Anime & Manga > Pretty Cure
Segui la storia  |       
Autore: kissenlove    01/09/2015    2 recensioni
Sequel di “Dirci Addio”.
Sai Honoka..
Da quando te ne sei andata dall’altra parte del mondo, non ho fatto altro che pensare a ciò che mi hai detto, a quelle parole che non riuscivano a uscire dalle tue labbra, lo sfogo di un dolore immenso che tu hai dovuto combattere da sola. Mi sono sentita vuota, imperfetta, ho capito che in questi mesi che avevi più bisogno di me, io non ho fatto altro che girarti le spalle. Dio, mi sento così stupida ed egoista anche!
Ma sai Honoka..
[…]
sono successe tante cose da quando sei andata via. Hikari se ne è andata, mepple non vive più con me, e io ho rischiato la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Honoka Yukishiro/Cure White, Nagisa Misumi/Cure Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

And I was made for You



***

Tadaaa, - Love esce fuori da un piccolo palcoscenico improvvisato, e saluta tutti, armandosi di un ombrello per evitare i pomodori, nel caso ci fossero... - cari lettori e lettrici, ringrazio chi segue la storia, tra cui Zonami84RosaneraLovestory124noemicriayuValePassion95, e per chi la preferisce comeQuennSerperior. So che mi sparerete, e non ne dubito affatto, anche perché è da un po’ di capitoli che continuo a girare sul rapporto tra Usui e Honoka, oppure tra Kazumi e Shogo, non mostrandovi mai i veri sentimenti e quello che tutti voi aspettate da quando avete conosciuto i due, ovviamente la scena ci sarà.. ma non ora. XD 
Non sono cattiva, ma non mi piace scrivere di già questa scena, tengo fede a ciò che sono, e vi faccio penare giusto un poco; se nei precedenti capitoli avete letto del rapporto tra Kazumi e suo padre, be’ questa volta vi mostrerò la controparte femminile... ovvero Nagisa e sua figlia, e magari .. potrete anche scoprire perché Nagisa non ha più contatti con Honoka. 
Tutto qui dentro, sì, sì - Love sta per sparire.. - vi lascio al chappy ~Love 
Mi raccomando recensite.. 
*** 

Nagisa non era stupida, lo era stata da giovane, ma non ora, non con tutte queste responsabilità che si era accollata.
Quando suo marito e sua figlia rincasavano tardi, a volte anche per colpo del turno di lavoro di Shogo, che essendo uno dei primati più richiesti, era sempre impegnato in qualche operazione d’urgenza, sapeva che fare il medico era importante, sopratutto se in gioco vi era la vita di un paziente, ma odiava aspettare, non le era mai piaciuto stare da sola, infatti... non era mai stata sola. 
Vicino a lei tante persone, Mepple... Mipple, Pollun e Lulun che si rincorrevano, Hikari, e anche.. be’ l’unica persona che da sempre l’aveva capita, che l’aveva sostenuta, nonostante quegli attimi di smarrimento, in cui i loro caratteri completamente diversi le divideva, per qualche strana ragione alla fine tornavano unite, più di prima, quel nome che il suo cervello aveva sbiadito in un angolo remoto, come se quel periodo che era rimasta ferma nello stesso punto ad attendere il suo ritorno alla vita, non abbia fatto altro che camminare, affondare i piedi nella sabbia leggera, più avanzava di qualche metro, e più quella poltiglia sembrava inghiottirla, e nel mentre in cui era in procinto di farla scivolare lentamente nel baratro, il brandello dei suoi ricordi si perdeva per sempre. Serrando gli occhi per un momento cercò di imprimere nella mente quel poco che restava... Nagisa, avanti sforzati.. non lasciarti sopraffare... aguzzò la vista, davanti a sé, un’immensa distesa di vallate e piccoli cocuzzoli, come dei ponti sorgevano da sotto, non sapeva come ci era finita lì, non ricordava granché, lei era al campo di lacrosse, il suo cellulare aveva squillato, lei aveva parlato con qualcuno e aveva velocemente attaccato, poi era scappata via di lì come inseguita dal tempo, era salita in macchina, dove stava andando... la cosa che più le era rimasta impressa furono i fari di un grosso camion che le aveva appena tagliato la strada, mandandola fuori pista, mentre la macchina come impazzita si rivoltava su se stessa. Aveva sbattuto la testa sullo sterzo per il forte impatto, si era azionato un grosso pallone bianco, doveva essere gli iceberg di protezione, la vettura si era maciullata al lato davanti, fortunatamente stava bene.. 
Aprì piano le fessure, ma se ne pentì subito dopo, un dolore, un terribile dolore le incatenò la testa, mentre un rivolo di sangue le scendeva vicino all’occhio destro, percorrendo la mandibola. Si toccò lievemente la testa, aver sbattuto contro lo sterzo le aveva prodotto un taglio lungo quasi quanto una spanna, le sarebbero serviti certamente dei punti. Dopo l’attimo di stordimento, la sua vista cominciò a riabituarsi ai colori e alle dimensioni, e lei liberatasi dalla cinta, aprì la portiera, - in realtà quello che ne restava, - visto che i vetrini erano stati completamente sventrati. Si alzò, anche se si sentiva debole come il sole in inverno, e si appoggiò al piccolo finestrino della vettura, poi intravedendo l’ombra di un uomo, alto, controluce, provò a fare leva alle sue ginocchia perché si alzassero. 
Il tipo le corse incontro, pareva seriamente preoccupato, probabilmente era il guidatore del camion che l’aveva investita; sembrava dispiaciuto, bofonchiò nervoso le sue ragioni, “mi scusi, signora. Non l’ho vista la vostra auto, oh santo cielo! Santo cielo!” imprecava, dirigendo le mani al cielo, poi dopo questo sfogo, le diede la mano, in modo che Nagisa potesse appoggiarsi vicino al suo braccio. 
-C-chiamo un ambulanza! - urlò l’uomo, anche se la donna colta da un improvviso colpo di sonno, stava per cadere a terra. Il guidatore del camion digitò sul suo telefonino il numero del pronto soccorso, continuando a sorreggere Nagisa, ora accortosi che non solo era ferita gravemente ma anche incinta. Uno dei paramedici rispose dopo poco. - Pronto? - 
-Sì, salve. Per favore, mandate immediatamente un ambulanza... c’è stato un incidente... sulla strada provinciale, per favore fate più presto possibile. - il paramedico gli chiese, con assoluta tranquillità di spiegargli lo stato fisico della donna, il tipo si mise ad osservarla. - Ha una ferita sulla testa, probabilmente le serviranno dei punti. Una costola rotta, forse due, ... e aspetta un bambino. - 
Il paramedico annuì. 
-Non stia lì ad annuire, mi mandi subito questa maledetta ambulanza! - gridò, e con fare nervoso, chiuse la telefonata. 
