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Autore: nyawinchester    30/08/2015    1 recensioni
Francesca è una normale studentessa universitaria. Venticinque anni di speranze, sogni, sconfitte, vittorie, progetti e obiettivi. Determinata e coraggiosa, tenace e intrepida. Tuttavia, Francesca ha dei punti deboli: l'amore, il suo passato, una sola persona. Quante volte il nostro passato ci lascia andare davvero? Quante volte cerchiamo il nostro passato, a volte anche senza accorgercene? E se il destino, ha la forza di riunire due anime gemelle che si sono perse? Forse il destino e l'amore hanno la stessa forza, per questo, spesso, due persone si perdono e non si ritrovano mai più.
Ma se l'amore e il destino si uniscono, allora può un passato stravolgere il presente e cambiare tutto per sempre?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Capitolo 2- Filofobia

 


Sua madre non riuscì ad accompagnarla all’aeroporto. L’aveva salutata a casa, giusto il tempo di poter piangere senza che tutta la gente in coda agli imbarchi e ai check-in la guardasse. Per quanto Francesca continuasse a ripeterle che le avrebbe telefonato ogni giorno, sua madre non aveva smesso di disperarsi.  Così, al suo posto, Simone decise di accompagnarla. Aveva cercato di evitare una partenza straziante, eppure sembrava inevitabile. Era come se non avesse nulla da dire. Come se non fosse importante il fatto di lasciare il suo fidanzato da solo, per sempre, in una vana speranza che lei potesse tornare o che lui potesse raggiungerla.
Simone fece scivolare le dita lungo il sedile per intrecciarle con le sue. In quell’istante Francesca trasalì, e appoggiò la testa sulla sua spalla. Gli voleva bene, un bene immenso e impossibile da misurare, che la faceva ricredere ogni qual volta credeva di potercela fare senza di lui. Studiava giurisprudenza. Lei non gli avrebbe mai chiesto di mollare il suo sogno per lei, e lei non ci aveva nemmeno pensato. Altrimenti, lui avrebbe valutato davvero l’ipotesi di abbandonare tutto per seguirla. Non era questo che Francesca voleva.
Voleva solo ritrovare sé stessa, potersi lavare via ogni tipo di paura, senso di colpa, passato ingombrante e provare a realizzare il suo sogno più grande: diventare una famosa giornalista.
Simone le baciò la fronte. Era un ragazzo molto dolce, i capelli lisci e castani, la barba curata, gli occhi castano scuro.
Suo padre aveva deciso di concedere loro gli ultimi momenti insieme prima della partenza, così li seguiva con la sua fiat idea in autostrada. Gabriele gli teneva compagnia.
Simone era l’unico ragazzo che suo padre era riuscito ad apprezzare. Francesca era sicura che fosse quello giusto perché aveva superato a pieni voti la più terribile delle prove: “Piacerà a mio padre?”.
Era incorreggibile. Non che Francesca avesse mai avuto relazioni così lunghe, e non aveva presentato nessuno alla sua famiglia prima di lui, ma suo padre odiava a prescindere qualunque ragazzo le si avvicinasse ancor prima che lei si ricordasse della sua data di nascita. Enrico, invece, a suo padre non piaceva e Francesca non era mai riuscita a capire il motivo. Non gli aveva nemmeno stretto la mano.
Simone accese la radio, e partì il cd. La prima canzone era dei Queen “Crazy Little Thing Called Love”. Chissà cos’era davvero, questa piccola cosa chiamata amore.
-Spero che tu ti ricorderai ogni giorno di quanto ti amo.- le disse.
Simone era davvero di pessimo umore. Gli ultimi raggi del sole prima del tramonto gli illuminavano il volto concentrato a guidare.
Francesca si morse le labbra, voleva dirle “sì ti amo anch’io”, ma per la prima volta quelle due parole le si fermarono sulla lingua le mandò giù.
Si girò e guardò le colline che scorrevano veloci fuori dal finestrino.
-Non me ne dimenticherò.- sorrise.
