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Autore: Luine    01/09/2015    0 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 Gennaio

 

Stamattina, Arale è arrivata a colazione molto dopo di noi ed è piombata al nostro tavolo del tutto inaspettata. Ha sbattuto le mani sul tavolo, nel posto vuoto al mio fianco, quello che ho occupato con la borsa dei quaderni per evitare che qualcun altro prendesse il suo solito posto. È piombata nel vero senso della parola, tanto che tutti quanti abbiamo sollevato la testa di scatto. Il tavolo aveva pure preso a vibrare per la forza del colpo e Alex si è quasi rovesciato addosso il suo latte; Bra, che era impegnata ad appolparsi a Frank, si è voltata di scatto, con gli occhi sgranati; tutti quanti, da Trowa a Joe, hanno fatto un salto sulla sedia che li ha fatti balzare a tetto o quasi; per non parlare dei tavoli intorno, i cui occupanti si sono girati perplessi, hanno guardato Arale che ha annunciato solennemente: «Da oggi cominciano le indagini!»

A quel punto, si sono girati di nuovo verso i loro piatti, capendo che erano solo quegli scalmanati del primo anno corso B che ne stavano per combinare una delle loro.

Pan è stata l'unica che ha continuato a fare tutto come se niente fosse. Mangiava i suoi fiocchi d'avena uno alla volta, gli occhi rivolti al soffitto e la testa altrove, per niente spaventata dalla violenza con cui Arale aveva dato il suo buongiorno.

Ma io, quando Arale ha parlato di indagini, dimenticandomi del cuore che mi era salito agli occhi, ho creduto avrei rimesso quelle due uova che mi ero costretto a mettere in pancia, prima della lezione con la famigerata Dorothy del Mago di Oz, soprannominata così dopo la confessione di Alex.

«Quali i-indagini?» ho balbettato, preoccupato che stesse parlando di quelle indagini che riguardavano proprio i nostri amici e la loro appartenenza alla mafia.

«Quelle su noi due, ovviamente!» ha risposto Frank, per lei, acido. Evidentemente, non ero stato l'unico a pensarla allo stesso modo.

«Che me ne frega!» ha replicato lei, allo stesso modo, fissandolo in cagnesco. E poi, quando si è accorta di quel che ha detto, ha aggiunto: «In questo momento, almeno. Io parlavo del Sanc Kingdom! Sono stata in biblioteca per prenotare dei libri e così ho detto al sergente che volevo parlargli. Il punto è che ci aspetta non appena finiscono le lezioni.»

A quel punto, Pan si è girata verso di noi. «Ancora?» ha chiesto, disgustata.

«Sì, ancora.» Arale si è seduta accanto a me con aria assai compiaciuta. «Ho deciso che, se la Une si rifiuterà anche oggi di darci spiegazioni esaurienti, andremo nell'unico posto in cui possano darci delle informazioni!»

«Cioè?» ha domandato Alex, che era impegnato a pulirsi la divisa dal latte con una mano, riuscendo, per questo a spandere il latte anche dove prima era tutto pulito. Frank, per compassione, gli ha allungato un fazzoletto di carta.

«Cioè in biblioteca.» ha ribattuto immediatamente Arale. «Di cosa sto parlando da quando sono arrivata, meno di due minuti fa?»

«Sì?» ha criticato Trowa, che era di fianco a Bra e quindi molto vicino a noi. «E cosa pensi di trovare, dato che la Une è così reticente? Non credo che troveresti qualcosa. Sarebbe un controsenso bello e buono, dato che non ne vuole parlare!»

«Ma io non parlavo di documentazione scritta! C'è il sergente, la Johnson... e un migliaio di soldati che stanno aggiustando Pioggia di Fuoco, nell'hangar quattordici. Mi sono informata, cosa credete? Mentre voi eravate impegnati a rimpinzarvi, ieri a cena, io ho parlato con Heero e mi ha detto che è lì che lo tengono, ma che agli studenti è vietato di entrare nel capannone perché è pericoloso, così mi hanno detto.»

«Ma io ci sono stato.» ho risposto, perplesso.

«Sì, ma eri col Marquise.» ha subito spiegato lei, come se ci avesse pensato a lungo, cosa di cui non ho mai dubitato.

«Che c'entra?» ha detto Tai Yagami. «Se è pericoloso per noi, è pericoloso per loro!»

Arale lo ha indicato. «Appunto!» ha esclamato, con fervore. «Quindi hanno mentito. Questo mi fa chiedere: perché tanto mistero?»

Trowa non ha replicato, ma dalla smorfia che ha fatto si vedeva che anche lui era dello stesso avviso.

«Un altro mistero!» ha commentato Frank, asciutto. «Davvero, Arale, dove troverai il tempo di studiare, questo semestre, se ti devi mettere a indagare su tutti i misteri del mondo...»

Alex gli ha tirato una botta. «E dai, smettila! Io ci sto, Arale, ci sono sempre stato sulle cose misteriose. Tranne che su Mortimer, il segretario... non so se l'avete mai visto, ma... lasciamo perdere. Se vuoi, comunque, Arale, ti do anche una mano con l'altro caso.» Ha ammiccato.

Lei, invece, si è solo accigliata. «No, grazie. Sto benissimo così.» E poi, rivolta a me, ma solo a mezza bocca. «Al posto della bocca hai un forno.»

Mi sono sentito – e mi sento – un vero imbecille, per non dire uno stronzo: ho combinato un grande casino, parlandone con gli altri, quando pensavo di fare una cosa buona per mettere pace ancora prima che scoppiasse la bomba. Invece adesso Frank ce l'ha con Arale e Arale tratta male Alex. Spero che questa storia della mafia finisca presto, perché è stressante!

«Ma che ce ne frega?» ha domandato, invece, Bra, con disprezzo. «Del Sanc Kingdom e tutto il resto? Insomma, è stato distrutto tempo fa, no?»

«Sì, ma non mi sembra un buon motivo per ignorare la cosa.» ha replicato Trowa, che sembrava avere molto a cuore, chissà perché, la faccenda. «Soprattutto perché adesso la base giapponese dell'aviazione spaziale ha il suo Suit, che, per inciso, è il suo tesoro nazionale. Non ci avevo pensato, prima di ieri, ma Iccijojji ha ragione: perché non ne abbiamo parlato?»