Il tipo stese a terra Nagisa, in modo che le due costole incrinate non si infilzassero in nessun organo importante, i polmoni o in questo caso il cuore, seguì le istruzioni del primo soccorso, cercò di fasciarle la ferita in modo che non si dissanguasse ulteriormente, controllò il polso, era debole, ma c’era. Nagisa si stava riprendendo dal suo svenimento, ma era ancora un po’ confusa. Cercò di girarsi, ma era troppo debole per farlo, le bruciava la gola e sembrava che il suo costato si stesse per piegare in due metà da quando le faceva male, la cosa di cui la bionda era convinta era che stava ancora sul posto dell’incidente, a pochi passi dalla sua autovettura, in bilico su un burrone, e stesa a terra, a contatto con l’asfalto reso bollente dal sole di quel pomeriggio. Aveva ancora un fortissimo dolore alla tempia, ma a questo se ne aggiunse uno ancora più pungente, proveniva dal suo addome, non bastava le costole, la ferita alla tempia, stava per perdere anche il suo bambino, non era agli inizi diamine, certamente non se ne sarebbe data una colpa.. non era una personcina, era solo un piccolo fagiolo, ma ora suo figlio era vera carne, una parte di lei, non poteva essere colpevole della sua morte.. non poteva. 
Non riusciva nemmeno a singhiozzare, le faceva male tutto il corpo, come se fosse stata messa in un frullatore. 
-N-no.. - riuscì a proferire, ignorando completamente il dolore, mentre una lacrima si univa al sangue per scivolare verso la mandibola. 
Silenziosa, si portò con quelle poche forze che le restavano, le mani sul ventre, e guardò il cielo terso sopra di lei. 
Il tipo notò il suo movimento, era inginocchiato accanto a lei, e le teneva il polso. Lei incrociò il suo sguardo. 
-Signora, stanno arrivando i soccorsi.. - le disse, cercando di tranquillizzarla. 
Nagisa cercò di parlare, ma aveva due dolori che le toglievano il respiro: il primo fisico, l’altro mentale. Tolse la mano dal suo addome, e la appoggiò sul braccio di colei che l’aveva investita, su cui poteva leggere tutto il suo pentimento. 
-S-sa.. - biascicò, chiudendo gli occhi, per trovare un po’ di pace. 
- Cosa? - domandò il tipo. - Cosa volete? Non vi affaticate. - continuò. 
Nagisa strizzò gli occhi per il dolore. 
-Stanno per giungere i soccorsi, diamine... - guardò la strada provinciale, dei passanti si era accorti dei due e si erano prontamente avvicinati per osservare scettici come la vita di due persone si consumava su quell’asfalto. Il tipo con una manata violenta le allontanò e tornò al capezzale della donna, che stava sospirando, - D-devi.. sa-salv.. - ma le costole non le permettevano di continuare. 
Il tipo si dispose con l’orecchio attento, e dopo Nagisa poté confessargli il suo ultimo desiderio. 
- Salvate il b-bambino, voglio che s-salvate... il mio bambin- non riuscì a finire la frase, e cadde preda di un nuovo svenimento. 
Quando giunsero sul posto le due ambulanze richieste, il tipo aveva il braccio che sanguinava, e una caviglia infortunata, Nagisa invece risultava un codice rosso, molto più complicato, aveva varie escoriazioni sul braccio, quello che aveva urtato contro la portiera, una milza in pessimo stato, due costole rotte e incrinate verso i polmoni, un’emoraggia interna, un taglio non troppo espose sulla fronte, un coma appena iniziato e la vita del bambino appesa ad un filo, praticamente un caso rovinato. 
I dottori disposero Nagisa su una barella, e fecero accomodare il signore nell’altra. Un paramedico, vicino a Nagisa, le inseriva un drenaggio, visto che il polmone risultava quasi collassato, e le attaccava un lavaggio per mantenerla in vita, fino all’arrivo in clinica, che non era molto distante dal luogo in cui le due vetture si era scontrate; il tipo nella seconda ambulanza chiese, seriamente preoccupato, a uno dei paramedici che gli stava fasciando il braccio. - Come sta la donna? Se la caverà.. - 
Il paramedico si piantò gli occhiali sul volto, e ripose via il cotone sporco di sangue. 
-Uhm, a giudicare dalla sua situazione.. credo che ci vorrebbe un miracolo, l’avete ridotta proprio male quella povera donna. - 
Il tipo si imbronciò, non voleva giustificarsi, ma lui la vettura che transitava in quel momento non l’aveva proprio vista. 
- Piuttosto, siete ubriaco? - 
- Perché lo dite? - domandò il tipo, tenendosi il braccio sinistro, che era quello ferito. 
- Probabilmente.. sarà stato a causa dell’alcol.. - 
- Sta insinuando che io bevo mentre guido! - lo accusò, e il paramedico ribatté. - No, no... figuriamoci. Ma le faremo comunque dei controlli per testare se nel suo sangue vi è traccia di qualche sostanza stupefacente, giusto per farci un’idea. - 
Il tipo abbassò la testa, le ultime frasi di Nagisa erano ancora chiare nella sua testa, e continuava a ripetersi. 
Salvate il mio bambino, aveva detto. 
Nel frattempo, nell’altra ambulanza, Nagisa era stata appena intubata. Una dei paramedici che le pompava il respiro, la osservò durante tutto il tragitto, essa era stesa sul lettino, gli occhi chiusi, il sangue secco che aveva lasciato una scia dietro sé, la pelle bianca e pallida, sembrava quasi una bambolina di ceramica. La donna che risultava essere bassa, con lunghi capelli ricci, le accarezzò il volto. 
- Tranquilla, tesoro. Sei una donna forte, devi solo resistere finché non giungiamo in clinica.. e lì, tu dovrai lottare.. solo tu. - 
Nagisa sembrò muoversi, movimenti convulsi che scuotevano il suo corpo, mentre il macchinario che avevano disposto, iniziava a riempire il piccolo abitacolo con sempre più deboli battiti, finché la pressione non scese a 50. 
La donna si rese conto da subito che Nagisa stava andando in arresto cardiaco.
Chiamò l’altro paramedico, le tolsero la maschera, e con due defibrillatori carichi, che le posero sul petto, le diedero ben tre scariche. Il suo corpo vibrò per due secondi, poi tornò a contatto con il lettino, i due medici si scambiarono un’occhiata di intesa, mentre attendevano pazientemente il velocizzarsi dei battiti, ma questi più che farsi più forti, risultavano sempre più impercettibili, tanto che in un paio di secondi la linea si stabilizzò diventando improvvisamente retta, e il numero dei battiti arrivò a zero. 
I due medici le diedero altre scariche per farla reagire, niente, Nagisa era in condizioni disperate, i medici si aspettavano un decesso da un momento a un altro, era debole, la sua vita si appendeva a un filo, ma quel filo si stava per spezzare, il suo corpo urlava di dolore, le costole incrinate non le stavano dando pace anche se lei dormiva immobile, e il dolore per la perdita del figlio la stava costringendo a quel gesto disperato: lasciarsi morire. I medici riposero i defibrillatori, il medico giovane si sedette, e si mise la mano sul viso.
-Ora del decesso.. - 
La sua collega lo fermò. - No, dottore, no! Maledizione, no! Se la madre muore, muore anche il bambino! - 
Il dottore alzò lo sguardo per dirigerlo contro gli occhi castani di Kanzaki, poi lo spostò sulla macchina, e sul corpo di Nagisa. 
