Crossover
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Autore: Registe    30/08/2015    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 27 - L'ombra di Kaspar





Zam kraken




“Le Pietre della Sapienza non sono oggetti magici qualsiasi: ho svolto diverse ricerche nelle biblioteche del Magnamund e del Daziarn per conto del generale West, ma le ore di studio hanno condotto soltanto all’accumularsi di leggende costruite su strati e strati di storia e superstizione. Non vi sono tracce della loro creazione nemmeno negli annali dei Signori della Guerra, il che fa solo pensare che la loro creazione risalga ad epoche antecedenti persino al Grande Vuoto, quando ancora Ishir e Ramas viaggiavano nel Magnamund in forma mortale.
Ma ai militari queste storie non interessano fintanto che il potere di questi sette artefatti non avrà una spiegazione scientifica compatibile con le loro conoscenze. La loro capacità di agire sul corpo umano rasenta l’impossibile: ho visto con i miei occhi ferite causate da lance zwei guarire in un istante quando esposte alla loro luce. Possono agire persino sul sistema nervoso quasi come fanno i Jedi: grazie alle Pietre della Sapienza abbiamo liberato alcuni nostri agenti dal controllo mentale dell’Imperatore Palpatine, e sembra che possano avere efficacia anche su questioni inerenti alla modifica dei ricordi. Qualunque natura abbiano questi oggetti, sono convinto che sia benevola.
Nessun Signore della Guerra avrebbe creato degli artefatti in grado di proteggere la debole vita degli esseri umani.
Altri aspetti da chiarire sono senza dubbio la questione dei desideri ed il teletrasporto […]"
Dai rapporti di Paido, ufficiale di terzo livello dell’unità militare SG 1, pianeta Terra I.




Nel momento in cui riaprì le palpebre su di lui c’era la faccia di Mu. Quando riuscì a metterla a fuoco ed a fermare il mondo che insisteva nel vorticargli davanti al viso notò che i capelli dell’altro erano una massa ispida e priva di forma, bruciacchiati in più ciocche ed incapaci di nascondere i segni di una scottatura lungo la guancia destra. “Amico, sembra che tu sia appena uscito da una visita di piacere nella foresta dei licantropi!”
“E tu da un pomeriggio ai fanghi di Karl, Auron. Adesso cerca di non fare il bambino e manda giù questo!”
Qualcosa di amaro si infilò prepotentemente tra le sue labbra e prima ancora che potesse sputarlo in faccia al sacerdote sentì la testa venire tirata indietro ed il liquido gli scese nella gola. Una discreta sensazione di benessere lo attraversò, anche se non abbastanza da cancellare il sapore che gli ricordava molto più l’unione tra lo sterco del cavallo ed il fango che non una pozione di guarigione. Si ritirò su a fatica, cercando di riprendere conoscenza e recuperare tutte le sensazioni successive al passaggio della Medroa ed al tentativo di sfuggire alla sua fame distruttrice. La testa era pesante come una roccia, ma si rimise in piedi appoggiandosi alla parete ed ignorando le tenere proteste di Mu che lo imploravano di rimanere fermo e prendere un’altra pozione. Gli sembrò di vedere di nuovo la luce accecante nell’angolo dell’occhio, ma la sensazione svanì quando scosse la testa con più forza. Serrò i denti ed osservò lo spazio intorno a loro: il metallo della stanza era bruciato e non rifletteva più le loro immagini. Una patina nera copriva ogni superficie, specie il pavimento dove l’incantesimo doppio si era liberato; l’unica cosa che rimaneva dei droideka era una zampa metallica abbandonata in un angolo, probabilmente strappata via al momento della deflagrazione. Dei soldati metallici rimaneva solo quello, e niente altro.
Era un mercenario, ne aveva viste di tutti i colori. Aveva conosciuto più maghi che prostitute ed aveva qualche volta lavorato in compagnia di incantatori prezzolati, ma poche volte aveva visto, persino tra i demoni, scagliare magie con la stessa potenza di quelle di Matoriv. Zachar era abile, lo stesso vecchio mago aveva dichiarato più volte che il potenziale magico della ragazza era molto più alto del suo ma … Matoriv non si limitava a sentire la magia. La plasmava, la modificava. Aveva assistito una volta ad una seduta di addestramenti di Zachar per migliorare la sua padronanza con gli incantesimi d’acqua, ed il vecchio aveva parlato così a lungo degli incantesimi che gli era venuto il mal di testa. La donna che amava scagliava incantesimi con la stessa naturalezza con cui lui menava fendenti con la spada, ma per Matoriv non era abbastanza.
La magia facile lo annoiava. Aveva assistito qualche volta a delle sue “combinazioni” elementali, ma non aveva mai pensato che potessero avere simili effetti distruttivi. Lo aveva accompagnato qualche volta in delle missioni contro dei demoni minori, e difficilmente il vecchio –che pure aveva la tendenza ad esagerare- creava spettacoli di quel livello. Di magia non capiva assolutamente nulla, ma era sicuro che l’uomo anziano avesse avuto bisogno di molto tempo per convogliare le energie elementali in quell’attacco, e forse capì del perché Aban si fosse limitato a tenere alto uno scudo invece di passare all’attacco. Prima che potesse dire solo una parola fu travolto proprio da Aban, che lo fissò con uno sguardo strano, sgranato, con le iridi dilatate e le pupille strette. “Mu, hai visto i miei occhiali?”
“Non sono Mu, sono Auron”.
“Oh, scusa, sai com’è … Senza occhiali sono un po’ perso …”
Un po’? sospirò Auron, sforzandosi di trovare gli oggetti mancanti. Dovevano essere di qualche materiale incredibilmente resistente, perché erano stati sbalzati contro uno degli ascensori senza che nemmeno una crepa attraversasse il vetro. Recuperò anche la Masamune, che invece versava in condizioni peggiori: non si era disintegrata all’impatto della Medroa come aveva temuto, ma la fessura che attraversava il metallo si era allargata e stringendola tra le dita ebbe l’impressione che la magia assorbita fosse ancora lì, attiva, sotto forma di piccole scariche che ne attraversavano la lunghezza. Avrebbe dovuto usarla con più attenzione.
Mise distrattamente gli occhiali sul naso di Aban e, ignorando i ripetuti “CI VEDO!” fece rapidamente il conto della situazione. L’attacco dei droideka aveva ucciso almeno quattro fanti, ed i giovani druidi responsabili del teletrasporto non sembravano feriti, ma senza dubbio avevano un’espressione provata sul viso. Aban era ancora carico di energie, ma lo stesso non si poteva dire di Matoriv: il vecchio mago era appoggiato alla parete, rifiutando con insistenza le cure di Mu, ma il sorriso beffardo e soddisfatto che lanciava ad Aban non nascondeva del tutto il fiato corto e l’evidente bisogno di riprendere aria. Aveva sempre sentito i guaritori della Resistenza intimare all’uomo di non sforzarsi, ma era chiaro che Matoriv faceva sempre di testa sua. Non ci voleva un esperto in incantesimi per capire che la Medroa gli aveva prosciugato molte più energie di quante potesse metterne in campo: forse era proprio quella la magia che avrebbe voluto scagliare nel reattore della Morte Nera, ma in quel momento la loro priorità era capire cosa fosse successo all’altra squadra e cercare un punto di riunione. Anni di esperienza sul campo di battaglia gli avevano insegnato che quando i nemici sono numerosi non risparmiano sulle truppe, e senza dubbio sarebbe stata questione di minuti prima che l’Imperatore mandasse altri droideka –o avversari peggiori, ma non osava nemmeno immaginarlo- contro di loro. E purtroppo tra di loro soltanto Aban sembrava in grado di opporre una seria resistenza: se si fosse trattato di nemici comuni Auron non si sarebbe fatto problemi a considerare le proprie braccia e le proprie gambe come armi più che sufficienti, ma con quei nemici-macchina non sarebbero stati sufficienti ed avrebbe dovuto ricorrere alle capacità aspiranti della sua spada solo in caso di difesa, perché quella crepa non presagiva nulla di buono.
