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Autore: hyperchondriacsoul    05/02/2009    5 recensioni
Distolsi improvvisamente lo sguardo da quel palazzo color avorio - l'avorio d'Africa, quello vero - e mi guardai intorno : qualche centinaia di ragazzi si reggevano in piedi in quello spiazzo e riempivano una piccola parte del giardino immenso che circondava il palazzo : l'accademia Murav’ev. « Tutti gli aspiranti studenti sono pregati di raggiungermi. », pronunciò una signora di mezza età con una lunga tunica scura e con i capelli biondi e polverosi, ma perfettamente trafitti da un fermaglio sottile e affilato.
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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absolution

21:03 - Accademia  Murav’ev
Erano passate ore dall'ingresso, eppure a tutti i neo allievi - me compresa - era stato cordialmente richiesto di sostare nell'enorme biblioteca dell'accademia: zigurat di libri e un'odore - splendido odore - di carta ingiallita, sciupata, sognata e - diciamolo - sognante, anche. La Bakolia ci aveva pregato di rimanere in piedi - per grazia di Dio, aveva aggiunto lei - e nessuno aveva osato fare il contrario: gravavano tutti lì, sul pavimento, bianchi e immobili e cancellavano incessantemente ogni difformità da una statua in marmo. Di tanto in tanto si spostavano, alcuni, come i miei occhi che rimbalzavano su un corpo e poi su un altro e li analizzavo, come un critico assurdo e frustrato farebbe con un'opera d'arte che è lì, è perfetta e l'unico difetto - da trovare, è strano - è che non respira. E non ha mai respirato.

