Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: allecrazy    03/09/2015    1 recensioni
Cosa potrebbe succedere se Francesca, alunna peggiore del Liceo Artistico Caravaggio di Milano, si innamorasse del suo professore di matematica, Ricardo Gagliardi, ma non lo volesse ammettere nemmeno a se stessa?
Se cercasse di mostrarsi indifferente quando vede, da un giorno all'altro, Ricardo venire divorato dai suoi demoni interiori?
E se lui la odiasse per questo?
E se Ricardo e Francesca non riuscissero, nonostante il loro ruolo scolastico, a evitare di essere attratti l'uno dall'altra?
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Allora, com’è andata, tesoro?”
Esordì Mariangela, la madre di Francesca, appena quest’ultima varcò la soglia di casa, di ritorno da scuola.
“Diciamo che è andata come tutti gli altri primi giorni di scuola di tutti gli altri anni.”
Rispose svogliatamente lei, e, prima che sua madre potesse replicare, andò in camera sua, dove si buttò rumorosamente sul letto, dove rimase a messaggiare con Sofia e Nicola, i suoi migliori amici per una mezz’ora.
 “Il pranzo è pronto!” urlò Mariangela, per richiamare l’attenzione della ragazza, che corse in cucina, affamata.
“Quindi, è arrivato qualche nuovo ragazzo nella tua classe?”
Francesca nemmeno rispose, scosse solo la testa in segno di diniego.
“E hanno riparato la macchinetta del caffè?”
Scosse nuovamente la testa.
“Sei sempre seduta in quell’odioso posto in fondo all’aula?”
Questa volta annuì, alzando gli occhi al cielo sentendo pronunciare dalla madre quell’aggettivo.
“E  per caso a metà lezione è entrato in classe Patrick Dempsey urlando “codice blu! Infermiera, il carrello delle emergenze, presto!” oppure è stato tutto regolare?” Chiese ancora la madre, ormai esasperata a causa dell’atteggiamento della figlia che non le rispondeva se non a gesti.
“Eh? Scusa, che hai  detto? Che c’entra Patrick?” Domandò Francesca, stranita.
“Non lo so, signorina, dimmelo tu, è successo qualcosa che dovrei sapere? Hai la testa fra le nuvole.”
“No, cioè, si, però…”
Però cosa? Fra, si può sapere che hai? È da matematica che sembri una stupida ragazzina in crisi ormonale, datti una calmata. Sentì dirle  la voce della sua coscienza, cercando di riprendersi.
“Scusa mamma, sono solo un po’ stanca, la macchinetta del caffè ha funzionato per un paio di minuti ma poi è quasi esplosa, e probabilmente domani verrà nuovamente quel tecnico che alla riunione genitori-professori ci provava con te, ricordi? Ecco, probabilmente verrà lui.”
Mariangela scoppiò a ridere.
 “Sì, ricordo, poi è arrivato tuo padre ed è scappato a gambe levate, che risate che mi sono fatta.”
Francesca rise per un po’, poi continuò.
“È anche arrivato un nuovo professore di matematica, Ricardo Gagliardi, se non sbaglio.”
Aveva dovuto chiedere a Sofia il nome.
“Davvero? E come ti sembra?”
“Non lo so, sembra simpatico, ma allo stesso tempo anche un montato.”
“Ma tu non darai mai un giudizio positivo ad una persona, vero? Dai, ditemi, vostra maestà, cosa vi ha portato a questa conclusione, riguardo quel pover’uomo che dovrà sorbirvi per un anno?”
“Ma non lo so, sono arrivata in ritardo e mi ha detto che non aveva importanza, essendo il primo giorno, ma poi ha aggiunto anche io ho faticato ad alzarmi, riportando l’attenzione su di lui. E poi abbiamo fatto una scommessa, entro sei mesi deve convincermi che la matematica è arte. Andiamo, non può venire a dire in un liceo artistico che la matematica è arte.”
E cosa avete scommesso?” Chiese, tralasciando tutto il resto del discorso, guardandola incuriosita.
“Sinceramente niente.”
“Allora dobbiamo pensare a qualcosa da proporgli. Già mi sta simpatico questo Ricardo.”
“Ma tu non darai mai un giudizio negativo ad una persona, vero?”
Risero assieme per quella battuta, che Francesca aveva caparbiamente rifilato, modificandola, alla madre stessa. Finito di pranzare decise di riposare un po’, per rimettersi dalla notte passata in bianco.
Quindi andò a struccarsi, per essere più  comoda.
Una volta davanti allo specchio si concentrò unicamente sugli occhi, cercando di ignorare il resto del suo viso, si sciolse i capelli rossi e, finalmente, si guardò dalla testa ai piedi.
Proprio non si riconosceva in quei tratti dolci, aveva un atteggiamento da duro, quindi nessuno le si avvicinava per importunarla, ma si sentiva comunque troppo vulnerabile.
Una ciocca di capelli le cadde su un occhio, coprendo le lacrime che stavano iniziando a scendere, e che prontamente asciugò con il dorso della mano. Si portò le mani a coprirle il volto e i ricordi iniziarono a riaffiorare.
Quattro anni prima.
Aveva dodici anni, era alle scuole medie, stava facendo lezione.