«Ma che importa? Sai di quante cose non abbiamo parlato?» ha continuato Bra, mettendosi una mano nei capelli e facendola scorrere dalla nuca fino alle punte. Questa cosa non l'ho capita, ma non volevo chiederlo ad Arale che è stata fortemente arrabbiata con me per tutto il resto della giornata. «Tutto questo casino per un Mobile Suit e per il regno da cui è stato portato via... pare più una storiella romantica senza senso.»

«Mi chiedo perché tentare di aggiustarlo, tra l'altro.» ha commentato Sora, pensierosa.

«Perché?» ha voluto sapere Tai Yagami.

A rispondere è stata Mimi che, per imitare Bra, anche lei ha mostrato a tutti i capelli. «Perché i Mobile Suit sono cose superate, ormai.» ha detto e con molta aria di superiorità. «Io, l'anno prossimo, probabilmente cambierò scuola, per questo.»

«Speriamo!» ha ribattuto Pan, fiduciosa. «Quanto manca al lieto evento?»

«Me ne andrò a studiare in America.» ha continuato Mimi, senza dare minimamente ascolto a mia sorella. «Lì sì che sono all'avanguardia, mica come qui che ancora costruiscono i Mobile Suit e ce li fanno studiare come il massimo della tecnologia!»

«Cosa c'è di più avanzato di un Suit?» ha voluto sapere Alex, spaventato a morte. «Io non l'ho mai manco visto da vicino e già mi viene il vomito!»

Ho annuito dietro di lui. Quella faccenda degli americani già mi stava facendo venire il dubbio che questi anni a venire siano anche più duri del previsto e che tutto quello che hanno studiato gli altri sarà troppo obsoleto per noi, che dovremo ricominciare tutto da capo, essere come cavie per esperimenti di insegnamento, cose che odio, soprattutto perché, anche a scuola, quando facevamo da cavie, eravamo sempre quelli che la prendevano più nel sedere...

«Non c'è niente di più avanzato di un Suit!» ha detto categorico Trowa.

«Guardate qua, scettici!» Mimi, tutta orgogliosa, ha tirato fuori dalla sua borsa dei quaderni un giornale, straniero a giudicare dal nome, People. Sulla copertina c'era stampato il faccione serio di un uomo dai capelli scuri e mossi, il viso pallido e il pizzetto ben curato che guardava il lato della copertina, puntando gli indici di entrambe le mani verso lo stesso punto. I am Iron Man, recitava la didascalia rossa sotto di lui. Kagetano non era stato uno dei professori di inglese più bravi che ho avuto, ma è riuscito a farmi entrare in testa almeno il verbo essere e la prima persona singolare e quindi ho potuto capire che quel tizio si chiamava Iron Man.

Pan ha preso il giornale prima che Arale potesse allungarsi sul tavolo per fare lo stesso. La mia sorellona ha dato un'occhiata alla copertina e poi ha lanciato di nuovo il giornale sul tavolo, il più lontano possibile da me e dalla mia amica. «Che faccia da cazzo!» ha commentato.

«Faccia da cazzo?!» ha ribattuto Sora, indignata. «Ma lo sai chi è quello?»

«Iron Man.» ha risposto Pan, alzando le braccia, con fare menefreghista. «Embè?»

«Non sai chi è questo?» l'ha derisa Bra, prendendo il giornale, che era finito molto vicino a lei. E ha mostrato la copertina a tutti. «Iccijojji, è Tony Stark

«Embè? Iron Man o Tony qualcosa rimane sempre una faccia da cazzo.»

«Ne hanno parlato tutti i giornali, ultimamente!» ha esclamato Arale, in tono sognante, proprio mentre Bra alzava gli occhi al cielo per il commento di Pan. «Quest'uomo è l'idolo del momento! Non hai letto i giornali? Guardato un notiziario?»

«E che me ne faccio?» E' stata la domanda di Pan, che ha pure alzato le spalle, perplessa per quella domanda, ma su questo non potevo certo darle torto: in casa nostra non è mai entrato un quotidiano e mai è stato guardato un telegiornale, perché il nonno ha sempre detto che queste cose danno acidità di stomaco, papà non se ne interessa e la mamma non ha mai tempo per queste cose, tranne quando, ascoltando le pubblicità alla radio, sente che il senatore Douglas Kushrenada terrà una conferenza.

«Non mi stupisco che Iccijojji non guardi la tv!» ha risposto Bra, mordace, guardandola con profondo disgusto. «Forse è troppo impegnata con sua madre ad escogitare un piano per entrare nella mia famiglia e poi a piangere perché i loro sogni sono stati infranti così in fretta! Aveste visto come sua madre corteggiava Trunks, facendo mille domande su come trovava Pan!» Qui, in molti hanno cominciato a ridere. «Sono venuti a Natale, i suoi genitori! E mio fratello era nel panico più totale, quando ha detto che considerava Pan solo un'amica, perché abbiamo creduto tutti che a sua madre venisse un embolo! Che imbarazzo!»

L'imbarazzo lo provavo io, perché i miei amici ridevano e perché mi ricordo benissimo il Natale, quando la mamma, quella sera a cena, aveva cominciato a parlar male con Mizar dei Brief e, soprattutto, di Trunks e dei suoi capelli rosa. Avrei voluto che la terra mi inghiottisse tutto, sedia compresa, perché mai e poi mai avrei immaginato che la mamma potesse anche solo pensare di fare sul serio una cosa del genere. Era vero che mi aveva chiesto di come Pan trovasse Frank, ma non credevo che saremmo arrivati a questo punto!

«Ma che cazzo stai dicendo?» ha replicato Pan, in tono così calmo e assassino da farmi venire i brividi.

«Ma ci credo!» ha continuato Bra, quando le risate erano calate di parecchio, facendo finta che Pan non avesse detto nemmeno una parola. «Perché mio fratello è un figo! Ci credo che Pan e sua madre lo vogliono come partito!»

«MA SE TUO FRATELLO E' PIU' IDIOTA DEL MIO!»

Bra l'ha fulminata con un'occhiata, mentre io mi stupivo che dicesse una cosa del genere: Pan, in fondo, pensava che Trunks non fosse male, e sentirla dire il contrario mi lasciava perplesso. Non mi sono sentito ferito, credo di esserci abituato.

«Bada a come parli!» ha esclamato Mimi, indignata.

«Bada tu a come parli, troietta,» e Pan le ha mostrato i pugni, digrignando i denti come un animale. «o i capelli ti sembreranno bianchi, a furia di pugni che ti darò sulla faccia!»

