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Autore: Sam27    30/08/2015    5 recensioni
Dal testo:
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
–Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
-
-Mi piaci- sussurra -Da sempre-
-Sei ubriaco, stai delirando-
-Non te l'hanno mai detto che gli ubriachi non mentono mai?-
-Anche tu mi piaci-
-Perchè me lo dici?-
-Forse perchè sono ubriaca anche io-
-
-Sto leggendo-
-Guardami quando ti parlo!- esclama Rebecca alzando la voce.
Io alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene.
-Perchè ti comporti così?- mi chiede -E' perchè sono lesbica? Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Monica ci amiamo e...-
-E' perchè hai tradito papà!- urlo -Ed io ti odio, Rebecca-
Lo schiaffo arriva e lo accolgo quasi con sollievo.
Alla luce degli ultimi avvenimenti Nora può considerarsi una fangirl piuttosto sfigata.
-
In un'epoca in cui la friendzone va quasi di moda ho provato a parlare della vera amicizia.
In un'epoca in cui leggere è passato di moda ho provato a spiegare com'è la vita per chi vive per i libri.
Sequel della storia: "Potremmo volare". Può essere letta singolarmente.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
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3. Maledette voci di corridoio
“Una voce di corridoio non acquista credibilità
finché non viene ufficialmente negata”
Paradosso di Potter


 
Non ho bisogno di particolari riti di preparazione perché, oltre al fatto che non ho nessuna voglia di tentare di truccarmi ed assomigliare ad un ciccio-panda con tutti e due gli occhi neri, i genitori di Alessandro sono la mia seconda famiglia. Sto per uscire di casa ed avvisare con un urlo i miei coinquilini della fuga, infrangendo il silenzio, quando Rebecca mi anticipa.
-Tesoro! Mi sono dimenticata di dirti il compromesso.
-Compromesso?- le faccio eco con voce rotta e ansiosa.
Lei si affaccia dal salotto e mi sorride: -Domani andrai a scuola con Filippo in macchina.
-E perché?- chiedo a bocca aperta –Non credo che…-
Lei mi lancia un’occhiata tagliente: -Chi è la madre? Io. Vuoi uscire stasera? Allora non fare storie.
-E Alessandro?- domando infine.
-L’ho già avvisato e comunque potrai avvisarlo tu stessa questa sera.
Che madre premurosa!
Le sorrido, aspettando che si allontani poi sfogo la mia rabbia sullo stupido vaso di fiori vicino alla porta e, giusto per completare l’opera, tiro un calcio anche al cactus.
Santo cactus pungente! Esclamo tra me e me quando rischio di inciamparci sopra mentre esco. La nonna ha proprio ragione: tutto ritorna.
-Sandro!- esclamo sollevata, vedendolo.
-Nora- mi fa eco lui porgendomi il casco.
Quando arrivo in casa Sinistro ho ormai nascosto in un cassetto dietro al cuore a destra tutti i sentimenti negativi di questo week-end: la confusione, la diffidenza, la malinconia ed il disprezzo. Saluto tutti con un grande abbraccio mentre la piccola Sofia mi scocca un bacio grande e appiccicoso sulla guancia sinistra. Non capisco perché ma questa bambina riesce sempre ad avere le labbra sporche di caramelle e zucchero ed il cuore sporco d’amore.
Nessuno di loro mi fa alcuna domanda sulla mia situazione famigliare o su mio padre, parlano di tutt’altro. Li ho sempre adorati per questo: per l’atmosfera che si respira qua dentro, anche quando si prendono in giro a vicenda si capisce che si amano profondamente. Abitano in un appartamento modesto: una grande sala, un cucinino, tre camere da letto e due bagni. E’ tutto molto colorato ed allegro e, se potessi, farei subito i bagagli per potermi trasferire qui.
Sbuffo.
-Tutto bene?- mi chiede Laura lanciandomi un sorriso sincero, del tutto diverso da quelli di Michela.
-Ero solo sovrappensiero- dico sorridendo e finendo la mia fetta di dolce.
-Mamma posso avere un’altra fetta di torta?- domanda Sofia porgendole trepidante il piatto.
-Mamma, cosa?- chiede Laura severa.
-Per favore!- esclama la piccola regalandole un dolcissimo sorriso, forse anche più dolce della torta.
-La cena era buonissima- dico pulendomi la bocca con il tovagliolo.