“Niente, non rispondono!” disse uno dei druidi come a far eco ai suoi pensieri. Quello strano strumento per comunicare, chiamato “comlink” suonava a vuoto nella sua mano. L’ansia per Zachar iniziò a salire. Gli allarmi non cessavano di suonare, e in quell’istante si augurò che fossero per loro, che stessero trascinando in quello spazio tutti i soldati della Morte Nera pur di non sapere lei e soltanto lei in pericolo.
“Forse è il caso di tornare indietro …”
Mu, il pallido Mu diede forma a quel pensiero che senza dubbio si stava formando in tutte le loro menti. “Non abbiamo idea di dove sia questo reattore, non riusciamo a comunicare con gli altri, non siamo realisticamente in grado di affrontare una seconda o una terza ondata di droidi … ma abbiamo ancora i druidi con la connessione al Perno dell’Ade. Possiamo andarcene, non sprechiamo le nostre vite!” i suoi occhi verdi si rivolsero verso Matoriv, che sembrava aver ripreso abbastanza forze la lanciargli uno sguardo torvo. Ma Mu lo sostenne e riprese. “Noi non siamo demoni, non è una questione di onore e disonore. Ma siamo partiti con un piano confuso, che non è nemmeno il nostro. I Ribelli sono abituati a fare commandi in questo posto, ma noi …”
Allargò le braccia. “Gli altri capiranno. Anche se non riusciamo a contattarci capiranno che qualcosa è andato storto, forse hanno sentito suonare gli allarmi avranno capito che la nostra posizione è stata scoperta”.
“Zachar non ci lascerebbe mai indietro! E nemmeno Leona o Dai!”
“Appunto …”
Non aveva mai ritenuto il sacerdote una persona anche solo lontanamente avvicinabile all’aggettivo “minaccioso”, ma l’espressione che aveva messo sul viso era di un serio che gli aveva visto solo durante le traversie al Castello dell’Oblio. Dovevano essersene accorti anche gli altri, perché persino i druidi sollevarono lo sguardo dai comunicatori per voltarsi verso il suo amico abbandonando persino la postazione accanto agli ascensori ed agli ingressi. “Chi di noi vuole rimanere qui e diventare un peso per loro? Stiamo vagando senza meta, siamo sfiniti, se ci catturassero saremmo soltanto un’esca per l’Imperatore, che ne dite?”
“Mu …”
“Io … io sono stanco di vedere la gente morire e sacrificarsi”.
“Disse il sacerdote con tendenze suicide … Mu, detto da te …”
“AURON!”
I suoi grandi occhi verdi erano lucidi. “UN CONTO E’ DARE LA PROPRIA VITA PER GLI DEI, UN CONTO E’ BUTTARLA ALL’ARIA!”
“Oh, un religioso con del sale in zucca! Una cosa rara in questi tempi!”
La voce squillante coprì qualunque risposta –o insulto- che stava partendo dalle labbra di Auron per mandare a quel paese il suo amico. La voce in questione infatti veniva dal punto della stanza cui stava dando le spalle, così impensierito dalla discussione e preoccupato per la debolezza di Matoriv dall’accorgersi che non erano gli unici occupanti della stanza. Ed evidentemente non se ne erano accorti nemmeno i suoi compagni perché tutti si voltarono all’unisono, la stessa espressione stupita dipinta sui loro visi.
L’uomo che aveva parlato sollevò gli occhi da un macchinario su cui stava trafficando, un oggetto metallico di forma cubica che verosimilmente era stato travolto dalla delicatezza della Medroa ed era ridotto ad un ammasso fumante che l’uomo, con un sospiro, allontanò via con un calcio. Auron riconobbe il civile che aveva trascinato con sé al momento dell’esplosione, anche se adesso la sua tuta da lavoro azzurra era strappata per tutta la lunghezza del braccio destro ed il resto era coperto da uno strato scuro di polvere e schegge metalliche. I capelli neri erano un groviglio ben peggiore di quelli di Aban, e lo scrutò dall’alto in basso alla ricerca di armi. Non ne vide o comunque non vide blaster, ma aveva imparato che in quel mondo c’erano strumenti per uccidere che potevano nascondersi nel palmo di una mano. Quasi come di rimando il nuovo arrivato sollevò le mani e rivolse loro un sorriso, poi voltò gli occhi verso Matoriv. “Quella sì che è una magia!”
Il vecchio mago era stanco, ma evidentemente non abbastanza da sollevare la testa e gonfiare il petto per l’orgoglio. “Modestamente è una mia invenzione!”
“Incredibile! Ed io che pensavo che gli utilizzatori di magia fossero degli inetti capaci solo di sparare Palle di Fuoco!”
“Chi sei?”
Auron grugnì, ponendo forse la domanda con più stanchezza del solito. Dopotutto stavano conversando con un perfetto sconosciuto nel cuore della roccaforte nemica, con una probabilità piuttosto alta di vedere in pochi minuti l’arrivo di una seconda, più nutrita carica di droideka. E conosceva abbastanza bene Matoriv dal sapere che sarebbe potuto andare avanti anche per molti minuti nell’autocelebrazione del proprio genio magico senza curarsi del resto del mondo, quindi interrompere quella che stava per trasformarsi in un’inutile discussione fu l’unica cosa che gli venne in mente. Agitò lievemente la Masamune senza alcun istinto minaccioso, e la spada non gli sussurrò presenza di magia o di altro genere. Aveva salvato quell’uomo perché gli era sembrata la cosa più ragionevole da fare, ma questo non faceva di lui un alleato. Era un imperiale, e loro erano membri dell’Alleanza Ribelle pronti a fargli esplodere la stazione spaziale sotto i piedi.
“Io?” rispose lui, quasi divertito dal fatto che gli avesse posto una domanda così elementare. Puntò il dito contro il macchinario che stava cercando di riparare. “Io faccio le pulizie! Più precisamente tutto il settore L del quinto piano e metà dell’N. Bagni delle reclute a parte, quelli sono riuscito a non farmeli assegnare! Voi siete quelli dell’Alleanza Ribelle, giusto?”
Aban sospirò. “Più o meno …”
“Eccellente!”
L’uomo batté le mani, poi se le sfregò. “Sentite, quanto tempo pensate di metterci prima di far saltare in aria tutto? Perché io dovrei prima passare negli alloggi del personale a riprendere i miei libri e dopo mi piacerebbe prendere la via di fuga sul primo cargo in uscita, sapete com’è … Non è che potreste aspettare una trentina di minuti, il tempo di imbarcarmi e trovarmi ad una giusta e congrua distanza di sicurezza?”
Lo guardarono tutti, Mu compreso, cercando di capire e mettere insieme le parole di quell’uomo che sembrava aver ripreso in pochi attimi tutte le energie. I suoi occhi erano scuri, ma non avevano quello sguardo inespressivo che aveva notato nei pochi cloni soldato che era riuscito a vedere senza uniforme. Stava guardando Matoriv, ma Auron ebbe la strana sensazione che il nuovo arrivato riuscisse a vederlo anche se gli dava il fianco. Si portò per precauzione qualche passo indietro, sperando che anche i suoi compagni condividessero i suoi attimi di diffidenza. Il vecchio mago di certo no, perché mandò un verso a metà tra uno sbuffo ed sospiro ed aprì le braccia. “Guarda, dipendesse da me ti darei anche tutta la giornata, se solo sapessimo come raggiungere quel benedetto reattore …”
“Uh, facile. Prendete l’ascensore, scendete al ventisettesimo piano negativo, poi prendete il corridoio di destra ed andate sempre dritti. Contate cinque … no, sei ingressi sulla destra e praticamente siete arrivati. C’è un sistema di aperture laser scorrevoli, ma niente che una persona in grado di creare quella magia di prima non possa aprire. E puff, siete arrivati!”
Aveva l’impressione di non aver capito bene.