«Non sarà mai figo quanto Tony Stark!» ha dichiarato Arale, categorica, riprendendo immediatamente le redini della situazione, distogliendo l'attenzione generale da Pan e da Bra.

«Bah! Mio fratello è ricco e intelligente tanto quanto Stark.» ha dichiarato proprio Bra, altezzosa. «Se non ci credi chiediglielo tu!»

«Ecco qui!» ha sbuffato Alex. «Un altro riccone con la puzza sotto il naso! Questo mondo è pieno di gente così, che palle!»

«Ma quale puzza sotto il naso! È un genio! Ha inventato l'arma Iron Man!» ha strillato Sora, indignata dal commento di Alex.

«Ma chi? Il fratello di Bra?»

«No! Tony Stark!» ha replicato Arale, che era indignata che qualcuno avesse potuto scambiare l'uno per l'altro.

«Ma non si chiamava lui, Iron Man?» ho domandato, confuso.

Nessuno mi ha risposto.

«Ormai i Mobile Suit sono solo macchine ingombranti! Con una di quelle macchine Iron Man... ah, io voglio assolutamente andare in America e vederlo! Dicono che sia ancora meglio che in foto!» diceva Sora, tutta eccitata.

«Mah.» ha risposto Alex. «Per me poteva anche inventare il pulitore di naso automatico... anche se, in quel caso, ammetto che mi sarebbe più utile.» E, come per dimostrarlo, si è infilato un dito nel naso e ha cominciato a scavare con decisione.

Bra gli ha lanciato un'occhiata disgustata e ha pensato che fosse proprio l'ora di togliere il disturbo. «Beh, penso che andrò a prendere posto. Ciao, Frank,» ha detto, accarezzandogli una spalla. «non esitare ad unirti a noi, se vuoi una compagnia... un po' più glamour.» E ha lanciato un'occhiata a me, ad Arale e infine, di nuovo disgustata, ad Alex, che aveva tolto una caccola dal naso e, tutto orgoglioso, se la stava ammirando.

Mimi e Sora l'hanno seguita fuori dalla mensa e io non ho potuto fare a meno di notare che tutte e tre dondolavano i sederi come fossero pendoli perfettamente sincronizzati.

«Ah, se n'è andata, finalmente?» ha chiesto Alex, alzando gli occhi. E ha lanciato via la caccola. «Ve lo giuro, ragazzi, mi sta così sulle palle, quella!»

«Ma almeno ha lasciato People!» ha esclamato Arale, tutta felice, ed è corsa ad accaparrarsi il giornale come se fosse il miglior trofeo che avesse mai visto.

«Scusate...» ho detto, mentre guardavo lei che si abbracciava la copertina e, a tratti, se lo spostava dal petto per guardare la faccia seria di Tony Stark. «Ho capito che questo tizio ha inventato... Iron Man, qualunque cosa voglia dire, ma... chi è? Io non ci ho capito niente!»

«E sai che novità!» ha risposto Pan, oziosa. Si era appoggiata al tavolo, reggendo la testa con la mano, il busto buttato in avanti e lo sguardo vacuo di chi se ne freghi del mondo.

«Ti ricordi quando abbiamo parlato della Kaiba Corporation?» mi ha chiesto, invece, gentilmente Frank.

Ho annuito, anche perché mi ricordavo alla perfezione che Arale voleva sapere assolutamente la taglia delle sue mutande. Ora Kaiba era al tavolo del primo anno corso E, lo stesso di Ryan, e stava sorseggiando il suo caffè latte, tenendo lo sguardo puntato su un libro dalla copertina nera. Non doveva avere tanti amici e nemmeno aver legato molto con i sui compagni. In compenso, Ryan Shirogane era stato letteralmente assediato dalla sua ragazza con i capelli rossi, che lo teneva stretto stretto e gli dava baci continui sulla guancia. Lui, però, stranamente, aveva la stessa aria annoiata di Pan, forse un po' più sconsolata.

«Beh,» ha continuato Frank, notando la direzione del mio sguardo. «Tony Stark è... era la controparte americana di Gozaburo Kaiba. Era l'amministratore delegato della società fondata da suo padre, la Stark Industries, famosa per le armi ad alta tecnologia che esportava in tutto il mondo. Parte del merito della creazione dei Gundam è andata proprio a Howard Stark, il padre di Tony.»

«I Gundam?» ho chiesto, sempre più perplesso. Sembrava che questa mattina si divertissero a bombardarmi di informazioni e nomi strani. E non erano ancora cominciate le lezioni! Però, adesso che ci penso per bene, mi sembra di aver già sentito parlare di questi Gundam, da qualche parte, ma non riesco proprio a ricordare né dove né quando.

Frank mi ha spiegato: «I Gundam sono dei potentissimi Suit in lega di Gundanium, ecco perché vengono chiamati Gundam. A quanto pare, questa lega fu proprio Stark a crearla. Pioggia di Fuoco appartiene alla strettissima cerchia di quei Suit che furono creati dalla Kaiba Corporation per tenere testa a quei bestioni. Ma tanto è stato inutile, perché hanno smesso di costruirli.»

«E perché?» abbiamo chiesto in coro Alex e io, gli unici che sembravano quantomeno confusi, mentre Arale, che pareva sapere tutto, annuiva alla fine di ogni frase di Frank. Pan, al contrario, continuava a fare finta di niente e, anzi, si lanciava molliche di pane cadute sulla tavola per tentare di afferrarle con la bocca.

Al posto di Frank, ha risposto Trowa, anche lui molto dentro all'argomento: «Perché i progetti sono stati distrutti, per qualche motivo. Nessuno è stato più in grado riprodurre la lega e i Gundam sono diventati dei pezzi da museo, fine della storia.» ha tagliato corto e poi ha anche guardato l'orologio. «Anche perché tra cinque minuti dobbiamo essere in classe.»

«Adesso Stark è nel campo dell'energia pulita!» ha sospirato Arale, ignorandolo e guardando la copertina con aria sognante. «Da quando ha creato Iron Man, si dice che abbia capito che la guerra è una cosa inutile e stupida e così... ah, che uomo, che maschio! Se fossi sicura di incontrarlo, andrei anche io in America come Mimi!»