-Un’altra fetta di torta anche per me!- esclama Alessandro a sua volta.
-Continua a mangiare così e non passerai più dalla porta- lo avvisa Paolo, bonario.
-Non credo, è come se avessero applicato al suo stomaco un incantesimo di Estensione Irriconoscibile- borbotto lanciandogli un’occhiataccia.
-Già- borbotta Laura porgendogli la quarta fetta di dolce –Talmente irriconoscibile che nemmeno i grassi e le calorie lo sanno, perciò non li assorbe-
Io scoppio a ridere mentre Alessandro ci fa la linguaccia e qualche smorfia. Paolo posa una mano su quella di Laura e gliela stringe brevemente, lei ricambia la stretta mentre si scambiano uno sguardo d’intensa.
-Abbiamo deciso di anticiparti il nostro regalo di compleanno- mi annuncia Laura con un grande sorriso mentre Paolo si dirige verso l’altra stanza.
- Sarà solo tra due settimane!- esclamo stupita.
- Ma quello è un bel regalo- sussurra Sofia come se fosse un segreto mentre Alessandro annuisce vigorosamente.
Paolo torna in sala con un enorme scatola impacchettata tra le braccia, la posa per terra e mi incoraggia con lo sguardo ad avvicinarmi.  Già promette bene: la carta da regalo è decorata con tanti piccoli gelati. Lo scarto lentamente, pregustando il momento, apro la grande scatola: dentro moltissimo polistirolo ed una scatola appena più piccola. Alessandro mi aiuta a tirarla fuori, dentro a questa c’è un’altra scatola e poi un’altra ed un’altra ancora fino a che non trovo una macchina per fare il gelato.
Apro e chiudo la bocca, balbettando parole indefinite e versi di gratitudine.
-Non devi dire niente!- esclama Laura facendomi l’occhiolino –Almeno adesso avrai qualcosa con cui distrarti-
-Voi volete farmi ingrassare- riesco a dire infine.
-Ti piace?- mi chiede Sofia titubante, osservando i miei occhi lucidi.
-Moltissimo- dico annuendo cauta.
-Allora perché piangi?- mi chiede lentamente.
-Perché sono felice.
-Io non piango quando sono felice, lo faccio solo quando sono triste o Alessandro mi fa arrabbiare.
Io ridacchio e le accarezzo i capelli, quanto vorrei tornare ad essere piccola ed innocente come lei. Li abbraccio tutti, scoccando anche un bacio sulla guancia alla piccola di casa e a Laura. Quando i miei si contendevano il mio affidamento ho chiesto prima di venire affidata a Ivan poi, trovando un muro di risposte negative, che la mia tutela andasse a loro. Mio padre era d’accordo ma mia madre si è opposta ancora con più forza, pagando i migliori avvocati affinché, alla fine, potessi andare a stare da lei.
Inutile dire che ci è riuscita, trascinandomi nel casino della sua vita mentre avrei potuto vivere allegramente la mia con qualcun altro.
Scaccio i brutti pensieri e seguo Alessandro al piano superiore, la sua camera è un miscuglio di pensieri, idee e gusti differenti: è dipinta di blu mentre i mobili (tastiera del letto, armadio e scrivania) sono azzurri, ci sono poster di ragazze di Wrestling, calciatori affascinanti e macchine da corsa. Sopra il letto, invece, diversi scaffali pieni di libri ed alcuni vuoti, suo padre dice che se continua a riempire così tanto ogni scaffale primo o poi gli cadranno sulla testa mentre dorme.
-Non avrei mai creduto che sarei veramente riuscita a convertirti alla mia religione- dico ridendo e buttandomi sul suo letto dalle coperte di Star Wars.
-Religione?- mi chiede lui perplesso sedendosi sul cuscino.
-I libri- gli spiego alzando gli occhi al cielo.
Sorride ma, prima che mi possa rispondere, il suo telefono inizia a squillare.
-Pronto?
Io giocherello con il bordo della trapunta quando lui mi lancia una breve occhiata.
-Sì , è con me- dice infine mentre sollevo le sopracciglia in una silenziosa richiesta.
-Certo- ridacchia –Le è piaciuto moltissimo. No, non proprio… No, non ancora. Sì, stai tranquillo. Come sempre!-
Poi mi passa il cellulare, sussurrando: -E’ tuo padre.
