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Autore: Delirious Rose    03/09/2015    0 recensioni
Ashley Valondja interpreta la Fanciulla nella Compagnia dell’Astrologiaio: vorrebbe avere il ruolo dell’Eroe (anzi, se potesse farebbe l’eroe e basta), ma l’impellente necessità di denaro della Compagnia lo costringe da mesi ad assumere anche quello della Cortigiana. Fuori scena. Ashley saprà cogliere l’occasione di realizzare il suo sogno e ottenere giustizia quando un mecenate lo inviterà a pranzo?
{questa storia partecipa al contest "Love for a fee" di Yuko-chan}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Atto Secondo

 

  Scena 1

Arthea aveva partorito due lune prima del previsto ed era troppo debole anche per percorrere la mezza giornata di cammino per Labrazia; inoltre, nessuno sapeva se la sua bambina avrebbe visto il tramonto o il sorgere del nuovo giorno. Il mugnaio, la cui unica concubina aveva avuto un maschio sano e robusto il medesimo giorno, si era offerto di ospitare la giovane madre. In breve tempo, complice la levatrice, tutto il villaggio aveva saputo quello che era accaduto alla giovane attrice e aveva accolto lei e i suoi compagni come se fossero dei vecchi amici tornati a casa dopo lunghi anni di assenza.
Ashley non amava le farse, per il semplice motivo che gli era assegnato il ruolo della fanciulla ingenua che si lasciava convincere a intrattenersi carnalmente con i protagonisti maschili, oppure della giovane concubina di un anziano che ricercava il piacere in un aitante giovanotto. Eppure per una volta si trovò a mettere più trasporto del solito ne La Concubina di Jonna: dopo tutto, quella farsa non era altro che un modo per la Compagnia dell’Astrologiaio di mostrare la propria gratitudine agli abitanti del villaggio.
Per una volta, Ashley aveva sopportato con piacere la rozza parrucca di crine di cavallo, e il trucco e le imbottiture che lo trasformavano nella caricatura di una donna. Per una volta, le grasse risate del pubblico erano suonate alle sue orecchie come il più soddisfacente degli applausi.
 
“Signore, se sapeste quanto sia obbligata: la vostra generosa compagnia è un balsamo per il mio intelletto! Ah, il mio sposo è un villano così ineducato, rozzo e illetterato che è una vera sofferenza condividere il suo tetto per un animo sensibile come il mio!” disse Ashley con una voce ancor più acuta del solito, saltando a gambe divaricate nelle braccia di Tamlor.
“Madama, voi mi fate troppo onore nel volermi soffrire. E in onore della gioia che la vostra novella mi procura, lasciate che vi esprima tutta la mia riconoscenza!” rispose Tamlor, afferrandolo per i glutei e chinandosi in avanti, simulando una penetrazione.
Barto aprì la tenda con un gesto secco, e disse con un’espressione esageratamente lasciva: “Ebbene, Madama, or v’avvalete d’un altro medico?”
Ashley guardò il pubblico e rispose: “No no, Messer Dottore! Ma potete procedere col vostro trattamento, intanto che codesto giovine mi declama ‘l suo ultimo poema.”
Barto avanzò verso Ashley e Tamlor e aprì il proprio costume, mostrando al pubblico un finto pene in erezione dalle proporzioni improbabili. Gli abitanti del villaggio scoppiarono a ridere quando il Medico fece per prendere di terga la Concubina fedifraga, ma poco dopo che Barto e Tamlor avevano iniziato a dondolare Ashley, il suono di un corno interruppe lo spettacolo.
Tutti si volsero verso l’origine del suono e gli abitanti del villaggio dovettero far spazio per il drappello di soldati che cavalcava verso il palco improvvisato. I due attori lasciarono immediatamente Ashley, mentre i loro compagni si affacciarono da dietro le quinte.
Lo stendardo della famiglia reale sventolava, portato da un giovane alfiere, mentre l’ufficiale in comando si fermò a poco più di un leigh1 dal palco. “È questa la Compagnia dell’Astrologiaio?” chiese severamente, senza nascondere il disprezzo dalla voce e dallo sguardo.
Barto fece un mezzo inchino, quindi coprì goffamente l’oggetto di scena con il proprio costume e ripeté il gesto. “Al vostro servizio, mio signore” disse, cercando di nascondere la propria ansia.
“La Compagnia dell’Astrologiaio è chiamata a Eimerado per i festeggiamenti del genetliaco della Regina Ililsa, Sposa della Sua Eccellentissima Maestà Re Denev, diciassettesimo del nome,” proclamò l’ufficiale con tono solenne. Poi aggiunse: “Avete sette giorni per raggiungere la capitale.”
Barto strinse le labbra, scambiando un’occhiata con Ashley e Tamlor, poi si profuse in una riverenza ancor più profonda. “Il mio signore ci onora, tuttavia…” Deglutì aria e prese un respiro profondo. “Tuttavia un impegno precedente ci conduce a Labrazia. Inoltre una delle nostre attrici non…”
“Ebbene, mio signore, la Guardia Cittadina vi attenderà alla Porta dei Leoni fra cinque giorni.” L’ufficiale non ebbe bisogno di esplicitare la minaccia.
Barto si fece bianco come un cencio pulito, ma non rispose e si limitò a restare inchinato fino a quando i soldati non furono lontani.
 