- Dobbiamo tenerla in vita! - gli ricordò. 
Il bambino non era morto, era in pericolo, ma non era morto... anche lui stava lottando per vivere, e loro dovevano far sì che Nagisa si stabilizzasse in modo da poterlo far nascere il prima possibile, per evitare ulteriori danni. 
Kanzaki si trascinò verso il corpo di Nagisa, e si avvicinò al suo orecchio. 
- Nagisa, il tuo bambino è vivo e forte. Sta lottando, non lasciarti sconfiggere... non lasciarti sconfiggere, Cure Black. - 
Quella parola risvegliò qualcosa nella ex leggendaria guerriera, la sabbia che la stava lentamente tirando giù si dissolse, e il deserto davanti a sé iniziò ad essere invaso da un mare oscuro, su cui lei si teneva in equilibrio galleggiando. Sapere che il bambino continuava a vivere in lei, era stato un sollievo, ma se lei fosse morta, come avrebbe potuto nascere? 
Nagisa si fece coraggio da sola, e intimò il suo cuore dal posto oscuro in cui si trovava, di continuare ad accompagnare quello del figlio. 
Il paramedico che si era seduto disperato, scattò in piedi come una molla, il macchinario contava nuovamente i battiti, aveva ripreso il suo numero perfetto 80 battiti, ma la situazione rimaneva ancora irrisolvibile. Dovevano fermare quell’emoraggia, asportare il feto, metterlo in incubatrice, e occuparsi delle altre piccole ferite meno gravi, ma sopratutto dovevano svegliarla. 
L’ambulanza arrivò nella clinica, l’altra subito dopo. 
Scesero Nagisa, e la portarono immediatamente dentro al reparto medicina interna, lì sarebbe stata visitata, sarebbe stato vagliato il quadro clinico, e si sarebbe preparato tutto per l’operazione; i paramedici si strinsero attorno alla barella, mentre la conducevano vicino all’ascensore, erano le undici, Shogo stava appena smontando dal suo turno e stava lasciando l’ospedale, quando notò una cosa che attirò la sua attenzione. Essendo le undici, non c’erano visite, solo turni di post-operazioni e qualche codice da visitare, ma due ambulanze avevano condotto lì due persone, una in codice bianco, con qualche sbucciatura al braccio, il dottore Shogo lo incontrò in corridoio, che si trascinava la caviglia verso l’ambulatorio del suo collega Nakemura, dell’altro non sapeva molto, solo che era codice rosso. 
Shogo lasciò la borsa in una delle sedie della sala d’aspetto vuota, e andò incontro alla barella accerchiata da tanti medici. Kanzaki che teneva in mano la provetta di lavaggio, la consegnò a uno dei paramedici, e gli andò incontro per salutarlo. 
-Dottor Shogo! - lo salutò con il palmo della mano, fermandolo. -Cosa ci fate ancora qui? - 
Kanzaki ciondolava su un piede, era in lotta con se stessa, sapeva che la paziente a codice rosso di quella notte non era una semplice paziente estranea a loro, ma Nagisa Misumi, la moglie del futuro direttore del reparto. Non voleva far preoccupare Shogo, ma nessuno avrebbe agito meglio di lui essendo il dottor di maggior fama in quell’ospedale, si fidavano tutti di lui, compresa lei, ma non sapeva che faccia indossare per comunicargli quella spiacevole notizia. Cercò di essere seria, in modo che non suonasse come uno scherzo. 
-Dottore, c’è una cosa che devo dirvi.. - l’ascensore scesa velocemente si aprì, essa era grande per contenere una barella di quelle dimensioni. Shogo perplesso dal comportamento serio della sua collega, la invitò a parlargli con estrema sincerità.
-Non so.. come dirvelo, è per vostra moglie. - 
Shogo si lasciò cadere la borsa a terra, e la borsa che aveva nell’altra mano, conteneva una usta di cioccolatini, li avrebbe portati alla moglie non appena sarebbe rincasato, per farsi perdonare per quell’orario così sconveniente. Deglutì, e si portò tremando la mano al petto. - C-che cosa è successo a mia moglie? - domandò con la paura che iniziava a rodergli l’anima, e un pensiero nella sua testa si faceva strada, un presentimento che presto sarebbe divenuto reale e tangibile. 
-Hanno chiamato per un incidente sulla strada provinciale dottore... Nagisa ha fatto un incidente mentre andava a casa.. - 
-Cosa!? - 
- Sì, è in codice rosso. - continuò Kanzaki, appoggiando le sue mani sulle spalle del medico per dargli conforto. 
Shogo non sapeva se arrabbiarsi, distruggere tutto, uccidere Nagisa per quella paura che gli stava prendendo, o prendere in mano la situazione e cercare di salvare la sua vita. Poi, la vita del suo bambino gli passò velocemente tra le membrane del cervello. 
-Il bambino? - 
- Vivo, ma non per molto. - spiegò Kanzaki. - Vedete... sua moglie prima di svenire accusava forti dolori al ventre, quindi dobbiamo portarla immediatamente dal chirurgo, stilare un percorso di operazione, asportare la milza.. il feto... e chiudergli la testa che si è spaccata, dottore. - 
- Vengo con te, Kanzaki! - esclamò Shogo. 
-Ma signore... - Kanzaki non oppose altra resistenza, e insieme sparirono nell’altra ascensore. 
Kanzaki spiegò approfonditamente la situazione malconcia della cure nera, gli spiegò che aveva avuto bisogno di un drenaggio per il polmone collassato, che si erano incrinate due costole, probabilmente per il colpo che aveva ricevuto dopo essere finita fuori strada, aveva una ferita sulla testa, e il bambino... sta bene... ma se non nasceva rischiava seriamente di morire. Shogo sapeva che se non avesse provato a salvare il bambino, anche Nagisa sarebbe morta conseguentemente. 
-E che mi dici di quell’idiota? - chiese ancora Shogo, intento a rimettersi il camice, che gli preso la collega. 
-Intendete il signore del camion? - 
Shogo fece segno di sì con il capo, appuntandosi il riconoscimento da medico sul camice. 
-Sì, lui sta bene. Adesso dobbiamo concentrarci su vostra moglie. - 
Shogo annuì nuovamente. - Non abbiamo tempo da perdere, avvisiamo il chirurgo, ah.. e facciamo un ecografia per sapere esattamente come sta il bambino e se è necessario asportarlo all’ottavo mese di gestazione. - spiegò il dottore, mentre le porte dell’ascensore si aprivano. Shogo e Kanzaki uscirono fuori, iniziando a camminare verso il reparto, in cui era appena entrata la barella. 
-Kanzaki... avvisa immediatamente l’anestesista e il ginecologo.. forniamoci di sacche di sangue di gruppo 0 ci serviranno. - 
-Sì, dottore. - 
- Io adesso vado dal chirurgo, tu vai giù e fai quello che ti ho detto. - 
La donna annuì, e fece dietrofront per tornare nell’ascensore, con il corpo che tremava di terrore si dirigeva verso la porta del reparto di medicina interna. Andò verso l’ambulatorio, scostò il telone verde, e vide che il chirurgo stava esaminando il caso di Nagisa. 
