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Autore: Full Moon    05/02/2009    4 recensioni
…«Uscì danzando dalla mia stanza e mi diede la buona notte lanciandomi un bacetto. La odiavo quando faceva così, però la amavo proprio perché era così splendida e semplice come la neve che scende dal cielo, non l’avresti trovata mai sporca»…E’amore fraterno o qualcosa di più? Un mondo incantato, elfi, creature mostruose…voltatevi e scoprirete voi stessi.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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al di là... cap 1

L’ALTRO LATO DELLO SPECCHIO




CAPITOLO 1


Il sole si preparava a scendere, e i vampiri si apprestavano a svegliarsi dal loro sonno.

In un paese grande come il nostro è normale incontrarne alcuni anche per le strade, l’importante è non guardarli negli occhi, gli avresti fatto intendere che avevi bisogno del loro bacio. Io non ho paura di loro, anzi, li ammiro per la loro bellezza, così raffinata, ma allo stesso tempo così naturale, che sfoggiano con noncuranza. Avrei voluto tanto essere come loro, invece devo convivere con il fatto di essere solo un debole elfo lucente. Io abito con la mia famiglia: mio padre è il re di Holest, il paese in cui vivo; mia madre, una bellissima banshee nera e in fine mia sorella, più piccola di me di due anni.

Ero in ritardo, mi avrebbero, per così dire “nebulizzato”, se non fossi arrivato in tempo per la cena. Cavolo, è colpa mia se adoro nuotare durante le notti di plenilunio? È tremendamente rilassante lasciarsi cullare dalle onde del mare e aspettare l’onda che ti spinge sempre un po’ più in là, dove il sole si spegne. La luna ti accarezza il corpo e ti dona più luce ai capelli, i miei, infatti, diventano anche più lunghi e argentei di quello che sono.

Correvo più veloce che potevo attraverso il bosco e qualche volta inciampavo su una radice di albero fatato, che imprecava al mio passaggio. Percorsi tutto il viale di campanule notturne, attraversai il ponte sospeso sul fiume e mi diressi per la via che portava al mio castello.

Quando arrivai ed aprii la porta mia sorella era lì, di fronte a me, con le braccia conserte e il piede che picchiettava il pavimento bianco, come segno di disappunto: “ ma bravo!anche oggi a nuotare! Non vedi come sei ridotto?! Sei bagnato fradicio!” “Seila non urlare così forte! Potrebbero sentirti!”.

“oh, ma l’abbiamo già fatto” disse mia madre appoggiata alla ringhiera della scala. Cominciò a scendere lentamente, con un sorriso troppo dolce, questo voleva dire che era seccata, i capelli neri e fluenti facevano da strascico al vestito di velluto blu e le davano un’aria misteriosa. Avanzò piano verso di noi, “lo sai che ore sono?”la sua voce calda e morbida ma allo stesso tempo così profonda metteva i brividi persino a me, ed è mia madre!

“posso spiegarti! Temal mi aveva chiesto di raccontarle un’altra storia, e io non ho potuto dirle di no! Lo sai anche tu quanto possono essere convincenti le sirene!”.

“e lo sai quanto possono essere cattive le banshee?”replicò lei, continuando ad avanzare con passo felpato. ‘merda!’-pensai-‘ora sì che sono nei casini!’. “sono le dieci passate, e in ogni modo lo so che sei andato a nuotare, i tuoi capelli ne sono la prova”. Si fermò a due metri di distanza da noi e fece segno a mia sorella di andarsene, la quale sgattaiolò nella sala relax. Ora eravamo noi due, e me la stavo proprio facendo sotto. Mia madre chiuse gli occhi, respirò a fondo, espirò e facendo crescere le unghie come una spada mi tagliò i capelli con un solo fendente. “ ti proibisco di parlare e di uscire per una settimana, sono stata abbastanza chiara?” domandò lei con tutta calma. “chiaro”le dissi io abbassando lo sguardo e guardando i miei argentei capelli sul pavimento. Si girò e tornò ai piani superiori in un “soffio di ninfa”.

Tirai un sospiro di sollievo, avrebbe potuto fare anche di peggio. Mi avviai nella mia camera senza ovviamente aver cenato: salii le scale, voltai a destra ed entrai nell’ultima porta a sinistra.