-Comincio a guardare qualche volo, verso l’ultima settimana di ottobre. Magari posso raggiungerti a Natale.-
Francesca voleva sfondare il finestrino e urlare, rimproverarlo, litigare a morte con lui.
Voleva andare via, scendere da quella macchina e dirgli di smetterla di tentarle tutte per raggiungerla. Ma poi la rabbia si placò immediatamente. Si disse, fra sé, di restare tranquilla e che quella rabbia e angoscia dentro non fosse causata da Simone, ma che fosse solo  paura.
-A Natale scenderò io, per stare insieme anche alla mia famiglia. Ma non affrettarti, lascia che io prenda un po’ familiarità con il posto. Magari… tornerò.-
Simone annuì : -Come preferisci. E’ solo che ho paura di perderti.-
Era la prima volta che Simone le dicesse qualcosa del genere. Improvvisamente si pentì per aver pensato di sbottare e rivolgersi a lui in tono sgarbato. Si sentiva così insensibile per non aver provato a mettersi nei suoi panni nemmeno un secondo.
La coda verso il parcheggio era infinita. Simone aveva deciso di posteggiare la sua auto nel parcheggio a pagamento, per non beccarsi una multa.
Aiutò Francesca a tirar fuori le valigie dal porta bagagli, e a causa del peso enorme del bagaglio blu, cadde proprio addosso al fidanzato.
Simone la guardò negli occhi, con la stessa dolcezza di un adulto che culla una bambina, che per quanto capricciosa fosse, non poteva fare a meno di amarla.
Francesca desiderava essere di nuovo una di quelle ragazze spensierate, ma la corazza in cui nascondeva sempre la testa e che a fatica aveva costruito per mostrarsi più forte di quel che era davvero, le impediva di lasciarsi andare, di amare e lasciarsi amare.
Si era volutamente rifiutata di affezionarsi a Simone più di quanto bastasse, ma non perché non l’apprezzava, ma semplicemente perché non ci riusciva. Non immaginava la sua corazza a pezzi, non aveva idea di come rimetterla insieme pezzo dopo pezzo se ancora una volta qualcuno avesse mandato in frantumi il suo cuore.
Ora, mentre guardava Simone negli occhi, e attorcigliava le braccia al suo collo per baciarlo così forte, premendo il corpo contro il suo, a sentirsi battere il cuore fino a sentirne il rumore assordante nelle orecchie, avrebbe voluto scusarsi, fare l’amore con lui e implorare di perdonarla per non averlo amato abbastanza.
Simone, la allontanò un attimo: -Aspetta, Francesca.-
Francesca lo guardò smarrita: - Qualcosa non va?-
-Baciarti così e lasciarti tra qualche minuto. Mi spezza il cuore.-
Simone tirò fuori dalla tasca una sigaretta, cominciando a fumarla così rapidamente da annebbiarsi i polmoni.
-Io ti amo.- gli disse. Le uscì spontaneo, ma il tono non era troppo convinto.
Il punto era che, vedere Simone al punto di piangere, non le avrebbe fatto bene nemmeno un po’. –Ce la faremo, vedrai.-
-Da quanto tempo stiamo insieme, Francesca?-
Francesca non capì il motivo di quella domanda. Tuttavia, rispose decisa: - Due. Due anni.-
Simone accese subito un’altra sigaretta, poi tolse la sua collana dove teneva un plettro d’acciaio e la mise al collo di Francesca. Simone suonava la chitarra elettrica, quando i libri universitari non gli occupavano abbastanza tempo.
-Sono due anni che mi chiedo se tu mi abbia amato come io ho amato te. Ultimamente litighiamo spesso anche per la canzone da mettere in radio quando guidiamo. Mi guardi con gli occhi vuoti, e svuoti anche me. Ti ho fatto mancare qualcosa? Perché stai andando via? Se vuoi scappare da me, voglio solo che tu lo dica. Ma non lasciarmi qui, nella speranza che vuoi portarmi nella tua vita che costruirai. –
Francesca era in lacrime, lo baciò ancora : -Vado via perché voglio andare alla ricerca per un posto nel mondo per me.-
-Ti ho dato le mie braccia.-
-Un posto per me, Simone. Un posto per me, che appartenga solo a me.-
Lui l’attirò a sé. Sentiva il suo corpo irrigidirsi sotto la sua pelle fredda:
-Se sei felice…-
-Sono felice.-