Si avvicinò, e guardò un altro due suoi colleghi: un tipo stempiato, con un neo a forma di nocciola sulla tempia, e degli occhiali molto spessi sul naso, in procinto di cascargli; il dottore muoveva il braccio della paziente, ed esaminava le ferite a seguito dell’urto. 
-Uhm... poverina sembra essere stata maciullata, Shogo. - 
Il chirurgo e Shogo si davano del “tu” perché Shogo lo assisteva durante le operazioni, ed era anche diventati buoni amici. 
- Baiko, cosa facciamo... la dobbiamo operare? - 
- Sì, tua moglie va assolutamente operata. A parte le piccole ferite da codice bianco, ti ricordo che dobbiamo asportare la milza, risolvere questa sua emorragia interna, e asportare anche tuo figlio, facendolo nascere. - 
-Ho richiesto a Kanzaki che facessimo un’ecografia, solo per sapere se sta bene. - 
Il dottore iniziò a tastarle l’addome per vedere se la posizione del bambino era cambiata. Le spinse un po’ sotto la pancia, ma ovviamente leggermente, in modo che il feto non si facesse male, poi passò a scrutare la lunga ferita sulla testa. 
-Servono dodici o quindici punti... dobbiamo chiuderla. - poi guardò il suo collega. - Tuo figlio però mi preoccupa, sembra che non si muova. - Shogo andò in ipersudorazione, questo voleva dire che il bambino non era più in vita? No.. il loro bambino no.. 
-Facciamo dovuti accertamenti, e poi la operiamo. Sperando che resista, debole come è adesso... - e detto questo uscì dalla stanzetta. 
Shogo si sedette al capezzale della moglie, e iniziò ad accarezzarle i capelli, morbidi, che erano tinteggiati sulle punte dal rosso del sangue, mentre le posava un bacio sulla fronte, un nuovo movimento convulso lo distolse, perché la sua mano, come se avesse volontà propria, si era spostata dal ventre a stringergli con forza il suo braccio, che stava appoggiato sulla lettiga. 
-Nagisa... amore.. sono qui con te, non ti lascerò. - le disse, e amorevolmente le posò un bacio a stampo sulle labbra violacee. 
Il chirurgo tornò in stanza accompagnata da Kanzaki, e dal ginecologo, fortunatamente di turno. 
Il ginecologo dispose il macchinario dell’ecografia, e nel frattempo intratteneva un discorso con Baiko. 
-Di solito un bambino muore sul colpo dopo un’incidente... - iniziò, e Shogo spalancò le iridi. 
Suo figlio non era un umano qualsiasi, nato tra di loro, suo figlio era molto più che questo, era la speranza che lui aveva riposto nel mondo. Il ginecologo si sedette sulla sedia, proprio accanto al corpo inanimato della fanciulla, mentre Shogo intenzionato a starle vicino e nonostante il consiglio di Baiko, volle stringerle la mano, mentre il dottore critico osservava l’immagine comparsa sullo schermo. 
-Ah... eccolo, a quanto pare questo bambino è un dono del cielo, Fujimura-san. - 
Shogo sospirò con le lacrime agli occhi, vedendo in primo piano, la faccia gigantesca del suo bambino che si metteva il dito in bocca, forse non si era accorto minimamente di ciò che gli stava succedendo fuori da quella corazza protettiva. 
-Però.. - Shogo sussultò. - ho una brutta notizia Fujimura-san, la membrana protettiva dell’utero si è rotta, è come se le acque di Nagisa si fossero rotte a seguito dello schianto, dobbiamo inetrvenire, il bambino inizierà a soffocare... e rischieremo seriamente di perderlo. - 
-Quindi... cosa dobbiamo fare? - chiese Baiko. 
- Operiamola d’urgenza... - rispose. -Ma senza alcuna anestesia. - 
Shogo lasciò cadere la mano di Nagisa dalla sua, senza anestesia voleva dire dolore, anche se lei era in coma lo avrebbe sentito. 
-Non capisco, come senza anestesia.. - 
Kanzaki tolse i residui del gel dalla pancia di Nagisa. 
- Shogo è meglio che la operiamo senza anestesia. - fece ancora il ginecologo. - Facciamo uscire il bambino.. di più per lei non possiamo farla, se usassimo l’anestetico, debole come è ora, potremmo perderla anche sotto i ferri, e tu non vuoi perdere tua moglie, vero? - 
Shogo lo guardò, no non voleva perderla.. 
-Bene, preparate tutto, rimandate indietro l’anestesista... e urgementemente chiamate la equipé di turno. Dobbiamo assolutamente far nascere questo bambino.! - urlò il ginecologo ai presenti. 
Kanzaki accarezzò la spalla di Shogo. 
- Shogo, è meglio che sia così... - 
- Ma non soffrirà? - 
- Shogo, prima non te l’ho detto... - iniziò Kanzaki, non appena i due furono lasciati soli, Baiko era andato a munirsi del camicie e degli opportuni guanti, e Nagisa era stata condotta via per prepararla. Kanzaki aveva tralasciato ciò che prima era accaduto mentre arrivavano lì, che Nagisa stava morendo, e adesso era convinta che fare tutto senza anestetico fosse il modo più semplice per tenere la sua situazione sotto controllo, ed evitare ulteriori crisi respiratorie o cardiache. 
-Ma tua moglie... stava per andare in arresto cardiaco. Siamo riusciti a stabilizzarla, grazie al fatto che il suo bambino è ancora vivo, forse lei si sente in colpa... - 
Shogo batté un sonoro pugno sulla lettiga vuota. 
- Credi che non lo sappia! Mi ha chiamato per avvisarmi che andava a casa con la macchina, ma.. perché non è andata a piedi, o non si è fatta accompagnare da Shiho o da Rina perchè! - 
-La vita ci pone davanti grandi interrogativi. - rispose sbrigativa Kanzaki, mentre esortava Shogo a raggiungere la sala operatoria. 
In due minuti tutti i medici erano scesi, Shogo aveva indossato il suo coraggio magnificamente per riuscire a riportare sua moglie in vita, e per dare una possibilità a quel bambino che voleva vedere la luce sopra ogni cosa. Kanzaki assisteva Nagisa, mentre Baiko si appuntava la mascherina; appena Shogo si dispose affianco a Baiko, con alla destra tutti gli strumenti che servivano. Il dottore fece accendere il grande lampadario sopra di loro che inondò di una luce molto forte tutto il posto. Kanzaki asciugava la fronte di Nagisa, mentre i due dottori iniziavano ad operarla, con tutto il coraggio che la notte avrebbe portato loro. 

La nascita della bambina riuscì a stabilizzare la situazione pietosa di Nagisa. Baiko chiese a Shogo di portar fuori la bambina appena nata, e di darla in braccio a Kanzaki in modo che la conducesse in incubatrice, lui invece si occupò dell’emoraggia. 
Ci vollero sette sacche di sangue perché Nagisa riprendesse il suo colorito naturale, e che le labbra da violacee diventassero rosse. Il polmone fu drenato, e per le costole il dottore richiese che dopo il risveglio la paziente stesse stesa sul letto, senza muoversi, in modo che le costole si calcificassero da sole, prese a cucire l’addome e il taglio lungo la testa, per fortuna Nagisa era rimasta stabile fino alla fine dell’operazione, e purtroppo anche dopo la post-operazione, la donna non aveva più aperto gli occhi. 
