vetro. Ne bevvi un modesto sorso, il liquido mi raffreddò subito la gola, donando una sensazione frizzante alla mia lingua.

Si soffermò parecchi minuti su di me, ancora, poi lo vidi distaccare lo sguardo.

- Certo che ci vai giù pesante... A quest'ora chissà quanti te ne saresti sposati- Dissi lui, vedendo il mio bicchiere vuoto, mentre il suo era riempito a metà.

Sbuffai, eludendo completamente la cosa, alzandomi dal tavolo e dirigendomi allo stereo. Akito continuava a seguire i miei movimenti, persino mentre sfogliavo tra i vecchi cd uno che fosse ascoltabile.


- Latino americano, lo amo. È così... Caliente! -


Sin da piccola avevo avuto una particolare predilezione per certe arti, specialmente per il ballo, che giudicavo la forma più espressiva. Così, presa da un attimo di ordinaria follia, presi le sue mani e feci sì che i nostri corpi si sfiorassero. Tutto ciò, contro la sua volontà.


- Ehi... Cosa diavolo devi fare? -


Ma non calcolai minimamente il suo stato d'animo: piuttosto, allacciai le mie mani dietro il suo collo.

- Non so ballare, mi dispiace -

Lo allontanai qualche secondo, ma lo ripresi subito, con il risultato che il mio tacco andò contro il suo piede.

- Ahia! -

Mugugnò infastidito.

- Lasciati guidare dai movimenti così – ondeggiai leggermente col bacino, facendo in modo che posizionasse le sue mani sui miei fianchi. Mi improvvisai una maestrina per lui, era difficile mantenere un atteggiamento freddo. Specialmente quando i nostri corpi minacciavano di sfiorarsi più del dovuto, i miei capelli lunghi frustavano il suo torace e le mie difese venivano meno.

- Bravo - Aveva iniziato a muovere i piedi, ritmicamente, mi lasciai quasi guidare dai suoi passi, cedendo il posto che mi spettava.

Mi fissava negli occhi, quasi volesse scavarvi dentro. Poi, anche la matita che fungeva da bacchetta per tenere i capelli un po' più su, cadde. A quel punto, i capelli mi ricadevano ovunque, anche davanti agli occhi.

Per un attimo mi sembrò di essere in un film, immaginai una sala da ballo e ci vidi l'intero universo racchiuso dentro di essa... Diamine, mi stavo facendo troppi film mentali.

- E chi è adesso il più teso fra noi due? -

Domandò lui, facendomi fare un giro di trecentosessanta gradi in seguito, afferrandomi un palmo della mano e facendomi roteare come una trottola. Caddi tra le sue braccia, ma nessuno di noi due si mosse.

C'era troppa elettricità nell'aria in quel momento, troppa intesa, rischiavamo quasi di scoppiare da un momento all'altro.

- Io non sono tesa – cercai di mostrarmi impavida.

Lu ghignò, vittorioso di chissà quale epica battaglia.


- Comunque... Devo ancora capire chi sei -


Sibilò lui, avvicinandosi al mio orecchio e sfiorandomi la spalla.


- Ma non ti arrendi proprio mai? -


- Mai -


- Io non ti dirò chi sono. Ti dirò quello che non sono -


Lo vidi annuire. Mi lasciai andare, in una rapida capovolta all'indietro. Lui mi prese subito, acuendo i suoi riflessi. Probabilmente, l'avevo lasciato senza parole e questo mi rendeva giustizia, almeno un po'. – Tutto bene? – domandai, osservando un certo smarrimento nei suoi occhi.

- No. Semplicemente senza fiato: sono sempre un uomo Sana –


Tentò di provocarmi. Peccato che riuscì almeno un po' nel suo intento, poiché sentii le guance avvampare improvvisamente e una strana e repentina sensazione di tremolio alle dita – le stesse che lui stava tenendo saldamente nelle proprie – mi invadeva tutta.

D'un tratto, sì senti solo silenzio. La canzone era finita e, ambedue persi in quell'attimo di assoluta magia, non ce ne accorgemmo nemmeno sulle prime. Bastò ritornare coi piedi per terra, per rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Mi allontanai rapidamente, lo sentii subito mormorare qualcosa sottovoce: - Peccato. È finita -


Quel peccato suonava come un per fortuna, ma non obbiettai nulla. Tolsi i piatti dal tavolo, ma Akito non si sentì in vena di aiutarmi.

Lo vidi alzarsi dopo qualche minuto, per uscire dal balcone e fumare una sigaretta. Rimasi ad osservarlo qualche secondo, rimanendo in bilico coi piatti sulle mani e un'espressione inebetita in volto.


Si prospettava una settimana tutt'altro che tranquilla, invero.

Perfino il cielo sembrava un campo magnetico da cui essere attratti oppure, forse, c'era una strana forza che ci teneva legati come angeli

del destino, l'uno all'altra.


   
 
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