Gli strappo quasi il telefonino dalle mani e me lo premo forte contro l’orecchio quasi come se così potessi sentirlo più vicino.
-Papà?- chiedo.
-Nora?! Scusa ma ho potuto chiamarti solo ora e non mi rispondevi.. Hai il cellulare scarico? Va beh, non importa. Comunque ho immaginato che fossi da Alessandro.
-Mi hanno invitata a cena e tu come stai?
-Non c’è male, mi sto impegnando, sai? Ivan mi ha detto che vi porterà a Torino: comportati bene.
-Sì, certo. Mamma mi ha detto di Natale, ci sarai vero?
-Ci sarò- taglia corto con voce dura –Tu fai la brava e non odiare troppo mamma-
Faccio per ribattere e lui deve percepirlo perché riprende con voce accorata: -Lo sai che vuole solo il tuo bene e non lo dico solo perché è quello che ci si aspetta che io ti dica. Conosco tua madre più di chiunque altro, più della sua Michela e so che ti ama e darebbe tutto per te. Dalle l’occasione di dimostrartelo.
-Papà?- mormoro con le lacrime agli occhi.
-Sì? Il mio tempo sta per finire Nora, tra poco devo andare a dormire.
- L’amore fa sempre così schifo?
Sento lo sguardo di Alessandro su di me ma continuo a tenere gli occhi puntati sulla faccina sorridente e buffa di Yoda.
-No, solo a volte- sento che sorride dall’altra parte del telefono
-Ma perché?
-Non lo so, Nora, vorrei saperlo anche io. Ma non pensare che sia stata tutta colpa di tua madre, probabilmente ci sono state anche delle mancanze da parte mia
Per poco non scoppio a ridere. –Ma se tu la ami!-
Lui fa un grande respiro prima di rispondere. –Non sempre le cose vanno come vorremmo. Ora devo andare sul serio, piccola. Ci sentiamo, okay? Ciao.
-Ciao.
Porgo il telefono ad Alessandro sempre senza guardarlo, mi butto di nuovo sul letto, portando le mani dietro la testa.
-Nora?- mi chiede lui guardandomi con la testa inclinata.
Io apro gli occhi e gli sorrido: -Ti va di leggere qualcosa insieme?
Lui allunga la mano sopra la sua testa e prende il primo libro che gli capita a tiro: Le guerre del Mondo Emerso. Mi sposto appena, lui si sdraia al mio fianco, apre il libro ed iniziamo a leggere.
 
Odio i lunedì, specialmente quando sono preceduti da un domenica sera fantastico. Mormoro qualcosa di indefinito cambiando posizione e avvolgendomi metà cuscino intorno testa.
-Eleonora!!- chiama Rebecca perdendo la pazienza.
Io, per tutta risposta, mi tiro le coperte fin sulle orecchie.
Non è possibile che ieri sera mi sentissi a casa, tra la piccola Sofia e le risate mentre questa mattina vorrei che il letto mi inghiottisse o, come minimo, mi facesse scomparire dalla vista di questa donna nevrotica.
-Eleonora, muoviti! Ti porta a scuola Filippo in macchina, ricordi? E sono sicura che non vorrai far fare tardi anche a lui!- esclama uscendo dalla stanza.
Sento il sangue defluire dalle orecchie e mi alzo svogliata.
Non sia mai che il mio cucciolino arrivi in ritardo a scuola dai suoi compagni fighissimi, mi ritrovo a pensare mentre bevo lentamente il latte, i capelli ricci più intricati del solito, un bel paio di occhiaie e il cervello ancora sul cuscino. Rebecca, giusto per dimostrarmi quanto mi ama, stacca la caldaia per qualche minuto e mi costringe a fare una velocissima doccia ghiacciata.
Mi asciugo i capelli assonnata e, vestita solo con un asciugamano, medito che questo sarà un altro terribile lunedì da dimenticare in perfetto stile Nora Lorenzetti. Una volta conclusa anche quest’ardua impresa mi vesto in fretta e furia afferrando un maglioncino di lana fatto a mano –e non da una mano qualsiasi ma da quella fatata di nonna Secondina-. Quando finalmente mi infilo al posto del passeggero nella modesta –si fa per dire- macchina di Filippo sono anche riuscita a mettermi un filo di trucco e a non scordare la cartella.