Pan si è risvegliata dal suo stato di torpore. «Ti levi di culo anche tu, tappoide? Ah, che meraviglia! Due in un colpo solo! Non mi resta che rendere blu la faccia di Bra, cambiare i connotati di Kenny e mettere due spilloni su per il culo a Heero Yuy, magari ficcare due stecche da biliardo nel naso dello scaccolatore puzzone e magari mandare a cagare la Une, poi... no, forse potrei anche appendere Burton per le palle...» Mentre elencava tutte queste carinerie, sollevava un dito per tenere il conto e intanto aggiungeva sempre più gente. «Poi sì che sarei la persona più felice dell'universo!» Ha sorriso serafica, guardando tutti noi.

Trowa, a cui era arrivato il fatto che mia sorella voleva appenderlo per le palle, è stato il primo ad alzarsi e subito dopo lo hanno fatto Frank e Alex. Io sono rimasto seduto, un po' perché Pan non si era alzata e un po' perché volevo parlare con lei a tu per tu. Non avevo dimenticato che voleva scappare e rubare il badge della Une, così volevo sincerarmi che non stesse architettando qualche stratagemma per riuscirci.

«Se vogliamo cercare informazioni sul Sanc Kingdom, io ci sono. Alle sei in biblioteca?» Si è accertato Trowa.

«Sì. Alle sei» ha confermato Arale.

«Ci vediamo in classe» ha salutato lui.

Pan si è alzata subito dopo di lui, di scatto, come se l'avessero punta sulle chiappe ed è scappata via come se dovesse correre in bagno il più in fretta possibile. O quello, o aveva capito le mie intenzioni, tant'è che non sono riuscito a chiederle che cosa avesse in mente di fare. Non mi sono deciso a correrle dietro perché Arale, stringendo People come se fosse Stark in persona, si è diretta verso il tavolo del terzo anno corso B, dove era seduto Heero, da solo.

Il nostro amico mandava messaggi da un vecchissimo cellulare che pareva dell'età del mesozoico con la velocità di un fulmine. Tra l'altro, lo faceva stando bene attento a tenerlo sotto il tavolo, in modo che da quello degli insegnanti non si potesse notare niente. In effetti, non ho mai visto nessuno usare il cellulare, qui in caserma.

«Ehi, Heero!» Lo ha salutato la mia amica, con un sorriso. Al che, Frank che stava per avviarsi anche lui fuori dalla mensa, si è fermato per guardare cosa succedeva. Alex, invece, ha seguito Arale per andare anche lui a salutare Heero che, quando lui si è sentito chiamare, ha fatto un salto fino al tetto e, arrossendo come un ladro, ha fatto sparire il telefono in tasca.

«Ah, ciao!» Li ha salutati, con un sorriso per niente sincero, come se non fosse contento di vederli. «State ancora indagando sul Sanc Kingdom oppure avete desistito perché sono cose troppo vecchie e antiquate per voi? Ma che era quella cagnara di là, al vostro tavolo?»

«Un riccone di merda di nome...» Alex ha cominciato a rimuginarci sopra. «Non mi ricordo. Comunque suonava molto come Sark.»

«Stark.» l'ha corretto Arale, come se l'avessero offesa nel profondo. «Comunque, ero solo passata per dirti che ci riuniamo stasera, in biblioteca, alle sei.»

Heero l'ha guardata come se non capisse a cosa si riferisse. «Veramente... alle sei ho appuntamento con un gruppo di compagni per studiare...»

«Stasera.» ha ripetuto truce Arale, puntandogli contro un minacciosissimo dito indice. «Alle sei.»

Heero ha spalancato le braccia. «Ho altra scelta?» ha ironizzato, ma quando Arale gli ha lanciato una seconda occhiata assassina, lui ha alzato le mani in segno di resa. «E va bene, va bene, in biblioteca.»

«Alle sei!» Si è raccomandata Arale.

Poi ha preso la strada per la classe della Une, Alex dietro, ignorato come se non ci fosse, e poi dietro ancora siamo arrivati noi, che abbiamo affiancato il nostro amico per non fargli fare la figura meschina di quello che segue una persona come un cane bastonato.

«Aveva un cellulare, vero?» ha domandato Frank, guardandosi indietro e riferendosi a Heero.

«Sì, figo, vero?» ha confermato Alex, tutto allegro. «Ah, mi sono dimenticato di chiedergli di comprarmi delle cose!»

«Non saranno altre sigarette!» ho sperato, perché Alex, con il fatto che fa freddo, ha smesso anche di aprire la finestra di camera nostra, la quale adesso sembra una ciminiera.

«Ma no!» ha replicato lui, come se avessi osato dire che gli indiani d'America erano africani. «Il problema è che non so dove metterli! Cazzo, ad avere una ghiacciaia sotto il letto!»

«Che te ne fai di una ghiacciaia sotto il letto?» ho chiesto.

Alex ha sorriso e guardato la nostra amica che ci camminava davanti, ma non troppo perché non potesse sentirci. «Ci devo nascondere il cadavere di Arale!» ha esclamato.

Arale si è girata di scatto e lo ha trucidato con lo sguardo. «Non mi farò ammazzare facilmente.» ha decretato. «E se pensate di potermi incantare con i vostri discorsi vi sbagliate di grosso! Dimostrerò che appartenete alla mafia!»

«Accomodati.» le ha risposto Frank, secco.

Alex sorrideva come se non avesse aspettato altro che sentire Arale fare quella promessa. Io mi sono sentito uno schifo, invece, perché pensavo che, se eravamo arrivati fino a questo punto, era tutta colpa mia e della mia bocca come un forno, proprio come ha detto lei. Perché, se fossi stato zitto, forse saremmo ancora tutti un gruppo, Arale e Frank sarebbero in pace tra loro e non dovremmo essere costretti a queste schermaglie. Ma cosa devo fare, se Arale ha preso ad ignorarmi e a cambiare strada quando mi vede, proprio come fa mia sorella?

 

Durante tutta la giornata, si è comportata in modo strano: si era seduta in ultima fila a due posti da Pan per tutte le ore che non abbiamo avuto con la Une, che vuole, invece, che teniamo i nostri posti fino alla fine dell'anno, poi a pranzo ha preso posto accanto a Trowa Burton e durante i cinque minuti di pausa tra una lezione e l'altra, se non parlava con lui e gli altri di Stark, leggeva di lui sul giornale che aveva preso a Bra e Mimi.