Appoggiai lo zaino a terra e andai fuori sul balcone a prendere una boccata d’aria notturna. L’aria profumava di aghi di pino e felci, fresche e umide. Nel cielo una miriade di stelle si mostrava in tutta la sua lucentezza bianca. Mi chiedevo come poteva mia madre sapere sempre tutto, ogni cosa io facessi; di solito le banshee non sanno leggere nel pensiero, almeno speravo. Tornai in camera, chiusi la finestra e iniziai a togliermi i vestiti, quando mia sorella entrò senza bussare. “ hey fratellone! Allora, che ti ha ordinato di fare oggi la mamma?” “Seila, non ti hanno insegnato a bussare? Lo sai che non dovresti entrare nella mia stanza, te l’hanno vietato categoricamente”. “ non ti preoccupare, so badare a me stessa…vuoi che ti pareggio i capelli?” “ mi faresti un favore” le dissi io. Quindi mi sedetti su una sedia e la aspettai sorridendo con le forbici in mano. Mi si avvicinò danzando e mi si sedette sulle ginocchia “come lo vuoi stavolta?” “ questa volta fammelo scalato, ma sempre lunghi mi raccomando” “ certo, lunghi se no non riesci più…” “ a cuccare, esatto!” le risposi prontamente io. Si alzò e mi andò dietro le spalle, iniziò dunque a tagliare. I capelli scivolavano dolcemente dalle mie spalle per poi cadere a terra. In poco tempo mi tagliò i capelli e ridendo disse: “Ti ho fatto anche più bello di prima!” “io sono sempre stato bellissimo, così come lo sei tu e nostra madre” “ già, mentre nostro padre è una cozza!” sogghignò lei e continuò “ è un umano, per forza!”. “ esci ora, mi devo cambiare” le ordinai. “ ti vergogni di tua sorella?” “si” le risposi con un tono più piatto possibile per non far trasparire il mio imbarazzo in quel momento.

Uscì danzando dalla mia stanza e mi diede la buona notte lanciandomi un bacetto. La odiavo quando faceva così, però la amavo proprio perché era così splendida e semplice come la neve che scende dal cielo, non l’avresti trovata mai sporca.

Mi spogliai interamente e dopo aver fatto una doccia veloce e aver asciugato i capelli andai a dormire.

Sognai.

Mi ritrovai in una piccola stanza rossa, nel centro un tavolino di marmo bianco e vicino alla finestra una poltrona in vimini. Mi avvicinai al caminetto accanto alla poltrona e mi feci ipnotizzare dal movimento ondulatorio del fuoco, che zampillava allegramente. Il calore mi accarezzava il viso e le mani, era piacevole, tanto che mi sedetti lì di fronte e allungai le mani quasi per voler assaporare più a fondo quel tepore. Fuori dalla stanzetta pioveva, una pioggerella fine,un fitto mormorio, che picchiava contro i vetri della finestra. Distogliendo lo sguardo dal fuoco per un solo istante mi bruciai le mani, e urlai ritraendo le mani: “Ahi!”. Fino a che il fuoco si spense improvvisamente e il fumo prese la forma di piccole fatine che danzavano assieme. Ne toccai una e questa sparì, e così fecero tutte le altre. Mi alzai, pulendomi le mani e i pantaloni, quando un terremoto fece vibrare la piccola casa che crollò sopra di me. Riuscii ad uscire da sotto le macerie e fui catapultato in un luogo freddo, vicino al mare, dove i ghiacci ne facevano da padrone. Iniziai a correre come non avevo mai fatto prima e il vento mi graffiava il viso. Il dolore si propagava in tutto il mio corpo, mi accasciai a terra. La neve cominciò a cadere e ad attaccarsi al mio viso, tremavo come una foglia agitata dal vento, eppure non avevo freddo, avevo solo paura: ‘Perché il fuoco si è spento? Perché la casina è crollata? Io odio questo posto!’ pensai. Tentai di rialzai ma invano. La neve continuava a scendere ininterrottamente, finché una voragine si aprì sotto di me e m’inghiottì.

Mi svegliai di soprassalto, in un bagno di sudore. I capelli mi si erano attaccati al viso e la camicia che avevo addosso era completamente bagnata. Uscii dalla stanza dopo essermi fatto una doccia calda e camminai per il corridoio senza una meta. Avevo solo voglia di camminare per distrarmi da quell’incubo. Quando passai davanti alla stanza di Seila la sentii chiamare affannosamente il mio nome. Senza pensare aprii la porta. Era nel letto, sotto le coperte, che si agitava, girandosi da una parte all’altra. Mi sedetti sul letto e la chiamai dolcemente. Dopo non molto tempo aprì i suoi occhi ambrati e prendendomi il volto con le mani disse: “Kail ti prego, non lasciarmi mai sola”. Un po’ stupito, ma contento, la abbracciai dolcemente portandola al mio petto e le intimai di chiudere gli occhi. Lei mi stringeva forte, riuscivo a sentire il suo respiro sul mio torace. Le accarezzai i morbidi capelli neri e la baciai sulla fronte. Se solo avesse potuto sapere quello che provavo per lei. La amavo troppo; il mio non era semplice amore fraterno, sentivo dentro di me che era qualcosa di diverso, di più profondo.