Il soldato aggrottò la fronte, confuso. E quella confusione si trasformò in un accavallarsi di domande nella sua testa senza sosta. Il problema era che di solito questi fiumi di dubbi riusciva a risolverli soltanto in un modo: strinse la Masamune con forza, cercando di capire chi o cosa fosse quel piccolo uomo delle pulizie davanti a loro, quell’imperiale che stava rivelando con tanta disinvoltura il punto debole della stazione su cui si trovava. La sensazione di disagio aumentò. Lo scrutò di nuovo, poi scosse la testa. “Per quello che ne so potrebbe essere una trappola”.
L’altro si voltò, degnandosi di mostrare tutta la sua faccia. Stava quasi per ridere. “E per quello che ne so io voi potreste semplicemente uccidermi prima che io dia l’allarme. Suvvia, non siate sciocchi …”
Si portò in mezzo a loro, quasi per trascinare su di sé tutta l’attenzione possibile. I druidi, i soldati, persino il testardo Mu sembravano sospinti a guardarlo. Per un attimo ad Auron sembrò di avere a che fare con un attore itinerante oppure un bardo, di quelli che attiravano gli occhi della gente e li costringevano a piegarsi ed a giocare con il suono delle loro parole. “Approfittate della lezione di oggi. Siete in una situazione estrema, non sapete dove andare, rischiate di morire inutilmente e vi sembra che l’unica opzione valida sia la fuga. Opzione validissima in molte ed opportune situazioni. Ma non oggi. Sapete dove avete sbagliato?”
Riprese fiato, poi continuò. Nessuno di loro riuscì a trovare le parole per rispondergli, ribattere, scusarsi o semplicemente mandarlo al diavolo. Nemmeno lui, e Auron si morse il labbro. “Non avete guardato, signori, guardato! Avevate un’altra soluzione proprio alle vostre spalle e non vi siete nemmeno degnati di chiedermi nulla. Insomma, se non vi avessi rivelato dove andare sareste ancora qui a perdervi tra due scelte una più desolante dell’altra, fatemelo dire. Ed invece, grazie alla mia magnifica presenza –ci tengo a sottolineare certe cose- avete ancora una possibilità di vincere e tornare a casa sazi di una nuova missione. Ah, vorrei specificare che lo faccio solo per ringraziarvi di avermi fatto vedere quella magia interessante, è da qualche anno che non vedevo qualcosa di così straordinario!”
“Io …” Matoriv trovò il coraggio di articolare, ma un gesto dell’altro lo mise a tacere.
“Mi raccomando, almeno trenta minuti, però!”
Si allontanò dal centro della stanza e si avvicinò all’ascensore. Lo guardò qualche istante, come a soppesarlo, poi con una scrollata di spalle cambiò direzione e si diresse verso una delle tante pareti di duracciaio annerite dallo scontro. Da una tasca estrasse un minuscolo oggetto cilindrico e, ignorandoli del tutto, lo appoggiò sul metallo ed iniziò a tracciare dei disegni, come un arabesco senza alcuna immagine precisa. “Aspetta un attimo!”
Mu fu il primo a scuotersi dalla stranezza dell’incontro e fece un passo in avanti. Ad Auron non sfuggì lo sguardo preoccupato che il sacerdote stava lanciando contro quel simbolo circolare che stava prendendo forma nelle mani dell’uomo, ed anche se lui non riusciva a percepire alcuna magia nell’aria ancora satura della Medroa si accorse di avere i muscoli delle spalle in tensione.
L’uomo si voltò al richiamo, e Mu liberò un respiro profondo. “Se davvero sai che abbiamo intenzione di far saltare in aria questo posto … Pensi di avvisare qualcuno? Se riuscissimo nella nostra impresa moriranno comunque tantissime persone”.
“È un problema loro, non mio! Io ho preso le mie precauzioni. È una guerra, e nelle guerre si muore, prete. Ed in queste situazioni il mio pensiero è solo uno …”
Il sigillo sotto le sue dita si illuminò. Mu fece un passo indietro, colto di sorpresa, ed Auron sollevò un braccio per non essere accecato dal bagliore. Quando quello terminò vide che nella parete di duracciaio, che nemmeno i colpi di Aban riuscivano a perforare, si era aperto un foro rettangolare, della grandezza sufficiente per far passare una persona nella stanza attigua.
La figura in piedi davanti a loro sorrise, e per un istante vide in aria una minuscola moneta abbandonare le sue dita, tintinnare verso l’alto e poi ritornare a lui e scivolare nella tasca. Agitò la mano e si profuse in uno scherzoso inchino. “… Valar Morghulis”.
Prima ancora che potesse lanciarsi al suo inseguimento, l’uomo svanì attraverso lo spazio. L’attimo dopo questo si era richiuso, e la mano di Aban si fracassò sulla parete.




“Benvenuti a Kamino, signori”.
Hadler riuscì ad udire la voce di Zam Wesell anche oltre il rumore delle onde che si infrangevano sul ghiaccio. La città di Tipoca City sembrava guardare loro tre con aria di sfida.
Il mago umano, quello che ormai sapeva rispondere al nome di Kaspar, era rimasto indietro avvolto nel suo mantello bianco, gli occhi chiari incredibilmente inespressivi.
Un pupazzo avrebbe avuto più vita, anche se la magia che stava caricando in corpo rivelava assolutamente il contrario.
Baran si staccò dalla destra di Hyunkel, volando fin quasi a raggiungere la figura della donna. La pioggia continuava ad imperversare, ma le gocce che cadevano sul blocco di ghiaccio si trasformavano in minuscoli cristalli acuminati; persino dalla sua posizione il demone minore poteva sentire il gelo dell’incantesimo e l’aura del Cavaliere del Drago cozzare nel tentativo di coesistere l’uno con l’altro nello stesso spazio vitale. “Eravamo attesi?”
La donna sorrise. Dopo aver avuto modo di scontrarsi con lei, Hadler capì perché continuava a fissare Baran negli occhi senza arretrare di un passo o abbassare lo sguardo. Così come capiva benissimo che non si sarebbe spostata semplicemente chiedendo per favore. “Non proprio” disse, sollevando le spalle. “Ma non penserete che il principale stabilimento di produzione dei cloni non abbia le migliori difese che l’Impero Galattico possa mandare in campo, giusto?”
“Abbiamo una missione” tuonò Baran.
“Anche io”.
Il fischio che ne seguì fu così forte che Hadler fu costretto a portare le mani sulle orecchie. Vide solo Baran voltarsi, imperscrutabile, e Sephiroth portare la mano all’elsa della spada. Ne seguì un secondo, meno violento, ma l’attimo dopo i tuoni che rimbombavano nel cielo sin dall’istante in cui erano arrivati furono coperti da un boato fragoroso e continuo proprio sopra le loro teste.
Il cielo sparì.
Tutta l’aria iniziò a tremare, le nuvole scure furono attraversate da minuscoli raggi color verde e rosa, la pioggia diminuì d’intensità fino a rendere lo spazio respirabile. Sottili crepe attraversarono il cielo, lo divorarono, lo disgregarono fino ad assumere delle forme imponenti, metalliche e triangolari. Forme che Hadler aveva imparato a conoscere molto bene.
Sopra di loro oltre venti Star Destroyer, le gigantesche astronavi dell’Impero Galattico, coprivano il cielo oscurando con le loro ombre anche il mare sottostante. Erano apparse dal nulla, sembravano essere nate dal cielo stesso, ed il demone minore sentì i cuori rimbombargli nel petto ad una velocità che non aveva nulla a che vedere con l’eccitazione della battaglia. Ovunque potesse guardare, persino oltre la città congelata, lo spazio era occupato da Star Destroyer che ruggivano furiose e che ancora si spostavano l’una accanto all’altra per soffocare loro ogni via d’uscita. Estese la magia nella loro direzione, ma nessuna presenza di incantesimi di teletrasporto o di illusione era presente nell’aria. Sephiroth distolse l’attenzione dalle onde, fissando lo schieramento nemico senza ombra di sgomento, quella sana paura che Hadler era certo di poter scorgere sul proprio viso se solo avesse avuto il coraggio di abbassarsi e specchiarsi lungo il pelo dell’acqua. Alcune delle astronavi mandarono dei rumori ancora più alti, e dalla loro parte inferiore iniziarono ad aprirsi dei portelli.