Non mi aspettavo che la spaccatura tra noi potesse diventare tanto grande per colpa mia: all'inizio, quando ho visto che con la lezione di Bristow – che finalmente ha cominciato gli integrali! – si sedeva in fondo, a due posti di distanza dalla mia sorella sbracata, credevo che lo facesse per studiare altre materie e non farsi vedere dai professori che faceva altro o che era distratta e perché la Catalonia le sta antipatica. Era un comportamento un po' strano, dato che è solo il secondo giorno, così ho sospettato che dovesse proprio avercela con me.

Pensavo anche che ci saremmo rappacificati nel giro di qualche ora, soprattutto perché eravamo reduci da quello che è successo nel primo trimestre. Non mi aspettavo di certo che facesse finta che non esistevamo. Questo, se possibile, ha fatto adirare Frank più di tutto il resto. Quando è arrivato il momento di andare in biblioteca, dopo due ore estenuanti con la Noin, si è fermato in mezzo al pianerottolo delle scale.

«Andate voi.» ci ha detto.

«Ma... perché?» ha voluto sapere Alex, sorpreso. «Dai, Frankie, sarà divertente! Andiamo a sentire che cosa ne sa il sergente del Sanc Kingdom!»

«No, non vengo. Sarà l'Arale Norimaki Show, come al solito, e non credo di doverle dare tutta questa importanza. Se il sergente dice qualcosa di interessante, me lo riferite quando tornate.»

Alex ha scosso la testa, mentre Frank se ne andava via senza dare il tempo a nessuno di noi due di dire qualcosa per dissuaderlo. «Che senso dell'umorismo da patata!» ha esclamato Alex, rivolto a me.

«E' tutta colpa mia!» ho risposto. «Se non vi avessi detto niente...»

«Sì, sei stato un po' infame.» ha detto lui, con leggerezza e, prima ancora che avessi il tempo di accusare il colpo e di riprendermi dallo shock, mi ha battuto una pacca sulle spalle ed è scoppiato a ridere. «E dai, non fare quella faccia! Mica lo sapevi che veniva fuori questo casino e poi Frank se la prende troppo per tutto. Prima o poi gli passa a tutti e due, lui e Arale!»

Lui ci ha provato, a tirarmi su di morale, anche se non ci è riuscito molto bene. Mi sentivo proprio come aveva detto lui che ero: infame. Non riuscivo a giustificarmi come faceva lui.

Ho annuito, comunque, e siamo andati in biblioteca. Mi aspettavo che saremmo stati in cinque ad aspettare il sergente: Alex, io, Trowa, Arale e Heero, reclutato coattivamente. Invece c'erano almeno una decina di persone, tra cui anche Bra, Mimi e Sora. Ma più sorprendente di tutto è stata la presenza di Pan, che era sembrata la meno interessata di tutti alla faccenda, sia questa mattina che ieri, quando ha poi tentato di far prendere ad Alex il badge della Une. Ma c'erano anche altre facce nuove: Ryan Shirogane con la sua fidanzata-ventosa, Seto Kaiba che se ne stava in disparte, su una sedia, con le gambe accavallate e le braccia incrociate sul petto. Per ultimo, un ragazzino basso basso con una pettinatura strana, che poi ho scoperto chiamarsi Yugi Muto.

«Ma... come mai così tanti?» ho chiesto a Trowa.

Lui ha aperto le braccia. «Passaparola.»

«A chi?» ha chiesto Alex, sorpreso.

«No, Ramazza.» ha ribattuto Burton, con un sospiro rassegnato. «Volevo dire che tutta questa gente c'è perché si è sparsa la voce.»

Guardandomi ancora intorno, ho visto che c'era anche Ernesto, che cercava in tutti i modi di attirare l'attenzione di Pan su di sé in un modo abbastanza patetico: «Ma sciamo qui per lo shtessho motivo?»

«Non so.» ha risposto Pan, con glaciale tranquillità. «Sei qui per farti ridurre i denti con un pugno? Perché, se è per questo, sono un ottimo dentista!» E così, senza indugiare, gli ha inferto un colpo che lo ha fatto finire a gambe all'aria.

Bra, Mimi e Sora, che erano lì vicino, hanno lanciato un grido, ma invece di soccorrere il povero Ernesto, si sono allontanate. Per questo, ho cominciato a pensare che fosse morto e così, facendomi strada in mezzo alla gente stivata all'interno della biblioteca che parlava e quasi non si accorgeva di lui e di quello che gli era successo, mi sono inginocchiato al suo fianco. L'ho guardato. Aveva il sangue al naso e un'aria ebete stampata in faccia, mentre guardava il soffitto. Per un lungo momento di terrore ho pensato che fosse morto per davvero.

Però poi ha cominciato a muovere le labbra, ma sembrava che non ne uscissero suoni. C'era un caos incredibile intorno a noi ed è stato difficilissimo per me riuscire a comprendere che Ernesto stava dicendo: «La voglio shposhare!»

Alex ha proprio ragione: è masochista.

L'ho aiutato a rimettersi seduto e gli ho tenuto un braccio dietro le spalle, spaventato all'idea che potesse cadere di nuovo, battere la testa e morire davvero. «Come stai?»

«Mai shtato meglio!» ha sospirato lui e si è sistemato gli occhiali sul naso. Erano un po' più storti, ma credo che lui lo prenderà come un segno dello sconfinato “amore” di Pan per lui.

«Ce la fai ad alzarti?»

«Shì... forshe vuol dire che non mi ha picchiato troppo forte... le chiedi, per piascere, se mi dà un'altra botta?»

«Più tardi, magari» gli ho promesso, incerto.

«Io la amo!» ha gridato, ma nessuno, proprio perché erano tutti impegnati a chiacchierare tra di loro, ha notato niente. Solo Bra, Mimi e Sora, che se n'erano andate quando Ernesto è caduto loro ai piedi per il pugno di Pan ci stavano guardando con un sorriso maligno che non lasciava intendere niente di buono. Chissà che avevano tutte e tre, da guardare. Potevano anche dare una mano, invece di ridere del povero Ernesto e del suo strano interesse per Pan!

Alex, che era dietro di me, mi ha dato una mano a metterlo in piedi e a portarlo fuori, in infermeria. È probabile che ci saremo persi la prima parte del racconto, ma non potevamo lasciare quel povero diavolo di Ernesto ad annegare del suo sangue per un racconto che avrei potuto risentire quando volevo, visto che il sergente non è uno che ama farsi pregare.