 

Scena 2 

Barto accarezzò il viso pallido e fragile di Arthea e strinse le labbra. “Sei sicura?” chiese con un filo di voce, non potendo nascondere la propria preoccupazione.
La giovane attrice gli diede un debole sorriso e annuì. “Dovete andare, altrimenti saremo uccisi tutti quanti. Anche la piccola,” disse, spostando lo sguardo sul fagotto al suo fianco. Poi aggiunse: “Vedi il lato positivo: dicono che il re sappia essere molto generoso con chi lo compiace.”
Barto abbassò lo sguardo, pensieroso, poi annuì. Posò un bacio sulla fronte fredda e imperlata di sudore, quindi prese il suo scrittoio portabile e ne estrasse dei fogli: li guardò con gli occhi lucidi, poi li posò sul tavolo.
“Ci ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che non abbiamo altra scelta che proporre questa tragedia alla corte,” disse dopo un po’, poi prese la prima pagina e la lesse, con la voce sempre più piangente.

 
Udite, brava gente, della miserrima Arthea la storia! Di come i suoi valenti fratelli furono massacrati e di come il suo corpo, votato al Chiostro, fu profanato sotto il loro sguardo morente!  

Nell’udire quelle parole, Ashley sentì un groppo in gola. 
“Come hai potuto trasformare quello che è successo in un pezzo teatrale?” ringhiò. “Come hai potuto?!”
“Perché non è giusto, Ash!” singhiozzò Barto. “Perché voglio coltivare la speranza che Arthea e la bambina abbino giustizia!” Tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica. “Perché avevo bisogno di sfogarmi.” Prese dei respiri profondi e, quando fu un po’ più calmo, riprese. “Da quello che ho sentito, Sua Grazia ama le storie in cui scorre sangue, per cui nella scena del massacro Puch, Rinejo e Nied saranno sostituiti da tre soldati, mentre Tamlor ed io da due condannati a morte, giusto per il realismo della scena. Avevo pensato di dare il ruolo di Elanne ad Arthea stessa, ma… Malba, te la sentiresti di sostituire tua sorella? Sono poche battute, e un monologo che posso ridurre, se vuoi.”
Malba lo guardò atterrita – fin tanto che si trattava di una ripetizione, era tanto brava quanto Arthea, ma davanti al pubblico andava in panico. Scambiò uno sguardo con sua sorella, la quale sorrise incoraggiante, quindi Malba annuì impercettibilmente.
“Grazie, grazie di cuore,” riprese Barto. Poi si rivolse ad Ashley. “Mi spiace Ash, ma è prevista una scena di stupro: preferisci essere sostituito come Puch e gli altri, oppure…?”
“No, non voglio essere sostituito,” rispose, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. “Dopo tutto è così che sarebbe dovuta andare fin dall’inizio.”
Barto annuì e iniziò a distribuire i fogli con le parti. “Tagliando per la foresta di Mallardo e partendo domani mattina con le prime luci, dovremmo arrivare a Eimerado entro il termine stabilito. Puch, sarai responsabile della compagnia fino al mio ritorno: io devo andare a Labrezia per spiegare a Bamna2 Loiq perché non potremmo intrattenere i suoi ospiti. E per restituirgli i dieci sparvieri di acconto.”
Tutti i membri della Compagnia dell’Astrologiaio piombarono nel silenzio, interrotto dal flebile vagito della neonata.
 