“Sistema di occultamento modello Lemelisk Beta. Pura tecnologia imperiale” disse la donna quasi leggendo nei loro occhi. “Non temete, non sareste riusciti a rivelarla nemmeno con i vostri migliori incantesimi”.
Hadler non fiatò. I rumori delle astronavi adesso sembravano sordi e lontani, come se tutta la flotta stesse aspettando un segnale.
“Questo è il mio avvertimento, Generali del Grande Satana. Andatevene subito …”
Incrociò le braccia sul petto, stavolta posando lo sguardo persino sull’angelo “… o scoprirete le conseguenze di attaccare impunemente Kamino e l’Impero Galattico”.
Hadler era stato nominato il comandante in capo degli eserciti della famiglia demoniaca, ma capì subito che questa era una decisione che non poteva e non doveva dipendere da lui: la donna gli aveva rivolto un sorriso trasverso, ma era chiaro che stesse aspettando una risposta solo e soltanto da Baran. Non che questa cosa gli dispiacesse, prendere decisioni vitali non era mai stato il suo forte. Si accorse che gli occhi di tutti, persino quelli vacui del mago umano, stavano aspettando il verdetto divino del Drago.
Baran si staccò da lei. Zam Wesell non perse di vista nemmeno una delle pieghe del suo abito quando lui si sollevò, passando accanto a Sephiroth senza però degnarlo di un’occhiata o lanciare un ordine. Ad ogni palmo che si levava in volto verso le nuvole Hadler sentì la magia pizzicargli contro la schiena e ribollire al richiamo del sangue divino, i suoi cuori ripresero a battere con un ritmo che nessuno avrebbe potuto comprendere. Il Cavaliere del Drago salì in alto, ma non si scagliò contro le astronavi come Hadler aveva sospettato: rimase a mezz’aria, molto sopra di loro ma nemmeno vicino al ventre degli Star Destroyer, immobile come un punto nero che emanava scintille d’oro. La magia continuò a fremere, vide la pioggia che cadeva lungo la sua pelle evaporare e diventare quasi rovente per la rete di incantesimi del suo compagno di battaglia che nessuna di quelle stupide tecnologie imperiali avrebbe potuto superare. La chiamata del sangue divino non si fece attendere a lungo.
Il primo fulmine cadde sul ghiaccio, disintegrando metà del blocco e costringendo l’altro a piegarsi. Il secondo Hadler lo sentì passare accanto all’orecchio sinistro, l’energia cadde, satura della sua stessa magia, e si abbatté nell’acqua in una nuvola di vapore che scacciò con un incantesimo di vento. Il terzo ed il quarto fulmine si persero nella pioggia di scariche che nacque in quell’istante richiamata dal potere draconico di Baran. Al di sopra degli Star Destroyer le nuvole si erano trasformate in un muro implacabile saturo di incantesimi di elettricità che liberarono la loro furia su tutto ciò che trovavano al di sotto del loro dominio; uno degli Star Destroyer non sollevò gli scudi deflettori in tempo ed almeno una trentina di lampi corsero lungo i suoi fianchi metallici illuminandolo fino a penetrare nel cuore dei meccanismi. La nave si inclinò, ancora preda dei fulmini creati dall’incantesimo Gigaiden di Baran, ed i veicoli più vicini furono costretti a rompere la formazione e tutte le contromisure in azione per evitare che la nave colpita le speronasse e le trascinasse con sé nelle profondità dell’oceano che già la attendevano.
Baran era immobile al centro del cielo. Alcuni Star Destroyer fecero fuoco contro di lui, ma l’Aura Draconica era salda intorno alla sua figura ed assorbì i colpi al plasma che avrebbero distrutto persino un palazzo.
Hadler sapeva che non sarebbe nemmeno stato necessario contare fino a cinque per individuare la mossa della mutaforma: Zam Wesell si trasformò nuovamente in un uccello, ma stavolta le sue piume erano luminose come il sole e le ali affilate come spade. Non aveva idea di quale creatura magica stesse imitando, ma il volatile si lanciò in cielo senza evitare o parare i fulmini del Gigaiden. Vi si tuffò dentro caricando il suo intero corpo di saette nemiche per poi scrollarsele di dosso quasi come le facessero il solletico mentre dal becco corto sfuggiva un verso selvatico che forse voleva essere un segno di sfida. Uno dei fulmini chiamati da Baran si contorno nell’aria in maniera innaturale e si abbatté sulla sua forma trasformandola in una sfera luminosa di lampi; altri caddero ancora su di lei evitando le navi avversarie, come se la donna li stesse volutamente attirando lungo le sue piume per difendere gli Star Destroyer. Stava sfidando il Drago con gli stessi fulmini del Gigaiden, e adesso le sue zampe, le ali ed il becco erano quasi scomparsi nel globo che la stava avvolgendo e che cresceva ad ogni folgore che attirava. Hadler istintivamente si protesse con uno scudo incantato, sapendo comunque che avrebbe resistito solo in parte al potere carico che stava ruggendo dalle piume della loro nemica e che si stava apprestando a lanciare nella loro direzione.
Ma non lo lanciò.
Il globo di saette smise di brillare; alcune svanirono nel nulla, come se un’ala nera ne avesse cancellato il passaggio, altre tornarono libere e si abbatterono sull’oceano. Davanti alla mutaforma, proprio nel punto dove l’incantesimo stava per essere liberato, vi era la figura di Hyunkel ancora nella sua nuova trasformazione, la mano destra in avanti proprio davanti al becco della cacciatrice di taglie. “Lei è mia”.
Dal suo palmo nacque un’esplosione di scintille nere che saturò l’aria di incantesimi agitando i sensi del demone minore. La magia dell’Angelo travolse l’uccello giallo in cui Zam Wesell era mutata e la scaraventò in basso, saturando l’aria di pressione fino a spingerla contro le onde. La donna tornò umana per qualche istante prima di essere spinta con violenza ancora più sotto, nel cuore dell’oceano. Per sicurezza Hadler prese quota di un’altra decina di metri e si avvicinò a Hyunkel: gli occhi della creatura antica di cui aveva preso possesso erano fissi verso il basso, certi che non sarebbe bastato un bagno fuori programma per arrestare la furia guerriera della cacciatrice di taglie. “Anche lei si trovava a Coruscant, quel giorno. Voglio solo vendetta per me e per mio padre”.
“Quella donna è pericolosa, Hyunkel”
“Non quando ho il potere di Sephiroth, amico mio … Lasciatemi l’onore di portare al Grande Satana la sua testa!” rispose l’altro, la lunghissima spada sguainata.
C’era Hyunkel, c’era il suo amico dentro quel corpo, ma …
Un brivido corse lungo la schiena di Hadler. Era Hyunkel a comandare il corpo di quell’Angelo nero, eppure da quando aveva iniziato ad usare la creatura ed il Puzzle Millenario aveva l’impressione che non fosse sempre Hyunkel, capitano del Fushikidan, a parlargli. O forse era sempre lui, ma nelle parole spesso sbucava fuori qualcosa, qualcosa privo di forma e carico d’oscurità che lo inquietava. E tremò di nuovo osservandolo in posizione da battaglia, pronto a balzare contro qualsiasi cosa si muovesse. Il compagno si voltò verso di lui, confondendolo con la voce greve del suo ospite. “Hadler, credo che tu abbia altro di cui preoccuparti. Lascia la cambiapelle a me”.
Non gli ci volle nessun sesto senso per percepire la Palla di Fuoco diretta contro le sue spalle: volò in alto lasciandola esplodere nell’aria e poi si voltò, le cinque dita già pronte a rispedire al mittente le sue Flare Finger Bombs. Kaspar, in perfetto equilibrio sulla punta di un cristallo, sollevò due frammenti di ghiaccio residui e li lanciò nella sua direzione: Hadler li evitò, poi scagliò verso l’umano le cinque scintille che si ingrandirono a contatto con l’aria fino a diventare delle sfere roventi. Le mosse con la propria magia, separandole fino a poter attaccare l’avversario da cinque punti distinti e convergere contro l’obiettivo. “Schiva questi, umano!”