L'infermeria era deserta, ma l'odore di pulito e disinfettante persisteva. La Johnson, che era nel suo ufficio quando Alex ha cominciato a chiamarla a gran voce, ci è venuta incontro solerte come suo solito. «Lo sapevo!» ha esclamato. «Lo sapevo che questa calma piatta non poteva durare! Due giorni senza nemmeno un ferito sarebbe stato troppo bello... che è successo?» ha chiesto, spiccia, quando è arrivata davanti a noi, ha afferrato energicamente il mento di Ernesto e lo ha sollevato fino alla sua altezza. Ha osservato il sangue e il naso di Ernesto, poi lo ha lasciato andare ed è tornata velocemente verso uno degli armadietti dei medicinali. «Mi chiedo perché voi ragazzi abbiate tutta questa fretta di fare a botte... per cosa, poi? Dovete stare qui dentro e convivere, non potete azzuffarvi per tutto!»

Non abbiamo detto niente, o almeno, questa era l'idea che avevo io e che, forse, aveva anche Alex.

«Non era una giuffa!» ha decretato Ernesto che, oltre che il suo strano problema di dizione, aveva preso a parlare con voce nasale. «Era amore! Cercava di aiutarmi. È un ottimo dentishta!»

«Sì.» ha grugnito la Johnson. «Mettetelo seduto. Fare a botte pure per le ragazze! Ah, gli adolescenti! Questi ormoni! Tenetelo fermo, tirategli indietro la testa. Un dentista! Ma da dove le tirate fuori?»

Alex, mentre eseguivamo gli ordini, guardava la Johnson come Ernesto guardava Pan, forse un po' meno invasato, comunque io mi immaginavo che anche l'infermiera potesse rispondere picche come Pan e dargli un pugno sul naso, per questo suo insistente sguardo puntato. Sono stato preoccupato che lo facesse, mentre lei metteva dei piccoli tamponi di spugna nel naso di Ernesto, dopo che l'aveva ripulito da quello che aveva provocato Pan. Aveva l'aria assassina che ha anche mia sorella nei suoi momenti più neri.

Quando ha finito, l'infermiera ha detto: «Rimani qui per stasera, così dopo ti cambio i tamponi e speriamo che il sangue abbia smesso di scendere. Ma è meglio che non ti stendi.»

«Ma io devo tornare in biblioteca. C'è Phan che mi ashpetta!»

«Fai come dice l'infermiera. Rimani.» gli ho detto, preoccupato che Pan, vedendolo tornare, decidesse di dargli la seconda scarica.

E, mentre io cercavo di convincere Ernesto, Alex voleva attaccare bottone con la Johnson che si era allontanata per lavarsi le mani: «La... la vedo in forma, infermiera Johnson! Un po' esaurita, magari… ma che le è successo?»

«In forma!» ha sbottato lei, mentre strofinava il sapone con foga eccessiva. Era evidentemente diversa dalla infermiera di sempre che era sì energica, ma mai così sfasata, aveva ragione Alex. «Sarei in forma, se fossi in un centro termale, sarei in forma se potessi stendermi sul letto e leggere un buon libro! Invece sono qui... e non sai cosa ho trovato sulla mia scrivania, un bel ritorno davvero! Potevo starmene alle terme e invece... un bel richiamo formale! Un richiamo! A me

Io e Alex ci siamo scambiati un'occhiata perplessa.

«Ah!» ha continuato lei. E si è allontanata dal lavandino per asciugarsi le mani, ma non sembrava che ci stesse davvero guardando. Era più come se stesse parlando tra sé e sé e noi fossimo lì solo per caso. «Già. Un richiamo per l'infermiera che fa il suo lavoro!» diceva, tra una strofinata e l'altra. «Un richiamo perché l'infermiera che fa il suo lavoro è sospettata di aver aiutato gli studenti a bigiare le lezioni. Io! Jenny Johnson! Che ho fatto della mia professione una missione! Che sono stata anche negli ospedali da campo, finita in una infermeria di ragazzini che fanno a botte tra loro per una ragazza, vengo sospettata di aver dato falsi permessi agli studenti! Ah, ma il Generale mi sentirà! Eccome se mi sentirà! Farò un rapporto anche io! Eccome se lo farò! Gliela faccio vedere io...»

Senza degnarsi di uno sguardo, dopo aver gettato nel cestino il fazzoletto di carta, inspirando con violenza, si è ritirata nel suo ufficio sbattendo la porta.

«Vengo con voi.»

«Meglio di no.» ho detto. «Davvero Ernesto... rimani con la Johnson.»

«E she mi uccide?»

«Ma figurati!» ha replicato Alex, irritato. «Basta che non la infastidisci.»

«Ma... ho paura!»

Alex l'ha guardato in modo strano, penso nello stesso modo in cui l'avrei guardato io, se lui fosse stato girato verso di me. Ha paura della Johnson che sbraita, ma non di Pan che per poco non lo ammazza con un pugno? Quel ragazzo è strano. Molto strano.

«Figurati... non può fare peggio di Pan!» ha detto, infatti, Alex, dandogli una pacca sulla spalla.

«Quello era amore!» ha ribattuto lui, convinto. «Lo fasceva per aiutarmi!»

«Sì, va be'.» ha risposto Alex. «Andiamo, Kenny. Così riusciamo a vedere la fine dello spettacolo, se non è già finito!»

Anche secondo me era finito, ma siamo andati comunque, giusto per scrupolo. E abbiamo scoperto che lo “spettacolo” non era mai neanche cominciato... perché ne era in corso un altro.

Quando siamo arrivati davanti alla porta della biblioteca, questa era spalancata e davanti c'era una ragazza coi capelli cespugliosi che bloccava il passaggio. Tutti gli altri erano ammassati davanti a lei e la stavano fissando, chi con malevolenza, chi con evidente fastidio. Il sergente, tra i due fuochi, guardava dall'una all'altra parte con l'aria di non sapere da quale delle due stare. E il brutto della faccenda era che non vedevo Pan: sospettavo che fosse scappata a combinarne una delle sue.

«Questa è una biblioteca!» diceva, intanto, la ragazza con i capelli cespugliosi, con tono puntiglioso e acido. «Non potete fare questa confusione! La biblioteca serve per studiare e per trovare pace, non per fare le riunioni di classe e parlare a voce così alta, è ingiusto per chi invece...»