Passo il viaggio in un ostentato silenzio, dimostrando al mio accompagnatore quanto io sia sociale e allegra al mattino presto. Arriviamo alla nostra grigia scuola che mancano ormai pochi minuti al suonare della campanella.
-Scusa se ti ho fatto arrivare in ritardo- mormoro mentre spegne il motore.
-Tranquilla, le lezioni non sono ancora cominciate e poi anche io me la sono presa comoda.
Sì, certo, se l’è presa comoda ad aspettarmi.
Non ribatto ed apro la portiera. Scendendo dall’auto sento un’orda di ragazzine con gli ormoni in fibrillazione cacciare urletti e lanciarmi occhiatacce. Credo che domani verrò a scuola con una maglia dalla scritta: “Non sono la ragazza di Montesanti” e dietro “E’ solo che le nostre madri sono lesbiche. Abbasso l’omofobia”.
-Ci vediamo all’uscita- dice Filippo poi si abbassa e mi lascia un breve bacio sulla guancia, fin troppo breve per me ma abbastanza lungo da far scoppiare altri gridolini e commenti malefici.
-A dopo- dico trattenendo a stento uno sbadiglio.
Mi dirigo lentamente verso la mia classe mentre sento sempre le stesse ragazzine in preda agli ormoni criticare tutto di me: dai jeans sbiaditi ai miei fantastici capelli vaporosi. Non do loro molto peso per forza dell’abitudine ed arrivo in classe sotto altri sguardi attoniti. Prendo posto nell’unico banco rimasto libero in seconda fila, vicino alla pettegola della classe.
Fantastico, ci mancava solo lei, borbotto sperando che non mi noti. Peccato che sia come infilarsi nella gabbia di un leone e sperare che faccia le fusa, appena qualche secondo dopo la mia entrata, mi riempie di domande inutili: -Allora? Cosa succede tra te e Montesanti? Solo ieri si è lasciato con la sua ragazza ed oggi già si è messo con te? Perché poi? Cosa ci troverà mai in te?-
-Grazie, Cristina- mormoro a denti stretti –Tu sì che sai come alzare la mia bassissima autostima-
Lei mi regala un falso sorriso, mostrandomi i canini.
-Comunque non stiamo insieme- aggiungo poco dopo, con la speranza che faccia come al solito il suo lavoro da ragazzina pettegola e lo dica a tutta la scuola.
-Ah no?- mi chiede solo vagamente interessata.
-Buongiorno ragazzi!- esclama la professoressa entrando in classe e salvandomi da morte certa.
Ci ordina brevemente di rimanere in silenzio iniziando a fare l’appello. Per la prima ora posso limitarmi a prendere qualche appunto, scribacchiare il simbolo dei doni della morte qua e là e schiacciare qualche breve sonnellino interrotto solo dalla voce petulante della professore di italiano che, ogni tanto, ha un’inspiegabile ascesa verso l’alto prorompendo in un suono di frequenza superiore ai 1000 Hz. E’ solo alla terza ora che mi pento di essere arrivata in ritardo: Cristina sembra riscuotersi dal torpore mentre Francesco esegue un esercizio piuttosto complicato di matematica alla lavagna ed inizia a tormentarmi, raccontandomi qualsiasi cosa le passi per la testa.
Quando finalmente suona la campanella che segnala l’inizio dell’intervallo non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un lungo e quasi esagerato sospiro di sollievo.
-Allora? Vuoi dirmi come ci sei riuscita?- mi domanda cauta Giulia, parandomisi davanti e bloccando la mia fuga.
-Riuscita a fare cosa?-
-A conquistare Montesanti. Lo ricatti? L’hai drogato?- mi chiede con voce melliflua e falsamente adorabile arrotolandosi una ciocca nera attorno al dito.
-Magari hai usato qualche magia che hai imparato da Harry Potter- dice prendendomi in giro e ridacchiando della propria battuta.
-Mi dispiace: niente magie fuori da Hogwarts- rispondo fingendomi costernata e regalandole un rapido sorriso, prima di riuscire a sgattaiolare via.
-Lorenzetti!- esclama Francesco appoggiandosi allo stipite della porta e bloccandomi il passaggio.
-Cosa c’è?- chiedo al limite dell’esasperazione.
-Fai tanto la santarellina tutta libri e poi vai a letto con Montesanti?
-Io che cosa?!- gli domando strabuzzando gli occhi ed arrossendo.