Le Flare Finger Bombs corsero al suo segnale, trasformando il piedistallo di ghiaccio in polvere bianchissima. Kaspar emerse da quella nuvola con un salto, coperto dal proprio mantello e con un campo di incantesimi di difesa tutt’intorno; saltò nel poco ghiaccio che rimaneva, schivò un fulmine cadente di Baran e si rimise in piedi su una piattaforma con le mani spalancate per un nuovo incantesimo, come se l’attacco precedente non gli avesse fatto nemmeno un graffio. Per essere un umano sa usare davvero bene la magia …
Il pensiero gli rimase a mezz’aria. Sentì una fitta ad entrambe le spalle, forte e premuta contro le clavicole quasi a spezzargliele. Quando respirò per caricare un nuovo incantesimo si accorse che qualcosa di invisibile stava premendo contro il suo petto bloccandogli il fiato a metà; provò a volare via, ma si mosse soltanto di qualche metro, come schiacciato da una pressione senza corpo che stava investendo anche Hyunkel. Il suo compagno aveva le spalle curvate e l’ala aperta in una posizione innaturale, ma il volto inespressivo non gli permetteva di comprendere se stesse soffrendo o meno. Eresse intorno al corpo una barriera cercando di comprendere da che parte provenisse quella potenza, ma l’unica cosa che riusciva a comprendere era il legame tra l’incantesimo e le dita del mago umano. Cercò di rispondere alla pressione con una magia di vento, ma questa venne stritolata, compressa e rigettata contro di lui.
Sopra di loro qualcosa oscurò il cielo, facendo sparire persino le navi e le nuvole.
Una pozza di oscurità stava prendendo forma, ed in un istante Hadler ne sentì la fame. Cercò di gridare qualcosa a Baran, ma il Cavaliere del Drago stava abbattendo con i suoi fulmini uno sciame di minuscole astronavi dirette verso di loro.
“Un’umano che conosce la magia Ultima” sussurrò Hyunkel, ormai vicino a lui. Stavolta anche il suo capo era chinato in avanti, stritolato dall’incantesimo di oscurità che stava per scendere. “Temo che dovrò davvero testare i limiti di questo corpo. Tu inizia a creare le migliori barriere che hai …”
Hadler non se lo fece ripetere due volte; ignorò il dolore lungo le ossa ed il peso della magia contro la colonna vertebrale, abbandonò qualsiasi forma di attacco verso Kaspar e si circondò di ogni scudo che possedeva, sperando che sarebbero bastati. Intorno al corpo di Sephiroth qualcosa di luminoso iniziò a correre lungo l’abito nero, minuscole scintille verdi e bianche che partivano dalla punta della spada e che ne attraversavano il corpo, i vestiti ed i capelli, trasformandolo in un punto luminoso e vivo al centro di quel campo di battaglia. Hyunkel non era mai stato familiare con gli incantesimi, eppure in quella forma … in quella forma riusciva a fare qualunque cosa. Il corpo dell’Angelo sembrava creare magia da solo, senza bisogno di attingere ad alcuna fonte, ed il demone minore si accorse che il potere che l’altro emanava si riversava lungo le sue barriere, rafforzandole con la sua stessa presenza e con gli incantesimi selvaggi e puri che gli mandavano i cuori in fiamme. Osservò Hyunkel caricarsi di quella magia come una stella e puntare la spada contro la massa nera di Ultima, sfidandola. Ma lo scontro non arrivò.
La forma di Sephiroth rovinò in basso, perdendo in un istante l’incantesimo che stava lanciando. Hadler lo vide sprofondare nell’oceano di Kamino con un tentacolo color bronzo avvinghiato al braccio che impugnava la spada; l’Angelo fu inghiottito dalle onde, e Hadler sentì ancora una volta il potere devastante di Ultima sulle proprie spalle. La magia di Kaspar stava nutrendo quell’incantesimo che cresceva come una piccola luna inghiottendo anche gli Star Destroyer alleati che non erano riusciti a compiere una manovra di disimpegno rapida. Provò a concentrare tutta la magia Tobelura per portarsi lontano da lì, ma né le sue gambe né le sue braccia rispondevano al comando, troppo impegnate a sorreggere quella pressione sovrannaturale che gli strappò un urlo di dolore quando il dolore ed il rumore di ossa spezzate si propagò all’altezza della sua spalla sinistra.
Cercò di vedere la figura di Sephiroth sotto i flutti, ma il suo campo visivo si tinse di nero quando Ultima liberò tutto il suo potere.
I suoi incantesimi difensivi si infransero come un calice di cristallo scagliato a terra, diventarono niente più che frammenti di luce bianca e rossa che vennero avvolti nella magia nera e risucchiati al suo interno. La massa oscura raggiunse il suo corpo, ed Hadler si sentì sprofondare, poi spingere e tirare da ogni parte; cercò di avvolgersi in un manto di fiamme, ma i suoi incantesimi vennero assorbiti da quel globo e si ritrovò a fluttuare nel buio più assoluto, stranamente stanco come se d’un tratto tutte le forze gli fossero venute meno. Aprì gli occhi un paio di volte, comandandosi di non svenire e non cedere alla forza annullatrice di Ultima: cercò di ignorare il freddo che gli stava partendo dalla punta delle dita e richiamò ogni traccia di incantesimo imbrigliata nelle fibre del suo corpo pur di uscire di lì. L’effetto fu persino peggiore, perché non appena la rete di magia iniziava ad avvolgerlo riusciva a sentire il potere avversario che la strappava via come uno straccio, lacerandolo fino al centro del petto come a zittire qualunque sua forma di resistenza. Cercò di non pensare, di resistere al panico di quel paesaggio nero e vuoto che si estendeva davanti ai suoi occhi, di trovare in qualche angolo della memoria un incantesimo in grado di respingere Ultima, ma nel fondo dell’orbita danzavano solo minuscoli Dardi Incantati, deboli Mani Brucianti e le magie più elementari che aveva imparato da piccolo. Sentiva ogni muscolo del corpo implorare di appartenere ad Ultima e diventare tutt’uno con la magia, ma cercò di resistere. Non aveva sentore delle proprie gambe, ma tentò di scalciare per liberarsi, di afferrare qualunque cosa vi fosse in quell’oscurità senza limiti dove poteva solo galleggiare e attendere di essere cancellato.
Invano.
Estese la mano sinistra, ma non riuscì nemmeno a vedere il proprio palmo. Lanciò un grido, ma anche la voce venne inghiottita dal vuoto. Si dibatté ancora un paio di volte, ma persino la mente gli chiedeva di fermare quella patetica scena: era stato investito dall’incantesimo Ultima, non aveva molto senso cercare di combatterla. Estese di nuovo la mano, pronto a tutto, ma stavolta una forza vibrò attraverso la cortina di Nulla come un lampo di luce e lo afferrò per il polso.
Qualcosa lo strinse a sé e lo scagliò verso il basso. I suoi polmoni si riempirono d’aria mentre vide la massa di Ultima crescere al di sopra di lui, lanciata all’inseguimento come una chiazza d’inchiostro che divorava anche degli Star Destroyer. La macchia nera era attraversata da uno squarcio, ma in quell’istante non riuscì a mettere in ordine i propri pensieri perché una voce gli gridò nell’orecchio “Trattieni il fiato, Hadler!”
Inspirò quanto più possibile, rendendosi conto solo in quell’istante di trovarsi in caduta libera sopra l’oceano con il braccio sinistro di Baran stretto intorno al suo torace e la sua aura draconica furiosa come un drago pronto a soffiare.
L’impatto non fu dei migliori: aveva riempito d’aria i polmoni a mala pena per metà, e non aveva ancora iniziato a richiamare un incantesimo per respirare sott’acqua quando si ritrovò di nuovo in quelle acque nere. Ogni osso e muscolo del suo corpo gridava per il dolore dell’ingresso violento, ma si concentrò sulla magia del Respiro e sul calore che il corpo di Baran emanava anche nelle profondità dell’oceano, nel punto in cui stentava a vedere i bagliori della superficie. Scesero in quel modo per diversi metri. La pressione si fece sentire all’improvviso sotto forma di fortissimo fischio nelle orecchie, ma non era paragonabile al dolore che aveva sentito quando Ultima si era manifestata nel cielo ed aveva cercato di inglobarlo.
