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Autore: Absynthe_sea    31/08/2015    0 recensioni
Fuori non si vedeva nulla e nulla di nuovo avrebbero visto all'interno di quelle mura nei mesi successivi. Il Castello sarebbe divenuto irraggiungibile e a loro non sarebbe rimasta altra scelta che rimanere impassibili a guardare quella gabbia amorfa che li rinchiudeva, tutti, insieme ai loro incubi. La Stagione delle nebbie era iniziata.
[estratto dal quinto capitolo]
Fionn è un uomo sulla trentina che viene rinchiuso a Aisling, una sorta di castello-carcere costruito su un isolotto al largo della costa, raggiungibile solo tramite un traghetto militare. Aisling è un carcere che non ha assolutamente l'aspetto che dovrebbe avere: superato l'impatto iniziale, si rivela un luogo atipico e capace di concedere diverse libertà ai suoi ospiti. Immerso in un caleidoscopio di curiosi personaggi e situazioni al limite del paradosso, Fionn dovrà cercare la sua verità. Infatti, nessuno dei prigionieri di Aisling conosce il motivo per cui è stato rinchiuso lì. O almeno così pare.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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PROLOGO


Visto dal mare che lo circondava, il castello di Aisling era un'apparizione prodigiosa. 
Costruito su un atollo in tempi tanto antichi da varcare i confini della storia per entrare nelle nebulose lande della leggenda, era quella una costruzione che dominava il mare che le stava intorno con fiduciosa noncuranza, come chi si permetta il lusso di mostrarsi condiscendente con un amico che ritiene sincero e oltremodo affidabile. D'altra parte, il mare era la migliore protezione che Aisling potesse desiderare e c'era chi, fra i più anziani ospiti del castello, diceva che una volta quella fosse la roccaforte di un re -di quale re, però, non avrebbero saputo dirlo. In questa leggenda doveva esserci un fondo di verità, o almeno questo era quanto veniva da pensare a chiunque vedesse quel luogo per la prima volta. Aisling, raggiungibile solo tramite una barcaccia che faceva da traghetto, appariva come dal nulla davanti agli occhi dei nuovi venuti; avvolto da una nebbia che a tratti sarebbe potuta sembrare innaturale, si palesava solo quando era ormai troppo tardi per averne un colpo d'occhio e abituarsi alla sua presenza incombente. Si rimaneva sconvolti ad osservarne le torri e i bastioni merlati, i ballatoi e le torrette assolutamente deserte, ché -ad eccezione dei due addetti al ponte levatoio- non c'erano guardie di sorta in quel maniero. E a cosa sarebbero servite? Quel luogo era troppo isolato e distante dalla costa perché si potesse tentare una fuga. I prigionieri, gli 'ospiti', come preferiva chiamarli il governatore dell'isola, un ometto piuttosto basso e tendente alla pinguedine come alla calvizie, erano liberi di muoversi per il castello a loro piacimento. Nessuno era mai fuggito da Aisling, ma soprattutto nessuno ci aveva mai nemmeno provato. Era come se il fatto stesso di trovarsi lì fosse una motivazione sufficiente per rimanervi.