«Ma stai zitta, befana!» ha sbraitato Pan. Era lei, non c'erano dubbi e mi sono sentito subito sollevato perché vuol dire che non cercava di fare qualcosa di strano ai danni suoi o della Une e, sprattutto, non stava cercando di sottrarle il badge. Mi sono messo in punta di piedi per vedere se riuscivo a vedere qualcosa oltre la spalla della ragazza con i capelloni.

«Io non sto zitta!» ha replicato lei. «Io vengo tutti i giorni a studiare e spesso non posso perché c'è qualcuno che parla a voce alta e che non mi permette di concentrarmi! Ne parlerò con la direttrice, se non ve ne andate immediatamente!»

«Vai, vai, almeno ti levi dai coglioni!» ha risposto Pan, sempre gridando.

«Scusa? Ci fai passare?» ha chiesto invece Alex, picchiettando un dito sulla spalla della ragazza.

Lei si è girata di scatto e l'ha fulminato con lo sguardo. «Ma non lo vedi che non si può? La biblioteca è piena di questi ragazzi che stanno facendo una riunione di classe! Ah, ma c'è anche Kaiba! Kaiba, che cosa stai facendo lì nel mezzo, come fai a stare lì e...»

Seto Kaiba che si era alzato in piedi un secondo prima, la guardava con aria di sufficienza. «Granger, se vuoi studiare, la biblioteca ha ancora... ah, no, niente più posti. Che peccato. Credo proprio che dovrai andare altrove a studiare...» ha detto, senza mai cambiare di un'ottava il tono di voce. Quel ragazzo ha un che di gelido che mi dà i brividi.

La ragazza si è irrigidita tutta, poi si è voltata di scatto verso l'uscita, e quindi verso di noi, e ho potuto vedere che aveva le lacrime agli occhi. Mi ha guardato e poi ha fatto lo stesso con Alex, risoluta. «Venite con me a parlare con lady Une?» ha chiesto, quasi speranzosa che noi le dicessimo di sì.

Io e Alex ci siamo scambiati un'occhiata, entrambi chiedendoci perché mai avremmo dovuto andare volontariamente dalla Une a dire che ci stavamo riunendo in biblioteca, che gliela stavamo facendo sotto il naso per farci spiegare dal sergente che cosa è successo al Sanc Kingdom, quindici anni fa.

Volevamo rispondere di no, ma stranamente lei deve aver capito perfettamente quello che pensavamo. «Fate come volete!» ha sbuffato, con un tono da: e sentitevi in colpa! Quindi ci ha dato una spallata l'uno, passandoci nel mezzo, e ha cominciato a percorrere il corridoio a grandi passi.

Da dentro la biblioteca si è levato un coro di strilli, applausi e fischi.

Noi siamo entrati e il sergente ha richiuso la porta con un sospirone di sollievo che ho sentito probabilmente solo io perché Alex si è fiondato su Pan, le ha preso la mano e ha cominciato a mandarla su e giù come se fosse stato tutto merito di mia sorella se quella ragazza – Hermione Granger, se non ricordo male – è andata via.

«Ma lasciami, lurido caprone in decomposizione!» ha gridato lei, riprendendosi la mano con violenza. Almeno non ha replicato il pugno di Ernesto e si è ritirata all'interno della biblioteca.

«Ragazzi, facciamo piano.» ha chiesto il sergente. «Perché se quella torna... che rompipalle, che è! Dovrei essere io a rimproverarvi, ma ci pensa lei. Bah, che tempi! Ma se davvero va dalla Une, va a finire che...»

Si è passato un dito sotto la gola per fare intendere che eravamo tutti fregati.

«Non se lo facciamo prima a lei.» ha risposto Pan, senza scomporsi.

Ma non si è scomposto nemmeno nessun altro.

Il sergente mi ha spinto gentilmente verso l'interno, al tavolo dove si erano tutti riuniti e nessuno ha più detto una parola in merito.

Arale era proprio al centro della tavolata, davanti a me, ma ha fatto completamente finta di non vedermi. Anzi, a volte pareva che mi guardasse e vedesse solo l'aria. Pan si è seduta al suo fianco, Alex ancora dall'altra parte. Poi tutti gli altri hanno girato intorno al tavolo. Dall'altro lato rispetto a dove si trovava Alex, era seduto Heero, lì dove l'avevo trovato, col bacino in avanti, le gambe allargate e le mani in grembo chiuse sul cellulare dal quale stava messaggiando con impegno, ignorando del tutto quello che aveva intorno.

Chissà a chi scriveva...

«Allora, perché siamo qui?» ha domandato il sergente, tutto allegro. «Norimaki ha tanto insistito perché ci incontrassimo a quest'ora!»

Arale ha annuito. «Sì. Si tratta del Sanc Kingdom.»

«Ah, non troverete libri sull'argomento.»

«Lo immaginavo.» ha risposto Trowa. «E' stata una perdita di tempo venire.»

«Non direi proprio! Sergente!» Arale è balzata in piedi. Stringeva ancora tra le braccia quel dannatissimo giornale con la faccia di Stark. «Se siamo qui, tutte queste persone, è perché vogliamo saperne qualcosa di più. Da lei!»

«Da me?» ha ripetuto il sergente e ha cominciato a scuotere la testa con disapprovazione. «Non sono argomenti da bambini... troppe brutte cose...» e si è girato a metà, pronto a correre verso la sua scrivania, al suo vecchio Olivetti.

«Saranno brutte cose, ma non vi fate scrupolo a tenere Pioggia di Fuoco in un hangar dell'accademia. Il quattordici, per la precisione.» ha insinuato la mia amica, al che il sergente si è girato verso di lei e l'ha guardata con tutto lo sbigottimento possibile.

«E tu come lo sai?» ha chiesto, sospettoso.

«Beh, diciamo che ho le mie fonti...» ha risposto lei, misteriosa, stringendosi nelle spalle per darsi ancora più importanza.

Lui si è accigliato, invece. «Sì, le tue fonti...» ha borbottato. «Beh, è comunque una cosa non adatta ai bambini!»

«Non siamo bambini.» ha insistito Arale. «Heero, ha quindici anni e anche Alex!»

«Ancora no.» l'ha informata Alex.

«Eh? Che vuoi da me?» ha chiesto invece Heero, sollevando appena gli occhi dal cellulare.

Arale lo ha guardato con disgusto. «Dico solo che, se siamo abbastanza grandi per entrare in una caserma sperimentale, possiamo anche sapere che cosa succede nel mondo, no?»

«Ma è un segreto militare!» ha esclamato il sergente, muovendo le mani avanti e indietro davanti ad Arale, con aria quasi contenta, come se avesse appena trovato un modo per ovviare a tutti i problemi.