Poi persino la luce della superficie svanì.
L’incantesimo oscuro evocato da Kaspar raggiunse la sommità dell’oceano.
In un istante Hadler sentì tutta la magia di Ultima riversarsi lungo le onde, nei pesci e nelle altre creature che abitavano lì. La fame di quell’incantesimo iniziò a divorare ogni cosa, travolgendo anche quei relitti di Star Destroyer che erano stati abbattuti dalle folgori di Baran. Sentì di nuovo la forza schiacciante trascinarlo verso il basso e cercare di rompere ogni sua difesa, ma l’oscurità aveva esaurito il suo effetto. Si riversò come un telo nero lungo le onde, aggiungendo al gelo dell’abisso anche un buio sovrannaturale.
L’acqua era gelida. Lo feriva come migliaia di aghi, entrandogli nelle ferite. Cercò di scorgere il viso di Baran, ma l’oscurità era così forte che non riuscì a vedere l’espressione scolpita sul viso accanto al suo, troppo preso nel sentire le propaggini terminali di Ultima per voltarsi nella sua direzione ed illuminare la discesa. Hadler riprese a respirare solo quando finalmente l’incantesimo del mago umano si dissipò e sentì il braccio del suo compagno di viaggio allentare la presa intorno alle spalle.
Scesero insieme ancora per diversi metri senza toccare il fondo.
Cercò di chiudere la mente per qualche istante, di fare ordine nei suoi pensieri e nel calmare i cuori che gli martellavano contro il petto: quel Kaspar era riuscito a dar vita ad uno degli incantesimi più potenti e ricercati della famiglia demoniaca, uno di quelli che anche il Grande Satana consigliava di usare con la massima cautela per l’ingente potere distruttivo difficile da tenere sotto controllo. Il mago umano lo aveva usato senza restrizioni, travolgendo nella sua potenza persino le navi alleate e verosimilmente distruggendo centinaia di vite dei suoi sottoposti solo nella speranza di colpire lui o Sephiroth. Dalle informazioni ottenute dal viceammiraglio Kratas sapevano che Kaspar era sotto il controllo di un condizionamento mentale, ma evidentemente questo non ne diminuiva la potenza o la pericolosità.
Si scoprì a stringere i denti con rabbia.
Non era riuscito a fermare la magia di un semplice umano. Si era fatto catturare nel vortice di Ultima come un pesce in una rete, aveva permesso a quella magia di inghiottire i suoi incantesimi come se fosse un piccolo demone di un secolo o due. Se non fosse arrivato Baran …
Una violenta corrente d’acqua di colpì in pieno e li scagliò lontano, ma a giudicare da come il Cavaliere del Drago lo afferrò e lo sospinse in avanti era giunto proprio dove desiderava. Ora che la superficie consentiva a qualche sparuto raggio di luce di passare ne capì il motivo.
Hyunkel si era appena liberato dal tentacolo di una bestia spaventosa, quello che a Hadler sembrò per un attimo una versione più grande e chiara dei kraken che popolavano gli abissi di Cephiro. Gli occhi vitrei li fissarono per un istante, poi i tentacoli ripresero a muoversi in direzione del loro bersaglio originale. Probabilmente il corpo di Sephiroth doveva essere in grado di respirare sott’acqua, perché Hadler non sentì provenire da lui nessuna magia, nessun incantesimo in atto; la sua enorme spada era caduta da qualche parte sul fondale e tutti i movimenti dell’Angelo lo portavano a salire, scendere, inabissarsi di nuovo, muoversi tra un attacco e l’altro per trovare l’arma. L’enorme ala per un istante si aprì per bloccare un colpo, ma la bestia ne approfittò per generare una corrente che si abbatté sulla distesa di piume nere trascinando il resto del corpo indietro, lontano da qualunque obiettivo si fosse predisposto. Il demone generò una protezione per impedire alla spinta di trascinare se stesso ed il suo compagno ancora più lontano, ma si trovò comunque diversi metri più dietro prima di riuscire a piegare quella gigantesca massa d’acqua; creare un incantesimo sotto il livello dell’acqua era estenuante, si ritrovò ad ammettere. La famiglia demoniaca aveva sempre e solo dominato i cieli, ed erano pochissimi i demoni che sapessero nuotare.
E quasi nessuno muoversi, combattere e lanciare incantesimi in quelle condizioni. Forse nemmeno un Cavaliere del Drago.
Zam Wesell si era scelta il campo di battaglia. E Hadler aveva ancora delle ferite aperte dal loro ultimo scontro a Coruscant, quello in cui la donna gli aveva generosamente offerto di prendersi un vantaggio. Non voleva sapere cosa sarebbe successo se fosse stata lei a dettare le condizioni dello scontro.
Una donna che sa quello che fa, pensò mentre cercava di riprendersi dal colpo subito. Il groviglio di tentacoli era ancora lì, pronto a ricacciarli indietro. Una grande guerriera.
La donna mutata in kraken riprese l’offensiva su Hyunkel: la spada dell’Angelo era ancora da qualche parte sul fondale, e non appena quello cercava di lanciare un incantesimo la cacciatrice di taglie lo incalzava, approfittando di quanto fosse difficile anche solo resistere a certe profondità dove un umano normale o un demone inesperto sarebbero morti schiacciati dal freddo e dalla pressione. Le mani del loro compagno si muovevano senza sosta, ma quando cercava di allontanarsi la donna modellava le correnti per afferrarlo, quando tentava di lanciarsi contro il centro del corpo quella lo scagliava lontano. Provò ad abbandonare il duello ed a risalire, ma l’ala era d’impiccio in quella manovra e lo rallentava abbastanza da permettere alla mutaforma di riafferrarlo e continuare. Un gioco estenuante e di logoramento dove la creatura marina sapeva di poter avere la meglio. E Hadler conosceva troppo bene la caparbietà e l’ostinazione di Hyunkel: il suo compagno umano avrebbe giocato fino all’ultima goccia di energia.
Finché rimaniamo qui faremo soltanto il suo gioco, rifletté. Dobbiamo portarla di nuovo in superficie.
La prima ed unica nota di sollievo fu accorgersi che Baran lo stava fissando con un’espressione severa negli occhi. Hadler sperò solo che il Cavaliere del Drago avesse avuto la sua stessa idea.
La speranza diventò una fiamma accesa quando il diadema di Baran riprese a brillare di luce propria, squarciando l’oscurità con un bagliore di raggi dorati che si tinsero di rosso quando il simbolo del drago comparve sulla sua fronte. I cuori di Hadler reagirono d’istinto, affamati e richiamati da quel potere così selvaggio ed alla loro portata, richiamando tutto d’un fiato la magia che credeva essersi addormentata. Ignorò la pressione ed il freddo, smise anche solo di muoversi o galleggiare e lasciò che i propri incantesimi si unissero alle correnti e scorressero con loro come un’unica corda tesa fino allo spasmo. La donna spostò una seconda massa d’acqua verso di loro, ma stavolta la loro magia riuscì ad afferrarla e ad aggrapparvisi, tutta l’energia dentro di lui si modellò lungo quella forza e vi corse dietro, la assecondò nel movimento e poi la evitò mandando la corrente altrove. Si mosse insieme a Baran, puntando alla testa del mostro.
Una massa di tentacoli cercò di fermarli, ma le loro energie combinate li separarono come fossero le mani di un gigante; continuarono a bruciare magia risuonando uno con il sangue dell’altro, come uno stormo di draghi lanciati all’inseguimento della preda. Qualsiasi altro movimento, qualsiasi altro pensiero sarebbe stato solo d’intralcio, lo stesso Baran aveva lasciato la Spada del Drago Diabolico nel fodero e si era trasformato in energia pura e semplice, un fulmine scagliato solo in una direzione. Hadler si rese conto che non stavano nuotando o volando: non c’erano braccia o gambe, si sentì come una freccia scagliata da un arco, i polmoni in fiamme quando lo stesso incantesimo che gli consentiva di respirare sott’acqua si fuse con il resto della magia e lo abbandonò, trasformandosi anch’esso in potere primitivo che venne scagliato insieme ai loro corpi contro la mutaforma.