Quel giorno, contrariamente alla consuetudine, una figura si aggirava sui ballatoi con passo claudicante. Si trattava di un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con folti capelli grigi a sovrastare un volto che mostrava i solchi di qualche ruga sulla fronte spaziosa e ai lati della bocca. Gli occhi, scuri e mobilissimi, erano sormontati da cespugliose sopracciglia ancora nere. Non era particolarmente alto ma la figura snella, avvolta in un vecchio tabarro verde scuro, lo slanciava. A giudicare dal suo passo tranquillo a dispetto della zoppia e dalla familiarità frutto di lunga frequentazione con cui si approcciava ai merli del bastione principale, sarebbe stato facile scambiarlo per una sentinella. Niente di più falso. 
Quell'uomo che scendeva con pazienza i sei gradini, andando dal ballatoio del torrione alla sala superiore della torretta che ospitava le uniche due guardie del castello, non era nient'altro che un ospite. Un prigioniero, per usare un termine che nessuno, ad Aisling, sembrava gradire. 
Con affabile noncuranza, l'uomo bussò una singola volta alla porta di legno che aveva davanti, quindi entrò senza dare il tempo agli occupanti di rispondere. Le due guardie se ne stavano sedute davanti a un tavolaccio e non si diedero pena di nascondere le carte da gioco che avevano in mano o la pipa serrata fra le labbra. Entrambi gli uomini sollevarono il capo verso il nuovo venuto, accennando un saluto silenzioso, poi tornarono al loro gioco. 
Affatto turbato da quella mancanza di considerazione, l'uomo diede loro le spalle e si diresse alla finestrella che -priva di imposte- dava direttamente sul mare, in direzione di una terraferma tanto lontana e irraggiungibile da sembrare inesistente. A questo pensava l'uomo, osservando quella sterminata distesa d'acqua che, parecchi metri più in basso, si infrangeva contro le rocce che formavano le fondamenta stesse di Aisling. 
Da quanto tempo era lì? Non lo ricordava -o forse si impediva di ricordarlo. Comunque più che abbastanza per avere imparato alcune cose sulla loro prigione e anche sui loro carcerieri. Aisling non era un carcere come gli altri: a parte la libertà di movimento concessa agli ospiti del castello, era piuttosto facile scoprire le altre stranezze del luogo. Il difficile era capirle. 
In tutto il castello non esistevano guardie né secondini. Benché quello venisse considerato, e con qualche ragione, il più sicuro carcere del regno, le uniche due guardie presenti in tutta la maestosa costruzione erano quei due tizi che alle sue spalle continuavano il loro gioco, assolutamente privi di preoccupazioni o di un qualsiasi temperamento marziale. A loro andava aggiunto lo stimatissimo Lord Naberius, il governatore dell'isola e della prigione. A parte loro e gli ospiti, che in quel momento ammontavano a otto, il castello era abitato dal solo personale di servizio: un cuoco, sei fra camerieri e cameriere, un maggiordomo. L'enorme castello di Aisling, di cui si diceva che avesse almeno un centinaio di stanze private, una decina di sale da pranzo e almeno quattro saloni da ricevimento, era abitato da diciannove persone in tutto. 
Accigliato, l'uomo si appoggiò con i gomiti al davanzale in dura pietra e puntellando la guancia con il palmo della mano destra ritornò a osservare il mare con la svogliatezza figlia della consuetudine. 
Il castello era sempre silenzioso, ma in quelle ore a ridosso dell'alba sembrava più simile a un cimitero. La colazione non sarebbe stata servita prima di un'ora e fino a quel momento non si sarebbe vista anima viva nei corridoi, né nei salotti adibiti a sale comuni. 
In quel posto -rifletté l'uomo al davanzale, che si chiamava Bran e quel giorno compiva sessantadue anni- si perdeva non solo la cognizione del tempo ma anche del luogo. Il succedersi di giorni tutti apparentemente uguali nella loro monotonia avviliva lo spirito, reso mansueto dalle libertà e dai piccoli piaceri che non erano negati a quanti fossero graditi ospiti del governatore. Era facile dimenticare lo scorrere del tempo, ma quello che era più inquietante per Bran era il dimenticare in che luogo si trovassero, il non essere più sicuro che ci fosse effettivamente un altro mondo oltre quell'imperscrutabile e gargantuesca distesa d'acqua salata.
D'un tratto, mettendo bruscamente fine alle sue elucubrazioni, l'uomo sollevò il capo, mostrandosi più attento. Aguzzò la vista, che aveva ancora buona nonostante l'età, scorgendo un triangolo bianco che si stagliava nel verde acqua dell'oceano. 
Senza distogliere lo sguardo da quella che era inequivocabilmente una vela, incapace di reprimere il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra, Bran cercò di richiamare l'attenzione di una delle guardie. 
«Di' un po', Lugh. Che giorno è oggi?»
L'altro, impegnato a gettare la carta che gli avrebbe fatto perdere la partita, grugnì. 
«Giovedì, credo.»
Quindi aveva visto giusto. 
Il castello riceveva rifornimenti due volte al mese, sempre di sabato mattina. Le vettovaglie arrivavano a bordo del medesimo brigantino adibito a traghetto, al comando del capitano Charon, che aveva il compito di trasportare sull'isola i prigionieri. Essendo quel giorno un giovedì, non poteva trattarsi dei rifornimenti. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che avevano potuto fregiarsi dell'onore di avere un nuovo ospite. Un anno, o forse due, stimò Bran mentre si stringeva addosso il vecchio tabarro e sgusciava alle spalle delle guardie, diretto alle scale che lo avrebbero portato ai piani inferiori.
«Fossi in voi mi sbrigherei a concludere» si lasciò scappare da sopra la spalla, quando ormai aveva già iniziato a scendere i gradini. 
«Ne è arrivato uno nuovo».

   
 
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