Ma Arale non si è data nessun tipo di pensiero. «Siamo militari.»

Il sergente è rimasto un attimo interdetto: da un certo punto di vista, la mia amica aveva perfettamente ragione. «Beh, comunque non posso parlarne.»

«Perché? Se Zack Marquise ha il permesso di parlarne agli studenti, perché lei no?»

Heero ha di nuovo sollevato lo sguardo dal telefonino, ma con più lentezza rispetto a prima. Guardava Arale con gli occhi appena socchiusi, come se si stesse chiedendo se aveva sentito bene oppure se fosse possibile una cosa del genere.

«Zack Marquise, eh?» ha detto, però, il sergente, anche lui abbastanza perplesso. «Non credo che l'abbia fatto...»

«E invece le dico di sì! Lo chieda a Kenny!»

Il fatto che mi mettesse in mezzo e che lo sguardo di tutti fosse puntato su di me in attesa che io dicessi qualcosa mi ha innervosito parecchio, perché sentivo che avrei messo nei guai Zack Marquise. E non mi andava proprio di farlo, se devo essere sincero. Già avevo fatto litigare i miei amici, se poi quel professore che mi aveva aiutato tanto a non sprofondare nella depressione più nera avesse passato dei brutti momenti per causa mia non mi sarei mai potuto perdonare. Tanto valeva andare a raccogliere pannocchie o ad elemosinare iscritti per la palestra del nonno con addosso solo una mutanda da lottatore di sumo.

E un Dio, forse, mi ha voluto aiutare, facendo svegliare la ragazza di Ryan Shirogane dal torpore in cui era caduta praticamente dall'inizio della conversazione.

«Ah, Zack Marquise!» ha esclamato, balzando in piedi e permettendo che l'attenzione generale passasse da me a lei. «Lo conosco! È il nostro professore di Materiali! Porta sempre la mascherina!»

Ryan, che era seduto e appoggiato con i gomiti al tavolo, usava il braccio per coprirsi il più possibile. «Sì, Strawberry, lieto che tu abbia collegato finalmente i neuroni! Per informazioni superflue, ma è stato un grande passo avanti.»

«Oh, Ryanuccio!» ha sospirato lei e si è fiondata di nuovo tra le sue braccia, con tanta foga che ha fatto ribaltare la sedia dove era seduto lui con lui sopra. Ryan ha gridato come un matto, ma quando è piombato a terra con un tonfo ed è scomparso sotto il tavolo, la biblioteca è piombata in un imbarazzante e sconcertante silenzio, poi abbiamo cominciato a sentire rumore di schiocchi di baci.

«Oh, piano, dai ragazzi! Che infoiati!» ha esclamato Alex, con fare malizioso. «Non vogliamo bambini, in biblioteca!»

«A-aiuto!» gridava Ryan e ha sollevato un braccio che è spuntato inquietante da sopra il piano del tavolo.

Avevo paura di scoprire che cosa stessero combinando quei due là sotto, ma ho avuto paura di chiedere dato che, di solito, quando domando, mi guardano tutti in modo strano, chissà perché.

Heero, dal canto suo, non dava nessun aiuto a nessuno, si è sporto per guardare meglio, con un mezzo sorriso sghembo.

«Aiutatemi!» rantolava il povero Ryan.

Nessuno si è mosso per qualche secondo. Poi ad andare in suo soccorso, benché tutti riuscissero a vedere e nessuno si desse una mossa per fare lo stesso, io compreso, è stata Pan, che ha preso Strawberry per i capelli e l'ha tirata via da Ryan, tra urla e spintoni e calci della ragazza con i capelli rossi. Tutti quanti eravamo attoniti, pure quel pezzo di ghiaccio di Seto Kaiba.

«E che palle! Basta!» ha sbottato mia sorella, spingendola lontano. «Che cazzo! Se hai i bollori, fatti una sega! Non trombare quando c'è la gente che vuole scoprire i misteri che potrebbero sputtanare la Une e permettermi di prendere il potere di questo posto! Cazzo! Devo firmarmi il permesso di espulsione, idiota, e tu mandi tutto a puttane!»

Non appena ha finito di urlare, il silenzio è calato, tombale.

Mi sono reso conto, allora, che Pan è venuta in biblioteca questo pomeriggio soltanto per quello: trovare i segreti sporchi della Une per usarli contro di lei, ma non ho ben capito il resto del piano... quello dove lei prende il potere e firma la sua stessa espulsione. La dinamica della cosa mi sfugge.

Ma è stato proprio per il silenzio che è sceso subito dopo che abbiamo potuto sentire il rumore dei passi che si avvicinavano.

Era una roba inquietante, da film dell'orrore, perché credo che, come li ho riconosciuti io, li hanno riconosciuti tutti gli altri. È impossibile non conoscere quel passo cadenzato, quel ritmo marziale che scandisce i minuti delle sue estenuanti ore di storia.

Ho guardato Alex, che ha guardato me e poi Trowa, il quale ha guardato Mimi, che ha guardato Sora, che ha guardato Bra che si guardava le unghie, pure con noia. Pan guardava la porta e un attimo dopo la maniglia si è abbassata cigolando.

È stato allora che abbiamo lanciato tutti un grido, come se fossimo stati uno solo. Il panico si è scatenato. Il primo a fuggire è stato Alex, che si è nascosto tra gli scaffali. A seguirlo c'è stato il ragazzino con i capelli a punta, Strawberry che strillava più di tutti: «Dov'è il mio Ryanuccio?», Sora e Mimi che correvano da una parte all'altra come due galline spaventate e, alla fine, si sono pure scontrate tra di loro. Arale si è nascosta sotto il tavolo e si è aggrappata alle gambe della sedia, più o meno come ho fatto io. Pan è piombata sul tavolo e ha cominciato a fare il gorilla, battendosi il petto con i pugni. Gli unici rimasti tranquilli sono stati Bra, Heero, Ryan, Trowa e Seto Kaiba, che erano rimasti seduti dove si trovavano da prima dell'assalto di Strawberry.

Ma è stato tutto inutile, perché la Une era già entrata e aveva visto tutto.

«Siete un branco di imbecilli!» ha sibilato. E ha fissato con occhio truce sopra al tavolo, dove c'era Pan, probabilmente ancora in piedi e con i pugni pronti a battere sul petto.

 

  
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