Prima che uscisse dal tunnel nero che la stava restringendo nella morsa della morte, ci vollero tre mesi; Kazumi tornò a casa, avendo ormai superato pienamente il test, stava benissimo, era allegra e vivace, ed era dolcemente accudita da Rye e Takeshi. Shogo, invece era rimasto al capezzale della moglie, da quando era stata ricoverata per quell’incidente. L’uomo che l’aveva investita si era sottoposto ai dovuti controlli, ma non era stato trovato nulla, la colpa era stata soltanto la sua vista decisamente abbassata. Gli era stata semplicemente ritirata la patente, e adesso insieme alla moglie, durante tutti quei mesi aveva fatto spesso visita a Nagisa, portandole tanti fiori. 
Kazumi veniva portata in ospedale con lo scopo di risvegliare la mamma, che stava passando da un coma da cui poteva uscirne, a uno invece irreversibile, che l’avrebbe poi condannato a un coma vegetativo. Questo però non successe, a distanza di tre mesi dal brutto incidente, Nagisa Misumi riaprì finalmente gli occhi al mondo, e nel momento in cui lo fece i brandelli del suo passato e del presente furono cancellati dalla sua mente. Tre mesi dopo, Nagisa si ritrovò ad aprire gli occhi, e ad osservare con stupore di essere in una stanza d’ospedale, non appena riuscì a distinguere meglio i volti si rese conto, che due persone vi erano lì vicino, la prima, dormiente, appoggiata al lenzuolo, la seconda anche lei che dormiva, su una sedia scomoda. 
La sua testa, ancora confusa, si chiese cosa ci facesse lì, ma non riusciva a ricordare. 
A causa dei suoi movimenti, il tipo che stava vicino a lei si svegliò, e un barlume di felicità gli attraversò i magnifici occhi castani. 
-Nagisa! Ti sei svegliata. - esclamò, compiaciuto; lei ancora non capiva, si era addormentata? 
Il ragazzo corse a svegliare la seconda persona. 
-Rye! Rye... tua figlia è sveglia. - la donna si catapultò su di lei, strozzandola di baci, mentre il ragazzo cercava di staccargliela da dosso per evitare che le facesse del male con tutto quell’amore represso. 
-Figlia mia, sono così contenta che tu ti sia svegliata! - disse Rye, inonando la stanza con le sue lacrime. 
- Non capisco perché piangente, signora... cosa ci faccio qui, me lo spiegate? - domandò la donna. 
-Tesoro, hai fatto un brutto incidente... ma adesso stai bene e sei di nuovo qui, con noi. - poi anche il ragazzo la abbracciò, e le regalò un bacio a stampo sulle labbra. - Finalmente potrai conoscere Kazumi! - 
Nagisa lo guardò stralunata, chi era Kazumi? Nessuno glielo spiegava, chi era quella donna che piangeva come una fontana, e perché quel ragazzo le riservava quel gesto più adatto a un marito che a un semplice conoscente, non ci capiva praticamente niente. Aveva un vuoto nella testa, un vuoto che non riempiva più i suoi precedenti anni. 
-Sentite, chi è Kazumi? -
-Tesoro, dai, non scherzare! - fece Rye, asciugandosi le lacrime, anche se continuava a piangere. - É tua figlia! - 
Mia figlia... aspetta, ma come, ho avuto una figlia... ma non è possibile, se non sono manco sposata. Un momento.. 
Shogo notò il barlume di confusione nel suo sguardo, e senza accennare niente, la abbracciò soltanto. 
-Non importa, Nagisa. Non importa, presto ricorderai tutto. - 
Non sentiva il perché, ma quell’uomo le provocava uno strano senso di pace, e senza chiedersi il motivo, anche lei ricambiò. 
Shogo a seguito del risveglio della moglie chiamò il chirurgo che l’aveva operata, che accorse subito nella camera, vedendo con soddisfazione che una delle pazienti più gravi in stato comatoso si era appena risvegliata. 
-Oh, signora Fujimura, sono molto contenta che vi siete risvegliata. - 
- Anche io, ma mi spiegate che ci faccio qua? Ah, ho capito, volete farmi una puntura? - 
Il dottore fece no con la testa, mentre Nagisa si girava nella parte sinistra del letto. 
- Ah... vabbene... forza... venite a bucarmi il sedere, tanto solo questo adesso c’ho integro.. - 
-Nagisa, lui è il chirurgo Baiko. Ti ha operato lui. - 
- Quindi? - domandò Nagisa, alzando un cipiglio. - Ah, giusto. Grazie ma non era necessario operarmi, sto benissimo! - 
-Sì, perché siete stata molto tempo in coma.. - soggiunse Baiko, tirando Shogo per la manica della camicia. 
-Ciao... ciao.. ragazzo strano. - fece Nagisa vicino a Shogo, sistemandosi meglio sul letto. Si sentiva stranamente indolenzita, sopratutto sulla testa e la pancia, come se fosse stata tagliata in due come un panino. 
- Sono preoccupato, Baiko. - gli riferì Shogo, visto che la moglie non ricordava la sua vita presente, e ne tanto meno che era sposata con lui e che avevano avuto Kazumi tre mesi fa. - Non ricorda più niente... sembra aver dimenticato tutto! - 
Baiko si portò una mano sotto al mento. 
- Lo so.. chiederò un elettroncenfalogramma... così vedremo se il coma ha prodotto qualche danno mentale. In ogni caso.. è palese che sia una perdita di memoria, Nagisa non vuole ricordare l’incidente, è una forma di difesa. - 
Shogo era preoccupato. Sua moglie avrebbe mai ripreso a ricordare chi era, sopratutto chi era lui? 
Sperava che sarebbe stato così. Detto questo salutò Baiko, che stava andando a provvedere per l’esame prima di dimetterla, e tornò in camera, dove Nagisa stupefatta si osservava la cicatrice sul suo addome, che le arrivava fin sopra l’ombelico. 
- Oh, diamine, mi hanno tagliato in due?  - 
Shogo le andò vicino, sistemandole nuovamente le lenzuola. 
- Tu forse non te lo ricordi molto bene, ma tre mesi fa è nata Kazumi, la nostra bambina.. - spiegò il dottore alla moglie, che lo ascoltava come una bambina buona. -Io e te siamo sposati, inoltre... e-e tu sei stata in coma fino a questo momento. - 
- Ah, no aspetta.. troppe informazioni! Vuoi dire... che sono stata incinta? - 
- Sì! - 
- Che sono sposata, e che sono stata addormentata fino ad ora. Non può essere, e quella donna che piangeva? - la bionda indicò Rye, appostata alla finestra, per osservare il passeggio nei giardinetti. 
Shogo rise. 
- Tua madre Rye, è stata molto preoccupata quando sei entrata in coma... e si è presa cura della bambina, di sua nipote ecco. - 
-Capisco, adesso! - Nagisa si grattò la nuca. - Uhm, mi ricordi come ti chiami? - 
Shogo sospirò, Non si ricordava nemmeno il suo nome, andavamo proprio bene. 