  Scena 3

Barto aveva deciso di permettere agli abitanti di Eimerado di assistere alle ripetizioni della rappresentazione per aiutare Malba a prendere confidenza davanti al pubblico, una scelta che sembrava dare i frutti sperati. Certo, a Malba mancava la spontaneità di sua sorella ma la sua parte consisteva nel consolare la protagonista e nel riaccompagnare in scena Barto e Tamlor, i quali per buona parte della tragedia interpretavano gli spettri dei fratelli defunti. Il pubblico era principalmente formato da mercanti e borghesi che non avrebbero avuto altrimenti modo di assistere a uno spettacolo, anche se a volte non mancavano le lettighe ornate dietro i cui pannelli di legno traforato e drappi di seta si nascondevano nobili dame e aristocratici.
Fu dopo la prova generale, la mattina del giorno in cui avrebbero recitato a palazzo, che Barto fu chiamato presso una di queste lettighe, per poi tornare con una borsa grassa d’oro.
“Qualcuno desidera cenare con te, Ash,” disse, senza guardarlo in volto.
Ashley sgranò gli occhi, le mani a neanche un pollice dalla sua acconciatura. Deglutì e strinse le labbra ancora coperte di rossetto. “Adesso?” chiese con un fil di voce.
Fu sollevato di vedere il Capocomico scuotere la testa. “No, no… gli ho detto che devi essere in forma per questa sera, che… che hai bisogno di tempo per prepararti… No, manderà qualcuno a cercarti dopo lo spettacolo,” rispose senza nascondere il proprio impaccio.
Ashley si limitò ad annuire, riprendendo ad aggiustare i capelli – Malba aveva fatto del suo meglio per creare un’imitazione delle sette trecce riservate alle vergini del Tempio che non recassero offesa alla Fede e non aveva alcuna intenzione di rovinare il suo lavoro. Mentre slacciava il costume, si chiese come qualcuno potesse aver chiesto di lui dopo averlo visto interpretare quel ruolo.
Qualcuno con la blasfema fantasia di giacere con una fanciulla votata al Chiostro, pensò storcendo la bocca per il disgusto e l’orrore. Non poté fare a meno di trovare un certo parallelismo con la rappresentazione – e con quello che era accaduto ad Arthea.
Stava per sfilare la sottoveste, quando la porta del camerino si spalancò con una certa violenza. Un uomo dal garbo militaresco avanzò nella stanza, scrutando i membri della compagnia come se fossero un escremento sotto il proprio stivale: il suo sguardo nero come carbone indugiò fra Malba e Ashley e quando parlò, la sua voce sibilò come una freccia. 
“Il mio Padrone chiede di incontrare la Fanciulla di questa compagnia. Non quella che infanga il nome della vostra dea, l’altra.” 
Barto spostò il proprio peso da un piede all’altro, lanciando un rapido sguardo preoccupato ad Ashley. Si schiarì la voce e fece qualche passo titubante verso l’uomo. “Il mio signore ci onora con tale invito, tuttavia la signorina Valondja non --” 
“Non lo ripeterò un’altra volta.” Lo interruppe l’uomo secco, lanciando ai piedi del Capocomico un sacchetto di cuoio ben grasso, da cui uscirono dei lucidi sparvieri. “Il mio padrone richiede ed esige la Fanciulla immediatamente.” 
Ashley deglutì il vuoto. Se il servo aveva l’aria così terribile, il suo padrone doveva essere una persona che non accettava un rifiuto e, forse, molto più in alto nella gerarchia sociale dei soliti mercanti arricchiti e piccoli bamnoi che lo invitavano a pranzo. Per cui fece un profondo inchino e, senza alzare la testa, disse. “Se il mio signore mi concede il tempo per rendermi presentabile…” 
“Spicciati, allora,” rispose l’uomo, assumendo una posa statica e minacciosa e fissando lo sguardo su uno strano bracciale di cuoio ornato da uno spesso disco di metallo e vetro. 
Non ci fu abbastanza tempo per scegliere un abito, per cui Ashley risolse nel rindossare il costume di scena mentre Malba e Naé si indaffaravano a fissargli una retina azzurra sui capelli, a ritoccare il trucco e ad aggiungere qualche gioiello. 
“Poco più di cinque minuti,” disse l’uomo inarcando un sopracciglio e guardandolo di nuovo. “Rapido, per una donna, ma c’è da dire che sei stata aiutata.” 
Ashley strinse le labbra, trattenendo la propria lingua e facendo un altro, profondo inchino. Rivolse un rapido saluto ai suoi compagni – per un istante incrociò lo sguardo supplichevole di Tamlor. In un certo senso, lo rassicurava sapere di non essere l’unico a percepire il pericolo potenziale della situazione. 