Si voltò.
Come se avesse sentito il mio sguardo bruciarle addosso, si voltò di scatto e prima di sorridermi, il suo sguardo biondo mi frugò dentro, dentro.
« Vi chiamerò una ad una per smistarvi, non abbiate timore. », disse una giovane donna dall'aria bonaria al gruppo femminile. Stesso accadde per i ragazzi che furono chiamati da un cinquantenne perfettamente abbigliato e dai lineamenti austeri e per nulla docili, rauco.
La prima ragazza fu chiamata e dopo cinque minuti uscì dal piccolo ufficio di "Miss Irine", così era inciso sulla targhetta d'ottone della porta in mogano, con un nastro blu tra le dita. Focalizzai, perdendomi tra le sfumature di quel blu più o meno elettrico, senza accorgermi che nel frattempo erano entrate - e uscite - altre due ragazze: nastro bianco al collo una, cerchietto dello stesso colora fra i riccioli porpora l'altra.
Toccò a me, per settima; mi ero distratta a guardare il gruppo maschile: c'era chi artigliava una sciarpa blu, chi una bianca, un ragazzo coi capelli lunghi e scuri si sistemava sulla fronte una fascia rossa, come l'anello con cui stava giocherellando Jason, il ragazzo che mi si era spontaneamente presentato; infilò il monile carminio al dito e mi voltai, raggiungendo la signorina nell'ufficio.
« Eccomi.»
Una scrivania troneggiava al centro della piccola stanza che era provvista di una sola finestra con delle tende in velluto scuro - oltremare, mi parve - e due poltrone dello stesso tessuto, il tutto guarnito da una moquette che probabilmente aveva sostenuto e accompagnato Miss Irine - e i suoi occhi buoni - per pochi anni, data la freschezza.
« Accomodati... », lesse il mio nome su un foglio ad alta voce, « Valentine. »
Obbedii, sedendomi.
« Bene, sono Miss Irine, Anya Irine per esattezza. Ho letto che vieni dalla Cornovaglia, la patria di King Arthur: scogliere, burrasche e chimere; così diceva mio padre. » Potevo avvertire una nota di malinconia mascherata nella sua voce chiara, come i suoi occhi.
« Scogliere, burrasche, chimere e misticismo. O esoterismo, come vuole lei. »
Si irrigidì, guardandomi più freddamente rispetto a prima. Cazzo, avevo sbagliato.
« No, non hai detto niente di sbagliato. »
Strabuzzai gli occhi, quasi involontariamente: mi aveva letto nel pensiero o cosa?
« Come scusi ? »
Deglutì sonoramente, aggiusteandosi con un sorriso tenue sulla sedia dietro la scrivania, evitando - palesemente - il mio sguardo. « Te l'ho letto in faccia, che pensavi di aver sbagliato qualcosa; ma invece, cara signorina Amphett, hai guadagnato punti. »
La mia faccia, in quel momento, doveva spiegare - con più punti - che non ci stavo capendo un emerito cazzo. « Grazie, allora. », risposi senza troppa enfasi mentre lei, scuotendo il capo, scansava via - verso la finestra e il cielo che si impastava di nero - i miei ringraziamenti, alzandosi dalla poltrona e porgendomi la mano: « Ho bisogno che tu poggi il palmo sul mio, adesso. »
Obbedii nuovamente, alzandomi a mia volta e poggiando debolmente la mia mano sualla sua; le si scopriva appena il polso ma, attorcigliato ad esso, potevo intravedere un tatuaggio che raffigurava una tripla spirale. Tra l'altro, ricordavo di aver già visto quel simbolo ma decisi di non indagare, visto che chiuse gli occhi e li riaprì poco dopo: stavolta, però, erano velati da una coltre bianca come fosse in trance; recitava strane parole, semantica antica - capolavori dimenticati e assurdamente immobili - e - dopo diversi attimi - mi resi conto che ricordava una lingua celtica.
Percepii una scossa percorrermi totalmente il corpo mentre - sia io sia Miss Irine - venivamo scagliate agli antipodi della stanza: lei scontrò la parete dietro la scrivania mentre io, con più forza, venivo gettata contro la porta di mogano che attutì il colpo, con un tonfo sordo. Il risultato ? Caddi a terra, e lo stesso fece Anya che, a differenza mia, ansimava stremata.
Mi rialzai velocemente, aggrappandomi al pomello della porta, bestemmiando tra i denti: « Tutto ok ? »
Si risollevò, artigliando la scrivania e la sua voce affiorò - come nero su bianco - sul silenzio totale che si era creato dopo il rumore provocato da me e la porta; tutto ciò, ovviamente, non prometteva nulla di buono: il leggero brusio esterno si era placato e potevo avvertire la curiosità degli altri studenti soverchiarmi la pelle.
La signorina sfiorò con due dita uno dei cassetti della scrivania che - a differenza degli altri -aveva tre diversi pomelli: il cassetto si aprì, quasi automaticamente, rivelando diversi oggetti in tre colori distinti: blu, bianco e rosso. Scansò immediatamente quelli pigmentati dei primi due colori e fissò con notevole entusiasmo quelli scarlatti: nastri, cerchietti, bracciali e altri tipi di accessori.
«Mh, credo di avere proprio qui quello che fa per te. »
 Schiacciò uno dei tre pomelli, il più a destra, e un ingranaggio - con un potente CLAC - scattò, svelando una sorta di cassettino nascosto che conteneva un amuleto: questo aveva disegni orientali di epoche passate, unici ed inconfondibili. Allungò le braccia e me lo infilò al collo, richiudendo poco dopo il cassetto: « Indossalo sempre, mi raccomando. »
Si insinuò sotto la camicia bianca, cozzando contro la mia pelle. Rabbrividii, era incredibilmente gelido.
Mi superò, aprendo di colpo la porta che mantenne aperta per farmi uscire, accompagnando con una lieve spinta i miei movimenti. « La prossima. », asserì con voce più fredda rispetto a prima mentre una moltitudine di pupille si spostarono su di me e mi straziarono il corpo.

Qualcuno mosse una sedia - rumore stridente e proibito - , tutti si voltarono: un ragazzo alto e biondissimo che aveva le labbra chiare e sottili si alzò, mentre tutti gli si inchinarono appena. L'atmosfera si raggelò.
« Rialzatevi tutti, ve ne prego. », esordì raggiungendo il centro della stanza per poi voltarsi verso di me e schiarirsi la gola, preparandosi a parlare ancora una volta.

  
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