Non seppe dire se l’avessero colpita o meno.
L’oceano si trasformò in un’esplosione dalla violenza impensabile. La luce illuminò per un istante tutto l’abisso, poi Hadler sentì le acque nere rivoltarsi contro di lui, agitarsi e premere, e quando la magia smise di battere nel suo petto non poté fare altro che lasciarsi trascinare dalla corrente, prigioniero di un vortice gigantesco. Trattenne il respiro e chiuse le labbra, cercando di trovare un equilibrio che gli consentisse di non affogare proprio nel momento in cui lui e Baran avevano giocato il tutto e per tutto, l’istante in cui aveva sentito cosa volesse dire essere un Drago, soffiare come lui, bruciare come lui. Spinse le braccia verso il basso cercando di darsi una spinta e di uscire da quella prigione d’acqua per trovare aria; il suo corpo si contrasse e le gambe gli mandarono una fitta che si propagò fino alla punta delle dita, ma quando sollevò per la seconda volta la testa si accorse di respirare di nuovo, e quella che lo stava accogliendo era la superficie dell’oceano. Ignorò le onde, ignorò i residui del vortice, aprì la bocca ed inspirò tutta l’aria che trovò, troppo stanco per pensare agli Star Destroyer, a Tipoca City ed ai Nuclei Neri andati perduti. Il piacevole tepore che gli si espanse nel petto per un attimo ebbe il sopravvento su tutto, lasciando sprofondare l’oceano e la battaglia in un velo di silenzio.
Chiuse gli occhi, ascoltando i battiti dei propri cuori esplodergli fin dentro il cervello, dietro gli occhi e su per la gola, ma un secondo e più abbagliante raggio di luce passò al di sotto delle sue palpebre e lo costrinse a guardare in alto.
La mutaforma era tornata nella sua forma umana, probabilmente indebolita dall’impatto della loro magia, e si trovava ancora a mezz’aria circondata da una nuvola di schizzi e vapore. Sephiroth –il cielo solo sapeva come fosse riuscito a recuperare la spada in tutta quella confusione- torreggiava in volo diversi metri sopra di lei, la mano destra spalancata.
“Baran, Hadler, grazie per l’aiuto” disse, riuscendo a farsi udire oltre le folgori e le navi da guerra che stavano riaprendo il fuoco contro la figura massiccia di Baran. Per un istante al demone sembrò di sentire di nuovo il tono gentile ed arrendevole di Hyunkel in quelle parole, ma si scosse subito quando sentì l’energia crepitare in un incantesimo che non aveva mai visto. “… ma a lei ci penso io”.
Rendendosi conto di trovarsi proprio nel punto sbagliato, Hadler richiamò tutte le forze residue e prese di nuovo il volo, gli occhi puntati sulla magia del suo compagno.
Se Ultima era il manto della notte, quell’energia accecante era come un piccolo sole.
O forse qualcosa di più.
Fu come se tutto il cielo si riversasse nella sua mano. Le astronavi scomparvero, sommerse da un’energia furiosa. Strie blu percorsero l’aria, quasi come antiche rune, disegnando un cerchio che trovava il centro nel palmo della mano dell’Angelo furioso. Lo stesso Baran iniziò ad allontanarsi trascinando con sé i pochi Star Destroyer sopravvissuti a quella furia antica, un incantesimo che il demone minore non aveva mai visto, percepito o nemmeno sentito narrare nelle storie degli anziani. Fu come se la notte, le stelle, la luna ed il sole cadessero sopra di loro lasciando spazio soltanto ad una luce bianca ed insopportabile, forte e veloce quanto una stella cadente.
Una stella cadente che si avvicinava di secondo in secondo verso la mutaforma ancora sospesa in aria.
Non ce la farà. Non può farcela.
Sephiroth era l’unico punto nero al centro di quel sole. I suoi capelli chiari sembravano una raggiera intorno ad un viso che anche in mezzo a quella luce si mostrava inflessibile, privo di qualunque espressione che mostrasse gioia, odio o sollievo. Una creatura che non apparteneva né agli umani, né ai draghi né ai demoni, un essere unico in grado di lanciare una concatenazione di incantesimi così distruttivi a cui forse nemmeno il Grande Satana avrebbe saputo o potuto opporsi. In quegli istanti il demone minore ignorò tutto, anche il bruciore sul fondo della retina, per poter osservare la potenza dell’angelo di cui ora soltanto Hyunkel sembrava avere il comando. Il Puzzle Millenario legato al suo collo sembrava incandescente, ma gli abiti neri non si copersero di fiamme. Rimasero immobili insieme al loro padrone ed affondarono insieme a lui in quella luce che cadeva, distruggeva e divorava tutto quello che incontrava davanti a sé seguendo la mano della creatura che indicava senza pietà il suo bersaglio. Sembrava davvero una stella staccata dal resto del cielo.
Vide il corpo della mutaforma cambiare, ma troppo tardi. La massa di energia cadde su di lei e la travolse nella caduta: la figura della donna svanì nella luce in una vampata di fiamme.
Poi la stella si abbatté su Tipoca City.
Quel poco che era rimasto del manto di ghiaccio fu polverizzato all’istante. Non ebbe tempo di sciogliersi, ma si trasformò in vapore non appena il sole in miniatura si avvicinò allo stabilimento di clonazione. Il boato fu così forte che Hadler dovette richiamare un incantesimo Muro di Silenzio intorno a se stesso per proteggersi, e creò in fretta un secondo livello di barriere per proteggersi da tutto ciò che esplose in ogni direzione. La prima città dei clonatori si piegò in due, e vide la piattaforma principale di atterraggio crollare priva del suo pilastro ed inabissarsi tra i flutti: il bianco e l’incantesimo si dissolsero in un ultimo bagliore accecante, e quando Hadler riuscì ad aprire gli occhi trovò uno spettacolo di devastazione mai visto prima. I sottili corridoi che collegavano tra loro le piattaforme di Tipoca City erano state disintegrate, i vetri di transparacciaio trasformati in milioni di schegge. Il calore della stella aveva colorato i pochi compartimenti ancora in piedi con una minacciosa ombra nera.
Il punto in cui l’incantesimo di Sephiroth aveva incontrato la base era semplicemente esploso. Le aree limitrofe, quelle che erano rimaste colpite soltanto dalle ultime propaggini, iniziarono a crollare una dopo l’altra con i piloni indeboliti e consumati dalla magia e dalle onde enormi che questa aveva creato, lasciando che intere aree della città si riducessero a edifici senza forma che si inabissavano come giganti a cui fosse stata sottratta d’improvviso la terra sotto i piedi. L’oceano di Kamino si aprì, lasciando che quasi tutta l’enorme città sprofondasse. Gli allarmi e le grida degli uomini cessarono quando anche dei minuscoli velivoli che probabilmente si erano presti per dare supporto alla base di clonazione furono travolti nel crollo dei pilastri annullando del tutto qualsiasi possibilità di salvezza. Altre navi si staccarono dagli Star Destroyer, ma Baran le intercettò prima ancora che potessero anche solo avvicinarsi al loro obiettivo.
Hadler trattenne il fiato: negli ultimi anni avevano condotto centinaia di campagne contro villaggi e città di Cephiro, ma nessuna aveva condotto a risultati così eclatanti. Città come Papunika bruciavano sotto il fuoco ed i fulmini della famiglia demoniaca e del pugno di Baran, ma erano semplici mura di pietra, capanni di legno, spade in acciaio che avrebbe potuto spezzare perfino a mani nude. Ma quel potere era … diverso.
E, per quanto fosse controllato dalla volontà di Hyunkel, si accorse di tremare come se vi fosse qualcosa di incredibilmente sbagliato.