“Ho l’ordine di assicurarmi che non ti accada nulla durante il tragitto,” aggiunse l’uomo mentre lo accompagnava verso la portantina, come se grazie a una strana magia fosse riuscito a leggergli la mente. E gli rivolse un sorriso da squalo. “Ma dipende da te se tornerai intero.” 
Ashley sbatté le palpebre, combattendo il desiderio di fare domande. L’uomo lo aiutò a salire sulla portantina – una costruzione in legno pregiato ma dalle linee sobrie e anonime, resa confortevole da cuscini di piume e sottili veli di seta a schermo dal sole del meriggio – e prima di chiudere lo sportello scorrevole, agitò una mano davanti al volto dell’attore farfugliando qualcosa. Ashley trasalì, sgranando gli occhi diventati improvvisamente ciechi. 
“Ti toglierò l’incantesimo quando saremo arrivati,” spiegò l’uomo, dando ordine di partire. 
Forse per la prima volta in vita sua, Ashley ebbe davvero paura. Sentiva la portantina dondolare, sentiva le voci dei mercanti che urlavano le qualità della loro mercanzia, gli odori di cibo e spezie, il puzzo di animali ed escrementi e tutto quello che lui poteva fare era stringere convulsamente i bordi della portantina, aggrappandosi con disperazione alla sensazione del legno laccato sotto le dita. Non seppe se il cambiamento di odori e rumori fosse un buon segno – la portantina saliva lungo un pendio, sempre più lontano dal fracasso di Eimerado. Una folata di vento gli sbatté in faccia un telo di seta e un odore sconosciuto, inebriante ma non proprio piacevole, gli giunse alle narici. 
Poi la portantina si pose con un sobbalzo sgraziato e Ashley fu guidato attraverso voci che urlavano in una cacofonia di lingue straniere; poi l’aria si fece improvvisamente più calda e permeata da un odore simile a quello del bitume e questo gli fece più paura. Per quanto tempo durò quella cieca tortura? Non lo seppe mai, ma ad un certo punto sbatté contro qualcosa di caldo e nervoso, qualcuno che gli ringhiò contro parole senza senso. Poi sentì un leggero odore nell’aria, come quello che seguiva un fulmine e Ashley fu accecato dalla luce improvvisa. 
“Benvenuto sulla Resilience.” 
A parlare era stata una donna di circa venticinque inverni, non alta ma dall’aura imponente. Era abbigliata nel modo più bizzarro che Ashley avesse mai visto. Uno strano farsetto di lana grigia sposava senza accentuare la curva del seno e dei fianchi, stretto in vita da una spessa cintura dalla borchia dorata e chiuso da due fila di bottoni che correvano dalle clavicole all’addome; dei spessi nodi di passamaneria sulle spalle e le maniche, e delle strane spille d’ottone erano le uniche decorazioni. Sotto al farsetto, indossava una camicia bianca e le cosce erano nascoste da una sorta di gonna nello stesso tessuto del farsetto, mentre il resto delle gambe erano coperte da spesse calze nere e stivali stringati. La donna sarebbe stata piacevole da guardare se non fosse stato per l’espressione dura negli occhi grigi e per i capelli biondo sporco raccolti sulla nuca. 
L’uomo che aveva accompagnato Ashley batté i tacchi e portò il taglio della mano alla fronte, in quello che sembrava essere un saluto militaresco. La donna rispose con un farfuglio duro e freddo che gli fece pensare al rumore del ghiaccio che si rompe. 
“Dovrai aspettare ancora un po’,” gli disse la donna, con uno strano accento che Ashley non riuscì a riconoscere. “Hai pranzato?” 
“N-no, mia signora…” rispose lui deglutendo e cercando di usare il tono più ossequioso di cui era capace. 
La donna borbottò qualcosa all’uomo, che ripeté il saluto e andò via. Poco dopo una persona dalla testa rasata, degli abiti ancora più strani e dei lineamenti troppo femminei per appartenere ad un uomo e troppo duri per appartenere a una donna, giunse portando un vassoio con una scodella di una strana zuppa dall’odore speziato, delle fette di pane bigio farcite di foglie e carne, un composto bianco latte cosparso di miele e noci e un boccale colmo di birra scura. La donna indicò il cibo, invitando Ashley a sedersi. 
“Ti consiglio di mangiare anche se non hai fame, e di spicciarti. Non ho idea di quando Sua Eccellenza ti chiamerà,” disse la donna. 