- Shogo.. - 
Nagisa si ripeté nella testa il nome di quel giovane, ma non ricordava niente. Cercava di sforzare il suo cervello, ma nessuna informazione, come se a causa di un blackout, tutto quanto fosse andato perso, come se si fosse cancellato tutto con un tasto. Per lei quei due erano come estranei, e l’esame a cui Nagisa si sottopose prima di uscire rivelò che aveva avuto un trauma molto violento, e che avrebbe dovuto assumere un poco alle volta le informazioni della sua vita precedente. Il rapporto con Shogo era andato magnificamente dopo essere stata dimessa, aveva fatto una grande festa a cui erano giunte persone che lei non ricordava, che dicevano di essere suoi amici, Shogo gli aveva fatto conoscere la bambina, che lui subito aveva amato dal primo istante, nonostante non ricordasse i mesi passati nella gravidanza ad attenderla, i seguenti che susseguirono con lei fuori furono ancora più divertenti. In pochi anni, la bionda ex cure aveva riacquistato quasi tutti i suoi ricordi, sapeva di essere una lacrossista, di essersi sposata con Shogo Fujimura, di avere una figlia con lui, di avere un fratello di nome Ryota, una famiglia che la amava tanto.. amici sempre presenti, le sue passioni per il cioccolato e i takoyaki, ma una cosa che non riusciva proprio a riportare alla memoria era il suo passato, un passato dove lei intravedeva una persona, dai lunghi capelli blu, gli occhi del medesimo colore, e un vestito bianco e blu da combattimento, un pensiero tanto sfocato che lei adesso aveva rimosso completamente dalla sua testa, e che aveva descritto come delirio momentaneo della sua testa. 
Nagisa aveva dimenticato che nel mondo era esistita Honoka Yukishiro

Dopo il brutto incidente Shogo aveva proibito alla moglie di uscire di casa con la macchina, se doveva fare la spesa, poteva farsi accompagnare da Shiho, Rina o altre persone, oppure per fare prima poteva fare quattro passi, che avrebbe sicuramente fatto bene al suo stato interessante. Era talmente iperprotettivo nei suoi confronti, con questo nuovo componente che sarebbe nato a breve, da non riuscire a farla respirare, senza chiedere permesso; Odiava che anche quella sera il marito avrebbe fatto tardi, e che lei avrebbe dovuto mangiare la cena freddata, fredda era immangiabile, e lei da come le avevano raccontato sua madre e suo fratello non brillava per le sue doti culinarie, e di certo più di qualche volte aveva mandato a fuoco la cucina. Fortunatamente ciò era stato rimosso dalla sua mente. 
Quella sera aveva preparato tofu, ma a furia di aspettare aveva finito per riscaldarlo, quando la sua bambina e suo marito era tornati lei gli aveva la giusta punizione, nella sua mente non balenava ricordi inerenti alla sua testa calda, ma a seguito del modo in cui li aveva trattati si era accorta che delle volte poteva anche succedere che diventasse in quel modo. Kazumi dopo aver adempiuto i suoi doveri di figlia, si era prodigata per aiutarla con la tavola, disponendo i piatti, mentre il padre con un capello da cuoco era tutto intento a fare una crepe alla moglie, sotto suo ordine, piena di cioccolato, come piaceva a lei. In realtà tutto ciò gli era stato raccontato. 
Shogo spense il fornello, e portò la crepe al tavola, poi si sedette vicino alla moglie per provare l’immangiabile tofu. 
-Uhm, - bofonchiò Shogo, rigirando nelle forchette un pezzettino che vi aveva tagliato da vicino. -Sembra buono. - 
Kazumi aveva il volto nel piatto, e anche lei si stava chiedendo se mangiarlo o ordinare una pizza. Nagisa invece aveva abbandonato l’idea di mangiarlo, aveva riposto il piatto, e scartato il tofu, e si era goduta la meritata crepes, di certo in famiglia il più bravo in cucina era Shogo, lo aveva capito da come manovrava le padelle, quasi come uno chef stellato. 
-Tesoro, ti sei superato! - esclamò, divorandola; il marito annuì silenzioso, mentre si portava la mano alla guancia, combattuto. 
- Qualcosa non va, caro? - domandò la bionda, osservando il marito accanto a lei; Shogo stava pensando che se avrebbe detto fa schifo, e non lo si può dare neanche al nostro cane, avrebbe ricevuto una coltellata e sarebbe finito lui in ospedale, ma.. se lo avrebbe mangiato sarebbe stato anche peggio, avrebbe avuto un’indigestione, e mentre lei dormiva di sasso, lui avrebbe fatto la notte in bianco in bagno. 
Shogo sussultò, quando trovò il viso della moglie vicino al suo. - Caro? Hai provato il tofu, deve essere squisito, mi sono impegnata così tanto per fartelo con amore, tu mi tieni chiusa in casa... così io mi scoccio, e faccio capolavori.. - 
Shogo deglutì, cercando di trovare un complice in sua figlia, che invece di mangiare guardava il volantino che le aveva dato Ran. 
- Certo, tesoro... solo che domani ho il turno notturno, e non mi sembra il caso di appesantirmi.. - 
Nagisa dilatò le pupille, in un orrenda espressione da mostro. - Come dici, caro! Io ti cucino una cenetta con i fiocchi... e tu... che marito che sei, già solo perché sto rinunciando alla mia linea perfetta per tuo figlio, non lo vuoi provare! - detto questo, prese la forchetta con quel pezzettino infilato e gliela avvicinò alla bocca. - Apri la bocca.. Shogo Fujimura, che arriva l’aereoplanino! - 
Shogo scosse il capo. 
- Amore, so mangiare... non c’è bisogno che mi imbocchi. - 
Nagisa lasciò la forchetta, posandola nel piatto, e togliendo la sedia dalla tavola si alzò, trattenendosi la schiena. Quella pancia pesava, e lei in quell’ultimo periodo doveva restare sempre stesa a letto, per colpa di quel mal di schiena, forse lo aveva sofferto anche quando aspettava Kazumi ma per colpa della sua testa a distanza di anni, non riusciva ancora a ricordare come fu quel periodo. La donna di casa andò verso il lavandino per ripulire il piatto sporco di cioccolato. 
- Tesoro hai finito? - chiese al marito, richiedendo il piatto, dato che voleva stendersi; suo figlio era molto attivo e continuava a muoversi, e lei non ce le faceva a stare in piedi, sopratutto per quel dolore alla schiena che non le lasciava tregua. Le prendeva dietro la schiena, e poi si irradiava sotto la pancia, quasi come una contrazione, il dottore le aveva spiegato che era normale che il corpo dovesse provare, e quindi iniziava dal mese ottavo fino al nono a darle quelle prove, che si chiamavano contrazioni preparatorie. 
Ma le aveva avuto anche Kazumi? Non ricordava niente. 
Shogo mentre Nagisa stava girata, nascose il pezzettino di tofu e tutto il resto nel tovagliolo, e mettendosi la forchetta in bocca, andò vicino alla moglie per farle vedere che la sua cena era stata deliziosa, dandole un bacio sul collo, e accarezzandole la pancia. 