-Allora è vero- mormora lui accarezzandosi la barba che non ha.
-E’ vero tanto quanto il fatto che il tuo cervello non è un pallone da calcio- dico sorridendo brevemente ed allontanandomi prima che riesca a capire la battuta.
Tra l’altro un pallone da calcio molto piccolo, aggiungo tra me e me
Quando riesco finalmente a raggiungere Alessandro sento di avere ancora il viso in fiamme e gli occhi fuori dalle orbite.
-Chi devo picchiare?- mi domanda lui ammiccando.
-Tutti!- esclamo lasciando che, finalmente, la mia rabbia abbia libero sfogo –Possibile che nessuno sia capace a farsi gli affari propri? O almeno potrebbero limitarsi a riferire le cose come stanno invece di ingigantirle! Maledette voci di corridoio-
-Cosa ti interessa?- mi chiede lui scrollando le spalle –Se a tutti piace credere a una cosa non vera lasciali fare, prima o poi si stancheranno. Non ti deve interessare il giudizio altrui-
-Non è questo!- esclamo esasperata –E’ che ora gli ho dato un pretesto in più per burlarsi di me!-
Abbasso lo sguardo, quasi pentita di questa rivelazione imbarazzante ed umiliante, lui mi afferra le mani e mi costringe a guardarlo negli occhi: -Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso, chiaro?
Io annuisco e mi lascio andare ad un sospiro rassegnato.
-Vuoi un pezzo di pizza?- chiede prendendo l’involucro dalla cartella.
-La pizza è uno dei rimedi migliori- ammicco annuendo.
Lui ride: -Se sei una ragazza cicciona che pensa solo al cibo, sì.
-Io non penso solo al cibo- dico incrociando le braccia e fingendomi offesa.
-Hai indirettamente ammesso di essere cicciona.
-Zitto- sibilo prendendo il pezzo di cibo che mi sta offrendo –O mi costringerai a mettermi a dieta-
-Non sia mai!- esclama lui ironico.
-Grazie- dico infine iniziando a mangiare: sappiamo tutti e due che non mi riferisco solo alla pizza.
Passo le due ore successive a pregare che Zeus lanci una saetta proprio mentre la mia compagna di banco sta parlando, così che questa le tranci di netto la lingua o che Nagini ritorni dal mondo dei morti con una strana voglia di carne di pettegola. Grazie alla mia solita sfortuna non succede nulla di tutto ciò, perciò mi appunto mentalmente di comprare un paio di tappi per le orecchie per eventuali incontri futuri con Cristina ed esco da scuola con il mal di testa più atroce della storia, saluto rapidamente Alessandro e Elisa –una delle mie poche compagne che non vorrei sotterrare vive- e mi dirigo verso la macchina di Filippo.
-Scommetto che hanno rotto le scatole tutto il giorno anche a te- dice a mo’ di saluto.
-Ciao anche a te- rispondo infilandomi nel posto del passeggero.
-Lo prendo per un sì- dice infilando le chiavi e mettendo in moto.
Passiamo qualche minuto in silenzio mentre la mia testa sospira di sollievo e le mie orecchie cercando di riprendersi: Cristina ha parlato così tanto che ogni tanto mi sembra ancora di sentire la sua voce.
-A proposito di ‘sta mattina- dice Filippo tamburellando con le mani sul volante –Scusa per il bacio fugace ma c’era Isabella che ci guardava e.. insomma…-
Io gli poso una mano sulla gamba.
–Tranquillo, capisco- dico, nonostante io non capisca proprio per niente –Non dovresti neanche scusarti-
-Invece sì- insiste lui mentre allontano la mano –Probabilmente ti avranno tormentata tutto il girono anche per questo-
Per un attimo penso di mentire ancora poi faccio un rapido gesto con la mano: -Scuse accettate.
Una volta a casa mi godo la nostra solitudine: nessuna coppietta felice sbaciucchiante e nevrotica all’orizzonte. Prepariamo il pranzo senza dire molto, Filippo prepara una pasta carbonara che è la fine del mondo e due occhi di bue che fanno andare in ecstasy le mie papille gustative.
-Ti sposerei solo per il tuo modo di cucinare- dico con un filo di voce, appoggiandomi sazia allo schienale della sedia.
Questo è il motivo per cui probabilmente nessun ragazzo si innamorerebbe mai di me: le mie assurde uscite imbarazzanti. Come volevasi dimostrare Filippo scoppia a ridere.