Aveva appena finito il check-in, adesso doveva passare ai controlli, attraversare quella linea gialla che la prendeva per mano verso la sua nuova vita.
Salutò suo padre:
-Pensa a studiare. Studia e torna prima del possibile. Non sperperare tutti i risparmi, e non fare irritare Anna o la zia. Per il resto, ti auguro il meglio, amore mio.-
Francesca abbracciò suo padre. Sembrava un uomo freddo, ma con lei era sempre stato un padre esemplare. Dopotutto, ogni figlia vorrebbe un insegnante di arti marziali come padre. Aveva dei tatuaggi, lo facevano sembra un duro. Ma in realtà, era un padre davvero dolce, disponibile e responsabile nonostante non abitasse più con loro da anni.
Gabriele aveva soltanto un anno quando i loro genitori si separarono.
-Lo farò papà.-sorrise Francesca.
-Devo farti anche la ramanzina sui ragazzi?- disse, dando una pacca sulla spalla a Simone. E poi lo guardò. Entrambi si scambiarono un sorriso complice-No, non credo ce ne sia bisogno, per una volta.-
-Ma smettila.- rise Francesca. Poi abbracciò Gabriele.-Sta attento tu. Non fare arrabbiare la mamma altrimenti ti stacco la testa e la porto su con me .-
-Come sei dolce, sorellona.-
Il loro saluto si concluse in un abbraccio non troppo lungo, per evitare di far sgorgare le lacrime.  E pensare che una partenza definitiva le era sembrato, fino a quella sera, un momento che nella sua vita non sarebbe mai arrivato.
Simone le accarezzò il volto, le diede un bacio in fronte ed uno sulle labbra.
Ma la ragazza non gli voltò le spalle, senza averlo abbracciato un’ultima volta. Agitò la mano, salutando tutti e poi corse via oltre il metal detector, e dopo il controllo sfrecciò verso l’imbarco con il cuore a mille.


Si sedette a prendere un tè al bar, per calmarsi prima di salire sull’aereo. Aveva ancora la paura di volare. Non l’aveva mai detto a nessuno. Era una paura stupida, qualcosa che ormai poteva controllare. Non era una fobia. Ma c’erano ancora paure che Francesca non aveva ancora superato.
Prese la sua agenda viola, era una moleskine nuova. Aveva giurato che avrebbe scritto una pagina al giorno. Una pagina che raccontasse la sua nuova esperienza, così che nel bene o nel male non se ne sarebbe mai dimenticata.
Decise di iniziare con una sua paura, tra le più grandi, così da ricordarsi di superarla.
Allora le venne in mente la più grande delle sue paure:

Filofobia: paura di innamorarsi, paura d’amare.