Era una normalissima giornata e sovrappensiero organizzava il suo pomeriggio, sarebbe dovuta andare assieme al suo migliore amico, Nicola, al luna park, con il suo papà e Luca, il padre del suo amico.
Era da qualche settimana che avevano organizzato quella giornata e i due compagni di banco continuavano a scambiarsi occhiate complici, prestare attenzione alle parole noiose dell’insegante era pressappoco impossibile.
Mentre un’altra bambina si preparava per essere interrogata, la preside bussò alla porta.
“Professoressa, potrei parlare un secondo con Francesca?”.
Ricordava che la preside avesse chiesto se qualcuno oltre sua madre potesse andare a prenderla, aveva chiamato Luca, e assieme a Nicola erano corsi all’ospedale. Solitamente ci si impiegavano quaranta minuti, ma nella loro folle corsa arrivarono dopo appena venti.
Da quel momento tutto divenne offuscato nella testa di Francesca: il padre sdraiato in un letto, in una stanza tutta bianca, i pianti, l’incidente, il camion che aveva spinto la macchina del padre in un fossato, le urla della madre, non aver più parlato, l’attacco di panico a scuola, le prese in giro dei compagni, l’ospedale psichiatrico.
Tutto così dannatamente confuso.
Era stufa di rivivere ogni giorno tutto quello.  Aveva voglia di cambiamenti, seppur piccoli.
Prese un respiro profondo, diede un'ultima occhiata allo specchio e, proprio mentre stava per andare a letto, decise che era ora di cambiamenti. Quindi si truccò nuovamente, forse persino più di prima, avvertì la madre che sarebbe stata fuori per un paio d’ore ed andò dalla sua parrucchiera di fiducia.
L'atmosfera e l'aria che si respirava in quel negozio la colsero piacevolmente; oramai, per tutte le volte che andava in quel luogo, considerava quest'ultimo come una seconda casa e, anche solo inconsciamente, il proprio corpo si rilassava, segno evidente, per quanto impercettibile, del suo sentirsi a proprio agio
“Fra! Che piacere vederti qua. Abbiamo fatto il record, hai tenuto lo stesso colore per due settimane, vero?”
Esordì la parrucchiera, appena Francesca varcò la soglia del salone.
“Sedici giorni. Ho visto una bella foto, c’è una ragazza che ha i capelli verde acqua con delle macchie viola e blu qua là.”
“Macchie? Intendi dire ciocche?”
“Ecco come si dice! Non mi veniva la parola…”
“Bellissimi. Dunque, dobbiamo fare la decolorazione e poi facciamo quella specie di blu, e alla fine aggiungiamo gli altri dettagli. Se mi dai dieci minuti per prepararti le tinte iniziamo, intanto accomodati pure.”
Rimase quindi qualche ora a bearsi del tocco della parrucchiera che le lavava, tagliava e tingeva i capelli.
Quando ebbe finito guardò l’ora, e vide che erano le sei del pomeriggio. Salutò l’acconciatrice e andò in centro, dove entrò in una pizzeria: voleva fare una sorpresa alla madre portando a casa la cena.
Quando varcò la soglia dell’edificio si sentì osservata, quindi iniziò a guardarsi attorno.
Seduto su un piccolo divano c’era il suo professore di matematica che la fissava incuriosito.
“Oh, Francesca, ciao. Che piacere vederti qua. In un primo momento non ti ho riconosciuta, bello il nuovo colore. Cosa ci fai qua?” Le chiese.
“Sera, professore. Come fa a sapere il mio nome, non mi pare di essermi presentata.”
Lui arrossì, ma poi rispose subito, sorridendo.
 “Ho fatto l’appello, a lezione, e il tu eri l’unica che mancava. Comunque non hai risposto alla mia domanda.”
“Ha ragione. Volevo portare la pizza a casa, per mi madre. E lei?”
“Sai, sono un povero professore, e questo ruolo non attrae le ragazze, quindi sono un uomo single incapace di cucinare. A te le conclusioni.” Disse ridendo.
Il telefono di Francesca vibrò nella sua tasca, era un messaggio di sua madre che diceva:
Ciao tesoro, purtroppo devo trattenermi a lavoro fino a tardi. Non aspettarmi sveglia, un bacio.”
Doveva stare a casa da sola. Di nuovo. Non andava affatto bene.
La vista iniziò ad annerirsi, sentiva il professore chiamarla, il pizzaiolo che le diceva che fosse il suo turno, le gambe che le stavano per cedere.
Non sapeva cosa stesse succedendo, o forse lo sapeva troppo bene.
“Aiuto.” Sussurrò in un momento di lucidità.
Due braccia la avvolsero per non farla cadere, e poi niente, il buio.
 
 
***Salve a tuttiiii, scusate il lunghissimo periodo di assenza, ammetto che iniziare una storia nel periodo estivo non è stata una buona idea, ma ora che – purtroppo – ho riiniziato scuola sarò molto più puntuale, lo prometto, ahah. Spero vivamente che il capitolo sia di vostro gradimento, per critiche, consigli e quant’altro, lasciatemi una recensione, ne sarei felicissima. Grazie a tutti dell’attenzione, Alex.***
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: allecrazy