-La mia proposta di aiutarti con lo studio è ancora valida- mi dice quando finiamo di lavare i piatti.
-Oggi pomeriggio viene Alessandro- dico deglutendo.
-Non studiate troppo scienze umane, allora- sussurra infine facendomi l’occhiolino.
Gli ultimi due neuroni che erano rimasti nel mio cervello si sono appena suicidati. Quando finalmente riesco a riprendermi ed a trascinare il mio sedere fino in camera devo tornare sotto per rispondere al citofono.
Apro la porta di ottimo umore, ricca di buoni propositi. Tutto questo sparisce non appena apro la porta e mi accorgo che Alessandro è in ottima compagnia. Ottima si fa per dire: al suo fianco c’è l’essere più idiota che io abbia mai conosciuto nella mia vita da fan-girl sfigata.
-Perché c’è anche lui?- chiedo sorridendo falsamente ad Alessandro ed indicando il suo amico.
-E’ bravo in tutte le materie in cui tu fai pena.
-Anche tu lo sei.
-Non in fisica- mi ricorda scrollando le spalle.
-Io sono qui- esordisce l’idiota sventolando le braccia come se fosse su un’isola deserta.
Non gli rivolgo più attenzione di quanta ne riserverei per l’escremento secco di una lumaca gigante africana. Faccio fare ad Alessandro un rapido giro della casa, evitando la camera di Filippo e continuando ad ignorare il nuovo arrivato.
Una volta arrivati nella mia insulsa e noiosa camera mi siedo sul letto, lasciando che Alessandro si accomodi al mio fianco e fermando il suo amico un attimo prima che lo faccia: -Ho appena rifatto il letto.
-Non ci vomiterò sopra.
-Non voglio mettere le coperte a lavare, non puoi sederti per terra?
Lui mi rivolge uno sguardo seccato, alzando le sopracciglia: “Davvero?” sembra chiedermi.
-Siediti pure- lo rassicura Alessandro.
-Non puoi lasciare che la tua lumaca infanghi il mio letto!- esclamo lanciando un’occhiataccia al mio migliore amico.
-Ehi!- esclama la lumaca senza ricevere risposta. D’altronde le lumache non dovrebbero nemmeno parlare.
-Devi accettare la mia esistenza se vuoi migliorare in fisica- mi fa notare.
Io lancio un’altra occhiataccia ad Alessandro ma lui sembra provare un forte interessamento per le proprie scarpe.
Questo essere insulso che mi osserva spocchioso è il migliore amico di Alessandro nonché amico d’infanzia di Filippo. Assomiglia a uno scimpanzé con le lunghe braccia sproporzionate al resto del corpo e i peli un po’ ovunque –dico io: com’è possibile che avesse già un principio di barba a dieci anni?-, è più intelligente di Einstein e più stupido di una gallina anche se non riesco ancora capire come ciò sia possibile. Inutile dirlo ma era uno dei principali sostenitori del R.V.N. –Roviniamo la Vita a Nora- insieme a Montesanti nonostante abbia un anno in meno di lui.
-Io accetto l’esistenza delle lumache- dico infine –Vogliamo iniziare? Non sbavare troppo sul libro, per favore-
Gabriel, la lumaca, lancia uno sguardo supplicante ad Alessandro ma, non ottenendo risposta, inizia a spiegare.
 
Detesto ammetterlo eppure ho capito più in quest’ora con la lumaca che in tutto il resto della mia vita, ovviamente questo lo tengo per me. Dopo fisica siamo passati a inglese, qui gli ha dato man forte Alessandro rendendo il tutto più sopportabile.
Manca una mezz’ora scarsa all’arrivo di mia madre dal lavoro quando scendiamo a fare merenda. Decido di provare la macchina dei gelati mentre scopro, non senza una certa delusione, che Filippo è uscito.
-Mi dispiace- dico a Gabriel, porgendogli una coppa di gelato –Non abbiamo quello all’insalata-
-Sei veramente infantile!- esclama lui alzando gli occhi al cielo.
-Esiste la protezione ambientale per le lamentele- lo rimbecco io seria.
-Allora, com’è andare a letto con Montesanti?- mi chiede poi avvicinando il cucchiaino di gelato alle labbra.
E fu così che la lumaca venne schiacciata dal ciccio-panda.

 
  
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