C’è un posto dove mi piace sempre andare, dove mi piace sempre restare. Credo sia il bar.
Ci sono sempre tante persone al bar, le cui voci si nascondono dietro al rumore dei cucchiaini che sbattono con le tazzine del caffè, le loro storie di celano dietro l’odore del cioccolato, del gelato, dello stesso caffè.
Ci sono un sacco di persone diverse, al contempo tutte uguali.
Qualcuno si è appena conosciuto, qualcuno si è ritrovato… qualcun’altro ha appena scoperto di essere innamorato. Qualcun’altro, infine, aspetta.. cosa aspetta, chi lo sa. Aspetta con le mani giunte, gli occhi fissi sulle sue ginocchia la cannuccia che gira nel bicchiere di succo di frutta, sinonimo di noia, di stanchezza. Arresa. Poi la porta si apre, scorrono milioni di volti. Penso addirittura che qualcuno che entra, che esce, che paga e se ne va con le mani in tasca, sia lì per me. Mi piace illudermi che stia cercando me, come succede nei film, ma poi mi accorgo che non è così e a quel punto mi sento piccola come un granello di zucchero sparso sul tavolo. Mi piace sempre starmene in disparte. Lascio che siano gli altri a trovarmi, io non cerco mai nessuno. Poi qualcuno incrocia il mio sguardo e a quel punto la mia testa comincia a fare viaggi, di quelli infiniti, grandi, immensi, in pochi secondi, senza aver prenotato, senza aver fatto un biglietto.
Quante volte vi è successo? Incrociare uno sguardo,sentire che i suoi occhi trapassano il tuo corpo facendoti rabbrividire,dandoti una sensazione che non hai mai sentito prima, cosi’ da pensare che forse quella persona sconosciuta ti cercava e ti aveva trovata, e poi lascia in te quel senso di vuoto e delusione quando si nasconde tra la folla perdendosi fra mille persone?Pensandoci, in quante forme conosciamo l’amore? Quante volte al giorno ci dimostriamo innamorati? Quante volte ci sentiamo amati? Mi rendo conto di essermi costruita una barriera attorno, invisibile agli altri, che mi impedisce di spingermi oltre ogni qual volta voglio buttare fuori qualche parola. Non riesco a liberarmene, sono imprigionata dentro un labirinto in cui io stessa mi sono imprigionata. Scappare da sé stessi è la cosa più difficile. Ho così tanto dentro, sento che vuole uscire fuori. Un demone che si dimena, che si lamenta, che freme. Credo che tutto quello che ho voglia di esternare, abbia preso forma in una sottospecie di demone che continua a lottare e sento che mi fa del male, sento che mi spacca le ossa e mi brucia la gola come se avessi ingerito un tazza di té caldo. Vorrei parlare, vorrei potermi liberare. Ma si sono portati via tutto, voglio proteggere questa piccola parte di me che chiede di essere liberata. Fremo dalla voglia di poterlo fare.
E spero di poterlo urlare in faccia a qualcuno prima o poi, perché sto per esplodere. Vorrei andare da una di quelle persone che incrociano il mio sguardo al bar, alla stazione, a scuola ,persone che non mi conoscono, persone a cui di me magari non importa nulla e vorrei soltanto essere ascoltata da qualcuno.
Ma poi capisco che sono cose che non puoi dire a chiunque, quelle che io porto dentro.
Voglio dirle a chi ci sarà per me quando tutto sembrerà crollare pezzo dopo pezzo, quando sentirò il cuore battere così forte che possano sentirlo dall’altra parte del continente, quando qualcuno mi prenderà la mano con dolcezza e a me sembrerà come se mi stia tirando fuori dalle più pericolose sabbie mobili esistenti al mondo, a qualcuno che mi abbraccia per distruggere quella barriera invisibile che mi sono creata attorno, che sia la causa del mio primo sorriso e il mio ultimo pensiero un attimo prima di addormentarmi.
E’ voglia d’amare, ma non amare chiunque. Amare chi non mi faccia sentire così piccola come un granello di zucchero su un cucchiaino da caffé,  amare chi decide di starmi accanto nonostante i miei mille difetti, le mie paranoie insopportabili. Non so perché ultimamente sento questo bisogno folle di amare qualcuno, ma sembra quasi che io non possa farne più a meno, quasi che io non riesca più ad aspettare.
Voglio amare, non voglio più avere paura di amare e di lasciarmi amare. Che poi di cosa ho paura non lo so, ma è così spaventosa l’idea di dipendere dal profumo della pelle di qualcuno, dal suo sorriso, dalle sue battute, dai suoi abbracci, dal suo Ti amo quando meno me l’aspetto. E’ spaventoso. Spaventoso il mondo in cui potrebbe travolgermi senza sapere se riuscirò mai a riemergere eppure, nonostante la paura, voglio davvero amare. Filofobia, è così che la chiamano.
Eppure io so che c’è un modo per sconfiggerla. Devo solo trovare come.

Peccato che, mentre la penna scivolava sul foglio come se non fosse lei a controllarla,
il nome di Simone non le venne in mente nemmeno una volta.


L’aereo decollò con qualche minuto di ritardo. La Sicilia si allontanava sempre di più. Francesca vedeva le case, le autostrade, le auto, prima grandi e poi sempre più piccole fino a diventare dei piccoli punti luminosi come stelle sulla terra.
Improvvisamente, quando l’aereo era abbastanza alto, il cuore si liberò, come un uccello imprigionato in una gabbia che finalmente dispiega le ali e vola.
La sua vita, quella vera, quella che aveva sempre sognato stava per avere inizio.

   
 
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