Ashley osservò la zuppa per un po’, chiedendosi se fosse commestibile prima di obbligarsi a mandare giù una cucchiaiata, più per educazione che per fame. Si sentì quasi strozzare alla consistenza pastosa e dal sapore piccante. Respirò lentamente e poi riprese a mangiare, cercando di fare appello a tutte le sue doti di attore per non lasciar trapelare quanto fosse poco di suo gusto il pasto offertogli. 
“Chiedo venia, mia signora, ma se mi è concesso chiedere… chi siete? Cosa è questo luogo? Cosa desiderate da me?” si trovò a dire all’improvviso, mordendosi la lingua per aver infranto una delle regole basilari. Non parlare senza essere interpellato e, soprattutto, non fare domande
L’espressione della donna non mutò. 
“Io sono Mildred Conhary, Primo Ufficiale e Comandante pro tempore di questa nave. E questa è la Resilience, ammiraglia della flotta imperiale di Actarnica. O almeno lo era fino a quando lo Tsarevich non ci ha pugnalato alle spalle.” 
La donna, Mildledo Ko’elli, sputò una volgarità nella sua lingua madre. 
Ashley sbatté le palpebre più volte, incredulo. Come poteva una donna sperare di essere altro che una concubina o una sacerdotessa, quando non aveva altra scelta che quella della prostituta? Come poteva esistere una donna che, non solo era un soldato, ma era anche riuscita a salire così in alto nella gerarchia? Certo, sapeva delle Amazzoni di Agrirani – le spose di spada, com’erano chiamate dal loro popolo – e aveva viaggiato fin da che ne avesse memoria, tuttavia non aveva mai sentito parlare di un paese chiamato…
A’ta-lni-kiya?” sillabò lentamente con la sua voce naturale. “Non conosco questo regno, signora.”
Mildledo Ko’elli inarcò un sopracciglio e il fantasma di un sorriso le attraversò il volto. “Il ranocchio vuole sapere cosa c’è oltre il pozzo, mh?” Sbuffò, prese il boccale di birra e ne bevve un lungo sorso. “Nerthae3 non è l’unico Mondo, ragazzo: ce ne sono molti altri, ognuno in un diverso Piano di Realtà. Alcuni sono un paradiso terrestre, altri un inferno di ghiaccio e di fuoco; in alcuni gli uomini lottano con armi di legno e pietra, in altri con giganti di metallo. A Tsinlya4 abbiamo addomesticato il vapore più di duecento anni fa: la sua forza ci ha fatto conquistare non solo la terra e il mare, ma anche il cielo e le stelle.”
 Ancora una volta, Ashley sbatté le palpebre. Non gli era sfuggito l’orgoglio con cui Mildledo Ko’elli aveva pronunciato quelle parole. Mille e una domanda si affollarono sulle sue labbra, ognuna pretendendo d’essere espressa per prima, ma prima che lui potesse parlare, una voce sconosciuta echeggiò chissà da dove – il suo sguardo andò subito alla porta, ma quella era chiusa e nessuno era entrato. Mildledo Ko’elli si avvicinò a una specie di campana di tromba, la quale continuava in un tubo di rame, e disse qualcosa.
“Sua Eccellenza richiede la tua presenza,” disse Mildledo Ko’elli indicandogli la porta.
Questa volta Ashley non fu bendato, né con un cappuccio né con la magia, ma non seppe dire se quella fosse una buona cosa. Camminavano lungo un corridoio largo a sufficienza per lasciar passare due persone senza impaccio, le pareti di legno dalle rifiniture di metallo avevano un gusto esotico e militaresco. Attraversarono una passerella e raggiunsero una gabbia, in cui furono accolti da un uomo dal garbo simile a quello di Mildledo Ko’elli. Ashley soppresse a malapena un grido di spavento quando, con un rumore di ingranaggi, la gabbia iniziò a sollevarsi.
“Tieni il capo basso, non parlare senza essere interpellato e non fare domande se non ti è concesso,” lo istruì Mildledo Ko’elli con un sibilo secco quando si fermò davanti a una porta. “E inchinati.”
Ashley fu introdotto in una serra lussureggiante, in cui piante strane ed esotiche tendevano i rami verso una volta di acciaio e vetro. Cacciò la sua meraviglia e fece appello alle sue doti istrioniche, esibendosi nella riverenza che riservava al migliore dei pubblichi.
“Sollevate il viso,” ordinò una voce maschile, ruvida come lana grezza e vecchia come un formaggio ben stagionato.
Ashley obbedì. Deglutì il vuoto mentre una stilla di sudore scorse lungo la tempia e la guancia. 
Seduto a meno di tre leigh, la Sua Eccellentissima Maestà, Re Denev diciasettesimo del nome, lo scrutava come un rapace studiava la sua prossima preda. 
   
 
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