-Tesoro... hai visto che non sono ingrato? - 
Nagisa sorrise. 
- Sì.. sei davvero un romanticone, eri così già a prima? - domandò Nagisa, all’oscuro che qualunque piatto preparato da lei finiva nel tovagliolo e poi nelle tasche del pantalone di suo marito, tanto che una volta mentre faceva la lavatrice ci aveva trovato la salsa del ragù della sera precedente, e qualche volta anche un pezzo di carne mezza cruda. Non era colpa sua se non le piaceva cucinare, ma almeno ci provava. Kazumi seduta alle loro spalle, ridacchiava come una matta, perché lei aveva visto benissimo l’astuta manovra del padre, la faceva tutte le volte che cucinava sua madre, e non lui, visto che quando non aveva turni da fare in clinica si sbizzarriva con cenoni. 
Nagisa mangiava per due tutto, mentre lei non ce le faceva mai, erano buoni, ma erano così calorici, non che lei preferisse essere un bastoncino, ma nemmeno una mucca da latte come sua madre, anche se quella panciona era da gravidanza e non perché era in sovrappeso. Prese il piatto, e lo consegnò a sua madre. 
-Mamma, tutto buonissimo. - 
In realtà niente era buono, il tofu era risultato più salato dell’acqua, come se sua madre avesse sbadatamente fatto cadere tutto il recipiente del sale in pentola, in una parola era immangiabile, adesso sarebbe certamente servita una lavanda gastrica per togliere tutto quel sale, aveva fatto bene suo padre a non provarlo, era davvero disgustoso. 
-Ragazze, io mi ritiro... ho bisogno di un letto urgentemente - dichiarò il castano, toccandosi la scapola. - Oggi in ospedale non mi sono fermato nemmeno per consumare un pranzo. - fece lui, provando pena per il suo povero stomaco ancora a digiuno. Shogo salutò sua moglie con un frettoloso bacio sulla bocca, accarezzò la pancia per salutare il suo futuro figlio che pensava sarebbe stato maschio, e raccomandò Kazumi di aiutare la madre, e poi sparì nel corridoio per andarsi a sciacquare il volto e mettersi subito a letto. 
Kazumi si trattenne per aiutare sua madre a ripulire la cucina, visto il disastro del tofu. Dopo aver rimosso il resto della tavola, si dispose affianco a lei per asciugarle le stoviglie e riporle al loro posto, e intanto ingannavano il tempo del lavoro, con una sana chiacchierata. 
-Tesoro, come è andata oggi a scuola? - 
La domanda di sua madre era sempre quella, quando si ritrovavano ogni sera in mezzo a quella pila di piatti. 
Kazumi era intenta ad asciugare con un panno la pentola utilizzata per il tofu. 
- Come sempre, mamma. - fu la sua risposta, mentre si alzava sulle punte per riporla al suo posto. 
Nagisa ultimò i piatti, e li posò sul lavabo in modo che sua figlia gliela asciugasse, visto che lei si sentiva troppo stanca per via degli ultimi mesi di gestazione, che le gravavano come un macigno sulle spalle. Amare il tuo uomo, come amava colui che col tempo aveva imparato a chiamare “marito” era importante, non ricordava più dall’incidente come amare alla follia una persona che nemmeno ricordi, ma adesso.. con la gravidanza, un’altra.. tutto per Nagisa era cambiato, i suoi sentimenti si erano fortificati, e lei aveva capito che quello era il suo posto.
Le due dopo aver finito si sedettero sul divano, Kazumi in un tonfo e Nagisa con molta calma visto la sua enorme pancia. 
-Oh, mi stanca questa pancia. - si lamentò la bionda, -Tesoro, ricordati che da grande non fare mai ciò che ho fatto con tuo padre, eh? - 
Kazumi alzò un cipiglio. 
-Perché cosa hai fatto? - domandò lei molto curiosa. 
Quando era bambina suo padre alla sua domanda “come nascono i bambini?” aveva risposto che gliela avrebbe detto quando sarebbe stata più grande e capace di capire il meccanismo della vita, lei adesso aveva raggiunto quell’età e non le piaceva che i suoi le nascondessero qualcosa. Prima era lei l’unica principessa in famiglia, e adesso doveva scendere dal gradino e diventare sorella maggiore... da dove poi era uscita quella novità, prima sua madre aveva il fisico più magro di uno stuzzicadenti, e improvvisamente l’aveva vista stare male continuamente, e ingozzarsi come un maiale anche nel cuore della notte, poi era uscito il pancione. 
Da lì aveva capito, la colpa era di suo padre. 
Sua madre iniziò ad arrossire. - Ma niente, piccola. Torniamo a noi... cosa è successo a scuola? - 
Kazumi osservò sua madre molto attentamente, possibile che quando toccavano quell’argomento, lei doveva sempre dissimulare. 
-N-niente! -fece eco lei. - Vuoi bere qualcosa? - 
Nagisa fece segno di sì con la testa, ma la cosa non la convinceva affatto. Quando sua figlia le diceva con tutta tranquillità che le cose andavano bene, che a scuola non aveva preso nessuna nota di demerito, e che i professori, incluso il vicepreside, non erano arrabbiate con lei. Aveva imparato Nagisa dopo che era uscita dalla morsa dell’incidente che sua figlia aveva preso il suo stesso carattere, per quanto riguardava la carriera scolastica, non le piaceva particolarmente studiare, quando stava nella sua cameretta con la scusa di studiare, Nagisa sapeva benissimo che si metteva a leggere quelle stupide vignette sulle Pretty Cure. Lei non capiva perché le piacessero quelle sciocchezze che alcuni si inventavano solo per far divertire i bambini, e sua figlia si distraeva a pensare a Cure... come si chiamava... ah giusto Cure Black, anche se questo nome pareva gettare qualche spiraglio di luce nei suoi ricordi, ma nella sua testa tornava buio più di prima. Sua figlia andò verso il frigorifero, e ne tirò fuori una caraffa di limonata, preparata quel pomeriggio, e riempi due bicchieri fino all’orlo, e tornò sul divano, consegnando a sua madre il bicchiere. 
Nagisa iniziò a berne un sorso, poi guardò sua figlia. - Kazumi... avanti cosa c’è? - insisté, riponendo con molto sforzo il bicchiere sul tavolino. -Uhm, è per quella chiamata che ho ricevuto? - 
Kazumi si dispose meglio sul divano, avvicinandosi a sua madre, che intanto si era ristesa nuovamente, con entrambe le mani sulla pancia. 
-Quale chiamata, mamma? - domandò la ragazza. 
Dopo i precedenti, e la confessione di Rina, quel giorno il vicepreside col permesso del preside ha telefonato a casa sua, per avvisare che Kazumi stava nuovamente distraendosi per colpa dei manga, e anche per il nuovo studente che era appena arrivato alla Verone. Non avevano fatto altro che ridere di gusto, mentre Rina spiegava la storia cinese, e se nuovamente l’avesse fatto lui l’avrebbe espulsa con quel tono da cagnolino impiccione. 