‘Ti amo’ pensai ‘Non potremmo mai stare insieme, ma non importa, io ti amerò per sempre Seila’. La portai di nuovo sul cuscino e si riaddormentò con un dolce sorriso. Avrei voluto restare lì ad osservarla riposare, però ero un ragazzo troppo buono e troppo puro. Uscii dalla sua camera e sospirando fuori da quella porta, mi diressi nella mia stanza. Arrivato, chiusi la porta alle mie spalle e mi rimisi a letto, aspettando di riaddormentarmi e sperando di non fare ancora quel terribile incubo.



Quella notte non riuscii più ad addormentarmi e la passai in bianco. La mattina dopo, verso le dieci uscii in giardino e andai nelle stalle a prendere il mio cavallo. Era da tanto che non gli facevo sgranchire le gambe come si deve, così decisi di fare una bella cavalcata nei boschi.

Prima lo strigliai per bene, gli misi la sella e le briglie e poi finalmente salii. Uscii dalle stalle e dirigendomi verso il giardino incontrai Seila “Dove vai?” mi chiese lei. “A fare un giro, vuoi venire con me?” “Certo, a patto che monto insieme a te, non ho voglia di prendere Pece oggi.” “Sei incorreggibile, quella povera cavalla, le farai fare la muffa!” la rimproverai io.

Tutto sommato però ero contento, avrei potuto passare tutta la giornata assieme a lei. La alzai dolcemente, facendola ricadere davanti a me, sulla groppa del cavallo. Le dissi di tenersi bene e iniziammo a galoppare. Scherzavamo del più e del meno quando arrivammo vicino ad un lago, nel fitto bosco.

“Temal!”chiamai. Temal era una mia cara amica, una sirena. Ci conoscevamo da poco, però mi ero già affezionato molto a lei. “Temal!”. Uscii la sua testa dall’acqua e mi salutò agitando un braccio. Arrivò molto rapidamente a riva e con la sua voce cristallina mi salutò: “ Ciao mio caro Kail, da quanto tempo non ti vedo!Lei chi è, una tua amica?”. Il suo sorriso era sempre bello e luminoso e i suoi capelli colore del mare, verde, come in certi paesi tropicali. “ No, è mia sorella, te ne ho già parlato, non ricordi?” “Ah si, la piccola serpe appiccicosa!” rise lei punzecchiandola.

“Suvvia Temal non essere così acida!” la ammonii io. Seila invece che prendersela, era lì, in piedi, di fronte alla bellissima sirena che si addossava ad una roccia e la scrutava con occhi maligni. La sua espressione non trasmetteva alcuna emozione, ma quando Temal stava per cominciare a parlare, …… aprì la bocca e iniziò a produrre ultrasuoni. Quella era una sorta d’avvertimento tra le banshee, eh già, lei era proprio come la mamma. La sirena si tappò le orecchie e iniziò a contorcersi e a strillare, io nel panico mi misi le mani tra i capelli e ad agitarmi, come il mio solito saltellai sul posto non sapendo cosa fare. Presi per mano Seila e la condussi lontano; continuava ad emettere gli ultrasuoni fastidiosi anche quando correva. Fino a che ci fermammo in un campo di rose nere, lì finalmente tacque: “Ma che cavolo ti è preso?”

-“ Ma hai sentito cosa mi ha detto? Si meritava una lezione!”

-“ Ora Temal non mi vorrà neanche più guardare in faccia”

Seila tacque ancora e si sedette a terra tra le rose nere come una piccola bambina ridotta al silenzio. La sua pelle bianca risaltava in quell’oscurità, e così anche il suo vestito color pesca. “ La prossima volta devo portare una tela e dei colori” dissi ad alta voce. “Perché?” mi chiese giustamente lei. “Sei così carina tra le rose che vorrei farti un ritratto” la mia faccia cominciò ad accaldarsi e per non mostrarle il mio imbarazzo mi girai di scatto: “Andiamo a casa adesso!”. Mi seguì a ruota e mi prese a braccetto: “Dovunque tu voglia Kail, dovunque.”.


  
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