Stava osservando l’ennesima torretta di controllo ridotta in macerie quando il lieve pizzicare nella magia lo costrinse a voltarsi.
Un lieve lampo di luce verde comparve su un pilastro tranciato a metà. La piattaforma che sorreggeva era rimasta travolta nell’esplosione, ma quella colonna di duracciaio tranciata a metà era ancora ferma in mezzo alle correnti, sporgendo solo per qualche metro dalla superficie delle acque.
Zam Wesell e Kaspar emersero da quel guizzo di luce, la cacciatrice di taglie che stringeva con una mano il polso del mago e con l’altra un sacchetto che il demone si accorse solo in quel momento di averglielo visto al fianco per tutta la durata dello scontro.
Non gli ci volle molto a capire cosa fosse successo.
Il viceammiraglio Kratas non faceva altro che parlare delle Pietre della Sapienza, l’unico mezzo a disposizione dell’esercito imperiale per teleportarsi su qualunque scala, l’unico artefatto magico che permetteva agli Star Destroyer di raggiungere Cephiro nell’arco di pochi istanti quando anche il loro “iperspazio” avrebbe richiesto mesi e mesi di viaggio. Killvearn aveva confermato quella versione. Quelle sette pietre erano la chiave di volta dell’Impero Galattico ed in quell’istante, in quel preciso istante, si trovavano sul campo di battaglia alla loro portata.
La donna doveva averle usate all’ultimo momento per sottrarsi all’attacco di Sephiroth, ma era chiaro che non ne fosse uscita indenne. Anche a quella distanza riusciva a vederle le gambe piegarsi per la stanchezza fino a farla cadere sulle ginocchia sull’orlo del pilastro. La testa era china in avanti: l’elmo era svanito chissà dove, ed i capelli rossi erano sparsi in ogni direzione, bruciati e coperti di sangue. Dei sottili fili di fumo nero salivano dagli squarci nell’abito. Non appena le sue ginocchia toccarono terra abbandonò la presa sul mago e lentamente, molto lentamente, anche le dita della mano destra si aprirono abbastanza da farle perdere la presa sull’oggetto che le aveva salvato la vita. Il sacco cadde sul duracciaio annerito ed una delle Pietre, una sfera brillante non più grande del suo pugno, scivolò fuori e fece capolino illuminandosi quando un fulmine del Gigaiden cadde a poca distanza dal loro punto sicuro.
Non avrebbero avuto un’occasione migliore di quella. Non avrebbero avuto un’altra occasione per tagliare le ali all’Impero Galattico. Volò verso le due figure senza chiedere consiglio ai suoi compagni, i cuori avevano trovato in un istante tutto il loro vigore: aveva gli occhi soltanto per quel sacco color bronzo e per il suo prezioso contenuto.
Ma la mano che afferrò la Pietra della Sapienza non fu la sua.
Hadler era ancora a diversi metri da loro quando vide delle dita avvolte da un guanto bianco raccogliere la sfera luminosa e rimetterla dentro il contenitore sottile; la magia dell’artefatto si rimise all’opera, ma stavolta non richiamò un incantesimo di teletrasporto.
Hadler accelerò di nuovo con i cuori in gola, sapendo esattamente cosa stava per succedere.
Il Grande Satana aveva ribadito più volte che il condizionamento di Mistobaan non era irreversibile: loro avevano catturato il Membro dell’Organizzazione che lo aveva ridotto in quello stato, ma anche l’Imperatore Palpatine disponeva di metodi di controllo della mente. Tecniche che poteva sciogliere con facilità proprio grazie alle Pietre della Sapienza. Quando gli imperiali erano penetrati nel Baan Palace ed avevano liberato Mistobaan avevano portato con loro quelle gemme, e gli Occhi di Zaboera avevano riportato il particolare che la priorità era non farle toccare al loro Braccio Destro. Zaboera aveva studiato a fondo l’energia magica residua quando i loro avversari si erano teleportati dopo la battaglia, ed aveva confermato la teoria del loro signore secondo cui le Pietre della Sapienza avessero una rete incantata basata unicamente su energia vitale e ristoratrice, quindi avrebbero potuto interagire con la mente di Mistobaan e distruggere persino il castello di ricordi falsi in cui era stato imprigionato.
Degli oggetti magici utilissimi, ma che potevano scardinare in un istante qualsivoglia forma di condizionamento mentale.
Era ormai a pochissima distanza da loro quando gli occhi di Kaspar, fino a quell’istante vuoti ed inespressivi, si accesero di un bagliore tagliente come una lancia di ghiaccio: portò contro il petto la mano che stringeva le Pietre della Sapienza, mentre nell’altra comparve una sottile lama di energia viola e nera. La catena invisibile che legava la mente di quel mago era stata spezzata.
Il demone caricò il proprio braccio di una coltre di fulmini, pronto a respingere l’attacco in arrivo ed a sottrargli il prezioso sacchetto, ma quando l’incantesimo del nemico saettò nell’aria si accorse troppo tardi di non esserne il bersaglio.
La lama viola trapassò la schiena di Zam Wesell con tutta la violenza possibile. Ne seguirono una seconda ed una terza, e la figura della donna cadde in avanti poggiando le mani sul pilastro per rialzarsi. Lei riuscì a voltarsi e provò a portare una mano al blaster che teneva al fianco, evidentemente troppo debole per eseguire anche la più semplice trasformazione, ma il mago le scagliò addosso una saetta che la investì al petto e la rimandò a terra.
Kaspar le si avvicinò, si chinò su di lei e le fece dondolare lentamente il sacchetto contenente le Pietre a meno di un palmo dal viso. “Cercavi queste?”
Per Hadler fu abbastanza: senza più pensare alle sfere magiche trasformò il fulmine lungo il braccio in una cascata di fiamme e vapore. La lanciò sul mago dai capelli bianchi senza riflettere, pensando solo di vedere il suo mantello ed il suo ghigno prendere fuoco sotto la furia del proprio incantesimo: quello si teleportò a qualche metro di distanza, evitò il colpo e provò a contrattaccare, ma Hadler vide un fulmine staccarsi dal cielo e mirare dritto alla testa di Kaspar. Quello usò le Pietre per teleportarsi di nuovo, ma Hadler notò con piacere che il sorrisetto beffardo gli era sparito dalla faccia ed i suoi vili occhi chiari erano spalancati per il terrore mentre Baran stava calando dall’alto con la Spada del Drago Diabolico illuminata dalle folgori e dagli ultimi bagliori degli Star Destroyer che si stavano inabissando nell’oceano.
E, seppur stanco per l’incantesimo, anche Hyunkel stava arrivando.
Il demone lanciò le Flare Finger Bombs contro il mago, ma stavolta quello richiamò parte delle onde sottostanti e se le avvolse intorno al corpo come un mantello, vanificando il suo attacco e trasformandolo in una nuvola di vapore. Mise la mano libera nel sacco, e la luce verde segnò l’inizio del teletrasporto. “Se fossi in voi, demoni, mi godrei questa vittoria. Mi piacerebbe davvero poter vedere la faccia dell’Imperatore Palpatine quando scoprirà cos’è successo …”
“L’unica cosa che la tua faccia vedrà, umano …” sibilò Hadler “Sarà il fondo di questo oceano!”
“Oh, beh, non sono così pazzo da rimanere qui. Mi godrò il sapore della vittoria altrove! E vi assicuro che già adesso è delizioso!”
Tutta l’acqua intorno al suo corpo congelò all’istante, trasformandosi in una lunghissima lancia. “Ora scusatemi, ma non posso proprio rimanere con voi. Come direbbero sulla Terra I … au revoir!”
Hadler aprì la mano, mirando al suo collo, ma le sue dita strinsero soltanto aria. La luce verde guizzò come un lampo e l’umano sparì lasciandosi come ultima scia una risata vomitevole, teleportato in chissà quale remoto angolo dell’universo. La lancia di ghiaccio attraversò l’aria, ma Baran la intercettò prima che potesse umiliare per l’ennesima volta il corpo senza vita della cacciatrice di taglie.
Di Zam, chiuse gli occhi Hadler. Di Zam Wesell.
  
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