-Quella del vicepreside... quel tale... insomma. Non ricordo chi è tuo padre, figuriamoci lui, che fa parte del passato. - 
- Meglio che non te lo ricordi. - 
Nagisa si massaggiò la pancia, fermandosi quando sentiva movimenti impercettibili provenire dal bambino.
- Oh, santo cielo, questo bimbo è peggio di un elefante in un negozio di gioielleria! - esclamò Nagisa, evitando il discorso del vicepreside. 
Non c’era bisogno di chiamare a casa, sapeva che sua figlia si distraeva, anche guardando il cielo dalla finestra. 
-Quasi come te, mamma. - rise Kazumi, mentre la madre la invitava a mettere la mano sulla pancia per ascoltare i movimenti del fratellino, a Kazumi non piaceva molto la situazione attuale, non sopportava che sua madre desse amore solamente a quel bambino e non più a lei, e che lei fosse trascurata solo perché aveva quattordici anni ed era adulta; sua madre però l’aveva convinta, la gravidanza può anche essere stata un po’ turbolenta, insieme all’incidente, quasi tragica, ma di certo il suo amore non era per chi arrivava per ultimo, lei amava Kazumi così come avrebbe amato questo nuovo bambino in arrivo, lei sarebbe stata presente sempre per i problemi di sua figlia, l’avrebbe consolata nei suoi momenti no, e stretta al suo petto come il suo dono più prezioso, ma avrebbe anche voluto bene al bambino che stava crescendo dentro di lei, perché era una sua parte importante, perché avrebbe provato la gioia di darlo alla luce, e tenerlo fra le braccia, non che non fosse stata contenta di aver preso e tenuto in braccia Kazumi, ma lei aveva già tre mesi, e non era appena nata, questo bambino invece sarebbe passato prima fra le sue braccia, le braccia della sua mamma. 
Li amava, erano i suoi figli. Una parte importante, o forse, tutto il suo corpo lo poteva essere. 
-Kazumi, non è una cosa insolita se tu ti distrai... ma... per chi ti sei distratta? - 
Kazumi tossì portandosi la mano alla bocca, stava quasi per soffocare con il suo succo. 
-...Per nessuno, mamma. - 
- Sono senza memoria... ma non sono stupida. - 
Kazumi roteò forzatamente gli occhi, come a dire “ma che tu e papà vi siete messi d’accordo?” 
-Oh, no mamma... non dare di matto, ti dirò chi mi ha distratto, ma ti prego non reagire come papà. - 
-Perché come ha reagito tuo padre? - domandò. 
Kazumi ricordò gli istanti di prima. 
-Male, malissimo, talmente male che stavamo per sbattere contro un palo! - esclamò. 
- Oh dio.. povera macchina... - bofonchiò Nagisa. 
-Mamma... ma come povera macchina! Poveri noi in macchina. - 
-Giusto... ma non voglio che si distrugga un’altra macchina per un incidente... - tagliò corto Nagisa, - Bene, dicevamo? - 
-Te lo dico se prometti che non ti agiti, o potresti avere un parto prematuro... quindi sta calma. - 
Nagisa fece sì con la testa, e si mise ad ascoltare sua figlia, non sapendo che cosa sarebbe accaduto quando gli avrebbe detto quella cosa. 
Sicuramente sarebbe caduta la muraglia cinese o avremmo avuto una terza guerra mondiale, suo padre le disse una volta che Nagisa, prima di perdere la memoria, poteva avere qualsiasi reazione, compresa quella assassina. 
-Ok.. ok... mamma.. mi sono distratta per.. - si interruppe. Non sapeva se dirlo o meno. 
-Dai, a, e, i, o, u, avanti parla piccola! - le schioccò una mano vicino al volto. -Non voglio aspettare tutta la notte. - 
-Sì, mamma! - gridò. - Mi sono distratta per un ragazzo, ecco! - 
Nagisa rimase per un momento immobilizzata al divano. 
-U-un ragazzo! - 
-Sì, sì, sì... un ragazzo. - ripeté Kazumi, nel cuore della notte. 
Nagisa si avvicinò, mettendo su uno sguardo investigativo. -Chi è, tesoro? - 
Kazumi si allontanò da lei, spaventata. Aveva quasi paura che sua madre avesse una reazione peggio del padre, e che addirittura intenzionata ad ucciderla, ma Nagisa era così calma, e seduta sul divano, da farle ancora più terrore. 
-.. Te lo dico? - 
-Certo, carissimaaaaaaaa! - 
- Usui... - 
- Usui, che? - domandò la madre. - Voglio sapere il cognome, voglio fargli saltare i denti, e metterli nel frigorifero per mangiarli domani a colazione. - 
Kazumi iniziò a sudare, incastrandosi verso la testiera del divano. 
-Mamma... ti prego.. non dire sciocchezze! - 
Nagisa scoppiò in una fragorosa risata, che penetrò nei muri di tutto l’appartamento. -Stavo scherzando hahahah... be’.. dopo lo taglio con la sega elettrica e poi lo metto in congelatore assieme al gelato.. - 
Kazumi stava quasi per svenire. 
- Ok.. ok... frena la tua forza assassina, lo sai che tuo figlio non vuole che finisci in carcere? - 
-Lo so.. avanti, dimmi il suo cognome.. - 
- Non gli farai niente? - chiese Kazumi. -Ti prego, non sto dicendo che siamo fidanzati.. - 
- No, tranquilla, al massimo lo metto nel tritura carne, tranquilla... non gli farò niente. - 
-Questo mi tranquillizza proprio, alleluia! - 
-Su, basta con questi scherzi... dimmi il nome del tuo fidanzato.. - 
-Oh, lasciamo stare. Usui Yukishiro. - il cognome gli vibrò in testa, quel Yukishiro gli suonò così familiare, come se ci fosse anche una persona in quel mondo che lo possedesse ma non ricordo chi, e soprattutto cosa era stata per lui. 
Perché Yukishiro mi suona così familiare... chi ho conosciuto.. e chi ho scordato con questo cognome
Nagisa rimase paralizzata a quel nome, come se qualcosa in lei si stesse risvegliando e che era ancora assopito. 
Quel nome aveva una storia che lei non poteva ricordare. Quel nome le portava in testa vari brandelli, nella sua mente barcollante nel buio si avvicinò una luce intensa, e lì, proprio davanti a lei, due figure, due ragazze.. ma chi erano? 
Non le ricordava. Lei non ricordava più niente, il velo del trauma aveva ricoperto ciò che ne restava. 



***Angolino della Love** 

Uhm, sì lo so, mi odierete! Perché non hai mostrato qualcosa su Kazumi e Usui, qualche scena, come ho già detto prima dopo questi capitoli, ne farete scorpacciate... ma alle volte è buono anche mostrare il passato, il passato di Nagisa, i suoi rimorsi... la sua perdita di memoria per renderci conto di cosa accadde.. Ancora non si se riuscirà a ricordare chi era. 
Intanto io vi saluto, ci vediamo nel prossimo chappy, andrà avanti la storia fra Kazumi e Usui? 
Be’ scopritelo ~Love



 




 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pretty Cure / Vai alla pagina dell'autore: kissenlove